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lunedì 31 maggio 2021

Ragestorm - The Thin Line Between Hope and Ruin

#FOR FANS OF: Death/Thrash
How can this album possible get an average of 53%?! I've enjoyed this the whole way through. There were some peaks and valleys, but I felt that musically the double genre of death/thrash is quite unique. You have low burly vocals mixed with high-end screams with music appeasing me at least for that much. This Italian based band I've discovered by chance that it was sent to me without any idea of how much I appreciated the full-length. There was one song I felt that they could've left out but other than that, a gem of a release. What caught me aside from the vocal aspect was the guitar riffs. I liked the tone the crunch aspect of it all.

I appreciated the overall essence of the album. The vibe and riffs. It was more thrash based than death, but all in all it was a great encore of metal music Italian style. These guys knew what they were doing musically though many people seemed that they were at fault and not at all on course to the making of this release. I however, felt that it a very strong release that made it's way in the genres wholeheartedly. An effort that shines bright in metal an how music like this was possible to metal it sure showed itself on here. The only beef I had was one song that I don't think was appropriate for the album. So I took points off for that.

The sound production was illustrious. The quality shared a mark in this mixing and they put all 52+ minutes into this wholesome release of death/thrash. I believe that it was an ABSOLUTELY killer release which I cannot fathom why the press failed them on here. But I'm to speak of my opinion of this album. They deserve more credit to this gettogether of genres mixed. I though it to be well dished out. The songs were solid, the riffs were SICK and the songs overall were well done nuff-said! This album I didn't think would really hit home with me, but in fact it did more than just that. It sparked more interest in Italian metal bands.

I was a lucky one to actually have this shipped to me from Finland. So, I didn't have to dish out any money for it. It is available on YouTube and Spotify I believe. I prefer the CD itself but nowadays everything's digital. Only a few collectors like me. But anyway, don't listen to the critics, listen to the vocals and the riffs. They will blow you away, YES! I enjoyed this whole release and I'm curious to hear more from the band since this one is their debut full-length. It shows that they're active, so I just wonder what's going on with them since it's almost 8 years since their debut (this one). Check them out, pretty killer material! (Death8699)


domenica 30 maggio 2021

Gojira - From Mars to Sirius

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Groove Death, Meshuggah
In un periodo in cui c'è attesa per la recensione del neo arrivato 'Fortitude' in casa Gojira, noi andiamo controtendenza andando a ripescare le parole del vecchio 'From Mars to Sirius', terzo lavoro per la band francese, fuori per la Listenable Records nel 2005. Dopo il pesantissimo 'The Link' del 2003, ecco arrivare un disco assai ambizioso, per portare una ventata di freschezza in un panorama death metal all'epoca un po’ stantio. E direi che i Gojira riescono quasi nell’impresa di far uscire un piccolo gioiellino: un cocktail di sonorità che pescano qua e là dal repertorio di Devin Townsend, Fear Factory, Meshuggah e Darkane, aggiungendo alla fine un discreto tocco di personalità. Il platter che ne viene fuori, risulta essere una bella bomba ad orologeria pronta ad esplodere nel vostro stereo. I pezzi sono tutti belli incazzati con ritmiche debordanti, grazie anche ad una batteria martellante, su cui s’impiantano chunky riff e arrangiamenti groovy. I Gojira sono dei maestri nel creare un muro sonoro impenetrabile: "Where Dragons Dwell" ne è una testimonianza palese, in cui una colata lavica di riff pesantissimi creano un'atmosfera asfissiante. La successiva "The Heaviest Matter of the Universe" sembra parafrasare lo stile musicale del quartetto francese, quasi che sia realmente la materia più pesante dell’universo; in questo brano poi all’influenza palese dei Fear Factory si affiancano echi di Morbid Angel e addirittura degli Arcturus. Penserete che sia un pazzo, però vi garantisco la genuinità e la genialità, in alcuni suoi passaggi, di quest'album e di una band pronta a fare (che farà) il grande salto di qualità. E ancora: "Flying Whales" parte molto atmosferica per poi incanalarsi su un un mid tempo ossessivo, quasi ipnotico. Altre songs da segnalarvi: la straripante "Backbone" e le alternative "World to Come" e "Global Warming". Ragazzi, cos’altro dire, quest’album mi è piaciuto parecchio, nonostante i primi ascolti si siano rivelati di difficile lettura, d’altro canto la proposta dei Gojira non è poi cosa semplice d’affrontare. Estremi, ma con gusto. (Francesco Scarci)

(Listenable Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/GojiraMusic

God Forbid - IV: Constitution of Treason

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Swedish Death
Lo Swedish death miscelato al metalcore americano ha avuto un grande successo in passato creando ad un certo punto anche una indigestione tale da rendere assai complicato da descrivere con parole differenti, gruppi che alla fine proponevano la stessa minestra. I God Forbid sono una di quelle band che in passato mi ha dato una mano nel semplificarmi la vita, cercando di prendere le distanze e interpretare il genere con una certa dose di personalità. Non siamo di fronte ad un capolavoro, però devo ammettere che il quarto album della band statunitense non si presentò affatto male mostrando una longevità per le nostre orecchie non indifferente. Una produzione sporca (ma va bene così) accompagna le note di “Constitution of Treason”, in cui i classici riff hardcore e la vetriolica voce di Byron Davis, si strutturano all’interno della tradizionale metal song, dotata dei tipici riffoni di chitarra (bravi i fratelli Coyle alla sei corde), delle cavalcate alla Iron Maiden, di melodici cori con brillanti clean vocals e taglienti assoli. Il 2005 fu l’anno di questo sound, dei vari As I Lay Dying, dei Trivium e anche dei God Forbid, come pure fu l’anno della moda dei cd suddivisi in 99 frammenti (qui 98), quasi a fare impazzire il recensore di turno che, come me, fatica a capire che pezzo sia arrivato ad ascoltare. E cosi mi ritrovo alla traccia 36, scuotendo la testa come un pazzo esagitato, ascoltando la freschezza e la dinamicità di “The Lonely Dead”, sicuramente il pezzo migliore del disco che tra l’altro si chiude con un suadente pianoforte. I God Forbid se la cavano davvero egregiamente, avendo dalla loro anche una grande capacità tecnico-compositiva e un ottimo gusto per la melodia. (fantastica la tappa 60-69, “To the Fallen Hero”). Alla fine mi ritrovo a tessere le lodi per una band che è riuscita a farmi vincere la mia resistenza verso un genere ormai depauperato di idee. Alla traccia 97 mi trovo ancora super entusiasta e il successivo e ultimo frammento non fa altro che alimentare il mio desiderio di riascoltare questo lavoro. (Francesco Scarci)

(Century Media - 2005)
Voto: 72

https://www.facebook.com/officialgodforbid

Pando - Rites

#PER CHI AMA: Ambient/Experimental Black
Gli americani Pando sono una delle realtà musicali più astratte ed affascinanti che abbia mai ascoltato. Il loro sound è avveniristico, è rumore, musica per emozioni e sentimenti sinistri, devastazione, sconcerto, nera espressività, dadaismo black, arte non convenzionale, accostabili per inquieta ed inusuale attitudine oscura al capolavoro 'Royaume Des Ombres' dei Borgne, unito all'intimismo dei Cave Dweller, ovvero il progetto solista di Adam R. Bryant, una delle due menti che compongono i Pando. La band a stelle e strisce tocca le corde sensibili dell'emotività mistica, come ipotetici seguaci di Sharron Kraus (epoca 'Night Mare'), ma loro sono bardi moderni, estremi ed introversi, folli ed originali in tutto quello che compongono, anche nel modo di fare ambient. Possiamo considerarli black metal, ma non lo sono nel senso stretto del termine, farli rientrare nell'ambient noise, ma non sono solo questo, definendoli sperimentali non rischiamo di cadere in errore, ma la loro musica non disdice i legami con la cultura metal più estrema, quindi, sono semplicemente ed estremamente, trasversali ai generi citati. Questo nuovo 'Rites', distribuito dalla Aesthetic Death, non fa eccezione nella loro ricca ed interessantissima discografia, è un tipico prodotto, come da anni ci hanno abituato, solo che stavolta sono riusciti a condensare le loro idee soniche dirigendole verso un apice compositivo che tocca risultati egregi sotto tutti i punti di vista, paragonabili solo alla genialità di Liturgy e Qualm. Il duo del Massachusetts non fa prigionieri, paralizzando l'ascoltatore con brani contrastanti tra loro, tra feedback e registrazioni d'ambiente, voci radiofoniche, cori eclesiastici, noise minimale e basi agghiaccianti, gelido black dal suono cruento ed altamente realistico, come nella splendida, fulminea "Dadaism", che ipnotizza al pari di un brano dei Sunn O))) ma che ci spinge in nuovi territori di black estremo, visti con una mentalità pionieristica, dove il suono è tanto glaciale quanto presente, tanto vicino che lo si può toccare con mano, e rappresenta una fotografia violentissima di quello che possono rappresentare i Pando oggi in musica. Ci sono voci, sibili, ronzii, rumori d'ambiente e nevrosi, per interi minuti, racchiusi in una tensione latente, soffocante. "Total Station Theodolite" è un macigno dal suono grezzo molto vicino a certe sonorità in uso nella psichedelia più grezza, ma i canoni compositivi sono del black più catacombale e il risultato alla fine è strabiliante, perchè il pezzo è un vero incubo, con un riff killer e voci altamente inquietanti che non passano certo inosservate. "The Molds of Men" mostra una vena classic metal sguaiata e putrida ma giunge al cuore come un proiettile, forse per un suono da cantina che fa dell'underground una causa per cui lottare e vivere. Screaming ad effetto, riff apocalittici e decadenza, è il volto dei Pando nella veste più metal, ma non solo, rivestono la loro musica con innumerevoli interferenze, discorsi rubati, rumori industriali e la presentano in una nuovo formato, togliendo quel riverbero infernale tipico del genere, per rendere il suono diabolicamente caldo, umanamente demoniaco. Innovativi, come fu in ambito cinematografico l'uscita del film, "The Blair Witch Project", ti ossessionano in "Excarnation" con un violino gitano e una ritmica dal taglio martial industrial, concludendo gli oltre dodici minuti strumentali di questo brano, in un tripudio minimalista di piano e tappeti noise compressi in un'infinita malinconia. Immancabile la coda in stile depressive in chiusura del suddetto brano, di gotica e decadente illuminata melodia. "The Octagon Room" è sperimentazione ai confini dell'avanguardia black più totale, con un finale splendido in stile noir jazz, stonato e rovinato da polvere e usura, semplicemente spiazzante. C'è spazio per una chitarra pulita dal delizioso sapore spagnolo, immersa in un'amalgama di fruscii e parole rubate da radio, tv e ...gabbiani, per una malata malinconia piena di vita. I Pando hanno fatto il salto di qualità, hanno creato un mostro sonoro che affonda gli artigli nell'anima di chi l'ascolterà, senza lasciare scampo. Un disco emotivamente devastante, l'arte di essere malignamente d'avanguardia. Incredibilmente geniali! (Bob Stoner)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Violet Cold - Empire of Love
Souless - Shine in Purity
Olhava - Frozen Bloom

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Alain González Artola

Këkht Aräkh - Pale Swordsman
Nachtig - Der stille Wald
Stillness - Snowflakes

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Michele Montanari

Ragnarok Duo - Valkyriur og Baldir
Lowrider - Reflections
Psychlona - Venus Skytrip

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Death8699

Deicide - Overtures of Blasphemy
Devotion - Necrophiliac Cults
Vital Remains - Decrystianize

martedì 25 maggio 2021

Half Visible Presence - Three​-​Faced Scapular of Death

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
Ecco un disco che mi ha conquistato quasi immediatamente, 'Three​-​Faced Scapular of Death' della one-man band olandese Half Visible Presence. La mente dietro a questo progetto è quella di Arvath, uno che sta dietro anche ai Blutvial, i Delinquentes Infernae e agli Israthoum, una band che abbiamo recensito su queste stesse pagine parecchi anni fa. In questa nuova creatura, il factotum dei Paesi Bassi si dedica ad un black atmosferico, attraverso tre tracce. Le danze si aprono con l'opener "Loss", che privilegia un approccio melodico e sulfureo nel suo lento inesorabile avanzare. Ma l'abilità di Arvath si palesa anche nella scelta stilistica che vede abbinare al black, derive avanguardistiche e parti sghembe che ne giustificano a mio avviso l'approdo alla Duplicate Records. Il pezzo forte è però la seconda song, "Liberation": un cospicuo intro acustico ci consente di entrare in un mondo infausto, ove a regnare è il caos. Ancora ritmiche oblique, growling vocals, parti più atmosferiche a caratterizzare la proposta del nostro ospite di quest'oggi, prima di una splendida ed imprevedibile svolta stilistica, che dal caos primordiale ci introdurrà al paradiso. Si perchè quando Arvath decide di giocarsi la carta emozionale, lo fa davvero con grande classe: cambio di tempo spettacolare (scuola Agalloch), violino strappalacrime in un crescendo fantasmagorico, per cui ho i brividi sulla schiena ancora adesso a distanza di ore e dopo aver ascoltato la traccia almeno una decina di volte. Da urlo, se potessi darei il massimo dei voti solo a questo brano. Visto che manca ancora la conclusiva "Retaliation" e la media la devo fare sui tre pezzi, ahimè dovrò abbassare il mio voto complessivo, anche se è comunque da apprezzare il black mid-tempo di quest'ultima, in un avanzare avant-ritualistico di elevata qualità, che mi spinge a volerne di più. Rimaniamo sintonizzati con gli Half Visible Presence, in attesa del full length di debutto, che si preannuncia davvero come un'uscita assai prelibata. (Francesco Scarci)

White Nights - Solanaceae

#PER CHI AMA: Psych/Dark/Rock, Ghost
Pronti per farvi un bel trip acido con i White Nights? Si perchè 'Solanaceae' mai fu titolo più azzeccato per raccontarvi le allucinazioni create da questa enigmatica band statunitense. Per chi non lo sapesse, le solanacee includono patate, melanzane, pomodori, peperoni e peperoncini, ma anche piante da cui ricavare farmaci o prodotti ad uso voluttuario (il tabacco) e piante velenose (le datura). Alcune specie contengono poi alcaloidi psicoattivi che sono alla base delle visioni delle "Notti Bianche", esplicate anche attraverso l'artwork di copertina. Il disco si apre con le atmosfere gotiche di "Halluncinogenic Black Cubes", in cui conigare le melodie dark rock dei Fields of the Nephilim con post punk e psichedelia, in una sorta di immaginifico mostro con la testa dei Ghost e il corpo dei The Sister of Mercy. L'EP si muove attraverso simili sinistre sonorità anche in "Nightshade Mornings in Bloodred Satin", peraltro sempre sorrette da uno splendido organo in background. Lo psych punk rock continua inesorabile nella più che esplicita "Cannabaceae III", un'altra famiglia di piante che comprende canapa (Cannabis) e luppolo (Humulus). Potrete pertanto lontanamente immaginare lo sballo lisergico durante l'ascolto del brano grazie alle sue vocals filtrate sorrette da una ritmica frenetica e punkeggiante. Ma la catarsi sonora si raggiunge con la conclusiva title track, oltre tredici minuti di sonorità dronico ambientali che vi condurranno in un mondo fatto di mille colori, suoni sperimentali e atmosfere settantiane che chiudono un EP interessante ma che forse alla lunga, rischia di risultare un po' troppo statico e monocorde. Le idee sono valide, ma forse c'è da lavorarci su ancora un pochino. (Francesco Scarci)

Regnvm Animale - Ignis Sacer

#PER CHI AMA: Black/Crust
Gli svedesi Regnvm Animale non è la prima volta che li incontriamo qui all'interno del Pozzo. Ve ne abbiamo parlato in occasione del loro debut 'Et Sic in Infinitum', poi in compagnia degli islandesi Norn nello split 'Brinna / Brenna' e ora in questo nuovo EP intitolato 'Ignis Sacer' e contenente cinque nuovi pezzi. La nuova proposta della band di Stoccolma si snoda dall'opener "Att Leva Utan Självaktning", un pezzo che in realtà non è altro che uno spezzone del film "Passione" di Ingmar Bergman, fino alla conclusiva "Suveränitetserosion". In mezzo, tanti spunti più o meno interessanti, dal folk metal di "Interregnum" che riprende se volete quanto fatto nel precedente split con "Våga Se Mig I Ögonen", e un sound all'insegna di parti acustiche e vocals graffianti. Si passa poi alla più cupa title track, con sonorità a cavallo tra hardcore, doom e crust, il tutto proposto in chiave atmosferica. Mi rendo conto che sia difficile comprenderlo ma voi dategli un ascolto e capirete meglio queste mie parole. Come al solito, mi preme sottolineare che l'ensemble scandinavo non stia inventando nulla di nuovo e originale, ma è comunque qualcosa che si lascia piacevolmente ascoltare tra ottime rabbiose accelerazioni e rallentamenti criptici dove a palesarsi positivamente è il lavoro in sottofondo del basso. "Missväxt" mi sembra un pezzo decisamente più dinamico tra black melodico, punk e crust, con buone linee di chitarra (soprattutto a livello di una specie di assolo), un basso perennemente pulsante dietro le quinte e le harsh vocals del frontman sostenute da un drumming costantemente incessante nel suo martellare furibondo. In chiusura, la già citata "Suveränitetserosion", un pezzo più meditabondo nel suo primo giro d'orologio, prima che esploda in raffiche di mitragliatrice ritmica nel resto del brano, gigioneggiando ancora tra black e crust-punk. Insomma, la degna conclusione per i Regnvm Animale e il loro nuovo 'Ignis Sacer'. (Francesco Scarci)

lunedì 24 maggio 2021

Assemble the Chariots - The Celestials

#PER CHI AMA: Deathcore/Symph Black, Fallujah, Dimmu Borgir
I finlandesi Assemble the Chariots mi piacciono, sono una band tosta che in undici anni di vita ha rilasciato quattro EP. Io rimango però in attesa di un full length o di un disco che metta insieme le quattro release dei nostri, di cui 'The Celestial', è l'ultima in ordine di tempo. Il quintetto di Helsinki propone un deathcore che corre appresso alle cose più melodiche dei Fallujah ('The Flesh Prevails'), combinandole con la robustezza del death metal ma anche con una più che discreta vena cinematico/sinfonica, scuola Xerath/Dimmu Borgir. Spettacolare l'incipit di "The Astral Creator", con delle vocals parlate che a breve diventeranno screaming/growl e un muro sonoro alto, o se preferite profondo, come la Fossa delle Marianne. Velocità vertiginose, vocals pulite sulla scia dei Cradle of Filth/Bal Sagoth, melodie pomposissime, giri di chitarra da urlo. Io voglio tenere in mano questo EP, cosi vorrei tutti gli altri, vi prego stampate questi dischetti. Quando parte "The Immortals", che vede il featuring di Patrik Nuorteva dei Mensura, la voglia si fa ancora più forte. Qui il sound è più deathcore oriented, ma è impressionante il break di voce e batteria a metà brano cosi come quando l'oscurità dei suoni si abbatte nella seconda metà del brano. Arriviamo all'ultima "The Ocean Breather", sempre assai ritmata su un mid-tempo dall'enorme vena orchestrale. Uno due tre e le deflagranti bordate dei nostri si esplicano in un rifferama pluristratificato, esaltato peraltro da un suono cristallino e potente che non concederà la minima tregua. (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 78 

Psychotropic Transcendental - Compilation 2020

#PER CHI AMA: Prog/Dark Rock
La qui presente ecopack compilation racchiude i due album dei polacchi Psychotropic Transcendental. Se dell'ultimo '.​.​.Lun Yolina un Yolina Thu Dar​-​davogh.​.​.' già vi avevo parlato a suo tempo e per cui vi rimando alla recensione nel Pozzo, del debutto intitolato 'Ax Libereld...', ne faccio oggi per la prima volta menzione. Questo perchè il disco è uscito nel 2001 e credo sia passato notevolmente sotto traccia, anche negli ambienti più underground. Il quartetto capitanato da Gnat (colui che ha inventato la lingua var-inath, utilizzata nei testi dei nostri) propone sette tracce che coniugano rock, metal e progressive. E la proposta sonora si evince immediatamente nelle atmosfere prog rock settantiane dell'opener, nonchè title track del disco, in cui il breve testo è urlato al vento dalla voce graffiante di K-vass (Moanaa). Le atmosfere sognanti del primo brano lasciano il posto a "Dirigah nax Ma-zarthilag", che sembra mixare il post punk con il dark, il tutto poi spinto a livello vocale in uno screaming efferato che fa da contraltare alle voci pulite dello stesso K-vass. Allo stesso modo, la musica segue con sfuriate, le parti più estreme di voce, per poi placarsi comunque nel lungo finale strumentale. La terza "Raxus Mahad Kirdail" è un brano più intimista e meditativo, guidato da una buona dose di malinconia, da atmosfere sognanti, dal ripetersi di un refrain di chitarra e da un cantato a tratti litanico e paranoico, inserito in un contesto a tratti mediorientaleggiante. Certo, la totale incomprensione delle liriche non aiuta molto nel memorizzare i testi, che potrebbero essere invece tranquillamente canticchiabili. "Sabagih Har Sabagihed" cosi come la precedente, potrebbero essere una versione in lingua var-inath degli Heroes del Silencio, con quella commistione tra suoni etnici e dark rock, che potrebbe evocare addirittura i Fields of the Nephilim. Quest'ultima influenza sembra confermarsi anche nei cori della successiva "Hava Kirr nax Lanamar", un pezzo interessante ma a tratti sconclusionato, più che altro perchè non è chiaro dove voglia andare a parare. Ma questa è una delle caratteristiche dell'ensemble originario di Bielsko Biała e necessita sempre un po' di tempo addizionale per orientarsi nella loro proposta musicale, che nel finale vede proporre atmosfere pink floydiane abbinate al punk rock. Ancora due pezzi a rapporto per completare l'ascolto del debut album dei nostri, un disco che sfiora l'ora di durata, che abbinata poi ai quasi 80 minuti del secondo cd, fanno circa 140 minuti di musica, una vera abbuffata, che prosegue qui sulle note oscure di "Garmed Il-namars". Questo è un pezzo prog che evoca i connazionali Riverside, e che mette in mostra uno scintillante finale da brividi in un climax ascendente tutto da gustare. In chiusura "Or Navorunas", gli ultimi dieci minuti affidati alle malinconiche melodie dei quattro polacchi che chiudono in maniera esemplare un debutto che ho apprezzato molto di più del successivo lavoro. In questa compilation uscita nel 2020, li trovate poi entrambi, quindi perchè farseli scappare? (Francesco Scarci)

Dødsferd - Skotos

#FOR FANS OF: Hellenic Black Metal
The Greek trio Dødsferd is one of those interesting projects, that lives under the long shadow of legendary acts like Rotting Christ or Septic Flesh. Being the Greek scene so rich in terms of quality and quantity, it is particularly difficult to gain some recognition, but this project, founded exactly twenty years ago, has managed to build a long career with some quite good releases. Maybe, they won´t have a particular masterpiece, which could have helped them to reach the top of the scene, but their music undoubtedly deservers our attention.

Having said that, its time to focus on the most important thing, the band´s new album, which is released in the twentieth anniversary of its existence and it should be a representative opus of this current sound. 'Skotos' is the name of the new beast, which is unfortunately a short EP of two songs, being extended by the previous full-album 'Diseased Remnants of a Dying World' as a bonus track. In any case, our attention goes for the new pieces. This stuff is firmly rooted in the black metal genre, which will not surprise its fans, though we are talking about a band that has experimented with DSBM or black/punk influences during its career. In contrast to its predecessor, 'Skogos' contains clearly shorter songs that get to the point. "Skotadi" is the EP opener, and it is a furious piece, whose pace varies between remarkably fast sections and a few slightly slower ones, but with a clear predominance of the speediest sections. The mixture is done quite well as the mid-tempo parts give us the chance of headbanging a little bit. This is traditional black metal as its best, with a tremolo main riff, that gives a hypnotic touch to the song. The vocals are vicious and high-pitched screams, nothing new, but they are solidly performed. The second track, "Cursed to Die at First Light", follows quite similar patterns, as it is another fast track dominated by a relentless rhythmic base. It also contains a tasteful main tremolo riff in the speedy sections, and a slightly more dissonant ones in the slower parts, which are nevertheless combined with more tremolo riffs here and there. One aspect I like is how audible the bass is, something that sadly doesn´t happen many times.

'Skotos' is a good release, which doesn’t offer anything new, but it contains two very enjoyable tracks that makes us expect more stuff, which sadly doesn´t happen. Let´s see if Dødsferd can release a full album with the same characteristics, even though a greater variety would be welcome. If not, the first positive impression would be ruined in case that we have a bunch of songs, that follow exactly the same structures and main characteristics. (Alain González Artola)


(Transcending Obscurity Records - 2021)
Score: 69

https://dodsferd.bandcamp.com/album/skotos-atmospheric-black-metal

domenica 23 maggio 2021

Schlaasss - Casa Plaisance

#PER CHI AMA: Rapcore/Punk/Alternative
L'artista più atipico prodotto dalla Atypeek Music propone un intransigente cianfrusaglia-rap genericamente allineato alla contemporanea scena americana, perlomeno per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. Effettini ed effettacci di ogni genere e fattura (confrontate "Requiem" con una canzone a caso dei Melt Banana), classic-pop alla Backstreet Boys banging Britney Spears ("Bye Bye"), euro/trance ("Pupote"), angry female rapping ("Nanarchie"), pittoriche secchiate di auto-tuning ("Thug Lilith"), capatine vintage (i jingle otto bit di "No Drog Yourself", per esempio), lolli-rap stile Mélanie Martinez licking Warpaint ("Biscus"), una puntina di Mr. Oizo abusing Salt n' pepa ("Ordo ab Chao") e tanta elettronica alla Aphex Twin, perlomeno per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. Schlaass, la cui timbrica vi sembrerà una specie di incrocio tra gli sbadigli di 50 Cent e un Frank Zappa che si lava i denti con la maionese, spazia con misurata disinvoltura nei vari sottogeneri del rap, dal raga al gangsta al vaffankool. D'accordo, d'accordo. Per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. L'avete detto voi. (Alberto Calorosi)

sabato 22 maggio 2021

Esoctrilihum - Dy'th Requiem for the Serpent Telepath

#FOR FANS OF: Experimental Black
It is quite clear that the obscure French project Esoctrilihum is as its best moment. The solo-project leaded by Asthâghul, released only one year ago a vast release untitled 'Eternity of Shaog', which made feel again very interested in this project. This album tastefully mixed the atmospheric nature of its debut CD with the greater experimentation of its later opuses. The album was a long piece of one hour, so I felt surprised when I saw that Esoctrilihum returned with another album, which is even longer, as it lasts around 77 minutes.

Could Asthâghul keep with the great level of inspiration and particularity of its predecessor? Well, the short answer is yes, and this is very impressive. The new opus is entitled ‘'Dy'th Requiem for the Serpent Telepath', and it is without any doubt a beast of an album in terms of quality. The album contains tons of excellent melodies and a healthy degree of experimentation, reaching the same balance and the previous album, but maybe with a greater atmospheric touch. For this reason, I consider the new album as the logic successor of 'Eternity of Shaog', but it has nevertheless its own distinctive touch. Aside futile discussion of how different or similar these albums are, this is a demanding piece work due to its details, complexity, and length. On average each song lasts seven minutes and this album has twelve, so you can imagine the amount of work behind it. 'Dy'th Requiem for the Serpent Telepath' is by no means a relentless piece of nonsensical fury or a hyper repetitive BSDM album. This is black metal with tons of details, pace variations, excellent arrangements and a perfect equilibrium between relentless fury and slower sections. This album has plenty of details to dig in, but I have to highlight the arrangements as they are simply superb. Songs like "Sahln" or "Agakuh" have astonishingly beautiful violins, which are tremendously touching. It is pure beauty uniquely mixed with excellent riffing, ferocious vocals, and song structures, which flow naturally from slower to mid-temp and to faster sections. The ups and downs in terms of intensity and melodic pulchritude is simply perfect. A song like "Eginbaal" shows that Esoctrilihum can be as heavy as any other band with a smashing rhythmic base, whose smashing double bass makes this song a particularly impressive one. As it happened with the album opener "Ezkihur", this track also has a remarkable work with the keys, which sound absolutely epic and absorbing. As you will appreciate in many moments the experimentation can appear anywhere, and the quite personal guitar melodies in the slowest part of this song shows that Esoctriliihum can mix both aspects of its sound in a natural way. These more bizarre melodies don´t sound out of place, but perfectly integrated in the song. "Dy`th" goes up the level of brutality as it has, again, a smashing work in the drumming part and the most brutal vocals of the album. In any case, it also has a very nice final part with another unique guitar melodies, that give to the song a necessary point of uniqueness, avoiding it to sound out of place. As the album advances, we will notice that each song has its own personality, and it is tastefully composed. You will find more or less brutality depending on it is needed or not, as it happens with the degree of experimentation. In any case, there no weak songs and as it has been, the arrangements are authentically masterful. The violins, the keys, or the organs like the ones we find in "Baal Duthr" are excellent, and you will enjoy each one. Vocally, Asthâghul has a rasped voice but not a high pitched one. His voice sounds rough, like a mid-point between the usual deep growls of death metal and the hight pitched screams of black metal. Anyway, he adapts his performance depending on the song as we hear him including some deeper growls in certain moments, or even clean vocals like it happens in "Baal Duthr", for example. Each instrument, and this includes the vocals, are used in its full potential to create complex and rich compositions, that must be tasted with time and attention.

My logic conclusion is that 'Dy'th Requiem for the Serpent Telepath' is an impressive album. There is little chance to complain about this work, maybe the fussy ones would complain about its length, and it is true that this album lasts much more than what I usually want. But believe me, the level inspiration and richness are worth of your time. Give it a chance and enjoy what is an album that shows how to be extreme, beautiful, and experimental at the same time. (Alain González Artola)


Kriegsmaschine - Altered States of Divinity

#FOR FANS OF: Black Metal
Great album, the vocals sound a little bit like Galder via Old Man's Child now Dimmu Borgir. The production is a little bit raw but still the riffs are monumental. Especially for a first LP. I'm really liking this band from the get-go. I'm not too fond of black metal but there are some exceptions. This one definitely is I'm glad I was referred to this band. They are balls-out awesome. The music is what's my most memorable moments and the vocals mixed with them. The drums were mixed in good here, too. From start to finish I have no complaints. This album was release more than 15 years ago and I'm bringing it alive again.

To black metal lovers, they've probably been made aware of this band years ago, but only 2 feedbacks on it. Now this is a third. I look forward to more LP's in the future. They do have a 2018 release, but I haven't heard it yet. Been busy blasting away at the past. This is a great debut album and I'm sure most of their albums are to this caliber of total awesome music. The album is about 37 minutes in length but I enjoyed every moment of it! The raw sound is pretty killer making the whole atmosphere killer as well. I'll have to tune in to their more recent material, absolutely! The one blew my hair back though.

The production as I covered was raw but good. I felt that the tempos were up and down and the voice hardcore. Aside from the vocals sounding like Galder, the music is way their own. A lot of riffs tremolo picked and compositions that were worthwhile. I'm sure that they put a lot of effort into making this LP. This is their debut and their debut definitely hit home with me! It was intense to say the least. Some clean vocals especially on the last track but not that much fluctuating on the whole album. From start to finish (with minor altercations) the album is intense and brutal. But as I said the tempos variated.

If you've never heard this band and you're a metal fan, check this out! I'm going to have to check out their newer material, but this one really made a dent in my brain. The band is wholly original and kick ass black metal raw as all hell! It's a hard one to find on CD. But pretty much everything is digital now so you can find this on Spotify or I'm sure YouTube as well. The latter is where I got this one. Check it out because you won't have many debut LP's like this in the black metal category. It simply rips and is worth taking the time to listen to. I would say I only took off from some consistency in the riff-writing, but nevertheless monumental! (Death8699)


martedì 18 maggio 2021

Hallowed Butchery - Deathsongs From The Hymnal Of The Church Of The Final Pilgrimage

#PER CHI AMA: Death/Doom Sperimentale
Gli Hallowed Butchery sono la temibile creatura sonora di Ryan Scott Fairfield, factotum originario del Maine, che torna a distanza di 11 anni dal debut album (che conservo gelosamente nella mia collezione) con questo secondo lavoro dallo stravagante titolo 'Deathsongs from the Hymnal of the Church of the Final Pilgrimage'. La proposta del mastermind statunitense è all'insegna di un death doom sperimentale che si srotola attraverso sei psichedeliche tracce. Psych death quindi: basti ascoltare l'opener "Ever Gloom" per capire che l'artista di oggi, a quanto pare votato al culto della morte, sia un personaggio davvero originale. Come la musica da lui proposta d'altro canto, catacombale a tratti, ammiccante a gothic dei Fields of the Nephilim in altri frangenti, con il death metal a fungere da collante. E la proposta inevitabilmente finisce per essere intrigante per quanto cupa o apocalittica. Si perchè l'immagine che mi si para davanti alla fine dell'ascolto della traccia d'apertura, è proprio quella della fine del mondo. Per poi proseguire in territori claustrofobici con la successiva "The Altruist", un altro pezzo all'insegna di un death doom asfissiante che tuttavia vede l'inserto di stralunati inserti sintetici, dove accanto al growling da orco cattivo di Ryan si affianca anche l'eterea voce di una presunta gentil donzella, in un piano sonoro comunque sintetico e paranoico. Con "Flesh Borer" si riparte dalle elucubrazioni doom dell'artista nord americano, avvolte questa volta in un contesto dronico, grazie ad atmosfere minimaliste e a voci filtrate che sembrano provenire da un mondo parallelo, ultraterreno. Ma la song ha ancora modo da regalarci tra rarefatte ambientazioni neofolk nella seconda parte, voci pulite, parti acustiche e visioni distorte. E "Death to All" continua sulla falsariga della precedente traccia, rimbalzando tra drone, noise, un death deflagrante in fatto di pesantezza, atmosfere sinistre e mortifere, vocals ruggenti ed altre litaniche, in un contesto comunque costantemente da brividi. "Internment" è un altro pezzo malato, folle, psicotico, disperato, che può spingere solo verso niente di buono. Provare per credere ma non dite che non vi avevo avvisato. "On the Altar" infine, si slega da tutto quanto ascoltato sino ad ora e con fare folklorico, chiude malinconicamente questo graditissimo comeback discografico degli Hallowed Butchery. (Francesco Scarci)

Sébastien Guérive - Omega Point

#PER CHI AMA: Electro Ambient
Sébastien Guérive non è una figura artistica tanto facile da inquadrare, le sue forme espressive spalmate tra dischi, danza, teatro, installazioni sonore ed audiovisive di vario tipo, lo rendono un musicista e compositore qualificato e autorevole nel campo della musica ambient, elaborata al computer con moderne e sperimentali tecnologie di composizione. L'artista originario di Nantes è anche ingegnere del suono, quindi, è logico aspettarsi dai suoi brani, una maniacale ricerca estetica del suono che sistematicamente marchierà tutte le note da lui forgiate. Guérive ha nel suo bagaglio artistico anche studi classici sul violoncello, ed è per questo che mi sembra lecito trovare un approccio tendenzialmente melodico e arioso nelle sue canzoni. Tutte queste aspettative vengono magistralmente soddisfatte e ben esaudite in questo album dalla forma fluida e dalla natura ambient, saturo di elettronica di ottima caratura. In questo box di canzoni intitolato 'Omega Point' vi troviamo il tocco deciso delle atmosfere che solitamente animano i film fantascientifici, rielaborato con una filosofia più vicina a certo post rock moderno, cristallino e stellare. I chiaroscuri sono poco definiti per volontà dell'autore, si mescolano e s'intersecano continuamente, nel tentativo di dar vita ad una scultura sonora ibrida, che non si esprima solo in termini oscuri, ma che riesca a modulare il suono anche verso una luminosità traslucida, mostrando una reale idea d'infinito e che, allo stesso tempo, non si abbandoni mai ad una serenità totale. Questa struttura, porta costantemente l'ascoltatore all'interno di nove piccole colonne sonore, slegate tra loro ma unite dalla ricerca insistente di un ambiente musicale che sia a metà strada tra il digitale e l'analogico, sempre in bilico tra la calda espressività umana e il taglio freddo dell'elettronica più robotica. Con questo tipo di lettura possiamo capire e gustarci meglio l'intero disco, osannare l'affascinante suono, dilatato ed introspettivo, di "Omega II" e "VIII", apprezzare la classicità di un brano come "Bellatrix" che trasforma un ambiente glaciale in un viaggio a rallentatore nello sconosciuto spazio cosmico. Le tracce sono tutte di corta o media lunghezza, trasudano una forte attitudine alle composizioni per film da parte dell'artista francese, risultando in alcuni casi, un po' avare, nel senso che la loro breve durata le avvicina più a degli ottimi intro, che a dei brani veri e propri. Comunque, la volontà di costruire musica per un ipotetico film di fantascienza è pienamente realizzata, tra spunti elettronici di vecchia e nuova generazione, morbida psichedelia e minimalismo, uniti ad una sognante synth wave, un Blade Runner meno cupo dalle futuriste visioni Kraftwerkiane, rivisto con sentimentali occhi umani. Una musica surreale, sospesa nel tempo, statica ma colma di suoni particolari e sfaccettature sonore che faranno felici anche gli audiofili più esigenti. Potremmo volgarmente parlare di questa originale soundtrack, definendola semplicemente ipnotica, nel segno di Tim Hecker, progressiva e filmica come le opere dei Vangelis, evanescente come se i Seefel, dopo aver perso la sezione ritmica, si fossero arenati tra le note di 'Watermusic II' di William Basinski, scoprendo solo alla fine, che Sébastien Guérive vive in un pianeta sonoro molto personale, in linea con molti altri noti autori ma con una carica di originalità assai elevata e un amore senza limiti, proprio come lo spazio profondo, per il suono ad alta fedeltà, complesso, ricercato e tanto raffinato. (Bob Stoner)

(Atypeek Music/The Orchard - 2021)
Voto: 75

https://sebastienguerive.bandcamp.com/

Feradur - Parakosm

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity
Due anni fa parlavo su queste stesse pagine del secondo lavoro dei lussemburghesi Feradur. Oggi, il quintetto mittleuropeo (che include anche membri dalla vicina Germania) torna con un nuovo intrigante EP, intitolato 'Parokosm', che rappresenta un immaginario mondo generato dalla mente di questi musicisti. La proposta dei nostri continua a muoversi all'interno del sottobosco melo-death, chiamando indistintamente in causa Amon Amarth e Dark Tranquillity. Ce lo conferma quell'arpeggio in apertura di "Midas (Materia Prima)" che sembra quasi riportarmi agli esordi di Michael Stanne e soci. La band prova in modo inequivocabile una certa nostalgia per quei suoni dei primi anni '90 cosi ricchi in melodia e al tempo stesso, dotati di una certa aggressività che si esplica nei vocalizzi rabbiosi del frontman Mario Hann. I Feradur non rinunciano poi a certe sgaloppate che affondano le proprie radici nel Göteborg sound (At the Gates, In Flames), pur ammiccando addirittura all'heavy metal anni '80, soprattutto nelle sue linee solistiche. La band, pur non inventando nulla di nuovo, si lancia anche nelle successive tracce, nelle classiche epiche cavalcate ("Crest of Betrayal"), dove dar sfoggio a tutta la propria capacità tecnico-esecutiva, mostrando sempre peraltro un ottimo gusto per le melodie. Tuttavia, niente di nuovo sotto il sole, ma quanto proposto qui è sicuramente accattivante e piacevole da ascoltare. Con "Saviours", si entra nei paraggi di un death thrash più canonico, un balzo indietro di oltre trent'anni, per un sound che ancora oggi se la passa comunque bene e non sente lo scorrere del tempo. "Tetsuo" è un altro pezzo che picchia alla grande, forte di una componente thrash punk nella sua linea principale di chitarra, sempre tesa e furiosa. Stravagante l'uso di una porzione corale che affianca il growling di Mario e rappresenta verosimilmente la cosa più originale si possa sentire nel qui presente dischetto. Ma il finale del brano ha da offrire ancora qualche sorpresa nelle sue ritmiche incessanti, e nell'uso di un dualismo vocale, forse ancora un po' confuso, che mostra comunque una ricercatezza di soluzioni da parte del collettivo teutonico-lussemburghese. A chiudere il disco ci pensano le oscure melodie di "Host of the Nightmare", l'ultimo capitolo di 'Parokosm', un abissale pezzo basato su un videogame della Playstation, che sembra prendere le distanze dalle precedenti tracce. Se la prima parte è all'insegna del mid-tempo, la canzone deflagra attraverso repentini cambi di tempo, in vertiginose ritmiche death (e graffianti vocals black) con tanto di riffoni compatti e carichi di groove, per poi rallentare improvvisamente in parti completamente disarmoniche. Interessante il tentativo di cambiare più volte le carte in tavola soprattutto laddove i nostri ripartono con accelerazioni taglienti, segno della volontà dei Feradur di trovare una propria personalità ben definita. Ultima citazione per l'eccellente produzione di Jens Bogren (Opeth, Kreator, Arch Enemy) ad esaltare i nostri in questo nuovo capitolo. Ora non ci resta altro che aspettare un nuovo full length e sperare nel definitivo cambio di passo. (Francesco Scarci)

lunedì 17 maggio 2021

Necrophobic - Mark of the Necrogram

#FOR FANS OF: Death/Black
This band has been around for a while and I'm just now learning about them! This release is some great death/black metal! I didn't care for their previous release, but with this one, the riffs and the vocals are KILLER. The only beef that I have with this release is the production quality. It's not that great. But still, the music makes up for that. These guys put out some uncompromising metal here. The intensity is pretty high on some tracks, others are a little bit with less intensity. However, the music by far is the reason for them getting a high rating for them. It's good that the music varies on here at least the tempos.

I think that their songwriting capabilities are superior though the lead guitar work needs some work! Otherwise, the rhythms are filled with precision. I like their harmonies and tremolo picked riffing. It's all quality. There's some blast beating going on as well. Suits some of the riffs on here. And a lot of double bass drum kicking to match the tremolo picking. This band has a lot to offer listeners of death/black metal. Or just metalheads in general. They need to know about this album! It's dark, but still really amazing. And the songs never get dull, even on the outro track to the album. I am totally impressed by this band.

As I said, the production quality is OK, just not the best that it can be. But the music makes up for it. These guys have a lot of ideas for riffs and I'd say some of theirs are really technical, yet catchy. I like the vocals, too! They fit the music really well. A lot of screaming to go alongside the riffs. They are a well established band with a huge discography. I haven't heard their old stuff, but I might. I would probably prefer the more modern version of the band because of the musical quality. Their new one is due out in October as well. I'm awaiting that one impatiently! But for now I have this one to jam to!

If you've never heard this band before and you have Spotify, download this album! Or if you collect CD's like me, buy it or if you're into digital tracks, I'm sure they have songs on Bandcamp. I would just say buy the CD to show support for the band! And the music industry itself! These guys have a lot to offer musically. Their work is top notch on this one. It's an undying release of pure horror death/black metal! Thanks to Paul via Sathanas for turning me onto this band. And what a coincidence that they named the band off Slayer's 'Reign In Blood' album the song entitled "Necrophobic." Own this! (Death8699)


(Century Media - 2018)
Score: 78

https://www.facebook.com/necrophobic.official

Crucified Mortals - Psalms of the Dead Choir

#FOR FANS OF: Thrash/Death
This band reminds me a lot of older Metallica, but not as raw. The lead guitar is a real treat too, really well played. The only thing that really is off is the production quality. I would've given the album a much higher rating if it would've sound-wise have been better. But the music is great, that's what hits home with me. The guitars are awesome the chunkiness of the main riffs dominates. And the vocals are tolerable, kind of a hoarse throat to it. Everything seems to fit into place with the songwriting. I'm surprised that this album has no so many reviews. They're still active too the band is I'm not sure why no one has written about this.
 
Instead of leads that end up nowhere in the music, here they seem to fit in well. They're pretty technical. And the main guitars are HEAVY. But they're catchy, too. I really liked these rhythms they pretty much were fit in good with the vocals. Some of the riffs sound a lot like Metallica (as I've said) but they have their own twist to them. Some even a groove feel. But still thick and heavy. I really like the vocals, too. So in effect, these guys know how to write some good music. If they would've done a better production sound, these guys would have higher rating from me. But maybe that's what they wanted in this recording.

A lot of thrash metal bands have leads that really go nowhere. But this band seems to fit them well with the music. Bands like Warbringer, Fusion Bomb, et al have strong rhythms but aren't as apt in the leads for thrash metal music. This here isn't too sloppy, in fact, it's very well played out. These other bands have a good feel to their music they just need better lead guitar work. This is what makes or breaks an album. To me, if the leads are sloppy, they put a damper on the main guitars. Crucified Mortals hits home with their leads on this one. They're not super technical but they are played with precision.

Get this CD from Hell's Headbangers because I don't think it's offered on Amazon, I'm not entirely certain. If you get the digital files, do it on Bandcamp if they have this one featured there. It still sounds better to me on CD. Plus you're supporting music not letting CD's die out. Of course, there's going to be a time when CD's will still be in high demand because record stores are few and far between. I would have to say that I'm glad I bought this album without a priori knowledge of the band at all! Check this band out if you're into thrash metal. It's worth it, ever minute you'll savor! (Death8699)

(Hells Headbangers Records - 2016)
Score: 72

https://crucified-mortals.bandcamp.com/album/psalms-of-the-dead-choir 

Turangalila - Cargo Cult

#PER CHI AMA: Noise/Post Rock/Math
Continuo a pensare che ci sia del sadomasochismo a dare certi nomi alle band. Avere un moniker complicato, per quanto attinga all'omonima sinfonia di Oliver Messiaen, di sicuro non mi aiuterà a ricordare questi Turangalila, quartetto barese che rientra appunto in un sempre più nutrito numero di ensemble davvero difficili da memorizzare. 'Cargo Cult' è poi un album di per sè ostico a cui approcciarsi per le sonorità in esso contenute: sette pezzi semistrumentali che si aprono col passo irrequieto di "Omicidio e Fuga", e quel suo riffing roboante (all'insegna del math rock) su cui si stagliano slanci apocalittici di un basso costantemente fuori dagli schemi, arzigogolii di chitarra che si incuneano nel cervello e fanno uscire pazzi e poi ecco, un break, che apre a splendide e psichedeliche partiture post rock. Deliziosi, non c'è da aggiungere altro, soprattutto quando il violino emerge dal sottofondo. E l'ipnotismo lisergico della band pugliese esplode ancor più forte in "Don't Mess With Me, Renato", una song in cui la carezzevole voce di Costantino Temerario mostra il proprio volto, mentre in background le chitarre si confondono con gli sperimentalismi creati dai synth, generando atmosfere surreali che mi hanno ricordato i vicentini Eterea Post Bong Band. Un arpeggio stroboscopico apre invece "Tone le Rec", un brano da utilizzare con grande cautela, il rischio di andare fuori di testa è davvero elevato, complice la ridondanza delle sue chitarre prima che un indemoniato basso a braccetto con synth e una chitarra delirante, prendano la testa del brano e come cavalli imbizzarriti, si lancino in un fuga ad alto tasso di pericolosità. Ci ho sentito un che dei Primus in queste note, ma anche l'inquietudine degli Swans, unita alla melmosità dei Neurosis. I Turangalila (non ricorderò mai questo nome) proseguono sulle suadenti note di "Liquidi e Spigoli", un post rock malinconico che dilagherà presto in fughe math rock con la voce che torna a sgomitare accanto alla schizofrenica ritmica dei quattro italici musicisti. Ma i nostri proseguono il loro trip all'insegna di sonorità sbilenche nell'atipica title track che evidenzia una certa perizia tecnica all'interno del collettivo, una ricerca costante di esplorare il proprio intimo con suoni cerebrali, a tratti anche eterei che mi hanno evocato un altro nome che adoro, ossia gli *Shels, per quella ricerca costante di saliscendi ritmici in seno alla band. Si fanno invece più cupi in "Cargo Cult Coda" che con una splendida sezione d'archi, mette una sorta di punto e accapo al precedente pezzo. In chiusura, ancora dieci minuti di entropia sonora creata nell'amalgama noise rock di "Die Anderen", l'ultimo atto dove trovano il modo di confluire suoni post metal, alternative e d'avanguardia sempre più interessanti che mi obbligano a suggerirvi di avvicinarvi al più presto ma con grande cautela a questi Turangalila. Maledetto nome, non mi ricorderò mai di te. (Francesco Scarci)

(Private Room Records - 2021)
Voto: 77

https://turangalila.bandcamp.com/

sabato 15 maggio 2021

Ba'al - Ellipsism

#PER CHI AMA: Black/Sludge, Inter Arma
Gli inglesi Ba'al non sono una band come le altre. Il sound del loro debut 'Ellipsism' (quello sulla lunga distanza intendo, visti già due precedenti EP all'attivo) è un concentrato di black sludge malinconico, caratterizzato dalle lunghe durate dei suoi brani. Il quintetto di Sheffield ci attacca subito con l'acidità black di "Long Live", un brano impostato sin da subito su ritmi forsennati e vocals caustiche, che vede poi una lunga parte atmosferica a cavallo fra terzo e sesto minuto, in cui i nostri sembrano concederci la pausa ideale prima di attaccarci con una proposta questa volta più melmosa e strisciante, che ci presenta l'anima sludgy dell'ensemble britannico. La seconda "An Orchestra of Flies" riparte da qui, da ritmi più lenti e fangosi per accelerare paurosamente verso il secondo minuto con una ritmica serrata che va alternandosi con la vena sludge propinata dai cinque musicisti. Non una proposta semplice da digerire, lo metto subito in chiaro, però quello dei Ba'al è un suono sicuramente intrigante che negli oltre 60 minuti del disco, avrà diverse cose da mettere nero su bianco. Dalle angoscianti sonorità della seconda traccia ci spostiamo a "Jouska", previo un breve break strumentale (ne troveremo altri due nel corso dell'ascolto di 'Ellipsism'), una song dall'incipit oscuro e da un'andatura più ritmata, che comunque non rinuncia alle harsh vocals di Joe Stamps (il cantante degli Hecate Enthroned) e ad una buona dose di melodia che comunque caratterizza l'intero lavoro. Con "Tarred and Feathered" la band sembra affiancare alla componente black una buona dose di death metal nella corposità delle chitarre e in vocals che rimpallano tra urla blackish e vocals gutturali. La traccia è bella tesa e tende a sfociare nel corso delle sue spirali infernali in ambientazioni fumose. Con "Father, the Sea, the Moon" i nostri cambiano ancora i propri connotati con un approccio lento, profondo ma dotato di ottime orchestrazioni e di una serie di sorprese a livello chitarristico che mi disorientano e catturano. L'anima dei Ba'al rimane però quella di sempre, votata ad una oscurità intransigente che si muove tra rutilanti ritmiche e accelerazioni improvvise, stop'n go governate dallo screaming efferato del frontman inglese. In chiusura l'ultima sorpresa di 'Ellipsism',"Rosalia", la traccia più lunga del disco (oltre 12 minuti) che ci consegna l'anima struggente ed intimista dei Ba'al, in una evoluzione sonora che parte dal gentile arpeggio iniziale, per poi proseguire attraverso malinconiche linee di chitarra e decollare con sonorità prese in prestito dal post metal, da un suono pesante ma comunque emozionalmente convincente, in cui a brillare è la presenza della viola di Richard Spencer, che arricchisce di un ulteriore elemento la proposta sonora di questi interessantissimi Ba'al. (Francesco Scarci)

giovedì 13 maggio 2021

The Circle - Metamorphosis

#PER CHI AMA: Symph Black/Death, Ne Obliviscaris
Fermi tutti! No, questa non è una rapina, ma l'invito a focalizzare un attimo la vostra attenzione sul debut EP dei teutonici The Circle. Il duo di Hameln propone quattro tracce atte ad introdurci alla loro proposta musicale che volge lo sguardo all'analisi dell'emozioni più oscure, paura ("Angst"), disperazione ("Verzweiflung"), ira ("Zorn") e salvezza ("Erlösung"). 'Metamorphosis' è un lavoro prezioso che ci permette di conoscere al meglio questi musicisti e comprenderne le potenzialità fin dall'iniziale "Angst", in cui confluiscono suoni death sinfonici, uniti ad una certa vena progressiva. Sembra quasi di ascoltare gli ultimi Triptykon, senza la voce femminile mi raccomando, anzi qui sottolinerei la bravura del frontman Asim Searah, sia nel growling che nel pulito, uniti ad una vena malinconica tipica dei My Dying Bride. Le ambientazioni tastieristiche, la ritmica mid-tempo e le ottime melodie, fanno dell'opener una traccia affascinante, soprattutto nella componente solistica che chiude alla grande il pezzo. Ma il successivo non è da meno, statene certi anzi. In "Verzweiflung" sembra quasi che i nostri prendano una maggior coscienza di se stessi e si lancino in un sound melodico, al tempo stesso disarmonico, con una sfuriata black iniziale a cui fare da contraltare con splendide melodie in stile Children of Bodom, e con il cantato growl sempre compensato dalle ottime clean vocals. Un super break atmosferico spezza il brano in due parti dove nella seconda metà, sembra che i nostri guardino verso orizzonti di meshuggana memoria, il tutto comunque avvolto da una vena teatral-operistica che aumenta il fascino per un disco che ha il solo difetto di durare troppo poco (27 minuti per un EP non sarebbero nemmeno pochi ma visto che Metal Archives lo etichetta invece come full length, diventato troppo pochi). A parte questo, il dischetto prosegue su una eleganza di suoni davvero da leccarsi le dita anche con la terza "Zorn", dove l'utilizzo degli archi sembra quasi emulare i Ne Obliviscaris, forse l'influenza che alla fine potrebbe condensare in poche parole il sound dei The Circle. E francamente per il sottoscritto, fan numero uno della band australiana, nonchè quello che li ha spinti tra le braccia della Code666, questo non può che essere un enorme complimento per i nostri, per cui vedo peraltro ancora grossi margini di miglioramento. Alla fine, i pezzi sono fantastici, ben suonati, ben bilanciati tra ritmiche forsennate e melodie straripanti, con blast beat stemperati dalla forte vena orchestrale che potrebbe scomodare anche qualche paragone con i nostrani Fleshgod Apocalypse. Insomma, non ho certo messo nomi a caso in questa mia valutazione di 'Metamorphosis' e dire che a rapporto manca ancora il quarto capitolo, "Erlösung", un pezzo che miscela la robustezza del death melodico con splendide parti atmosferiche, un'alternanza ed ecletticità vocale davvero notevole da parte del cantante di origini pakistane, ed un gusto per la melodia invidiabile. 'Metamorphosis', il più classico dei buongiorno che si vede dal mattino. (Francesco Scarci)

Dumbsaint - Something That You Feel Will Find Its Own Form

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
Riesumiamo i Dumbsaint e il loro debut 'Something that You Feel Will Find Its Own Form' semplicemente perchè fa parte della re-release series della Bird's Robe Records in occasione dei dieci anni di compleanno. L'album è uscito infatti nel 2012 e il nostro Mauro (per cui riproporrei la sua visione) ne parlava come un esempio di post metal (strumentale) cinematico ed estremamente affascinante. I nostri nascono nel 2009, e la loro peculiarità sta nel fatto che le loro esibizioni live siano caratterizzate dalla proiezione di filmati appositamente realizzati per fondersi al meglio con la propria musica, quasi come in un’installazione artistica multisensoriale. La paura che le note, qui deprivate del loro naturale elemento completante, non siano in grado di reggersi in piedi da sole, viene presto spazzata via dall’ascolto di questo solidissimo lavoro. Vale quindi la pena di dare un’occhiata al “pacchetto completo” sul canale youtube della band (per esempio il folgorante singolo “Inwaking”), per godere appieno dell’esperienza così come era stata pensata all’origine dai propri autori. La prima volta che ho ascoltato questo disco l’ho fatto in maniera piuttosto distratta, mettendolo nel lettore mentre sbrigavo altre faccende, e mi sono sorpreso a mollare quello che stavo facendo per seguire con attenzione quello che usciva dalle casse dello stereo, completamente rapito dalla complessità, la stratificazione, la potenza degli intrecci ritmici e armonici dei tre australiani. Una musica di questo tipo richiede assoluta perizia strumentale, e sotto questo profilo i Dumbsaint sono davvero bravi, in particolare mi preme sottolineare la prestazione monstre del batterista Nick Andrews, responsabile della varietà di ritmi e strutture che si susseguono senza sosta lungo tutto l’arco del disco. Stratificazione, si diceva: il post metal dei Dumbsaint sembra funzionare a più livelli di coscienza e riuscire sempre a trovare la strada per scardinare le nostre gabbie e i nostri scudi, e farsi strada prepotentemente con i suoi crescendo, le sue strutture irregolari ma sempre perfettamente - quasi matematicamente – compiute, la sua potenza, non viscerale ma controllata senza che questo suoni come un difetto, tenuta a bada e poi liberata improvvisamente. I rimandi a band più blasonate quali Isis e Pelican non mancano, ma quello che fanno i Dumbsaint è qualcosa di ancora diverso e persino più ardito. In più di un passaggio sembra di ascoltare i Tool di 'Lateralus' orfani dei magnetici vocalizzi di Maynard James Keenan, senza tuttavia che la sua assenza si faccia sentire più di tanto. Non so per voi, ma per me questo è un grosso complimento. (Mauro Catena)

martedì 11 maggio 2021

Черностоп - В небесах

#PER CHI AMA: Melodic Black
Spesso le band provenienti dalla Russia non si pongono il problema di proporre un moniker in cirillico cosi come pure i titoli degli album. Che fatica venire a capo o ricordarsi il nome di una band, quindi molto spesso cadono nel dimenticatoio o addirittura non ritrovo più un cd nel marasma infinito di titoli che popolano la mia collezione. È il caso ad esempio di questi Черностоп, che tradotto in inglese starebbe per Blackfoot, mentre 'В небесах' (il cui significato è "Nel Cielo") rappresenta il secondo album per la one-man-band originaria di Chelyabinsk. La proposta del mastermind di oggi ci porta nei paraggi di un black melodico, senza particolari velleità che attacca con "Для нас", una song che sembra miscelare pulsioni punk abbinate appunto al verbo della fiamma nera, il tutto proposto in una chiave melodica per nulla da buttare. Non siamo certo al cospetto di una proposta originale però, devo ammettere che nonostante il mio scetticismo iniziale, c'è qualcosa di questo lavoro che non mi dispiace. A partire proprio da quelle chitarre colme di melodia che danno un'anima a "Небеса дадут дождя", che rischierebbe di essere altrimenti tremendamente piatta o comunque scontata. Non male la porzione strumentale di "Ночь", nelle sue epiche fughe, peccato che i vocalismi esasperati del frontman non diano la giusta rilevanza ad un lavoro che suona ancora un po' acerbo ma che mostra comunque qualche idea interessante. Se la ritmica di "Зло на сердцах" è di una banalità infinita, non posso dire altrettanto della seconda folklorica chitarra che poggia sopra e che regala ottime intuizioni sonore. Peccato poi quella voce disgraziata faccia scemare tutto il mio interesse. "Дом" attacca in modo frenetico, furibondo per trovare giusto dei rallentamenti che ne alterino il ritmo e destino maggiore interesse, ma questa song sembra incompiuta e inconcludente. "Семь былин" è un'altra cavalcata death black dal piglio melodico, che evidenzia lacune tecniche ed un uso indecente di vocals e percussioni, da farmi skippare anzi tempo all'ultimo brano, la title track. Intro acustica, voce demoniaca, l'aggiunta degli altri strumenti in un pezzo lento e oscuro che poco o nulla a che fare con i precedenti brani e che ci mostra una dimensione diversa dei Черностоп, soprattutto nell'assolo conclusivo che chiude i battenti di questo difficile 'В небесах'. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions - 2020)
Voto: 62

https://narcolepticaprod.bandcamp.com/album/--19

Cold Cell - The Greater Evil

#PER CHI AMA: Black/Doom, Blut Aus Nord
Li avevo recensiti nel 2017 ai tempi di 'Those' quando erano parte del roster Czar of Bullets. Torna oggi il sestetto di Basilea dei Cold Cell, freschi di un nuovo contratto con la Les Acteurs de l'Ombre Productions, e un album, 'The Greater Evil', più freddo che mai. Sono sette le tracce che compongono questa quarta ambiziosa opera del combo elvetico, per un album che si apre con le inquietanti e litaniche vocals di "Scapegoat Season", che dopo un delicato avvio, cede il passo ad un black teso, a tratti atmosferico, e nel finale, votato completamente al post black, in una song che vede come guest alla voce Frederyk Rotter (Zatokrev e Crown). Ecco come si presentano i Cold Cell con 'The Greater Evil', un disco cupo, ipnotico, malvagio, stralunato, come l'acustica discordante in apertura di "Those", che riprende il titolo dell'album precedente e ci trascina in un vortice di suoni tribali e foschi che evocano gli ultimi Schammasch, chissà se è complice la presenza dietro le pelli del batterista Azrael, membro degli stessi. È il turno di "Open Wound", un pezzo non originalissimo ma che comunque induce un certo senso di angoscia, amplificato dalle brillanti vocals disperate di S e da un'effettistica in sottofondo che crea una sensazione di inquietudine. Il disco è tuttavia interessante e ha ancora una serie consistente di cartucce da sparare: dalle vertiginose e incandescenti ritmiche di "Arnoured in Pride" alle disperate e criptiche sonorità di “Greatest of all Species”, un pezzo che mostra più di un richiamo ai Primordial come intensità ed emozionalità, un mid-tempo ragionato e al contempo un po' fuori dagli schemi nella linea melodica che ne guida il pattern ritmico. Con "Back into the Ocean", ci si muove tra black, doom e influenze avanguardistiche, soprattutto esplicate nell'uso di clean vocals evocative che s'incrociano, in un splendido e atmosferico sottofondo percussivo, con la componente più straziante del bravo frontman. A chiudere, ecco "No Escape" che si dipana attraverso un lungo incipit tra glaciali paesaggi desolati e prosegue con furibonde accelerazioni black che chiamano in causa anche i Blut Aus Nord e Akhlys, in un lavoro alla fine riuscitissimo e consigliatissimo, che chiude allo stesso modo di come aveva iniziato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 75

https://ladlo.bandcamp.com/album/the-greater-evil

domenica 9 maggio 2021

Tony Tears - The Atlantean Afterlife (...Living Beyond)

#PER CHI AMA: Occult/Doom/Esoteric Rock
Difficilmente riuscirò a recensire un nuovo lavoro dei Tony Tears che, per quanto di nicchia possa essere ritenuta la band di Anthony Tears Polidori, è da considerarsi un vero e proprio oggetto di culto nel panorama musicale europeo, un nome speciale, la cui fama nei circoli del doom esoterico è cresciuta costantemente nel tempo. Alla stregua di mostri sacri quali Paul Chain, The Black o Antonius Rex, e a seguito di una quantità enorme di uscite discografiche che da vent'anni a questa parte, dopo essersi messo in proprio sganciandosi dai altri progetti autorevoli tra cui gli ottimi Abysmal Grief, Mr. Polidori è da annoverarsi tra i personaggi più influenti nel panorama occult rock di matrice squisitamente italiana. Tuttavia le influenze che lo hanno generato sono da ricercare in band progressive internazionali degli anni '70 e nell'heavy classico di primi anni '80, il tutto rivisto con gli occhi della cultura esoterica, dell'horror in bianco e nero dei film con Barbara Steele, del doom nello stile Pentagram/Saint Vitus ed in una costante ricerca poetica, espressa tramite testi ermetici, sinistri e iniziatici, che affondando le loro trame nella cultura occulta, tra diavoli e demoni. Il nuovo 'The Atlantean Afterlife (...Living Beyond)' è però diverso dal suo predecessore, per stile ed evoluzione sonora: la prima parte cantata in lingua madre è la più interessante con soventi escursioni in territori non propriamente metal anzi, al suo interno troviamo divagazioni che affondano in sonorità acustiche ed esotiche del medioriente (come se fosse la soundtrack di un film), psichedelia ipnotica, cenni di kraut-rock ed elettronica vintage unita ad un'inusuale attitudine doom del compositore ligure, che emerge nelle ultime quattro tracce cantate invece in inglese, dai connotati più standard grazie a chitarre e ritmiche heavy, ad un sapore più maligno nel canto, che nella prima parte si mostra più in una forma poetica, tra Jacula e il Ballo delle Castagne (... al falso profeta la lingua sarà recisa – estratta da "Il Ritorno del Globo Alato"). Devo ammettere che il disco non sia di facile approccio, richiedendo infatti un ascolto multiplo per assaporarne le molteplici sfaccettature sonore. Magari con il libretto dei testi in mano sarebbe più facile capirne le dinamiche, le narrazioni di una antica profezia ed una nuova era atlantidea, il ritorno del culto ancestrale attraverso antiche divinità egizie. I brani in italiano emozionano di più e sono più variegati, fino a "Il Cantico delle Piramidi", che funge da spartiacque, un pezzo delizioso dalla chiara indole etnico/psichedelica mediorientale, dove si destreggia la ben nota vocalist Sandra Silver, una presenza, la sua, che aumenta ulteriormente la qualità della proposta, in quanto a teatralità e drammaticità. La parte inglese possiamo definirla più dura e rock, con perle solistiche che escono dalla musica facendosi notare positivamente, per cura del suono e bellezza melodica. Gradualmente la compagine composta dal vocalist David Krieg, Artorias al basso e Lawrence Butleather alla batteria, torna in territori più consoni al doom occult metal, vicino alle gesta di un ispirato Paul Chain ma caratterizzato dal tipico, raffinato e complesso stile dei Tony Tears. L'unico rammarico risiede nel constatare che la produzione poteva avere più tono ed in certi punti, la ricerca del suono vintage non esalta tutte le sue particolarità. Nel precedente disco le cose erano diverse, più dinamiche ed immediate, mentre questo nuovo lavoro richiede più attenzione ed un ascolto più coinvolto. Particolarità che non consiste in una mancanza o caduta, al contrario, a mio avviso porta l'ascoltatore in una dimensione particolarmente ipnotica e una salutare concentrazione di ascolto. Ma il nuovo album offre anche altre sorprese come l'intro psych della già citata "Il Ritorno del Globo Alato", dalle sfumature velate d'avanguardia, in odor di Canterbury sound. Analogamente, la splendida apertura de "Il Messaggero della Rosa Rossa" ricorda certe atmosfere dark dei mitici Virgin Prunes, per poi assumere una piega cosmica e poetica, alternando cadenze doom e caratteristiche tribali - pagane assai affascinanti. In definitiva 'The Atlantean Afterlife (...Living Beyond)' è un disco dalle mille anime, complesso e variegato in puro stile Tony Tears, raffinato ed oscuro doom metal dal tocco melodico, catacombale e cosmico. Un viaggio all'interno di una scena underground tutta da scoprire e riscoprire, magari partendo da questo crepuscolare, profetico ultimo interessante lavoro della storica band genovese. (Bob Stoner)