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domenica 22 maggio 2022

Lacuna Coil - Broken Crown Halo

#PER CHI AMA: Gothic Alternative
Se pensate che la più originale e anticonformista goth band italiana, da sempre eccentricamente vestita di nero e capace di compiere la coraggiosa e inaudita scelta di cantare in inglese, percorrendo sonorità desuete come il gothic-pop alla Evanescence e il nu-metal adolescenziale, potesse addirittura arrivare a confezionare un originalissimo concept dall'inconsueta copertina su tematiche praticamente inedite quali l'occultismo e l'horror vintage tardosessanta, beh, se siete riusciti a formulare un pensiero tanto assurdo, allora siete sicuramente quel genere di persona che non riesce a perdonarsi di pensare che Cristina Scabbia abbia le gambe corte e le tette piccole. (Alberto Calorosi)

(Century Media - 2014)
Voto: 50

https://www.lacunacoil.com/

sabato 26 giugno 2021

Soulfly - The Song Remains Insane

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Groove/Nu Metal
Non sono mai stato un fan dei dvd, perchè ritengo non siano in grado di trasmettermi le stesse emozioni che invece può suscitarmi il semplice ascolto di un disco. Veniamo ora alla prima (e per ora unica) release ufficiale video per Max Cavalera e i suoi Soulfly, rilasciata dalla Roadrunner Records nel 2005, in occasione dei festeggiamenti del 25° compleanno di vita dell'etichetta olandese. A livello contenutistico, 'The Song Remains Insane' è ben fornito: include infatti più di un’ora di Max e soci live, catturati in giro per il mondo, durante le loro esibizioni, con tutti i pezzi migliori, da “Prophecy” a “Eye for an Eye”, “Living Sacrifice” e molti altri. Sono poi disponibili tutti i video prodotti dalla band carioca (“Bleed”, “Back to the Primitive”, “Seek’n’strike” e “Prophecy”). Un Max Cavalera a 360°, accompagnato dagli altri membri della band, ci parlano poi di musica, amicizie, famiglia, curiosità varie, dei fan, del periodo di militanza di Max nei Sepultura, arrivando a chiacchierare anche dell’ultimo (a quel tempo) brillantissimo “Prophecy”. All’interno di questo lavoro sono inoltre presenti tre bonus clips, gli studio report e tracce audio inedite. Che dire, questo dvd accontenterà sicuramente i fan della band brasiliana, che da quasi cinque lustri, è sulla scena con il suo caratteristico sound, fatto di chitarre abrasive, ritmiche sincopate e crocevia di stili più disparati, dal thrash all’hip-hop, passando attraverso il reggae e la musica tribale. 'The Song Remains Insane' offre uno spaccato della vita on the road dei Soulfly, rappresentando al meglio la band, la sua musica e la sua filosofia. Il dvd è interessante, ben curato in ogni sua forma e ricco di materiale. L’unico rammarico potrebbe essere rappresentato dall’assenza di uno show integrale che possa realmente trasmettere, ad ogni fan, tutte le emozioni di uno spettacolo dal vivo, dall’inizio alla fine. La durata complessiva è di circa 90 minuti, forse un po’ pochi per una band come i Soulfly. Mi sarei aspettato qualcosina in più da Max Cavalera, lui che è sempre cosi ispirato e ricco di creatività, ma in attesa di qualcosa di nuovo e più attuale ci si accontenta ripescando dagli archivi questo piccolo cimelio. (Francesco Scarci)

(Roadrunner Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/SoulflyOfficial/

lunedì 11 gennaio 2021

Quantum Panik - Human Bridge

#PER CHI AMA: Nu Metal, Slipknot
Di nu metal purtroppo non se ne sente più parlare, ma per fortuna c’è ancora qualcuno che, nonostante il genere sia ormai passato di moda, si cimenta ancora a sperimentarlo sfidando le mode del momento. È il caso dei toscani Quantum Panik che con l’EP 'Human Bridge', uscito lo scorso anno, dimostrano di essere devoti alla causa e di amare follemente suddetto genere. Un EP breve quanto intenso, tre tracce per una durata totale di 11 minuti in cui ci viene mostrato un sound che dimostra palesemente di essere influenzato dagli Slipknot old school, con un pizzico di personalità che s'incastona bene nel tutto. Gli elementi chiave del gruppo sono sicuramente il vocalist Tommaso Pescaglini, che con la sua ugola rimanda subito al Corey Taylor dell'Iowa al quale aggiunge anche qualche sfumatura death metal e il batterista Luca Iacopetti e i suo quattro arti che fanno sembrare la sezione di batteria al limite di una drum machine. Anche Yuri Fabbri sembra mettersi in gioco, mostrando un basso bello possente e dal suono metallico che si amalgama bene con il resto del sound. Ma parliamo dell’EP. Si parte con la titletrack, la traccia più strutturata del disco, la quale dopo un intro di chitarra abbastanza misterioso, parte con un riff trattenuto che ci introduce ad una voce apparentemente tranquilla, ma che durante i ritornelli si scatena totalmente. Altro momento da menzionare è il breve bridge composto da un basso bello pomposo che sa mettersi in luce al punto giusto e ci accompagna ad un assolo di chitarra che, seppur breve, funziona alla grande. Si passa poi alla mia traccia preferita ovvero “Stomp” che ha tutta l’intenzione di farci pogare come se non ci fosse un domani. Con questo pezzo il gruppo si meriterebbe l’appellativo di “Slipknot italiani”. Mentre la si ascolta viene quasi in automatico ripensare, attraverso vari flashback, a quel capolavoro di 'Iowa'; tutto il brano infatti viaggia su quella scia, dal potente intro ai versi accattivanti, in particolare il secondo, nonchè i ritornelli possenti ed impazziti. Dopo un bridge incalzante all’ennesima potenza, i nostri si scatenano nella seconda parte con i pedali del batterista pestati al massimo. E poi una parte finale entusiasmante, introdotta dall'urlo indemoniato del vocalist che si farà sentire da qui all’eternità. L’ultima taccia, “Medicina Amara”, è la canzone più rappata del disco cantata peraltro in italiano, lingua abbastanza sottovalutata nel rap metal, il che le dà quel tocco in più che rende speciale anche quest’ultimo pezzo. Qui possiamo sentire Yuri che, oltre a suonare il basso, nel ritornello si cimenta anche nel ruolo di seconda voce insieme al cantante. Un EP notevole per quello che vuole dimostrare e che può davvero gettare le basi per una nuova ondata nu metal in salsa italica, comunque punto di partenza per un album di debutto. Volevo chiudere dicendo che un elemento cardine che distingue l’artista che suona per soldi da quello che lo fa per passione è il fatto che se vuoi suonare un genere che ti piace, lo fai indipendentemente dal fatto che sia di moda o meno o che tu riesca o no a diventare milionario. Ecco, ascoltando 'Human Bridge' direi che i Quantum Panik lo facciano sicuramente per passione. Ne consiglio pertanto l’ascolto, e perchè no l’acquisto, a tutti gli amanti del nu metal. (MetalJ)

mercoledì 7 ottobre 2020

Satariel - Hydra

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Death
Bel salto di qualità hanno fatto i Satariel dal loro precedente 'Phobos and Deimos', un album mediocre di death metal melodico che si combinava con black e power metal. 'Hydra' ci riconsegna invece una band più ispirata, con un lavoro dai contenuti abbastanza intriganti. Lasciato perdere il death/black degli esordi, in questo disco ci troviamo di fronte ad un sound che del death ha mantenuto esclusivamente la voce (peraltro solo per alcuni tratti). Il resto è un genere di difficile collocazione, che può essere assimilabile ad un ibrido tra nu metal e death melodico, non disdegnando puntatine in territori alla Nevermore e ultimi Throes of Dawn. Registrato egregiamente ai Dug Out Studios (quelli di Meshuggah, Soilwork e In Flames stessi) e masterizzato ai Cutting Room (Ramnstein, Dimmu Borgir), 'Hydra' è un lavoro che ha un suo fascino: pezzi semplici, lineari e diretti, caratterizzati da ottime vocals, sia growl ma soprattutto quelle pulite, ottimi passaggi melodici e gradevolissimi assoli. I pezzi che più mi hanno colpito sono: “Claw the Clouds” per il suo emozionante assolo finale, “Vengeance is Here” per il suo forte richiamo ai primi In Flames e “The Springrise”, sempre ispirata alla band di Anders Friden e soci, con una nostalgica aura creata dalle tastiere e dal cantato assai malinconico. Se eravate rimasti delusi dai precedenti lavori, è arrivato il momento di dare ai Satariel la chance che si meritano perchè 'Hydra' ha sicuramente da dire la sua, a fronte di idee abbastanza originali, della bravura dei singoli musicisti e alle emozioni che è in grado di generare. Bene così. (Francesco Scarci)

(Regain Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/satarielband

domenica 20 settembre 2020

Diablo - Mimic 47

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover/Nu Metal, Machine Head, Korn
So perfettamente che i finlandesi amano la musica metal, ma da qui a pensare che questi Diablo siano entrati nelle charts finlandesi direttamente al primo posto (davanti a Madonna e Black Eyed Peace - era il 2006), beh non me lo sarei mai aspettato. 'Mimic 47' fu sicuramente un bel lavoro di musica thrash-death, dedicato peraltro alla memoria di Chuck Schuldiner, sebbene con i Death non abbia molto a che fare. Il sound del quartetto finnico è infatti influenzato dal thrash-crossover “made in USA”, che ha fatto la fortuna di band come Machine Head o Korn, tanto per citare qualche nome. Ad ogni modo, gli ingredienti per fare di questo 'Mimic 47' un buon album ci sono tutti: ottime le ritmiche, con chitarroni in pieno “Pantera style” e un notevole lavoro alla batteria, buona la prova di Rainer Nygård alla voce, capace di passare dal growl alle clean vocals con estrema disinvoltura; coretti ruffiani, la saltuaria comparsa di una voce femminile, interessanti assoli in grado di trasmettere forti emozioni, aperture melodiche e spruzzate di un certo Nu Metal (Korn docet), che ricorda anche qualcosa dei lavori centrali degli In Flames, a completamento dell’architettura di questo album dei Diablo. Peccato solo che il disco sia giunto in un momento in cui, di lavori del genere, ne uscirono in quantità industriale. Comunque, anche se ho dato mezzo punto in meno, questo disco mi piace, perchè era orecchiabile e moderno e in più i ragazzi tecnicamente ci sapevano fare. (Francesco Scarci)

domenica 30 agosto 2020

Das Scheit - Superbitch

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Gothic, Sundown
Esploriamo un po' tutti i generi e gli anni qui dal Pozzo dei Dannati e oggi ci andiamo a concentrare sul terzo lavoro dei tedeschi Das Scheit, quartetto votato ad un electro-gothic metal. Dopo quattro anni dal loro precedente '...And Ice is Forming”, ritornano sulle scene con un album che li avrebbe potuti proiettare nell’Olimpo delle migliori band di questo genere. Lo stile musicale proposto dai nostri in questo 'Superbitch' si evince già dalla mia introduzione, ma non vorrei risultare limitativo nelle mie considerazioni. Le influenze principali della band si rifanno certamente all’electro-gothic, ma poi spaziano, cogliendo qualcosa dall’industrial, da act quali Ramstein, ma anche da Marilyn Manson (soprattutto per quanto riguarda il look della band), ma anche dagli svedesi Sundown di Mathias Lodmalm, autori a fine anni ’90 di due ottimi album. I brani contenuti in 'Superbitch' sono quindi parecchio orecchiabili, emanano vibrazioni elettrizzanti, cercando di creare atmosfere oscure, sforzandosi poi di coniugare le contaminazioni elencate sopra, a qualche spunto interessante e vincente del Nu metal dei Korn o del gothic dei Paradise Lost. Ottimamente prodotti da Markus Teske (Vanden Plas), i Das Scheit ci offrono la loro visione di questo genere musicale: una solida base ritmica creata da chitarroni distorti e ritmi martellanti, sostenuta da un largo uso di campionamenti. Interessante è poi l’uso di molteplici varianti di voce e modi di cantare in alcuni brani. Le lead vocals ricordano non poco l’ex vocalist dei Cemetary, ma poi si alternano voci effettate, cantati rap, dark, crunchy e industrial. L’episodio migliore dell’album è a mio avviso “Earth Stand Still” dove un po’ tutte le caratteristiche della band si fondono nel corso dei suoi quattro minuti, risultando assai ruffiana ma vincente. Nonostante lo scetticismo iniziale, devo ammettere che i Das Scheit siano riusciti nell’intento di conquistarmi, quindi magari potreste dargli una chance anche voi e andarveli a ripescare. (Francesco Scarci)

(Black Lotus - 2005)
Voto: 69

https://www.facebook.com/dasscheit

domenica 28 giugno 2020

Tourettes Syndrome - Sicksense

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover/Nu Metal, Korn
Dalla terra dei canguri arrivano da sempre mirabolanti creature in grado di sconquassare il mondo musicale con misture imprevedibili di musica. Per quanto concerne i Tourettes Syndrome, stiamo parlando più in specifico di hardcore, nu-metal e altri elementi (groove death in primis) a creare un sound apoplettico e bizzarro. Il quartetto di Sydney all'epoca del loro secondo disco, 'Sicksense' che è seguito cinque anni dopo il debutto omonimo del 2001, ci attacca con undici sciabordanti tracce (sono inoltre incluse tre bonus video tracks), in cui su una ruvida ritmica hardcore si staglia l’incredibile voce di tale Michele Madden (oltre che brava anche molto bella). Ho scritto incredibile, perché non avevo intuito, neppure lontanamente, che i profondi grugniti growl fossero i suoi, tanto meno le “grungeriane” clean vocals. L'album è un concentrato di chitarre possenti e aggressive in pieno stile Korn, su cui s’inseriscono elementi elettro-noise, punk e industriali; ciò che continua a stupire per l’intera durata dell’album è comunque l’eclettismo vocale di Michele, vera figura carismatica della band australiana, capace di passare in modo disinvolto dal growling a voci isteriche, da suadenti clean vocals al cantato grunge. Rabbia, frustrazione e depressione, sono contenuti in questo secondo capitolo di questa compagine originaria di Sydney. Anche se non totalmente originalissimi, i nostri sono carichi di energia e hanno creato un ottimo disco che potrà interessare chi non è troppo vincolato a generi o sottogeneri, al metallaro dalle visioni allargate a 360°. Sebbene io non rientri in questa classe, a me i Tourettes Syndrome sono piaciuti, peccato solo che dopo il successivo album del 2007 se ne siano completamente perse le tracce. (Francesco Scarci)

venerdì 5 giugno 2020

Insidual - Pure Hate

#PER CHI AMA: Djent/Deathcore
Il deathcore in US è diventato quasi un fenomeno sociale, ovunque le band suonano questo genere o suoi affini (metalcore, screamo, nu, etc). L'ultima band in cui mi sono imbattuto è rappresentata da questi Insidual, originari di Spokane nello stato di Washington, cosa alquanto inusuale visto che da quelle parti è invece il post (Cascadian) black a governare. Comunque 'Pure Hate' è un EP di tre pezzi che include anche il singolo uscito nel 2019, l'apripista "Shock Therapy". E il sound che si sente sin dalle prime battute è un deathcore fortemente ritmato, venato di influenze djent nella poliritmia delle sue chitarre e sporcato pure da una componente nu metal che per certi versi mi ha evocato un che degli Slipknot. La proposta è pertanto abbastanza corposa, con le solite chitarre decisamente ribassate, una voce growl che sembra quasi rappare, e il resto degli strumenti che donano ulteriore compattezza ai nostri. "Evisceration" continua su questa scia, con un sound disturbante, fatto di una sovrapposizione vocale psicotica, un riffing sincopato, un drumming rutilante, un'effettistica in background costantemente presente ed una serie di cambi di tempo e ritmo che sembra quasi di ascoltare tre canzoni differenti in una manciata di minuti, in cui compare anche il featuring di Sam Stickel. Molto interessante la conclusiva title track, vista la sua forte aura spettrale, e quei vocalizzi isterici che ben si amalgamano con una musica qui più ispirata che altrove, dotata sia di ottime atmosfere che di altrettante accelerazioni e frenate improvvise. Niente di nuovo sotto il sole alla fine con questa breve release degli statunitensi Insidual ancora legati ad alcuni stilemi del genere, ma vogliosi di imparare ed emergere. Sentiremo in futuro che cosa i nostri hanno imparato da questa prima esperienza. (Francesco Scarci)

domenica 12 maggio 2019

Tintinnabula - Mamacita

#PER CHI AMA: Alternative Rock, System of a Down
Con le considerevoli eccezioni della metal-patchanka "Mamma", della electrotribale "Pazzo", a metà strada tra un Marilyn Manson che assume tachipirina da un flute e un Vinicio Capossela che si mangia uno yogurt scremato al mango, della melodic-vigorosa "L'immensità", riuscita cover del più celebre singolo di Don Backy, con tanto di ospitata dell'autore, o dell'inaspettata concessione al discorrer di amorosi sensi in chiusura, quel medesimo discorrer di amorosi sensi ipotizzato nella copertina (individuerete una punta, ma solo una punta di Fausto Leali nella conclusiva "Sottovoce" e un iceberg, ma solo un iceberg del Marco Masini più Disperato nella seconda A di amaro nella canzone "Amore Amaro"), con la considerevole eccezione di tutto questo, dicevo, nelle sedici canzoni del terzo album dei "Sicily of a Down" troverete un nu-metal old-school a tratti prossimo ("Clochard"), oppure molto prossimo ("Pietà") o ancora spudoratamente prossimo ("Mamacita") agli scorticanti fulgori dalla metal band archetipica dell'intera storia del metal armeno e mondiale e, nelle liriche, un approccio lubricamente combat folk, qualcosa a metà strada tra i Modena City Ramblers con la faccia sul bancone ("Viva Mazzarà") e i Litfba con l'unghia del medio incarnita ("Auto Blù" [sic], "Pietà"). "(∂+m)ψ=0", il titolo della quattordicesima traccia, è un enunciato (trascritto erroneamente, suppongo per esigenze di copione) dell'equazione di Dirac, universalmente nota come equazione dell'amore per via di una forzosa seppure affascinante interpretazione del suo significato. La mamacita, invece, è un vezzeggiativo in lingua spagnola di quella categoria femminile che nel vostro porn site preferito è classificata sotto il più noto acronimo di MILF. (Alberto Calorosi)

(Areasonica Records - 2018)
Voto: 68

http://www.tintinnabula.com/band.html

giovedì 2 aprile 2015

The Owl of Minerva - Bright Things Turn Gray

#PER CHI AMA: Dark/Alternative, Tool, Katatonia
Ne avevamo saggiato le potenzialità già nel 2013, quando incontrai la band a Milano a un concerto e mi lasciò un promo di quattro pezzi. Sto parlando degli Owl of Minerva, band formatasi nel 2008, originaria di Padova, di cui da sempre si parla un gran bene. E allora andiamo a tastare il polso dell'act patavino, alla scoperta del tanto atteso debut album, 'Bright Things Turn Gray'. Il platter consta di dieci pezzi che si aprono con il sound decadente di "Crown of Gold" che mi ha fatto immediatamente pensare ad un altro esordio di qualche anno fa, quello dei Klimt 1918. E il sound degli Owl of Minerva per certi è accostabile a quello della band romana: atmosfere decadenti inserite in un contesto alternative che a più riprese richiama il sound dei Tool in salsa "katatonica". Il nostro quartetto non si limita a ripetere la lezioncina dei soli maestri americani, ma prova a rileggere il tutto sotto una luce diversa, alla ricerca di una propria direzione in cui mostrare la propria personalità, che in più punti sembra davvero emergere. Se nella prima traccia, è anche l'anima di Maynard e soci a venire a galla, nella successiva e più meditativa "Distance" è un mix di sonorità nordiche che echeggiano nelle note dei nostri. Penso ai Warm of the Sun o ai The Isolation Process, bands che probabilmente i nostri Owl of Minerva non conosco neppure, ma che per chi legge ed è ben edotto, potrebbe essere invece un buon punto di riferimento. Con “Bag of Stones” ci avviciniamo al sound dei Deftones, per le sue saturazioni ritmiche e per quel cantato che talvolta rischia di essere il punto di debolezza dei nostri. "Sender" è una song apparentemente tonante (almeno per la pesantezza delle ritmiche) che tuttavia si muove sul binario di un mid-tempo melodico, il cui unico punto debole è rappresentato dalle urla del vocalist, che peraltro in questa traccia sfodera, almeno per un secondo, un growling selvaggio. "The Kite" è una traccia che parte piano, ma poi va ad irrobustirsi, offrendo una prova più convincente dell'ensemble veneto, attestandosi su influenze più vicine ai Katatonia. Le melodie di 'Bright Things Turn Gray' si confermano interessanti per l'intera durata del disco, e questo vale anche per "House of Birds Gone Mad", song ammiccante che prosegue sulla linea tracciata dalle precedenti, con il dualismo spiccato tra il robusto riffing portante della chitarra ritmica, su cui va a schiantarsi quello della lead guitar che si diverte in fraseggi acustici molto spesso assai ruffiani, un po' sulla scia di quanto fatto dagli Amorphis o dagli svedesi Sarcasm (con gli Owl of Minerva decisamente più depotenziati). Il disco ci accompagnerà con questa vena fino alla sua conclusione, passando tra l'acustica tribalità di "Your City by the Snow" e la tenue "The Lake" (song piuttosto anonima per lunghi tratti, a dire il vero), fino alle conclusive "The Well", traccia che sembra ancora richiamare sonorità nu metal/alternative per giungere alle pulsazioni frastornanti della title track. 'Bright Things Turn Gray' alla fine si dimostra un lavoro dotato di una certa caratura, ricco di sfumature, ritmi e sonorità dalla matrice sperimentale, assolutamente apprezzabile a volume e non. Ora vi attendo per l'intervista radiofonica. (Francesco Scarci)

(Jetglow Recordings - 2015)
Voto: 75

martedì 13 maggio 2014

Fake the Face - Everything Happens for a Reason

#PER CHI AMA: Alternative/Metalcore
Oggi cambiamo genere e ci dedichiamo al metalcore/alternative/djent con una band di Macerata, i Fake the Face (FTF). Il gruppo si è formato nel 2009 e questo è il loro debut album, quindi temo già per il prossimo! La completezza del prodotto lascia di stucco: registrazione impeccabile, artwork idem e composizione musicale sopra la media. Devo dire che questi anni di lavoro sono probabilmente serviti ai FTF per affilare le lame e mettere in cantiere del buon materiale per un debutto in grande stile. Tre chitarre che lavorano come una divisione di artiglieria pesante in modo affiatato a creare un muro sonoro veloce e in continua metamorfosi si rivelano una scelta rischiosa, soprattutto se a farne le spese è l'utilizzo delle tastiere (che comunque compaiono a tratti in "Everything Happens for a Reason") che avrebbero aiutato ad aumentare le atmosfere e l'impatto sonoro. "Behind the Glass" è una traccia potente, ricca di arrangiamenti belli pesanti, con un'ottima sezione ritmica di basso/batteria che contribuisce all'eccellente riuscita della canzone.Verso la fine il brano si addolcisce, lasciando intuire la vena melodica della band che cerca di conciliarsi con il suo lato più oscuro, dimostrando la voglia dei nostri di uscire dagli schemi. Passiamo a "Callista" che, sulla scia delle tracce precedenti, introduce una linea di canto pulita ed una screamo, combinando così il nuovo con il classico. Ottimi i riff di chitarra, che si sposano bene anche con una spolverata di elettronica che non guasta mai. "Synthetic Breath" è una traccia totalmente electro, ma che personalmente avrei reso più incisiva, sfruttando maggiormente suoni e arrangiamenti, in modo da non relegarla ad un semplice brano di passaggio tra il precedente e il successivo. Quello dei FTF è un genere che non prediligo, ma è indubbio che siamo di fronte ad un gruppo che merita la vostra attenzione e che mi auspico venga notato presto da una buona label. "Everything Happens for a Reason" è un ottimo Lp frutto di ottimo musicisti con parecchio entusiasmo. Ben fatto raga! Ci sentiamo quando uscirà il prossimo album, con l'augurio che a supporto ci sia un bella etichetta. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/FTF.it

sabato 17 agosto 2013

Prassein Aloga – Midas Touch

#PER CHI AMA: Heavy/Crossover, Iron Maiden, Sons of Selina, System of a Down
Ultimo album datato dicembre 2011, distribuito via digitale da Heart of Steel per questa band greca nata nel 1995, che ha goduto di buoni riscontri in patria poiché, ad eccezione di questo "Midas Touch", l'ensemble ellenico ha sempre usato la lingua madre per esprimersi. Proprio l'uso a sorpresa della lingua inglese ha dato nuovo slancio e verve a questa formazione molto interessante nonché l'aumento della qualità maggiorato dall'apporto in ben due brani della prestazione vocale di Paul Di Anno, mai dimenticato primo vocalist degli Iron Maiden. Tornando al contenuto del disco dobbiamo ammettere che è straripante di idee, intersecazioni di generi e modi di intendere il rock e il metal a 360 gradi. Troviamo il classic metal dei primi Iron Maiden mischiato a forme psichedeliche vicine agli indimenticatbili Warrior Soul, riff granitici di scuola primi Lamb of God oppure schegge di nu metal a ricordare certe cose dei System of a Down. A volte i nostri ricordano l'hard rock o il thrash più sanguigno, il prog metal più classico con piccoli episodi per così dire pop di lusso, con tastiere in buona evidenza, assoli e riff di carattere e una buona sezione ritmica, ma la differenza reale sta nella versatilità della bellissima voce del cantante Angello che varia continuamente e alla fine dona un tocco di moderno alternative metal anche ai brani più statici. In questo disco la varietà sonora è così vasta che a stento si trovano delle sbavature, considerando poi la fantasia e la costante seppur complessa o variegata orecchiabilità dei brani (qualcosa fa ricorda anche i grandi Sons of Selina, mitica prog rock band underground di fine anni '90), tale che potremo definire questo album un piccolo gioiellino da avere assolutamente... In questo cd ci sono brani per tutti i gusti metallici, in tutte le salse, dall'heavy al crossover senza scardinare l'istrionica e camaleontica originalità della band. I Prassein Aloga ci donano questo lavoro mettendo in mostra tutte le loro doti compositive ed esecutive in quattordici brani da ascoltare tutti d'un fiato senza mai sapere cosa aspettarsi dal brano che segue. Immaginate di ascoltare i 35007 dell'omonimo album suonare una cover degli Iron Maiden tratta dal loro primo disco e avrete un'idea della prima traccia reale, dopo l'intro di questo "Midas Touch" e se non bastasse per capirli, potremo passare direttamente alla tredicesima e quattordicesima traccia, una ballata e uno strumentale con piano straziante e assolo di rarefatta floydiana memoria con altre mille venature seventies sparse qua e là... Un disco per menti aperte e cervelli che elaborano e macinano musica rock e metal a tutto campo senza limite alcuno ed epoca. Una grande prova di maturità, un cd da ascoltare, una band da seguire!(Bob Stoner)

domenica 7 luglio 2013

Deportivo LaBonissima - Motel Core

#PER CHI AMA: Nu Metal
Quando mi giunse tra le mani "Motel Core" dei piacentini Deportivo LaBonissima non nascondo che ho impiegato svariati minuti a capire come si accedeva al disco. Difatti il packaging è molto originale in quanto consiste in un quattro lati cartonati attaccati che vanno a formare un parallelepipedo, dove nei due lati due esterni è presente l'artwork di facciata, negli altri due i credits e all'interno un panoramica in 3D di una stanza del "Motel Core", presumibilmente. All'interno dei due lati paralleli si nasconde in una il disco e nell'altra un pieghevole con i testi e delle lenti bicolor per ammirare l'interno. La musica è principalmente un nu metal classico cantato in italiano con testi che riflettono il degrado della vita moderna ("A Cena Con Bukowski", "A Gonfie Vele"), l'alienazione dell'uomo ("L'Imprecario", "La Classe Operaia è già in Paradiso"), ed altri temi che hanno da sempre toccato i classici desideri dell'uomo, legato principalmente alla cultura capitalistica; le tracce presentano influenze provenienti anche dall'industrial, come basi e sintetizzatori, in primis ne "La Vendetta Del Koala". Riassumento, questo disco è una pubblicazione molto buona, con suoni perfetti, parti strumentali lontane dalla ripetizione e groove non troppo opprimenti e stancanti; una cosa che ad alcuni ascoltatori potrebbe non piacere è la voce a tratti troppo "gentile" per i temi trattati e che predilige più la melodia che la rabbia, cosa però che aumenta notevolmente con il tono del disco e ne denota la sua completa versatilità e preparazione. L'unico punto che a me non è piaciuto particolarmente di questo album è il poco spazio lasciato agli strumenti, a mio parere incapaci di sfogarsi a causa di un cantato dispotico che alla fine monopolizzerà tutto il minutaggio. (Kent)

(Eppur Si Muove Produzioni)
Voto: 75

https://www.facebook.com/pages/Deportivo-Lb/44172874219

lunedì 11 febbraio 2013

My Evil Me - Ep

#PER CHI AMA: Nu Metal, Korn
Questo EP mi è arrivato tra le mani solo qualche giorno fa anche se risale addirittura al 2008, ma andiamo comunque ad ascoltarlo. Il quartetto vicentino My Evil Me nasce circa cinque anni fa ed è uscito subito con questo lavoro di buona fattura a conferma che il feeling e gli obiettivi dei componenti sono stati chiari sin da subito, seppur provenienti da passati musicali diversi. Nu metal di qualità, tantissima influenza Korn in molti risvolti, ma interpretato con una buona tecnica e approccio personale. Cinque tracce sagomate e rifinite in ogni sfaccettatura e ognuno del quartetto fa il proprio dovere. Il vocalist riprende in parte lo stile di Jonathan Davis e lo adatta alle proprie corde, sia in modalità screamo che melodico con buoni risultati. L'importante è conoscere i propri limiti e aggirarli con piccole accortezze, poi il duro lavoro farà il resto. Belle le chitarre, personalmente avrei usato una distorsione più rotonda, ma qua ognuno potrebbe dire la sua, comunque bei riff. A volte il pezzo chiama l'assolo, ma perché tediare l'ascoltatore con i soliti pacconi ultra tecnici? Approvo la scelta, anche perché così resta spazio al basso che sa mostrare di che pasta è fatto e non scompare mai nei vari pezzi, anzi, spicca in più punti a conferma delle sue qualità. Idem per la sezione ritmica che macina a dovere e trascina il resto del gruppo con la propria energia battente. La qualità dei pezzi è costante, qualche picco lo si nota in "Sweet Doing Nothing" che parte introspettiva con uno scarno arpeggio di chitarra pulita che viene spazzato via velocemente dalle distorsioni. I cambi ritmici danno una discreta dinamicità alla traccia che in circa quattro minuti presenta i My Evil Me come in carosello per l'ascoltatore. La canzone è meno rabbiosa delle altre e lascia intuire anche l'aspetto riflessivo della band che non vuole solo urlare rabbia gratuita. "Regret" risente delle influenze nu metal più famose, unendole comunque ad un cantato che trasmette emotività, mentre la parte strumentale crea l'impatto sonoro necessario senza mai essere eccessivamente pesante. Chiudo con "The Sick", breve traccia che ho apprezzato per gli arrangiamenti e il cantato che simile ad un serpente nell'ombra crea un'atmosfera di sofferenza psicologica/fisica ad hoc. Non posso che dire bravi ai My Evil Me, fossi in loro mi concentrerei maggiormente sui suoni, soprattutto delle chitarre e cercherei di dare maggior risalto alle sfumature personali che riescono a dare in alcuni punti delle canzoni. Aspetto quindi un nuovo EP o meglio ancora un album per vedere cosa hanno combinato in questi quattro anni di pausa dalla registrazione, visto che la parte live mi sembra tutt'ora attiva. (Michele Montanari)

Cidodici - Freedom Rebellion

#PER CHI AMA: Thrash, Nu metal, Crossover, Korn
Il buon Franz mi fa arrivare sulla scrivania (ormai troppo caotica) questo “Freedom Rebellion” dei bergamaschi Cidodici. Prima mi cade l’occhio sulla cover, poi però è l’adesivo con lo strillo che annuncia la presenza di Manuel Merigo (sì, è quello degli In.Si.Dia., come non li conoscete?! Rimediate subito) a incuriosirmi. Pronti, via, il disco è già lì che mi gira sul lettore; io ricevo in cambio una bella botta nei miei timpani (e anche nelle palle). I nostri attingono a un giacimento di energia e la incanalano in un prodotto che corre fluido, in cui le tracce si susseguono coerenti per struttura e atmosfere. Un album che prende spunto dal thrash, a cui sono aggiunte buone dosi di sound nu metal (tipo Korn, Machine Head e, negli inserti elettronici, Fear Factory) e qualche inserzione melodica. Il tutto è amalgamato poi in maniera abbastanza originale. Le chitarre ben suonate e gli assoli sono le cose che più risaltano e mi piacciono. Bella la prova del cantante: non ha sbavature particolari e si adatta anche a registri diversi. Ho molto apprezzato il potente e continuo lavoro del batterista; defilata e nascosta la parte di basso. Una paio di pecche si possono trovare nell’eccessiva lunghezza dell’album e nel non aver osato maggiormente su un songwriting più diversificato. Molto azzeccata la presenza di artisti ospiti: arricchiscono e danno un bel tocco al piatto. Già nell’intro melodico suona il primo, Carmelo Pipitone, chitarrista dei Marta Sui Tubi. Quindi troviamo gli assoli di Aldo Lonobile (Death SS) e Dario Beretta (Drakkar) in “A Life To Learn”, un episodio tra i più riusciti del platter. Segnalo il brano cantato in italiano “Gli Occhi Degli Altri”; l’ho trovato apprezzabile, ma anche meno quadrato rispetto agli altri (come dite? Vi pare di sentire i Linea 77? Anche a me). La band si merita una stretta di mano vigorosa per aver fatto una cover metal di “Impressioni di Settembre” (quella della Premiata Forneria Marconi), anche se non mi ha convinto del tutto l’averla mescolata ad un vecchio pezzo degli In.Si.Dia.. Certo non era una cosa facile gestire una canzone di quel tipo, ma loro ci hanno provato. Bravi Cidodici, mi permetto di consigliargli di puntare di su un prodotto ancora più personale e magari dalla durata minore. (Alberto Merlotti)

(Buil2kill Records)
Voto: 70

http://www.cidodici.net/

lunedì 4 febbraio 2013

Devotion. - Venus


#PER CHI AMA: Nu Metal, Post-core, Deftones
Limpido e scorrevole questo secondo full length dei Devotion. Sì, come sempre effettivamente, ma apprezzo molto di più questo "Venus" del precedente "Sweet Party". In quest'opera la band si è evoluta non tanto in termini di songwriting o tecnicamente, ma in sede di trasmissione delle emozioni verso l'ascoltatore. Il disco fa trasparire fortemente l'adrenalina e la passione, alternate ad un flebile senso di pace che nel primo lavoro erano state offuscate dalla melodia e da un approccio prettamente anonimo e più incentrato sulla musica. La prima "Red Carpet" è ancora stazionaria ai livelli del primo album ma già dalla seconda "Dakota" si capisce che il suono sta cambiando notevolmente, ovvero i suoni sono più pesanti, il cantato è più orientato verso lo screamo e possiamo ritrovare questa impostazione anche nelle feroci "Drinkin' Shibuya" e "Golden Axe". Il duo "Nova" e "When You Tell Me a Lie" è meno movimentato ma riesce comunque a emergere grazie al suo approccio easy-listening. L'apice della creazione artistica di questa nuova release del combo vicentino si può sintetizzare in "Timeless Beauty" che comprende tutti i canoni del nuovo spirito dei Devotion. Ad abbellire questo disco troviamo nel finale la title-track, completamente strumentale e colma di una trascinante tranquillità. In definitiva questa nuova attitudine più aggressiva dei Devotion. mi garba alquanto e non deluderà gli amanti delle sonorità di San Francisco. (Kent)

(Bagana Records)
Voto: 85

http://www.devotionsound.it/

lunedì 28 gennaio 2013

Endless Coma - Rising Rage


#PER CHI AMA: Suoni crossover/Nu Metal/Industrial
Nata da un progetto anglo/italiano di Nick Franz (bassista e compositore) e Dark Priest (voce) nel 2010, la band ha pubblicato subito un EP dal titolo omonimo; nel frattempo, nel corso del 2012 sono state eseguiti alcune riassestamenti nella line-up, includendo Sal (chitarra) e Blond (batteria) facendo uscire il primo full-lenght. L’intro “Prelude to the End” è costituito principalmente da voce e suoni campionati, in modo da preparare l’ascoltatore ad un viaggio non propriamente piacevole. “Mind Battle” ha un sound veloce e cadenzato, sottolineato da un largo uso di tastiere e batteria; il basso si sente soprattutto nel ritornello, accompagnato anche da qualche growl, creando un effetto molto industrial. “I Don’t Have a Name” e “D.N.A. (Destroy New Angels)” si possono definire come le tracce più industriali di tutto l’album (a tratti la voce ricorda vagamente quella di Rob Zombie), quella che ti porta ad esaltarti e a scatenarti. “Disease” continua con quella vena cattiva che finora sta contrassegnando il mio ascolto, fatta di growl, suoni campionati e tanta batteria. Con “Golden Chains” e “Mental Prison” le cose cambiano: il ritmo tende a rallentare lasciando fuoriuscire la vena più malinconica degli Endless Coma. Degno di nota è l’assolo di chitarra, perfettamente incastonato in questo contesto mesto e rassegnato. “No Faith” e “Pure Ego” riprendono il filone proposto dalle prime tracce, con un’esplosione di perfidia e suoni pesanti, portando tutto il lavoro fatto finora a un livello molto alto di qualità. “Evil Man” e “My Dear Satan” tendono più verso il ramo progressive, con lunghi assoli di chitarra, ottime ritmiche e una batteria dirompente: la vena inquieta dell’ensemble emerge nuovamente, rischiando di abbassare un poco il livello toccato in precedenza. Qui l’unica cosa che si salva sono gli inserti growl e qualche connubio di chitarra graffiante con una batteria costantemente ritmata. “Pain” ha una successione non molto veloce, ma ben strutturata e travolgente: peccato per la scelta di cantare con una tonalità roca, perché mette in secondo piano l’anima industrial del complesso. In “You’re my God” cambia nuovamente il ritmo: all’inizio e alla fine sembra più unplugged con voce, chitarra e batteria tenute a freno, ma nel corso della traccia il tutto si anima un po’. Questo può essere definito il punto più basso di tutto il lavoro. “The Last Minute” è l’ultimo pezzo ed anche il più lungo. Contraddistinto da un sound più tedioso e flemmatico per i primi 4 minuti, il resto della canzone non è altro che una parte sussurrata e distorta, di cui non si capisce nemmeno una parola: potrebbero sembrare messaggi subliminali o una voce lontana che agita i sogni. Un long-playing con luci ed ombre ma che comunque alla fine risulta ben fatto, che entusiasma e carica: consiglio vivamente di tenerli d’occhio, perché se queste sono le basi, il prossimo sarà (auspico) ancora meglio. (Samantha Pigozzo)

(Buil2kill Records)
Voto: 70

https://www.facebook.com/EndlessComa

giovedì 24 gennaio 2013

Erase - May I Sin?

#PER CHI AMA: Metalcore/Crossover
Ecco un bella sorpresa per gli amanti del metalcore, specialmente per quelli che lo vedono di buon occhio anche con delle contaminazioni. Il quartetto alessandrino Erase si forma nel 2008, pubblica un primo EP nel 2009 e, dopo un bel po’ di esibizioni live, torna in studio per registrare “May I Sin?”, loro primo ufficiale LP. Cosa ci troviamo dentro? Dieci canzoni principalmente metalcore che, come anticipato, sono valorizzate da innesti di altri generi, il crossover in particolare. Nel complesso il lavoro è abbastanza originale, di piacevole ascolto ma aggressivo e tirato in maniera consona al genere. Tale aggressività sonora si trova già nella open track “Ashes and Sinners”,e si mantiene costantemente per tutto il disco. Le parti melodiche presenti in alcune tracce, per esempio nell’orecchiabile “Another Day”, sono una buona vetrina per poter mostrare la malleabilità vocale del cantante. Mi pare a suo agio in queste sezioni pulite come in quelle più urlate. Ho trovato interessante la parte delle chitarra in “Ripper Inside”, si nota particolarmente la mano educata del chitarrista Dave. Cito “Lover” tra le migliori: ritmo e stacchi sono notevoli. Sempre in linea e precisa la parte ritmica, se ne può notare la bontà durante tutte le track. Gli Erase mi hanno soddisfatto e mi han lasciato quella smania serpeggiante di sentire cosa combineranno nel futuro. Dimenticavo, vorrei rispondere alla domanda che la ragazza ammiccante della copertina mi/ci pone: “May I Sin?” Risposta: “Con quegli occhi, per me, puoi fare quello che vuoi!”. (Alberto Merlotti)

(Buil2kill Records)
Voto: 75

http://www.eraseband.net/