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martedì 30 giugno 2020

Lyzanxia - Unsu

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Death, Soilwork
Mettiamo a ferro e fuoco il mondo, da sempre questo è il motto della storica band francese dei Lyzanxia, che dopo il feroce 'Mindcrimes' del 2002, che ottenne riscontri di critica positivi in tutto il pianeta, tornò a far male con questo lavoro dal titolo insolito ed enigmatico, 'Unsu'. Era il 2006 e avvalendosi sempre del bravissimo Fredrik Nordstrom alla consolle (In Flames, The Haunted) presso i Fredman Studios, i francesini tornavano a minacciare il genere umano con le loro dodici energiche tracce. Le songs qui incluse hanno infatti un unico comune denominatore: dei fantastici (anche se talvolta un po’ ripetitivi e statici) riffs di chitarra, che da soli valgono l’acquisto di 'Unsu', ad opera di David e Franck Potvin, i fratelli che oltre a dividersi la scena chitarristica, rappresentano anche gli eccellenti vocalist della band, l’uno in formato clean/scream, l’altro in growl. Questo quarto album spacca veramente i culi, unendo a quello swedish death che contraddistingue la band transalpina fin dagli esordi, un groove thrash in grado di bilanciare potenza e melodia. Ritmiche furibonde, stillati tastieristici, assoli taglienti e bellissime vocals caratterizzano uno dei lavori più sorprendenti della discografia della band di Angers, creando, a detta della band, un mondo ossessivo in cui bellezza e terrore convivono, uniti da un’incomparabile tecnica e da un approccio sì brutale, ma melodico. E la testimonianza di ciò, è la bellissima quinta traccia “Strenght Core”, summa di tutto ciò che erano i Lyzanxia a quel tempo: una band capace di stupirci per la loro aggressività ma anche per la bravura nel trasmetterci forti emozioni a suggellare l’enorme capacità tecnico-compositiva del quartetto francese. In 'Unsu' non ho sentito nulla fuori posto, è un album curato nei minimi dettagli, che non può prendere di più, in termini valutativi, semplicemente perché non inventa nulla di nuovo, ma che di sicuro potrà conquistarvi per il sempice fatto che è davvero piacevole da ascoltare (stupenda anche l’etnica title track), ideale per un pogo infuocato, ed eccellente da tenere in auto al massimo volume. 'Unsu', la colonna sonora ideale per mettere a ferro e fuoco il mondo. Notevoli, peccato solo che se ne siano perse le tracce dal 2010. (Francesco Scarci)

(Listenable Records - 2006)
Voto: 80

http://www.lyzanxia.com/

lunedì 29 giugno 2020

Kruelty - Immortal Nightmare

#PER CHI AMA: Death Metal Old School, Grave, Dismember
Nostalgia per il death metal anni '90, quello di Entombed, Dismember, Unleashed e Grave? Niente paura perchè a distanza di quasi 30 anni, si aggirano nel mondo ancora degli emulatori di quel sound. Stiamo parlando dei Kruelty, band originaria di Tokyo, formatasi nel 2017, con un album all'attivo, 'A Dying Truth' e una serie di EP all'attivo, tra cui quest'ultimo 'Immortal Nightmare', uscito in cassetta un paio di mesi dopo il full length. Tre pezzi a disposizione, di cui uno, è la cover "Into the Grave" dei Grave stessi e gli altri due sono vecchi brani ri-registrati. Si parte infatti con l'angusto sound di "Narcolepsy" che dichiara apertamente l'amore dei giapponesi verso la proposta oscura ed asfissiante delle band svedesi citate, sciorinando i classici chitarroni ultra profondi e corposi, mai sparati a velocità disumane, il tutto corredato dalle growling vocals del frontman, e poco altro. Mi aspettavo almeno un apporto solistico convincente ma niente da fare, neppure quella sorprendente vena melodica che contraddistingueva i big four all'epoca. La seconda "Desire" sembra fare addirittura peggio, cosi piatta e scontata, con addirittura un break centrale all'insegna del... nulla. L'ultima è appunto la cover di quel mitico album uscito nel 1991 che nessun amante del death metal scandinavo potrà mai dimenticare, soprattutto per quel suo giro di chitarra che sembra preso in prestito dai Black Sabbath e poi sparato in orbita alla velocità della luce con quella tipiche venature punk hardcore che ne hanno contraddistinto gli esordi di tutte quelle band svedese. I nostri giapponesi fanno il loro compitino e nulla di più, sfruttando peraltro Brendan Coughlin (Mourned) per il famigerato e splendido assolo conclusivo del brano. Detto che mi aspettavo qualcosina in più, ora mi vado ad ascoltare anche l'album d'esordio per valutare al meglio i giapponesi Kruelty. (Francesco Scarci)

domenica 28 giugno 2020

Tourettes Syndrome - Sicksense

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover/Nu Metal, Korn
Dalla terra dei canguri arrivano da sempre mirabolanti creature in grado di sconquassare il mondo musicale con misture imprevedibili di musica. Per quanto concerne i Tourettes Syndrome, stiamo parlando più in specifico di hardcore, nu-metal e altri elementi (groove death in primis) a creare un sound apoplettico e bizzarro. Il quartetto di Sydney all'epoca del loro secondo disco, 'Sicksense' che è seguito cinque anni dopo il debutto omonimo del 2001, ci attacca con undici sciabordanti tracce (sono inoltre incluse tre bonus video tracks), in cui su una ruvida ritmica hardcore si staglia l’incredibile voce di tale Michele Madden (oltre che brava anche molto bella). Ho scritto incredibile, perché non avevo intuito, neppure lontanamente, che i profondi grugniti growl fossero i suoi, tanto meno le “grungeriane” clean vocals. L'album è un concentrato di chitarre possenti e aggressive in pieno stile Korn, su cui s’inseriscono elementi elettro-noise, punk e industriali; ciò che continua a stupire per l’intera durata dell’album è comunque l’eclettismo vocale di Michele, vera figura carismatica della band australiana, capace di passare in modo disinvolto dal growling a voci isteriche, da suadenti clean vocals al cantato grunge. Rabbia, frustrazione e depressione, sono contenuti in questo secondo capitolo di questa compagine originaria di Sydney. Anche se non totalmente originalissimi, i nostri sono carichi di energia e hanno creato un ottimo disco che potrà interessare chi non è troppo vincolato a generi o sottogeneri, al metallaro dalle visioni allargate a 360°. Sebbene io non rientri in questa classe, a me i Tourettes Syndrome sono piaciuti, peccato solo che dopo il successivo album del 2007 se ne siano completamente perse le tracce. (Francesco Scarci)

Comity - ...As Everything is a Tragedy

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Hardcore, Dillinger Escape Plan
Li abbiamo recensiti in occasione del loro ultimo lavoro, 'A Long, Eternal Fall', li ripeschiamo oggi con il vecchio '…As Everything is a Tragedy', quando ho potuto apprezzarli per la prima volta nella loro ossessiva e asfissiante veste musicale. I parigini Comity sono essere un interessante ibrido tra The Dillinger Escare Plan, Neurosis e Meshuggah, i primi per la loro follia di fondo, i secondi per la loro genialità, i terzi per la capacità di costruire ritmiche monolitiche ammorbanti, atmosfere rarefatte e oppressive. La struttura dei brani di questo lavoro si rivela infatti veramente delirante a causa della sua elevata complessità: i nostri sono dei maestri nel portarci al limite del baratro con dei momenti di frustrante ultra doom, per poi scaraventarci giù dalla rupe con la violenza profusa dalle schizoidi ritmiche. La musica dei Comity non è del tutto ortodossa e difficilmente potrà piacere ad un vasto pubblico, tuttavia chi ama questo genere di sonorità non potrà fare a meno di dare un ascolto alla spirale emozionale messa in atto da questi pazzi scalmanati autori di un’astratta musica brutale. Non posso segnalarvi un brano piuttosto di un altro perché il disco fra le mani consta di 99 schegge impazzite (suddivise in quattro suite), frapposte a momenti di inusuale calma e melodia che preludono al caos primordiale. Qui c’è da farsi male! (Francesco Scarci)

sabato 27 giugno 2020

Words of Farewell - Inner Universe

#PER CHI AMA: Melo Death, Scar Symmetry
Da Marl, cittadina della Renania settentrionale-Vestfalia, ecco arrivare questi Words of Farewell, che i più attenti di voi se li ricorderanno in giro da almeno tre lustri e con tre album già in cascina. Il sestetto teutonico, in pausa dal 2016 quando uscì l'ultimo 'A Quiet World', ha pensato bene di dare un segno di vita ai propri fan, rilasciando questo 'Inner Universe', EP di quattro pezzi. Il lavoro si apre con la grandinata melodica di "Chronotopos" che mi permette di comparare immediatamente il sound dei nostri con quello degli svedesi Scar of Symmetry: chitarre fresche e frizzanti, tastierine stile Bontempi, growling vocals alternati a clean vocals, lampi progressive, begli assoli e signori, il gioco è servito per mostrarci lo stato di forma dei Words of Farewell. La band è tornata in sella e pian piano si rimetterà in sesto per offrire anche un nuovo full length, ma nel frattempo godiamoci questo lavoretto. "Whispering Deeps" è leggermente più cupa dell'opener, pur mantenendo intatti gli ingredienti sopra menzionati e con le melodie delle sei corde a giocare un ruolo fondamentale come guida per i fan nell'ascolto del disco. Ottima quindi la linea di chitarra che si concretizza ancora meglio nel confezionare un assolo davvero lungo e coinvolgente che da solo varebbe il cosiddetto prezzo del biglietto. Il trend melodico si conserva anche nelle successive "Offworld" e "Alter Memory": la prima dapprima caratterizzata da una forte componente malinconica, con le tastiere che costruiscono splendide atmosfere e in seconda battuta, la song sembra prima assumere toni orientaleggianti e poi di un melo death in formato Insomnium, il tutto in poco più di quattro minuti. L'ultima traccia invece è la più diretta, ruvida e veloce ma dotata di un bel break atmosferico ove compare una parte parlata, da quanto ho capito, estratta dal discorso conclusivo di Charlie Chaplin ne 'Il Grande Dittatore', che sancisce un comeback discografico davvero interessante. (Francesco Scarci)

Dark Divinity - Messianic

#PER CHI AMA: Death/Black
Mentre sulle piattaforme musicali in patria i Dark Divinity sono già seguitissimi, nel resto del mondo nessuno sembra essersi accorto della release di debutto della band di Wellington. Ci troviamo in Nuova Zelanda ovviamente e 'Messianic' è l'EP d'esordio dei nostri dopo una sfilza di singoli usciti dal 2017 in poi. Il dischetto consta infatti di alcuni di quegli stessi singoli più un paio di novità. Ah, dimenticavo, il genere proposto è un death black dalle tinte melodiche, ma questo è chiaro sin dalle oscure note iniziali di "Set in Stone", che ci dice come la band sia ispirata dai grandi classici svedesi, At the Gates e Dissection, in primis. Quello che sorprende a parte la tagliente ritmica, sono le vocals possenti della tatuatissima Jolene Tempest, il cui stile è un mix tra un growl e uno screaming comunque intellegìbile. Se la prima song mi ha conquistato subito per forza, melodia e brutalità, la seconda "Vertigo" (una delle due nuove) mi ha lasciato un po' più con l'amaro in bocca, senza trasmettermi nulla di che, se non investirmi con quel muro di chitarre che alla fine lasciano il tempo che trovano. "Cambion" sarebbe la seconda news ma dura solo 80 secondi e funge più da collegamento, nella sua interezza strumentale peraltro dotata di un'ottima melodia, con "Night of the Witches". La terza canzone continua a picchiare con quel suo piglio scandinavo, forse un po' troppo freddo e poco coinvolgente che palesa sicuramente un'ottima preparazione tecnica e poco altro. Il quintetto chiude la sua prima fatica con "Seasons of Dark" che in fatto di violenza death/black, probabilmente non è seconda a nessuno in questo loro lavoro d'esordio. Ora, bisogna guardarsi negli occhi e decidere che fare, continuare su questa scia ed essere i signori nessuno, oppure dotare i pezzi di un bel po' di personalità. Ai Dark Divinity l'ardua scelta... (Francesco Scarci)

Before the Common Era - Anthropologic

#PER CHI AMA: Prog Death/Groove
I Before the Common Era sono un quintetto originario di Londra che con questo 'Anthropologic' varano il loro debut assoluto nel mondo metallico. La proposta offerta dai cinque British in questo EP è all'insegna del death progressive. Questo si evince dal bombardamento ritmico di "Sol", il piccolo gioiellino posto in apertura che indica la via seguita dal quintetto, che si muove tra influenze di meshuggana memoria e rimandi a Devin Townsend e Tesseract, motivo questo per cui i nostri hanno avuto una immediata presa sul sottoscritto. Le melodie sono interessanti, la classica poliritmia di matrice svedese fa il resto con le vocals del frontman che si muovono tra il growl e il pitch pulito, stile ampiamente sfruttato soprattutto nella seconda "Hadeharia". Certo non siamo al cospetto di nessuna novità stilistica, però mi piace poter segnalare nuove band che approcciano da poco il mondo musicale, sperando un domani di aver avuto ragione nel sottolinearne le qualità. La band continua a macinare riff carichi di quel groove che gronda da tutti i pori e "Repudiation" è il manifesto di buoni propositi in termini di belligeranza, esposto dal rifferama caustico e serrato della band. A chiudere questo primo capitolo, ecco "The Tenth Dimension" un brano che miscela in modo bilanciato melodia e violenza in questo primo EP targato Before the Common Era, che meritano di una chance più lunga e strutturata per un giudizio finale meglio delineato. (Francesco Scarci)

Mother Island - Motel Rooms

#PER CHI AMA: Indie/Surf Rock
Uscito esclusivamente in vinile, "Motel Rooms" è il terzo album dei vicentini Mother Island, entità al sottoscritto completamente sconosciuta, complice un genere che non bazzico poi cosi di frequente. Stiamo parlando di un psych rock sensuale e dalle tinte western, che ha saputo conquistare anche la mia anima estrema. Mi sono messo comodo, rilassato, fatto partire il disco senza essere troppo prevenuto nei suoi suoni e via "Till The Morning Comes", con la voce femminile della frontwoman Anita Formilan a farmi da guida, le calde melodie avvolgenti e quelle atmosfere psichedeliche che ci riportano a fumosi party in terra statunitense di fine anni '60. Queste le immagini che mi sovvengono ascoltando l'apertura di questo lavoro dai suoni sicuramente vintage (la cui definizione stilistica orbita in realtà dalle parti del jangle pop), ma comunque traslati in un contesto attuale più ricercato e dal risultato sicuramente piacevole. Più movimentata la seconda "Eyes Of Shadow", che mantiene intatto quello spirito surf rock "made in USA", già ampiamente apprezzato nell'opening track che di sicuro mai mi farebbe collocare le origini di questa band nelle lande venete. Detto questo, proseguo nel mio ascolto del disco, facendomi sedurre dalle melodie di "And We’re Shining", cosi come dalla vena prettamente seventies di "Summer Glow", un brano un po' più deboluccio rispetto ai precenti episodi dell'album. "We All Seem To Fall To Pieces Alone" è una ballad country parecchio malinconica che mi ha evocato nell'utilizzo dei fiati, certe cose sperimentali degli *Shels (ma anche una certa vena morriconiana), riproposti in una chiave decisamente più soft. Ancora una manciata abbondante di brani, ove vi segnalerei l'inquieta "Santa Cruz" che nelle sue corde ha un che di proto-punk e la conclusiva e suadente "Lustful Lovers" che chiude con le sue note languide e lisergiche un disco che ascoltato cosi, d'emblée, senza conoscere i pregressi della band, me ne ha fatto apprezzare proposta e attitudine. Per ora lascio un giudizio su un disco senza conoscere la precedente discografia della band, spero solo di non dovermi rimangiare le parole in futuro. (Francesco Scarci)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 69

https://www.facebook.com/Motherisland/

Seims - 3 + 3.1

#PER CHI AMA: Math/Post Rock/Avantgarde
Quello dei Seims è il tipico lavoro di casa Bird's Robe Records, un'etichetta che seguiamo ed apprezziamo da anni qui nel Pozzo dei Dannati. E cosi, un po' come tutte le band della label australiana, anche la compagine di Sydney propone un sound (semi)strumentale, all'insegna di un ibrido sperimentale tra post rock e math. Peraltro, come il titolo suggerisce, '3 + 3.1' include l'album '3' uscito nel 2017 e l'appendice successiva, '3.1' appunto, rilasciata lo scorso anno, qui ora raccolte in un'unica release. Sette pezzi quindi da ascoltare, cominciando dall'opener "Cyan", una song che inizia a fare chiarezza sul concept relativo ai colori e alla scelta ora più sensata dell'artwork di copertina. Una traccia che parte come avvolta in un nero velo che sembra lentamente in grado di dischiudere colori via via più brillanti, muovendosi da un post rock chiuso e riflessivo verso lidi western (splendide le trombe e gli archi a tal proposito) e poi sul finale, follemente più math rock oriented, con un risultato piacevole e originale, che non manca di robustezza e divagazioni electro jazz avanguardiste. Il secondo colore è "Magenta", e sfavillante quanto la sua tonalità, anche il brano sembra lanciarsi in sonorità dirompenti, che tuttavia non raggiungono la medesima qualità emozionale dell'opener, ma palesano piuttosto una difficoltà nella costruzione di un'architettura sonora altrettanto convincente. "Yellow", il giallo, è la terza tappa nel mondo dei colori dei Seims, e anche qui la proposta del quartetto capitanato da Simeon Bartholomew (supportato da una marea di ospiti) sembra trovare qualche difficoltà in termini di fluidità sonora, sebbene i nostri vaghino in stralunati ed asfissianti mondi noise, math, prog, psichedelicamente ondivaghi come il suono delle chitarre qui contenute. Il pezzo dura oltre 12 minuti e vi garantisco che non è cosi semplice da affrontare senza rischiare la follia mentale (soprattutto nella seconda parte), complice anche l'utilizzo di vocalizzi che sembrano provenire da un gruppo di amici completamente ubriachi ed un finale affidato ad un ambient etereo che stravolge completamente quanto ascoltato fino ad ora. L'unione dei primi tre colori genera il nero imperfetto che dà il nome alla quarta "Imperfect Black", ove ad evidenziarsi è la voce femminile di Louise Nutting su di una linea melodica completamente dissonante che ci conduce ad "Absolute Black", primo pezzo di '3.1' che mostra nuovamente quella verve splendente che avevo apprezzato nella traccia d'apertura e che anche qui risuona in un'ingovernabile struttura matematica davvero imprevedibile soprattutto quando imbeccata da viola, violoncello, tromba e trombone che rendono il tutto decisamente più godibile. Fiati ed archi non mancano nemmeno in "Translucence" (che dovrebbe essere la trasparenza), un pezzo che fatica un pochino a decollare ma che nella sua seconda metà mette in mostra comunque qualche ulteriore buona cosa dell'act australiano. A chiudere il disco ci pensa la roboante e melodica "Clarity", il brano probabilmente più immediato del cd e più semplice se si vuole avvicinarsi alla band. La melodia è davvero coinvolgente e funge da colonna sonora al video estratto dal disco, una sorta di mini documentario sull'esperienza della band in tour in Giappone che ci racconta qualcosina in più di questi meritevoli Seims. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)
Voto: 74

https://store.seims.net/album/3-31

The Pit Tips

Francesco Scarci

A Light in the Dark - Insomnia
Postvorta - Porrima
Clouds - Durere

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Shadowsofthesun

Paradise Lost - Obsidian
Wake - Devouring Ruin
Regarde Les Hommes Tomber - Ascension

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Bob Stoner

Krakov - Minus
Buckethead - Worms From the Garden
John Zorn - Salem 1692

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Alain González Artola


Ancient Boreal Forest - A Relic From the Sands of Time
Ygg - The Last Scald
Fellahin Fall - Tar a-Kan

giovedì 25 giugno 2020

Harms Way - Oxytocin

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Heavy/Doom
Un inizio in crescendo apre questo lavoro degli svedesi Harms Way, ormai datato 2006: una chitarra travolgente mi fa ben sperare per un gruppo di cui non ho mai sentito parlare, poi stop. Un Ozzy Osbourne dei poveri mi fa capire che il disco che ho fra le mani è una reinterpretazione dei Black Sabbath scoperta dalla Black Lodge Rec. che ha pensato bene di produrre questo quartetto scandinavo e di darlo in pasto agli avidi ascoltatori. Il risultato non è malaccio, trattandosi appunto di una versione, riletta in chiave più attuale, dei vecchi insegnamenti di Ozzy e soci, e non solo. Si capisce subito dalle ritmiche pachidermiche e ossessive prodotte dalle due asce, con quel loro incedere asfissiante, e quei giri di chitarra che ricamano montagne di riffs a sostegno di una batteria bella potente, che gli Harms Way amano il glorioso passato heavy doom ove si collocano non certo come degli sprovveduti tecnicamente. In alcuni momenti si respira proprio l’aria degli anni ’70; in altri, dove è il basso di Dim a dominare la scena, i ricordi si fanno relativamente più recenti, ad 'Heaven and Hell' degli stessi Black Sabbath, ma anche ad alcune cose dei primi Iron Maiden e al fantastico basso di Steve Harris. Altri giri di chitarra mi rievocano le cavalcate di Adrian Smith ai tempi di 'Killers'. Poi inevitabilmente c'è sempre qualcosa che fatico a digerire e qui è la voce dello stesso Dim, poco potente ed inespressiva; peccato, sarebbe stata l’arma in più, per ottenere un responso critico più positivo. (Francesco Scarci)

(Black Lodge Records - 2006)
Voto: 66

https://blacklodgerecords.bandcamp.com/album/oxytocin

Shaman Elephant – Wide Awake but Still Asleep

#PER CHI AMA: Stoner/Psych/Prog
Tornano sulla scena in grande stile i norvegesi Shaman Elephant, con un secondo splendido album che vede la luce attraverso i canali della Karisma Records, la creativa etichetta che ci ha fatto godere negli ultimi anni diversi ottimi artisti. Il sound del trio di Bergen, mantiene i canoni del precedente album, evolvendosi in maniera esponenziale nella composizione e nella qualità esecutiva. Brani elaborati, lunghe performance acide, melodie e parti vocali ricercate, suoni caldi e vintage, musica impegnata, eseguita e costruita con intelligenza e dedizione (mi piacerebbe sapere perchè un brano si intitola "Steely Dan", proprio come il gruppo statunitense degli anni '70). L'introduttiva "Wide Awake but Still Asleep", che porta il titolo dell'intero box, ci mostra come la band riesca a mescolare varie influenze stilistiche senza mostrare affanni, rendendo anzi la trama fresca e originale, piena di spunti interessanti. Quindi, in un calderone magico, lo sciamano con la proboscide, impasta suoni psichedelici di rock progressivo e alternativo, space rock contaminato da una sezione ritmica molto vivace che scivola felicemente, spesso e volentieri, dalle parti degli Stone Roses, epoca 'Second Coming'. La voce del chitarrista Eirik Sejersted Vognstølen, evoca magia e in alcuni momenti arriva a toccare vertici da brivido, molto vicini al primo Chris Cornell dei Soundgarden, gruppo fondamentale che ritorna alla mente ascoltando questo album (periodo 'Ultramega Ok'), assieme all'energia dei Motorpsycho di 'Demon Box'. Il disco è variopinto, si snoda tra passaggi lisergici vicini allo stoner/acid/prog rock più europeo alla the Spacious Mind/Anekdoten, accostato al progressive tipico di estrose e raffinate band di culto dal forte carattere psichedelico, come Camel o Egg. Rimango stupefatto all'ascolto di "Ease of Mind", una morbida ballata ai confini tra il Jeff Buckley di 'Grace' (impressionante la somiglianza vocale con il compianto cantautore americano) e un certo jazz/folk progressivo, arioso e sognante. La coda del disco, con il penultimo "Traveller", un pezzo di oltre 11 minuti di lunghezza (diviso in tre parti), sintetizza la mia impressione che ci sia un'anima, all'interno della band, devota alla libertà lisergica di interpretare il rock a la Motorpsycho, con le armonie, la spinta degli accordi e il tiro della ritmica che portano proprio sulle loro coordinate soniche. Si chiude definitivamente con la psichedelica "Strange Illusions" e con una magistrale prova vocale, un ottimo album. Un disco denso di emozioni e rimandi musicali che hanno fatto epoca, rimessi in corsa con bravura e conoscenza storica, una band piacevolissima, ottimi musicisti e una produzione ben fatta che mette in linea temporale i suoni di 'Shades of Deep Purple' del 1968 con il nostro tempo. Tanta originalità nel mischiare le carte di un modo di fare rock che ha fatto storia, un disco da ascoltare a fondo e perdersi in un vortice di coloratissime sonorità.

(Karisma/Dark Essence Records - 2020)
Voto: 80

https://shamanelephant.bandcamp.com/album/wide-awake-but-still-asleep

martedì 23 giugno 2020

Halo of Shadows - Manifesto

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Black, Children of Bodom, Dimmu Borgir
La Finlandia da sempre sforna gruppi a ripetizione: il rischio era che prima o poi la qualità musicale tendesse ad abbassarsi, un vero peccato per una nazione che ha dato i natali a band veramente uniche e importanti nel panorama metal internazionale. Questi Halo of Shadows (il cui nome deriva da un noto videogame) propongono un sound a cavallo tra il death tastieristico dei Children of Bodom e un black melodico, in linea con il materiale più soft dei Dimmu Borgir. Non posso dire che la band sia malvagia perché le carte in regola per fare bene ci sono tutte, l’unico problema è che si tratta di un sound già sentito centinaia di volte: cavalcate maideniane (anche se non mi piace assolutamente il suono assai retrò utilizzato per le chitarre) segnano la ritmica delle dieci tracce che compongono questo 'Manifesto', su cui s'inseriscono le classiche tastiere alla “Figli di Bodom”, la pessima voce black del vocalist (nè screaming nè growling in sostanza), dei piacevoli assoli (in pieno heavy metal style) a cura dei due axemen (da brividi peraltro quello di “Drowned in Ashes”) e momenti sinfonici vicini a quanto fatto da Shagrath e soci. Ecco quindi che il gioco è presto fatto: se vi piace questo genere di musica, recuperate questo loro unico vagito, ormai datato 2006, altrimenti gli originali restano sempre i migliori da ascoltare!!! (Francesco Scarci)

Visceral Evisceration - Incessant Desire for Palatable Flesh

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Doom
Nonostante il nome Visceral Evisceration accenni a riferimenti grind-splatter gore, questa band austriaca, con il loro unico album, 'Incessant Desire for Palatable Flesh', ci regalarono nel 1994 (remixato e rimasterizzato poi nei primi anni '90) un intrigante connubio grind-death-doom, dalle tinte grigio scure. Testi anatomo-patologici, accompagnano eccellenti e sofisticate linee melodiche di chitarra; le voci si alternano tra il growl e il pulito, e fa la sua prima comparsa in un genere cosi estremo, la voce operistica di un uomo e di un soprano donna. Musica bizzarra, intensa e mai banale che vi saprà sorprendere con le sue continue geniali trovate. La band ahimè si sciolse dopo quest’unico album per riformarsi nel 1995 sotto il nome di As I Lay Dying da non confondere però con gli omonimi metallers statunitensi. Il neo formato combo austriaco rilasciò un promo e poi sparì del tutto dalla faccia della terra. Un vero peccato, perchè suoni del genere in futuro, non se ne sono più risentiti. (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 1994)
Voto: 90

https://www.facebook.com/visceralevisceration/

Minus the Bear - Voids

#PER CHI AMA: Indie Pop Rock
Obnubilate esemplificazioni nu-new-wave: la red-hot-chili-pippettosa "Last Kiss" in apertura potrebbe rammentarvi i Fitz and the Tantrum oppure, per mero nostalgismo, i concittadini Pearl Jam; il mood di "Give & Take" potrebbe al contrario rapportarvi ai Coldplay più assertivi, quelli di 'X&Y', giusto per dirne una a cazzotto. Fate attenzione. La lumacosa "What About the Boat?" fa stuzzichevolemente l'occhiolino a certo noios-pop folkellettuale alla Fleet Foxes mentre "Call the Cops" potrebbe essere una brutta canzone di 'Genesis' (l'omonimo dell'ottantatre), vale a dire una qualunque del lato B. Poi arriva "Silver", una specie di "Child in Time" in chiave 2010s pop, featuring i toni semiepici dei Muse di stocZZ, o quelli di Peter Gabriel III di stamYY, non vi pare? No, non vi pare. Poi il nulla, il quasinulla a essere più benevolenti (l'indiepercui di "Tame Beasts", l'alt-facciocagarismo riempiminuti di "Erase"). Quasinulla perché la molecolare "Lighthouse" in chiusura, oltre a giustificare blandamente la terrificante definizione math-pop affibbiata da certuni, vi ricorderà i The Cure daqualchepartisti di 'Wish' assediati da una catartica, sofferente loudness war. E vafffanculo a Rick Rubin. (Alberto Calorosi)

(Suicide Squeeze Records - 2017)
Voto: 50

https://minusthebear.bandcamp.com/album/voids

High On Fire - Blessed Black Wings

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Stoner/Doom
La terza release degli statunitensi High On Fire, creatura di Matt Pike ex frontman dei mitici Sleep, qui accompagnato dal basso di Gorge Rise e dalla batteria di Des Kensel, è uscita nel 2005 per la Relapse Records. Una copertina con un inquietante gargoyle preannuncia la fine del mondo e anche i titoli dei brani non sono del tutto rassicuranti. Nove pezzi suddivisi in 90 frammenti impazziti per un totale di 53 minuti di montagne di riff apocalittici degni dei Black Sabbath degli esordi, costituiscono 'Blessed Black Wings'. Un album che va oltre, non si ferma qui, cerca di unire la furia degli Slayer con il rozzo rock dei Motorhead. La voce di Pike, oscura e lamentosa come sempre, ricorda vagamente quella di Lars Goran Petrov, ex leader degli Entombed. Anche a livello musicale la proposta dei nostri, pur mantenendo come principale influenza la band di Ozzy Osbourne e compagni e il doom/stoner che ha contraddistinto gli Sleep, ha forti rimandi ai lavori più rock oriented della band svedese, pur mostrando, rispetto al precedente 'Surrounded by Thieves', un appesantimento del sound. La sezione ritmica oscilla tra momenti di pesantissima ma controllata violenza ad altri con vivaci richiami squisitamente seventies, dove comunque a farla da padrone è il continuo e macchinoso lavoro delle chitarre a tessere trame monolitiche e tenebrose, squarciate da ottimi assoli. Devo ammettere che pur non essendo questo il mio genere preferito, ho potuto apprezzare gli improvvisi cambi di tempo, la devastante combinazione di chitarre catacombali e ipnotiche, i melodici assoli, i lamentosi ululati di Pike e le fantastiche storie di bestie sovrannaturali, dimenticate battaglie e fiumi di sangue, tutte cose che mi hanno comunque tenuto incollato allo stereo, a godere di questa entità oscura e malata capace di annientare qualsiasi cosa si presenti sul suo cammino. Matt e soci hanno colpito, anzi direi proprio affondato. (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2005)
Voto: 78

http://highonfire.net/

domenica 21 giugno 2020

Serment - Chante, Ô Flamme de la Liberté

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
There are certain moments when you look at an album artwork that you subjectively feel that it must be something really good. I know this idea hasn´t a logic base and sadly, I have listened to some pretty mediocre albums, which had astonishing artworks. But my initial feeling was reinforced when I knew that this side project came from Quebec, one of the most prolific and high-quality black metal scenes in the world. Thus, my initial interest was even stronger knowing that the mastermind behind the Serment is Moribond, a member of the excellent band Forteresse, one of the most respected projects from this French speaking area.

Said that, it's time to focus on ‘Chante, Ô Flamme de la Liberté’, the debut album by Serment. The already mentioned beautiful artworks depicts a typical snowed landscape of Quebec. This painting is strongly related to the album´s concept, which is based on an old legend. According to that, a pact with the devil and the search for a lost heritage began a dark and epic journey to the heart of the snowy forests of Quebec. The undeniable interesting concept needs to be complemented with also an interesting musical offer. What can we find here? As typical in the black metal scene of Quebec, the atmospheres play a key role. In certain projects, this aspect can be found in a more subdued way, while in others, it has a more prominent role, in the mix or how the music is played. The latter one is the case which more represents what Serment offers here. The keys play a very important role with a constant present through the whole album. In contrast to what we could listen to Fortresse´s latest opus, where guitars had a bigger importance, here both guitars and keys share an important role in forging the core sound. However, in Serment´s case, I could say that the keys have a clear leading presence. Anyway, the traditional rawness of the atmospheric black metal bands is tastefully present with a beautiful mix between strong and hit-pitched screams, powerful drums and distorted guitars. After a nice intro, the first track entitled "Sonne, le Glas Funébre" reflects the aforementioned description with a beautiful combination of aggressiveness and melody. The hight pitched vocals sound distant like an echo in a dark forest, while the guitars conform a wall of distortion covered by the beautiful and hypnotic keys. Those keys are like the fog which covers the forest and reinforce the sense of a magical journey described in the lyrics. Pace-wise, the track, like the rest of the album, escapes form the monorithmic structures, wisely combining fast tempo sections with mid and even slower parts, which makes the song flowing in a very natural way. The rest of the tracks follow similar patterns with usually more straightforward stars, where the song shows its fastest and most aggressive face, but slowly reducing its pace in order to make the song more varied in terms of rhythm. Apart from that, the frosty keys cover the tracks like it happens in the excellent "Flamme Hivernale", which is an intrinsic characteristic of this album. The guitars, though being slightly behind the keys, find its moments to shine. This clearly shows that Serment doesn´t forget to compose quality riffs, which fit perfectly well in the overall atmosphere of the album.

‘Chante, Ô Flamme de la Liberté’ is definitively a worthwhile album and an excellent debut, which will make happy all the fans of atmospheric black metal. Serment has undoubtedly infused the traditional Quebec sound in its debut showing its love for the nature and the cold landscapes in its lyrics and in its frosty sound. ‘Chante, Ô Flamme de la Liberté’ is indeed a mystical journey through mysterious and cold forests, the ideal music to listen to when it needs to escape from the real world. (Alain González Artola)


domenica 14 giugno 2020

Exgenesis - Solve Et Coagula

#PER CHI AMA: Death/Black/Doom, primi Katatonia, primi Opeth
Tornano gli Exgenesis con un album nuovo di zecca rilasciato dalla Rain Without End Records che, come evocato dal moniker della label (era il nome del primo album degli October Tide), farà la gioia di tutti gli amanti del death doom, compreso il sottoscritto. La band del trio internazionale formato da Jari Lindholm (Enshine), Alejandro Lotero (Antithesis) e Christian Netzell (Vholdghast), ha otto nuovi avvincenti pezzi da proporci in questo 'Solve et Coagula', che irrompono dall'oscurità delle viscere di "Hollowness" e tornano a richiudersi nella conclusiva "Stasis". Ammetto che attendevo con un certo interesse il come back discografico dei nostri, dopo le ottime cose ascoltate nell'EP d'esordio del 2015, 'Aphotic Veil', anno in cui si persero immediatamente le tracce del terzetto. Dopo vari rumors su un potenziale ritorno della band sulle scene, ecco i nostri debuttare finalmente sulla lunga distanza e il risultato non poteva che confermare i miei sentori di ormai un lustro passato. La già citata opener "Hollowness" ha l'arduo e immediato compito di conquistarsi la nostra fiducia, non la tradirà in effetti. Si perchè nel loro catacombale sound ci si sguazza davvero bene, complici le ottime e avvolgenti melodie e i suoi vocalizzi che, tra growl e scream, ci stanno alla grande in questa architettura musicale. Non solo death doom a tinte funerarie comunque, vista l'improvvisa accelerazione sul finale che ammicca non poco al black. Ma diciamo che la compagine si muove meglio nei territori più lenti e malinconici, come certificato dalla seconda straziante "Embers", un brano che richiama un che degli Shining ma anche dei Katatonia di 'Brave Murder Day', e non solo per il già menzionato dualismo vocale, ma anche per una serie di chitarre che dipingono pregevoli e decadenti linee melodiche. La proposta dei nostri a me intriga parecchio, pur sottolineando che non siamo di fronte a nulla di originale o mai sentito. Tuttavia, quanto propagato dalle disperate melodie degli Exgenesis non potrà non avvalorare la mia idea di trovarsi di fronte ad un combo che è cresciuto a base di pane, "Brave" e "Murder". Basterà ascoltare "Where the Hope Ends" per averne la prova provata. Ma se vi servono altri elementi per constatare di persone le influenze di Blackeim e compagni, potreste proseguire con un attento ascolto di "Truth" e lasciarvi avvinghiare dalle drammatiche melodie in essa contenute. Qui a livello ritmico ci sento anche un che dei primi Opeth, a testimoniare comunque l'ampio ventaglio di influenze che si celano, neppure troppo, nei solchi di questo 'Solve et Coagula'. "Solve" è un piacevolissimo breve pezzo strumentale che ci conduce alla successiva "Coagula", la traccia più lunga del lotto e dove ancora gli echi dei mostri sacri Opeth e Katatonia, si fondono in un pezzo costituito da ariose ritmiche e parti atmosferiche, con il growling di Alejando sempre in primo piano (qui anche in versione sussurrata), contrappuntato in chiusura anche da un interessante assolo che dà maggior enfasi al risultato finale (su cui punterei peraltro maggiormente in futuro). "Intracosmos" e "Stasis" sono gli ultimi due episodi di un lavoro che se ben supportato, avrà il merito di rallegrare, se cosi si può dire, chi è rimasto al palo o si è sentito tradito dopo le prime due prove dei Katatonia e la loro sterzata verso suoni più alternative. E io rimango uno di quei nostalgici che ancora rimpiange quelle strazianti melodie e che ha trovato negli Exgenesis un ottimo surrogato. (Francesco Scarci)

Chat Pile - Remove Your Skin Please

#PER CHI AMA: Noise/Sludge, The Jesus Lizard
I Chat Pile è una band originaria di Oklahoma City che lo scorso anno se n'è uscita con due EP, di cui questo 'Remove Your Skin Please' è il secondo rilasciato sul finire dell'anno. Quattro pezzi all'insegna di un noise sludge con qualche venatura psych e grunge. Ascoltando l'opener "Dallas Beltway" penserei ad una versione più violenta dei The Doors, con la voce del frontman a blaterare come se fosse un novello Jim Morrison e la musica in sottofondo a mostrare un certo disagio interirore nel suo disarmante incedere, cosi sporco ed infimo, dotato però di una forte carica grooveggiante che alla fine me la fa adorare, ricordandomi un che dei The Jesus Lizard. L'inizio di "Mask" è ancor più coinvolgente, con quella sua vena post-punk che esce preponderante e le vocals sempre lamentose, a tratti parlate, comunque intrise di una elevata dose alcolica che le portano a sbraitare il loro disappunto con un fare grunge (mi sono venuti in mente anche i primissimi Nirvana) ma sul finire sfociano addirittura in un growling death metal. "Davis" è il terzo brano e sapete che potrebbe stare su un disco degli Ulcerate per quella sua ferocia sbilenca che non lo fa etichettare come death metal puramente per i vocalizzi puliti e urlati del cantante che ad un certo punto sembra addirittura dire "fottetevi". La canzone è comunque singolare tra parti psych noise e devastanti deragliamenti a livello ritmico che la spingono alle soglie del death metal. Peculiari e intriganti. La conclusiva "Garbage Man" è l'ultimo delirante episodio di un mini album che non è facilmente collocabile in un contenitore preciso. Qui infatti ci potrete sentire un mix tra hardcore, punk e sludge, il tutto cantato da un vocalist ormai alcolizzato. Sarebbe interessante ora saggiarli su un terreno più scivoloso, quello del full length, vediamo se sapranno accontentarci. (Francesco Scarci)

Firienholt - Beside the Roaring Sea

#PER CHI AMA: Black Epic, Summoning
Della serie "piccoli Summoning crescono", ecco che dalla contea del West Yorkshire arrivano questi Firienholt per un EP di due pezzi che ci racconta un po' di più di questa misteriosa band britannica al suo secondo lavoro. L'opener di 'Beside the Roaring Sea' è affidata alla lunga "The Haven Grey" e alle storie sugli elfi e a quell'universo immaginario creato da J.R.R. Tolkien ne 'Il Signore degli Anelli'. Il sound offerto dalla band di Leeds è all'insegna di un black epico ed atmosferico con tocchi di dungeon synth che ne garantiscono una magica riuscita. Buone le linee di chitarra, i break corali (uno in particolare all'ottavo minuto) che ci colloca immaginariamente al crocevia tra i due fiumi Celebrant e Anduin nella foresta di Lórien mentre si consuma un qualche rituale elfico. Buoni i vocalizzi del frontman inglese, abile sia con un growl molto intelligibile ma anche con insperate cleaning vocals. La seconda traccia è invece all'insegna del dungeon synth più puro, solo tastiere a narrare storie fantastiche di strane e magiche creature soprannaturali, un tempo parte preponderante delle credenze popolari dei popoli germanici. Dopo due EP, direi che ora è arrivato il momento di svelarsi al pubblico con qualcosa di più sostanzioso, che ve ne pare? (Francesco Scarci)

giovedì 11 giugno 2020

Brzask - S/t

#PER CHI AMA: Death/Black
Dall'area dei Sudeti, la catena montuosa che separa Germania, Polonia e Repubblica Ceca, arriva questa new sensation polacca, i Brzask, fautori di un death black che essi stessi definisco Sudetian Black Metal. Ecco, giusto per essere subito tranchant, mi viene da dire che quello proposto dal combo polacco (di cui non mi è dato di sapere nome e numero dei membri) in questo loro demo, è un death black come ce ne sono mille altri in giro. Quello che può sorprendere è semmai la presenza di break atmosferico in "Brzask I (White Ravine)", che va ad interrompere il mid-tempo fin qui proposto e al tempo stesso funge da miccia a un finale incendiario davvero convincente. Devo ammettere che poi in sottofondo sembrano palesarsi suoni derivanti dal folklore est europeo che a questo punto avrei enfatizzato maggiormente per dare un pizzico di personalità in più al sound dei nostri che anche nella seconda traccia, "Brzask II (Wind Incantation)" si confermano ascoltabili pur non incantando con nulla di innovativo. Se dovessi pensare ad un qualche paragone penserei ad un mix ancora abbastanza acerbo, sia chiaro, tra Nokturnal Mortum e Graveland. Insomma di strada ce n'è ancora parecchio da fare, ma le premesse potrebbero essere anche più che discrete, vista la presenza anche nell'ultima "Brzask III (Crimson Dawn Ritual)", di un incipit dotato di una vena misticheggiante, in un brano comunque dalle buone linee melodiche che ben si adattano alla rugosa voce del frontman polacco. Un interessante tocco atmosferico nella sua seconda metà, decisamente più ispirata, ne completano il quadro. Alla fine 'Brzask' è un biglietto da visita che rischia di non passare del tutto inosservato, cosi forse più di un paio di ascolti, mi verrebbe da dire, se li merita anche, non fosse altro per saperne di più di queste folkloriche leggende sudete. (Francesco Scarci)

martedì 9 giugno 2020

Diablerets - II: Scarborough

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Non sono proprio un grande fan dei Diablerets e credo l'abbia inteso anche il mio interlocutore che mi ha inviato la loro ultima fatica, dicendomi "dagli un ascolto ma non è proprio necessario che tu lo recensisca". Credo che tema un altro giudizio caustico da parte del sottoscritto dopo aver bistrattato il 7" del 2015 e non aver certo avuto parole al miele per il loro atto I del 2014. Il duo elvetico torna con le stralunate atmosfere di 'II: Scarborough' e le conusuete demoniache presenze si palesano già dall'opener "Scarborough", ossia una località turistica della contea del North Yorkshire sulla costa est inglese che deve aver particolarmente ispirato il duo svizzero (visto che qui hanno anche registrato l'album). La proposta è nuovamente all'insegna del drone più minimalista e durante il suo ascolto solo gli incubi più reconditi potranno affiorare dalle vostre distorte menti. Se non sapessi che il disco è uscito nel 2019, avrei immaginato che fosse stato concepito nel periodo di lockdown e che tutti i pensieri più insani fossero stati partoriti dalle menti alterate di Liönhell e AsC13 durante la loro reclusione forzata. I quasi 13 minuti di "Ravenscar" (altra località inglese) sono quanto di più proibitivo io sia stato in grado di affrontare in vita con il morboso dronico incedere dei nostri che viene invaso da uno spaventoso rituale con tanto di voci raccapriccianti in sottofondo, sebbene ci sia una parvenza di musicalità in background rilasciata da un malefico organo. Poi solo suoni del mare forse registrati proprio sul litorale britannico a chiudere il pezzo. "Devil's Dyke" fortunatamente dura un po' meno sebbene il risultato non cambi poi molto, fatto salvo per l'apocalittica presenza al microfono di R.M. degli Urna. Sono comunque suoni solo per menti stabili, io che stabile non lo sono, ho rischiato di finire pazzo e schiacciato dalla delirante componente sonica di questi artisti strampalati. "Coffinswell" e "Leatherhead" sono gli ultimi due oscuri episodi di questa dannata e mortifera release, il cui target francamente, si mantiene relegato ad un ristrettissimo numero di fan, che ancora una volta, non include il sottoscritto. Malvagi. (Francesco Scarci)

domenica 7 giugno 2020

Neumatic Parlo - All Purpose Slicer

#PER CHI AMA: Indie Rock, Radiohead
Il debutto su Unique Records dei tedeschi Neumatic Parlo, avviene sotto forma di EP. Un assaggio breve, composto da quattro brani dal tono ispirato e una verve indie di curata matrice anglosassone. La piccola compilation è figlia delle intuizioni elettroniche in ambito rock dei Radiohead, quelli della seconda fase di carriera, e di suggestioni più recenti della scena indie attuale, pescate nella musica alternativa internazionale, tra Block Party e Fontaines D.C.. Questi giovani nipotini dei Gang of Four (epoca 'Shrink Wrapped') provenienti da Düsseldorf, ripercorrono le vie ritmiche della new wave in chiave moderna, spingendo sui suoni sintetici di batteria e un sound etereo, cristallino. "Science Fiction Movie" è una canzone che spiazza per la splendida vena pop, con un cantato ed un'atmosfera che mi ricordano molto il genio di Matt Johnson con i suoi The The in una veste rimodernata e attualizzata, rivolta al pubblico giovanile del nostro tempo. Molto bella la tensione che si plasma su tutte le tracce a livello vocale, sicuramente degna e colma dell'ottimo insegnamento della scuola espressiva di Thom Yorke, mentre musicalmente, avrei spinto per un approccio più rock e meno elettronico come anima portante del lavoro. Comunque, al netto del mio personale parere, calcolando la volontà di emergere che pulsa in una giovane band e valutando quel tocco fruibile nelle tracce come un ulteriore trampolino di lancio voluto e ricercato, a mio avviso questo disco d'esordio, ascoltato in profondità, si rivela un buon lavoro, che lascia presagire ottimi prosegui per il futuro. Da segnalare, oltre alla notevole prestazione vocale, una sorta di sensazione che in lontananza ci sia un certo amore per le chitarre noise, una tensione costante e un'attitudine post punk che preme continuamente dietro l'angolo, lasciandomi immaginare eventuali sviluppi compositivi in ambito psichedelico/emozionale per un futuro di alto livello. In "Morning Metamophosis" si mescolano le due anime della band: una estremamente emotiva, che si palesa con una parte iniziale splendida, assai vicina alle atmosfere dei già citati Radiohead. La seconda, con quella sua evoluzione ritmica pulsante, diretta e sobria, mette in risalto il lato più punk della band teutonica, anche se qui l'ingresso di batteria e un arrangiamento non proprio all'altezza delle composizioni precedenti, mostrano il lato ancora acervo del combo teutonico. Nel complesso però, 'All Purpose Slicer' è un debutto ben confezionato che ci consegna una nuova band da tenere sotto osservazione per il prossimo futuro. (Bob Stoner)

Behemoth – A Forest EP

#PER CHI AMA: Black/Death
Che in seno ai Behemoth ci siano dei cambiamenti è chiaro da tempo: il black che si è poi evoluto in death metal è ancora in fase sperimentale, visto che la band di Nergal e compagni ha pensato bene di trovare il tempo per esprimere le proprie malefiche emozioni attraverso questo EP. 'A Forest' ovviamente tributa i The Cure e la loro immortale canzone datata ben 40 anni fa, e riproposta anche da altri act quali Carpathian Forest, Clan of Xymox e qualcun altro. L'ensemble polacco la promuove in una duplice versione, in studio e dal vivo, entrambe con il buon Niklas Kvarfoth (Shining) alla voce. Si parte con l'oscura e violenta versione in studio, in cui è il basso magnetico di Orion a fare da driver cosi come nell'originale, mentre i vocalizzi di Nergal si sovrappongono a quelli di Niklas in un dualismo vocale tra screaming e voci sofferenti, davvero incomparabile. Le chitarre fungono certo da ottimo arrangiamento non lesinando peraltro in robustezza da vendere. Il risultato alla fine è assai interessante, anche riproposta in sede live durante il Merry Christless a Varsavia e chiaramente molto apprezzata dal pubblico. Devo dire che riascoltandola, ho sentito un che dei primi My Dying Bride nel fuzz delle chitarre, per una versione dal vivo che spacca inevitabilmente i culi e che prova ad emanare un feeling affine a quello dell'originale. "Shadows Ov Ea Cast Upon Golgotha" è invece una song proveniente dai B-sides dell'ultimo 'I Loved You At Your Darkest'. Dotata di un forte piglio punk, in stile Motorhead, e di un drumming tribale mostruoso, la song mette in mostra un break centrale abbastanza interessante per quella sua linea melodica di chitarra, puro rock'n roll. A chiudere le danze ecco "Evoe", un black death fresco e corposo che ha modo di incorporare anche alcuni elementi heavy doom in una cavalcata senza confini, quelli che ormai i Behemoth hanno abbattuto da tempo per scoprire nuovi mondi ad essi affini. (Francesco Scarci)

(Metal Blade Records - 2020)
Voto: 74

https://www.facebook.com/behemoth

venerdì 5 giugno 2020

Insidual - Pure Hate

#PER CHI AMA: Djent/Deathcore
Il deathcore in US è diventato quasi un fenomeno sociale, ovunque le band suonano questo genere o suoi affini (metalcore, screamo, nu, etc). L'ultima band in cui mi sono imbattuto è rappresentata da questi Insidual, originari di Spokane nello stato di Washington, cosa alquanto inusuale visto che da quelle parti è invece il post (Cascadian) black a governare. Comunque 'Pure Hate' è un EP di tre pezzi che include anche il singolo uscito nel 2019, l'apripista "Shock Therapy". E il sound che si sente sin dalle prime battute è un deathcore fortemente ritmato, venato di influenze djent nella poliritmia delle sue chitarre e sporcato pure da una componente nu metal che per certi versi mi ha evocato un che degli Slipknot. La proposta è pertanto abbastanza corposa, con le solite chitarre decisamente ribassate, una voce growl che sembra quasi rappare, e il resto degli strumenti che donano ulteriore compattezza ai nostri. "Evisceration" continua su questa scia, con un sound disturbante, fatto di una sovrapposizione vocale psicotica, un riffing sincopato, un drumming rutilante, un'effettistica in background costantemente presente ed una serie di cambi di tempo e ritmo che sembra quasi di ascoltare tre canzoni differenti in una manciata di minuti, in cui compare anche il featuring di Sam Stickel. Molto interessante la conclusiva title track, vista la sua forte aura spettrale, e quei vocalizzi isterici che ben si amalgamano con una musica qui più ispirata che altrove, dotata sia di ottime atmosfere che di altrettante accelerazioni e frenate improvvise. Niente di nuovo sotto il sole alla fine con questa breve release degli statunitensi Insidual ancora legati ad alcuni stilemi del genere, ma vogliosi di imparare ed emergere. Sentiremo in futuro che cosa i nostri hanno imparato da questa prima esperienza. (Francesco Scarci)

giovedì 4 giugno 2020

Atheist - Unquestionable Presence

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Death
Atheist, Pestilence e Cynic sono stati uniti da un insolito triste destino: aver concepito degli album talmente fenomenali da essere stati compresi solamente da pochi individui. 'Unquestionable Presence' rappresenta il secondo lavoro della band statunitense, vero incrocio di sonorità death, progressive, techno e jazz. È un qualcosa che va ben oltre la normale concezione di death metal: è musica emozionante, suonata da musicisti tecnicamente mostruosi, in grado di emanare un feeling pazzesco anche in sede live. Il disco, che dura solo 32 minuti, è un fiume d’emozioni inarrestabile, caratterizzato da cambi di tempo repentini, aperture melodiche, frangenti spagnoleggianti, assoli da urlo, stacchi spaventosi di basso, atmosfere incredibili e quanto altro. L'assurda opener "Mother Man", la psicotica title track, l'iperbolica "Enthralled In Essence" o la superlativa "The Formative Years" rappresentano solo alcuni dei gioielli qui contenuti in grado di rendere questa release un must have per tutti gli amanti del death contaminato. Inarrivabili! (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 1991)
Voto: 95

https://www.facebook.com/AtheistBand/

Stellar Master Elite - Hologram Temple: Ominous

#PER CHI AMA: Black Death
EP nuovo di zecca per i tedeschi Stellar Master Elite che con questo 'Hologram Temple: Ominous' raggiungono il traguardo della quinta release (4 full length e appunto questo EP). Il quartetto di Treviri ci offre un trittico di canzoni che si mantengono nei paraggi di un death black sbilenco, contaminato da doom e suoni cibernetici. La conferma ci arriva infatti dall'opener "A New Galactic Empire", una song basata su un downtempo minimalista ed ipnotico, un black a rallentatore che sembra ripercorrere le orme primordiali del buon vecchio Conte Grishnackh (Burzum per gli amici) con echi dronici posti in sottofondo a rendere l'atmosfera decisamente più claustrofobica. Con "Mask" i giri del motore sembrano aumentare vorticosamente, con le vocals peraltro che passano dallo screaming aspro della opening track ad un growl più oscuro di questa seconda traccia. La song rimane tuttavia in bilico tra un death avanguardistico ed un black ipertirato, guidato stranamente dalle frustrate alla batteria e da una spettrale tastiera in background. La terza "Exposing the Lurking Threat of Layer X" è un brano strumentale (fatto salvo delle spoken words in chiusura) dall'approccio electro-cibernetico che riesce a donare un pizzico di interesse ad un'uscita che rischierebbe di passare ai più totalmente inosservata. (Francesco Scarci)

Ôros Kaù - Imperii Templum Aries

#PER CHI AMA: Black, Deathspell Omega, Aevangelist
Nemmeno Metal Archives mi ha saputo dire qualcosa di più di questo misterioso progetto chiamato Ôros Kaù. La band (stando alla pagina bandcamp sembrerebbe formata da un solo membro) arriva dal Belgio, ma a parte questo, altro non mi è dato sapere. Verosimilmente poi, 'Imperii Templum Aries' dovrebbe rappresentare l'album d'esordio per il mastermind belga, ma a parte tutte queste informazioni frammentate, credo sia meglio dedicarsi esclusivamente alla musica mortifera di questa band occulta. Quando "Zepar" irrompe a gamba tesa nel mio stereo, la sensazione che provo è di terrificante orrore, un'orgia di suoni e grida malvagie, un caos di black putrido ricco di riverberi e sonorità dissonanti che potrebbero ricordare per certi versi le alchimie infernali dei Deathspell Omega. Uno screaming efferato accompagnato da un growling possente alimentano le nefandezze sonore perpetrate in questa abominevole prima traccia che prosegue con l'assalto mortifero di "Shax". Non c'è troppo spazio per le melodie da queste parti, nemmeno per le sperimentazioni, a meno che non vogliamo considerare quest'impasto sonoro una sperimentazione fine a se stessa. La furia liberata dalla seconda traccia trova nella narrazione canora del suo infausto portavoce, un elemento di grande interesse. Le chitarre macinano riffoni spaventosi, ove non è cosi semplice identificare gli elementi che costituiscono la ritmica cosi traboccante di questo terrorista sonoro. La voce nel corso del brano sembra fare il verso anche ad Attila Csihar e ben ci sta, visto il genere affine a quello dei Mayhem di 'De Mysteriis Dom Sathanas'. La babele sonora regna sovrana anche nella terza "Belial", una song che vede finalmente una flebile fiammella di melodia nel marasma sonico in cui saprà condurvi. Le chitarre in sottofondo qui sono sinistre, pur sembrando completamente slegate da tutto quello che sta accadendo in primo piano con batteria e vocalizzi infernali. E poi finalmente un mefistofelico break atmosferico che sembra preannunciare la fine dell'umanità, spazzata via dalla cattiveria dell'umanità stessa. "AešmaDaeva" è più ritmata ma con le chitarre sempre votate all'insana liberazione di suoni maligni che sembrano provenire direttamente dal cuore pulsante dell'Inferno. Qui finalmente fa la sua comparsa una componente melodica che ammicca più brutalmente ad un ipotetico mostro con corpo e testa dei Blut Aus Nord e gambe degli Aevangelist. La follia prosegue nel turbinio funereo di "Furfur", un'altra dimostrazione di come sia possibile respirare i fumi sulfurei degli inferi senza necessariamente doverci andare fisicamente. La galoppata in compagnia dei demoni del regno dell'oltretomba prosegue con la misticheggiante "Forneus", laddove la voce del mastermind belga assume quasi connotati salmodianti e dove la ritmica si conferma annichilente in modi ancor più imprevedibili e schizofrenici, quasi la linea di chitarra e basso si muova a zig-zag in un incedere sbilenco, per poi investirci sul finale con un muro ritmico schiacciante. A volte mi domando cosa possa portare a concepire suoni cosi malsani, quali assurdi meccanismi mentali possono aver indotto l'elaborazione di tali abomini musicali che sembrano concretizzarsi nell'ultimo incubo ad occhi aperti. Signori, ecco appunto la follia siderale di "Leraje", il penultimo tumultuoso pezzo che anticipa la cover posta a chiudere 'Imperii Templum Aries'. E per un disco di simile portata delirante, perchè mai non proporre una cover dei Pink Floyd di Syd Barrett, l'alienato e psicotico fondatore della band inglese. E quale traccia migliore di “Set the Controls for the Heart of the Sun” per dar voce alle surreali visioni del musicista belga, riletta in chiave contemporanea, a cavallo tra space rock e black metal. Il risultato è ovviamente interessante e psicotico al punto giusto e ben si adatta alla proposta degli Ôros Kaù, avvalorandone peraltro il mio giudizio complessivo. (Francesco Scarci)

(Epictural Productions - 2020)
Voto: 78

https://oroskau.bandcamp.com/album/--2

lunedì 1 giugno 2020

Duthaig - Harlech's Sleep/Cyhyraeth

#PER CHI AMA: Post Black
Giusto un paio di pezzi per valutare il demo cd degli svizzeri Duthaig, 'Harlech's Sleep/Cyhyraeth', ossia il titolo dei brani in esso inclusi. Il quartetto di Losanna, formatosi solo nel 2019 ed ispirato dalla tradizione celtica, irrompe con i riverberi ancestrali di "Harlech's Sleep", l'aggressiva opener di otto minuti che ha subito l'ardito compito di delineare il sound dei nostri. Riffing glaciale, harsh vocals, una valida componente tastieristica che ammorbidisce l'impatto altrimenti brutale della band elvetica. Le sorprese non finiscono certo qui, perchè alla soglia del terzo minuto, i furiosi blast beat e le chitarre acuminate, vengono interrotte da un break ambient dal forte sapore bucolico. Ma in brevissimo tempo il sound dell'ensemble torna ad irrobustirsi con il velenoso tremolo picking della chitarra a costruire una ritmica pungente che trova però in un mood più malinconico, fonte di salvezza dalla ferocia della band. E poi il finale, ancora votato all'ambient, rende giustizia ad una traccia altrimenti troppo raw-oriented. È il turno poi di "Cyhyraeth" e l'inizio imbastito da un post-black furioso non promette certo bene, complice un fitto marasma sonoro che riempie le nostre orecchie, annichilendoci i neuroni. La tempesta sonora però trova il suo attimo di pace a metà brano con un dialogo che pare estrapolato da un film e delle tiepide melodie che preservano fortunatamente i nostri padiglioni auricolari prima del gran finale, tirato ma comunque atmosferico, di quest'opera prima dei Duthaig, un nome da appuntare sui nostri taccuini, in un'ottica futura. (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 68

https://duthaig.bandcamp.com

Vast Souls - Voice of the Burned

#PER CHI AMA: Atmospheric Epic Black, Windir, Agalloch
Lo scorso 2019 usciva autoprodotto il debut album della one-man-band canadese Vast Souls, in questo 2020 ripreso dall'etichetta russa Narcoleptica Productions. 'Voice of the Burned' rappresenta il primo vagito di Echo, polistrumentista originario di Vancouver. Sei i pezzi a disposizione per il mastermind di quest'ogg per affrontare un viaggio introspettivo attraverso la natura umana, tra la morte e la rinascita, affrontando l'orrore e le bellezze del cosmo, il tutto attraverso un black atmosferico dalle forti tinte autunnali. L'odissea per l'autore inizia dall'incantesimo iniziale di "Zenith", una splendida traccia di black intrisa di una potente aura malinconica che si esplica attraverso desolanti break ambient, ove lo screaming affranto di Echo è accompagnato dai soli tocchi di un'impalpabile tastiera. "The Felling of the Sacred Tree" è il secondo capitolo del lungo viaggio pianificato da Echo, attraverso un percorso che va ben oltre i 13 minuti di durata, grazie ad un black lento e venato di quel mood depressive tipico di act quali gli Shining (quelli svedesi). Ampio spazio quindi per i momenti atmosferici dove dar modo al frontman di esibire vocalmente tutte i suoi oscuri pensieri ma anche da cui ripartire con galoppate post-black o epici riff di windiriana memoria che segnano l'ascolto di questo davvero interessante lavoro. Un altro lungo pezzo questa volta che si assesta oltre il muro dei 12 minuti, ecco "Runes Beneath the Bark", un altro piccolo segmento di tristi emozioni elaborate attraverso una lunga parte iniziale affidata alla voce del factotum canadese e della sua magica tastiera. Poi ancora spazio alle riverberate ed epiche linee di chitarra, ai desolati intrecci melodici e a tutta la magia di un suono che non finisce di stupire, richiamando per certi versi qui gli Agalloch più ispirati, anche se per raggiungere le vette dei maestri, servono ancora degli aggiustamenti nel marasma sonora in cui Echo tende talvolta a incunearsi. Ma niente paura, i margini di miglioramento sembrano abbastanza importanti, soprattutto quando arriva il turno di "The Great Sentinel"e per il mio cuore è un altro tuffo nel passato dei Windir, forse qui meno epico, ma di sicuro impatto emozionale, laddove più ampio spazio viene lasciato all'afflato strumentale del musicista nord americano. Quando invece Echo concede spazio alle sue harsh vocals, diciamo che l'effetto emotivo tende ad assottigliarsi. Nulla di grave per carità, ma in una prossima release lavorerei di più su una preponderanza strumentale piuttosto che a dar più voce alle corde vocali. "Stream of Aeons" parte già rutilante nel suo tappeto ritmico, con le chitarre scarnificate al massimo nella loro essenza (al pari dello screaming), di contro, la batteria vanta momenti in cui emerge forte il tamburo quasi a scandire il trascorrere del tempo. La sensazione è che questa song sia stata scritta in un periodo anteriore rispetto alle altre, forse perchè mostra un mood leggermente più old school, pur mantenendo comunque integri gli ingredienti che caratterizzano il sound dei Vast Souls. L'intermezzo atmosferico non manca nemmeno qui, seppur in versione più minimalista, ma è proprio da qui che si riparte con un'altra splendida galoppata di black epico e struggente in un climax ascendente, a tratti davvero da brividi. "Ether" è l'ultimo pezzo di questo gioiellino: inizio acustico, solo caldi colori autunnali quelli che si configurano nella mente mentre ascolto le note appaganti dell'incipit che obnubilano i sensi prima che irrompa il cantato di Echo ed una ritmica che si mantiene comunque in territori black mid-tempo compassati che chiudono con un ultimo arpeggio, un disco dotato di molte luci e qualche ombra che andrà sicuramente diradandosi in una delle prossime release. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions - 2020)
Voto: 78

https://vastsouls.bandcamp.com/