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sabato 29 aprile 2023

Blind Ride - Paranoid-Critical Method

#PER CHI AMA: Garage Rock/Post Punk
Per Dalí, la rielaborazione razionale delle conseguenze della paranoia, ovvero le delusioni, le allucinazioni e il delirio, rappresentano il processo critico, concetto sul quale poggia la nascita del disco di debutto dei molisani Blind Ride, ‘Paranoid-Critical Method’, che esce tre anni dopo l’EP ‘Too Fast for a Sick Dog’ che ci aveva fatto conoscere la band italica. Ora il terzetto torna più in forma che mai con un sound scontroso ma atmosferico, pesante ma vellutato, il tutto certificato dall’apertura affidata a “Surrogate of a Dream” che mi conquista immediatamente con quella sua matrice ossessiva che sembra coniugare dissonante post punk e garage rock. Il post punk esplode forte anche nella successiva distorsiva “Relationship Goals”, un pezzo che per certi versi mi ha evocato lo spettro dei Fountains D.C. che vanta peraltro un fantastico lavoro alle chitarre nel finale. “For You” ci prende a schiaffi con un groviglio di riff marci quanto basta per catapultarci indietro nel tempo di una trentina d’anni (chi ha detto Sonic Youth?), con la voce di Marco Franceschelli a mandare a fare in culo il mondo intero. “Holy Arrogance” è un manifesto contro le guerre fatte in nome della religione, che si muove su una ritmica piuttosto lineare e che mostra un buon lavoro alle percussioni, al pari di quello delle chitarre. Con “Numbers” ci si muove nei paraggi di uno psych rock compassato, melodico ed ispirato, tale da renderla anche la mia traccia preferita del disco. È decisamente in questa veste più raffinata ed elegante che preferisco infatti i Blind Ride, anche se devo ammettere che il loro fare “arrogante” non mi dispiaccia affatto, come testimoniato nelle chitarre sghembe di “Corporate Rock” e nelle sue lugubri atmosfere dark punk di primi anni ’80. Una modalità che sembra ripetersi anche nella tribalità stoner psych rock di “Stranger to My Eyes”. A decretare la fine dei giochi ci pensa la frenesia pulsante acid rock della strumentale “A Song Without Words”, che sottolinea la capacità dei Blind Ride nel districarsi positivamente in territori musicali battuti e strabattuti. Bravi! (Francesco Scarci)

Khanate - S/t

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Doom/Drone
Ammetto di non sapere assolutamente nulla riguardo questa band newyorkese, cosi come devo ammettere che la copertina non mi ispirasse molto, ed invece mi sono ricreduto dopo aver ascoltato almeno quattro o cinque minuti della prima lunghissima song, "Pieces of Quiet". Mi ci sono voluti almeno cinque minuti di ascolto perché non sapevo se la band stesse scherzando oppure no, visto l'ultra slow doom proposto, cosi come tradizione vuole. Chitarre distorte e pesanti, tempi al limite dell’ossessione, a tratti sembra anche molto stoner, ma questo è doom metal, e poi, la cosa che mi ha colpito di più, la voce, stridula e gracchiante, sembra che gli stessero strappando le corde vocali. Questi erano i Khanate (oggi ormai scioltisi), che si pronuncia CON-EIGHT, che erano formati da membri di OLD e BURNING WITCH, e cosa volete di più.

(Southern Lord Recordings - 2001)
Voto: 70

https://www.metal-archives.com/bands/Khanate/


Les Dunes - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
Come evolvono a volte le cose. La Norvegia, patria natia del black metal, ora è fucina infinita di talenti che si muovono in un sottobosco brulicante di eleganti sonorità post, prog e symph rock che ci hanno permesso ultimamente di perlustrare in lungo e in largo il territorio scandinavo. Oggi mi fermo a Haugesund, piccolo paesino nella contea di Rogaland, luogo da cui provengono questi Les Dunes. Anche qui, che cambiamento: una volta s’incensava la lingua degli antenati vichinghi, oggi si utilizza addirittura la lingua di altre nazioni. I Les Dunes non sono poi gli ultimi arrivati, visto che tra le proprie fila, inglobano membri di The Low Frequency in Stereo, Lumen Drones, Helldorado, Undergrunnen e Action & Tension & Space, che in questo album autointitolato, sciorinano otto pezzi strumentali condensanti post rock dai tratti dilatati, malinconici e meditabondi, che potrebbero evocare le sonorità intimiste di act quali Explosions in the Sky o addirittura Sigur Rós, laddove il trio si lancia in partiture più ambient (“Keisarholi”). Un approccio cosi tranquillo, che sfiora lo slowcore degli anni ’90, fatto di chitarre in tremolo picking, melodie soffuse (“Spectral Lanes”) e suoni minimalisti, ha però pregi e tanti difetti: nei primi collocherei una sana voglia di abbandonarsi ad un mondo sognante, tra i difetti, il fatto che dopo sole quattro canzoni non ne posso davvero più di andar oltre, inducendomi a slittare la finalizzazione della mia recensione il giorno seguente. L’effetto però si è rivelato il medesimo, con quello stesso desiderio di skippare al brano successivo e poi ancora avanti, perché dopo un po’, l’ascolto diventa dilaniante, noioso (“Zosima”), nonostante la band sia comunque composta da ottimi musicisti. Il fatto che rimane è che dopo un po’ non se ne può più, sebbene qualche buon spunto sia anche riscontrabile nel disco, ma forse qui più che altrove, l’assenza di un vocalist si fa sentire più che mai. In definitiva, ‘Les Dunes’ è un disco che mi sento di consigliare a chi non può proprio fare a meno della dose quotidiana di post rock strumentale, tutti gli altri si astengano se non vogliono ritrovarsi con un cappio al collo dopo pochi minuti. (Francesco Scarci)

(Kapitän Platte – 2023)
Voto: 60

https://lesdunes.bandcamp.com/album/les-dunes

Suffocation - Blood Oath

#FOR FANS OF: Brutal Death
Downright abrasive to the ear lobes! What a masterpiece, I cannot say what a riff that's been played on here that was in an ill place or poorly played. All seemed to fall into place perfectly. Vocals are top-notch as well! They're compliment the dark death metal that goes alongside it. The leads were immaculate, too. I believe this was one of the last LP's that's with Frank Mullen on vocals. I think he did a couple more until he hung it up with Suffocation. What a tragedy, as well. He was one of the driving forces for the band and always had been. Well, hold on tight to these vocals here and embrace the music!

The majority of the music on here is downright brutal riffs. Along with Frank's vocals the music just tears it up. Tempos vary from a blitzkrieg of fury to moderate to slower, but technical riffs. All in all, this is an abomination of soul in the dark feeling of despair. Their earlier material shows more disruption into faster flowing riffs. On here, they pretty much shoot on all fronts of metal. That's what makes this release so likable. You'll find that they flow more freely in the realm of slower riffs with the drums backing up the guitars gruntingly. And the lead guitars are all so very technical in flowing.

Frank leads the way though on this album, he belts out his grunting and the music follows his lead quite solemnly. The band does a great job collectively. Again, it's a slower paced Suffocation release, but it's still magnificent in composition. The sound quality is top notch and you can hear everything pieced together. That's what lacked in their earlier recordings...the production was lacking in good sound but on here it's top notch. Everything seems to flow together and all instruments/vocals share triumphant bits of music throughout. I think this is one of my favorite ones ABSOLUTELY!

I heard this on Spotify first off and decided that I needed the CD itself. That's how highly I esteem this release. It goes from death metal to brutal death metal to doom metal all in one release. There just is a lot of fluctuation on here which makes it so versatile! It's a bit under an hour of great metal! If you think otherwise when you hear this, I would be appalled. This album just dominates through and through. It's a somewhat different Suffocation release in that the production is better but the music is more chargingly dismantled. From every avenue this release topples it all! Check it out! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2009)
Score: 85

https://www.facebook.com/suffocation/

Magnify the Sound - Don’t Give Us that Face

#PER CHI AMA: Suoni Sperimentali
Non certo una passeggiata la recensione del duo norvegese che risponde al nome di Magnify the Sound, una band in giro ormai dal 2010, ma di cui francamente non avevo mai sentito parlare, se non fosse che uno dei membri fondatori è Trond Engum che a suo tempo fondò pure i The 3rd and the Mortal e i The Soundbyte, il che aumenta a dismisura la mia curiosità. Escono con un nuovo album quindi, e ‘Don’t Give Us that Face’ sembra essere di primo acchito un esercizio di improvvisazione musicale che esplode potente nelle nostre orecchie (io l’ho ascoltato con la cuffia ed è stata una figata). Quello che deve essere immediatamente chiaro è che verremo sommersi da 40 minuti di suoni unici, affidati a chitarre, a una batteria pazzesca (a cura del jazzista Carl Haakon Waadeland) e all’elettronica, il tutto ideato come una sorta di jam session catartica proiettata nell’universo, un po’ alla stregua dei suoni della sonda Voyager I che inglobavano quelli naturali (le onde del mare o il vento), quelli prodotti dagli animali, come il canto degli uccelli e le balene, cosi come pure percussioni senegalesi o musiche di Bach, Chuck Berry o Mozart. Ecco, se avete avuto modo di ascoltare quel disco d’oro inserito nella famosissima sonda lanciata nello spazio infinito, e poi vi approccerete a questo 'Don’t Give Us that Face', le sensazioni sovrannaturali che sperimenterete potrebbero essere alquanto similari. Difficile parlarvi quindi di un brano piuttosto che di un altro, il flusso sonoro deve essere gustato tutto d’un fiato dall’inizio alla fine, liberi da ogni pregiudizio di sorta, e poi anche voi sarete pronti a contemplare l’infinito dello spazio profondo, ve lo posso garantire. (Francesco Scarci)

(Crispin Glover Records – 2023)
Voto: 74

https://facebook.com/MagnifyTheSound


The Pit Tips

Francesco Scarci

Dødheimsgard - Black Medium Current
Great Cold Emptiness - Immaculate Hearts Will Triumph
Lost in Kiev - Rupture

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Death8699

Arch Enemy - Deceivers
Megadeth - The Sick...The Dying and the Dead
Metallica - 72 Seasons

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Alain González Artola

Soul Dissolution - SORA
Downfall of Gaia - Silhouettes of Disgust
Vintertodt - Under Endless Invented Night

 

giovedì 27 aprile 2023

Svntax Error - The Vanishing Existence

#PER CHI AMA: Psych/Post Rock
Era da un po’ che non avevo dischi della Bird’s Robe Records da recensire, ci pensavo qualche giorno fa, eccomi accontentato. A giungermi in soccorso in questa mia richiesta, ecco arrivare i Svntax Error, band australiana che rilascia questo ‘The Vanishing Existence’ a distanza di quattro anni dal precedente ‘Message’. La proposta, come potrete intuire dall’etichetta discografica, è un fluido post rock (semi)strumentale come solo la Label di Sydney sa offrire. Dico fluido perché è la prima sensazione che ho fatto mia durante l’ascolto della traccia d’apertura “Radio Silence”, timida, psichedelica, quasi ipnotica, a cui si aggiunge poi quell’ipnotismo claustrofobico intimista della seconda “Broken Nightmares”, che vede peraltro comparire la voce di Ben Aylward in un pezzo dai forti brividi lungo la schiena, un vellutato manto di dolce malinconia che fa allineare i miei chakra a quelli dei musicisti originari di Sydney. “215 Days” è ancora imbevuta di note di velluto, flebili e morbide come la famosa copertina di Linus, un porto sicuro, un abbraccio della persona amata, un posto dove piangere, riflettere o rilassarsi. “Circular Argument” è invece un pezzo più da lounge bar, di quelli dove un riff o un giro di chitarra si fissa nel cervello e da li non si muove; nel medesimo brano ritorna anche la voce del frontman a confortarci con la sua ugola gentile. Esperimento che si ripeterà anche nella percussiva, arrembante e ben riuscita “Relentless”, un brano che mi ha in questo caso richiamato gli Archive più sperimentali, e nella conclusiva “Backwards Through the Storm”, in una sorta di tributo ai Tool. La title track si affida ad un post rock strumentale cupo e dal flavour notturno, che nella sua crescente dinamicità, potrebbe addirittura evocare un che dei Pink Floyd. Ultima menzione per “Kelvin Waves Goodbye”, con i sentori pink floydiani che si coniugano alla perfezione con gli estetismi shoegaze dei Mogwai, ma dove a prendersi tutta la scena, è in realtà lo spettacolare suono del theremin di Matthew Syres. Provare per credere il crescendo di un brano di una portata spettacolare, unico ed epico, che vi invito decisamente a supportare. (Francesco Scarci)

mercoledì 26 aprile 2023

Karnak - Melodies of Sperm Composed

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Techno Death
La band in questione nasce come Subtraction nel ’93 con una line-up differente; dopo cambi di formazione, di monicker, correzioni di stile, tre demo tape, un mini cd ed un cd, giungono a questo lavoro intitolato 'Melodies of Sperm Composed'. Non avevo mai ascoltato nulla di questa band e non immaginavo che in Italia esistesse un gruppo del genere! Infatti il sound del gruppo è composto da una personale e strabigliante miscela di death metal ipertecnico dal gran gusto compositivo e dalla grande varietà di idee ove ogni musicista dà l’impossibile ed ogni secondo di ascolto si rivela una sorpresa! Questi quattro matti sono irraggiungibili ma il più malato è probabilmente Gabriele Pala: le sue parti di chitarra sono folli e quelle di tastiera sono macabre, morbose, deviate, allucinanti, squilibrate, originalissime e totalmente fuori dall’ordinario! Questo gruppo insegna qui a come usare la tecnica come mezzo e non come fine, e spaccando pure il culo! Insomma, immaginate un disco che comprenda l’influeza di Meshuggah, Arcturus, Death, Nocturnus, Pestilence, Voivod, Cynic e compagnia bella, non era questo che stavate aspettando? Le liriche di questo disco parlano poi di malatissime perversioni e visioni di assassini ormai completamente estraniati dal mondo e probabilmente lo è anche chi le ha scritte! La stravaganza delle parti musicali calza perfettamente con le incredibli nefandezze raccontate dai testi. L’artwork è curato e a tema. La produzione è buona e il fatto che il disco sia stato registrato in soli quattro giorni, conferma l’eccelsa abilità dei componenti di questo magistrale gruppo. Ottimo lavoro.

(The Twelfth Planet Records - 2001)
Voto: 80

https://www.facebook.com/karnak.death/

Fiesta Alba - S/t

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Se cercate qualcosa che possa alterare i vostri sensi con sonorità stravaganti, oggi potreste essere nel posto giusto. Si perché questi Fiesta Alba provano a ridare un po’ di vitalità ad una miscela di suoni stralunati che sembrano pescare qua e là indistintamente da funk (alla Primus), post punk, math rock, alternative e sperimentazioni varie. Tutto chiaro no? Per me francamente non è stato proprio così semplice, visto che ho dovuto ascoltare e riascoltare l'ipnotico trip iniziale affidato a “Laundry” diverse volte. Eppure, ho vinto le mie paure e mi sono lasciato sedurre da quel sound sperimentale, contaminato da un certo percussionismo etnico, dall’elettronica, dal funk e appunto dal post punk (prettamente a livello vocale, ove segnalerei la comparsata del primo ospite dell’album, Nicholas Welle Angeletti). Più si avanza nell’ascolto e più diventa complicato per uno come me abituato a pane e black/death metal. In “Juicy Lips” vengo addirittura inglobato in una spirale dub, in cui i suoni si ripetono in un inquietante moto circolare con un cantato, ad opera della guest The Brooklyn Guy, che sbanda pericolosamente nel rap, mentre quel che rimane delle chitarre (qui sommerse da un massivo lavoro elettronico), vaga per cazzi propri in caleidoscopici universi paralleli, di cui ignoravo l’esistenza. Un turbinio sonoro che evolve in un chitarrismo dissonante nella successiva “Dem Say”, che sembra consengnarci un'altra band, in grado qui di condurci nel cuore dell’Africa nera, grazie ad un’effettistica mai ingombrante, ma che comunque ci distrae da tutto quello di folle che va comunque palesandosi nel corso di questo brano, con una voce (il featuring è qui del nigeriano Kylo Osprey) che narra di favole sulla madre di tutte le terre mentre un virtuosismo chitarristico da paura (in tremolo picking) gioca con le note in sottofondo. “Burkina Phase” combina splendide e ariose chitarre all’elettronica, in un incastro di suoni ricercati, mentre una flebile voce (Thomas Sankara) estratta dal “Summit Panafricano, 1987”, sembra gridare il suo desiderio di libertà verso il neocolonialismo. Il movimento funky richiama anche in questo caso l’estetica freak e zappiana dei Primus, l’elettronica evoca il kraut rock germanico, ma quel sax in bella mostra emana vorticose emozioni jazz. La chiusura del disco è affidata a “Octagon”, un pezzo elettronico, un battito del cuore, un ossessivo agglomerato di suoni che sancisce la genialità di questo misterioso ensemble formato da quattro lottatori mascherati, Octagon, Pyerroth, Fishman e Dos Caras, che sapranno assoldarvi nella loro lotta contro il conformismo della società contemporanea. Io sono pronto ad unirmi alla sommossa popolare dei Fiesta Alba e voi? (Francesco Scarci)

(Neontoaster Multimedia Dept – 2023)
Voto: 75

https://fiestaalba.bandcamp.com/album/fiesta-alba

martedì 25 aprile 2023

Wintarnaht - Anþjaz

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Formatisi originariamente col moniker Winternight e come one man band capitanata dal bardo Grimwald (che sta dietro anche a band quali Dauþuz e Isgalder, oltre ad essere un ex di molte altre), il buon mastermind ha poi tradotto il proprio nome nella forma germanica più arcaica, ossia Wintarnaht, proponendo una commistione di suoni epic black pagani in questo lavoro intitolato ‘Anþjaz’. La classica intro atmosferica e poi via alle epiche battaglie già dalla title track di questo quinto album della band della Turingia. Se la copertina del cd lasciava presagire un prodotto scarno e forse mal registrato, in realtà ho trovato i contenuti di ‘Anþjaz’ al pari dei primi brillanti lavori dei Menhir (fatalità anche loro della Turingia, quasi ci fosse un magico sottobosco in quella zona di foreste della Germania) in grado di quindi di sciorinare un pomposo concentrato di black ispiratissimo che si muove tra arcaiche melodie, cori folklorici e galoppate di black furente, che trova però spesso e volentieri rallentamenti atmosferici che rendono il tutto decisamente più gustoso e appetibile (ascoltatevi “Wint Zuo Storm” per meglio comprendere il flusso musicale del factotum teutonico). “Regangrâo” è un bell’intermezzo acustico che ci conduce alla devastante “Haimaerþa”, una scheggia impazzita di black grondante odio nelle sue ritmiche infuocate e nel growling/screaming efferato del frontman. Grimwald picchia sicuramente come un fabbro, ma stempera l’irruenza del black con i suoi intermezzi folk con tanto di cori, che per certi versi mi hanno evocato gli Isengard. Nella lunga e tenebrosa “Untar þe Germinâri Mâno”, il black si sporca di sonorità doom che vedono in splendide aperture chitarristiche, tiepidi squarci di luce, cosi come pure il cantato pulito rende tutto evocativo, al pari di un basso che macina lugubri suoni in sottofondo. Ancora un break strumentale e poi arrivano le ultime due tracce, di cui vorrei sottolineare la vivacità di “Staingrab in þe Morganbrâdam”, ove ho la sensazione di captare tracce di Absu nelle sue linee di chitarra che nel finale, si sbizzarriscono in una ritmica impetuosa e devastante, diluita solo dal lavoro delle tastiere e dai molteplici cambi di tempo e coro. In chiusura, “Ûzfaran” sembra nascere dalla chitarra di un impavido menestrello, per poi evolvere in una sorta di rituale sciamanico che chiude alla grande un lavoro a cui francamente non avrei dato un euro e che invece ha saputo conquistarmi per i suoi interessanti contenuti. Ben fatto. (Francesco Scarci)

Zagara - Duat

#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ascolto di questo album mi lascia più di un punto di domanda. La band torinese, alla sua seconda uscita discografica, parte molto bene, e fino al quarto brano, "Apophis", strumentale e sperimentale in senso electro ambient rumorista, si comporta in modo degno di lode, curando testi e artwork in maniera ottimale. Le idee su cui imbastiscono il loro scopo sonoro sono attraenti, tra cantato e sfumature melodiche che raccolgono frammenti di prog rock italico dei mitici anni '70 miscelato a un alternative sound capitanato da una distorsione zanzarosa, esplosiva e accattivante, che espande l'idea di trovarsi di fronte ad una band assai originale, con richiami alla new wave degli '80 di Faust'o e Denovo, cosi come pure trapela una dose di passione per l'electro rock e l'elettronica nazionale moderna. Il tutto lascia sperare in un piccolo miracolo dei giorni nostri, visto come ce la passiamo per via di musica cantata in lingua madre in Italia. "Maat", "Quello che ha un Peso", "Se ha Fame" e appunto "Apophis", hanno questo sentore, se poi ci si aggiunge quel giusto pizzico di alternative rock emotivo, di vecchia scuola Afterhours o Verdena, senza difficoltà, ci si rende subito conto che i primi quattro brani diventano molto piacevoli. Questa sensazione purtroppo, viene a decadere nei successivi brani, dove l'ispirazione sembra attenuarsi per aprirsi a strade, per così dire più consone allo standard commerciale italico. Intendiamoci, l'album è ben fatto e ben prodotto, la band suona bene e quello che fa, lo fa bene, ma quando cade la tensione e si opta per aperture pop rock, dalla dubbia intuizione compositiva, sulla falsariga dei Coldplay di recente ascolto ("Pezzi di Ossa"), oppure, si crolla crudelmente in uno stile sanremese ("lluminami"), che crea una voragine tra i primi quattro brani e i successivi tre, bisogna prendere atto di un certo sconforto musicale. E se "Illuminami" dicevo potrebbe partecipare e vincere tranquillamente la kermesse ligure, "Amnesia", finalmente, risolleva la verve dei Zagara e si riappropria un po' di quel coraggio sperimentale presente all'inizio del disco. "Sole e Limo" parte un po' in sordina, ma ha un bellissimo finale, estremamente distorto, che compensa un'evoluzione abbastanza piatta. La chiusura è affidata a quello che probabilmente è il brano più intenso del disco, "Lago", che con coraggio, unisce ritmica post rock ad un cantato/recitato ad effetto, in un'atmosfera surreale e drammatica, con delle sospensioni temporali di scuola floydiana, miste ad aperture ed evoluzioni teatrali veramente intriganti. Un brano, a mio avviso, che può, e deve dare, la direzione artistica futura di questa band, che sembra non aver ancora trovato la sua vera identità, ma che ha tutte le carte in regola per divenire un qualcosa di veramente originale nel panorama italiano. Rimaniamo in paziente attesa. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2022)
Voto: 69

https://zagara.bandcamp.com/album/duat

Drakon - П​р​о​б​у​ж​д​е​н​и​е (Awakening)

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Mi fa piacere poter constatare che nonostante gli strascichi della guerra, arrivino nella mia cassetta della posta, ancora cd dalla Russia. Sapete come la penso, per me la musica non ha confini, non ha colori, nè bandiere. Quindi il mio giudizio sui Drakon e sul loro lavoro ‘П​р​о​б​у​ж​д​е​н​и​е’ (‘Awakening’ in inglese) è libero da ogni forma di pregiudizio. Concentriamoci quindi su quello che è a tutti gli effetti il disco di debutto del duo di Chelyabinsk (che conta anche tre EP all’attivo) e su sonorità che sin dall’iniziale “Closedness of Forest Darkness” mi hanno evocato i fasti degli Emperor. Ecco, avrete già inquadrato la musica dei nostri che peraltro includono in formazione anche il vocalist Demether Grail, un vagabondo del metal che abbiamo già incontrato nei Lunae Ortus, negli Shallow Rivers, negli Skylord e negli Arcanorum Astrum, giusto per citare le esperienze più significative. Tornando alla musica, il disco include sette song che sono fondamentalmente un inno al black metal old fashion di metà anni ’90, “sporcato” di una leggera vena melodica che rende sicuramente di più facile approccio l’ascolto di questo disco. Infatti anche la seconda “In the Gloomy Feuding” (userò i titoli in inglese forniti dalla band per facilitarne la memorizzazione) parte sparata alla velocità della luce, con ritmiche vertiginose, chitarre in tremolo picking e le classiche screaming vocals, come andava di moda negli anni d’oro del black norvegese, per poi trovare un delizioso break centrale che ne attutisce toni e velocità. L’incipit di “Lunar Path” è cupo e successivamente frastornante a livello ritmico, con una batteria che sferra colpi alla stregua di una mitragliatrice M60 e con la voce del frontman, che esce come proiettili da quello strumento infernale. Fortunatamente, un break atmosferico rende l’aria appena più respirabile, ma ben presto la band ripartirà da ritmi infuocati e acidi vocalizzi. Ecco, diciamo niente di nuovo dal fronte orientale. La proposta dei Drakon va ad appiattire una scena sempre più povera di proposte originali, anche se vorrei sottolineare che quella dei due musicisti russi non è assolutamente una prova da bocciare. Anzi, qualcosa di buono si sente, soprattutto nella più compassata e melodica “In the Murk of Night”, ma il messaggio che deve passare chiaro qui, è che non c’è una sola nota in questo disco che possa dirsi dotato di una certa personalità. Per quanto mi riguarda, i Drakon hanno preso il testimone da alcune realtà norvegesi di 30 anni fa e stanno provando semplicemente a portarne avanti il verbo con risultati accettabili. Un paio di menzioni prima di chiudere vanno all’acuminatissimo riffing di “Above All” e all’epica robustezza di “Ode to North”, quest’ultimo forse l’episodio meglio riuscito di ‘Awakening’, che vanta peraltro un notevole assolo a cura di tal Pavel Sochev, personaggio esterno alla band, cosi come il bassista Vadim Basov e il batterista Vyacheslav Popov. Per concludere, ‘Awakening’ è un lavoro indicato a chi ha amato il black norvegese e ancor oggi insegue i fasti di un genere che sembra non essere più in grado di uscire dalle sabbie mobili della propria storia. (Francesco Scarci)

(Soundage Productions – 2022)
Voto: 64

https://drakonblackmetal.bandcamp.com/album/-

venerdì 21 aprile 2023

Carnival in Coal - Fear Not

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Avantgarde Death/Grind
Skizzati! È la prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando il terzo album di questi due francesi attivi dal 1995. La Season of Mist li descriveva come se i Morbid Angel avessero una overdose di Mr Bungle. Beh, anche se dei Morbid Angel non se ne sente granchè e i Mr Bungle non li conosco (ma so cosa posso apettarmi dal leader dei Faith No More), mai messaggio promozionale fu più azzeccato. Per farvi capire la stravaganza dei Carnival in Coal mi vengono in mente solo i Solefald di 'Neonism', anche se dei Solefald solo in pochi momenti si riscontrano le sonorità e la genialità. Le composizioni dei due francesi sono meno fluide e un po’ troppo eterogenee; d'altronde come coniugare violentissimi stacchi grind con musichette da gameboy come in "Daaahhh!!", o brani brutal death con basi Disco Music anni '70 come in "1308.JP.08*"? Gli episodi migliori sono quelli in cui uniscono la furia del brutal con ritornelli funky rock come in "Yes, We Have no Bananas" e "Don’t be Happy, Worry!". Già dai titoli potete capire lo stato d’animo del disco ma non pensiate che i C.I.C. non facciano sul serio, nulla è lasciato al caso, sono precisi e la registrazione è ottima. Certo è un album molto difficile o, meglio, è difficile digerire un tale miscuglio di generi e sonorità ma a me è piaciuto molto.

(Season of Mist - 2001)
Voto: 75

https://www.facebook.com/CinCofficial

Deicide - In Torment In Hell

#PER CHI AMA: Death Metal
Upon first hearing this, I think it's one of Deicide's worst albums with the Hoffman brothers. I thought 'Insineratehymn' was pretty generic despite my high score upon a few listens to. The newer generation of Deicide is pretty bad, 'The Stench of Redemption' I marked pretty poorly but in retrospect that was a decent album with Ralph Santolla (RIP) and Jack Owen. But 'In Torment In Hell' I still like, I just think it's really sloppy and uncreative. They kind of pulled a 'Serpents of the Light' intro with the title-track but it's just turned into their own riff. They're pretty careless on here and left their creative juices behind.

I like the intro, but overall the music just sucks. They didn't offer much in airing 31 minutes of shit metal. I'm not sure if they had their contract up with Roadrunner or what. A totally thoughtless release which had many fans (including me) disappointed. How can they take a break and make up for this. With 'Scars of the Crucifix'? I don't know, maybe. But the Hoffman brothers legacy is over onto the next generation (which it has been) of Deicide. I'll always appreciate the first 4 releases from this band. But talk about getting lazy! That's exactly what they did here and their previous (as I noted).

Nothing on here is worth getting excited over. You would think a band would progress over the years and not the reverse of that. But they just show you that they just suck on this album. It doesn't matter what track you pick, they're all equally worthless. I actually went ahead and ordered this on eBay hoping that some day I'll appreciate this album. Listening to it on headphones has me keyed into all the flaws with it that I don't want to do. They used to be an inspiring death metal band with riffs that were supercharged and creative. I guess that they just didn't want to continue their career making quality material.

I heard this on Spotify with disbelief. What happened!! This average score was 45% and hell my score is right about there too! I wouldn't say to buy this even if you are a Deicide fan. I did, but with much reluctance. Putrid as hell, what a major dud! There's nothing on here worth mentioned maybe check out the title-track, "Vengeance is Mine" and "Christ Don't Care." Then you'll get an idea of what to expect. They're still death metal, just at their worst. I don't want to turn you off from being a fan of the band it's just that when music sucks, something has to be said why or what happened that made it that way. Beware! (Death8699)


(Roadrunner - 2001)
Score: 45

https://www.facebook.com/OfficialDeicide/

At the Altar of the Horned God - Heart of Silence

#FOR FANS OF: Experimental Ritualistic Black
Founded only three years ago, the Spanish solo project At the Altar of the Horned God, whose leader Heolstor is a quite active musician in the Spanish underground scene, has managed to release two rather interesting efforts. Heolstor has been involved in excellent projects like Nazgul or Cyhriaeth, whose only full lengths are strongly recommendable. I guess that this background alongside the inherent quality of his first album was more than enough for a well-stablished label like I, Voidhanger Records to sign a contract with him. The first effort, entitled 'Through Doors of Moonlight' was a good starting point, so it was interesting to see what this project could offer with the always crucial sophomore album.

At the Altar of the Horned God’s music is a quite personal approach to a combination of black metal and ritual music. This later influence is a remarkably defining one of how this project sounds, and the new effort 'Heart of Silence' is well-achieved example of this mixture. The rawness and atmosphere are very nicely combined and Heolstor’s vocal approach also adapts itself to the difference influences, intensities and how each composition works. The album contains eight songs, and the listener will be able to appreciate the different nuances and touches that enrich this project’s music. The album opener "Listen" differs from the typically opening for a black metal album, with these whispering vocals and ritualistic drums. The vocals remind me for sure some goth and dark metal bands, which I think it is a quite appropriate inspirational source. The song gains in intensity with the guitars and some more aggressive vocals, but always accompanied with certain atmospheric arrangements that enhance the mysterious atmosphere that every ritual-influenced band should have. The introduction of "Closing Circle" follows similar patters with this captivating atmosphere and the use of clean vocals, that differ from the classic black metal bands. This project is for sure none of them, and I personally consider that this sort of voices is very necessary to create the aforementioned occult ambience. In any case, aggressiveness has its room in tracks like "Heart of Silence" or "Anointed With Fire", among others, where the guitar riffing is more powerful and some faster sections are included. Typically, black metal screams are also used, but never left completely behind the cleaner vocals which are always introduced at the appropriate time and with a good taste. The ups and downs in the intensity are well distributed throughout the album, as you usually find a more aggressive song like the mentioned "Anointed With Fire", followed by a more atmospheric track like "God is in the Rain", which is a nice contract to make the album sound diverse and interesting.

In conclusion, 'Heart of Silence' is a very enjoyable and personal album. The combination of black metal with a strong occult essence is very well accomplished. The songs sound diverse, but coherent, and the contrast between the expected aggression and much more atmospheric parts is really good. It indeed requires some mind openness to enjoy the generous use of clean vocals, but I am quite confident that the way they sound will convince the reluctant listener. (Alain González Artola)

(I, Voidhanger Records - 2023)
Score: 80

giovedì 20 aprile 2023

Astimi - TrinaCapronuM

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Dopo due demo ('Opus I' e 'Opus II') di black metal piuttosto vario, atmosferico, suggestivo e caratterizzato anche da linee melodiche dell’ormai tipico "Mediterranean Scene Sound", gli Astimi arrivano al debut album con una rinnovata line-up (Agghiastru alla voce, alla chitarra e alla programmazione delle parti di batteria, 3 alla chitarra e al synth, Fantasma al basso) ed un differente stile musicale. Gli Astimi del 2001 propongono del brutal death di classica matrice americana in cui vengono ben amalgamate tra loro parti sparatissime ed altre più cadenzate ma mai troppo lente. È quindi un classico disco del genere in questione che comunque sa farsi apprezzare per la rabbia e la foga con cui è stato concepito e che efficacemente trasmette, anche grazie a dei testi che, con parole dure e sprezzanti, attaccano l’ipocrisia e la falsità del cristianesimo. La produzione è sino ad ora la migliore delle Inch Productions: le chitarre suonano abbastanza spesse ma la batteria poteva rendere maggiormente con dei suoni migliori; la voce, per cadenza e timbro, ricorda un po’ quella di Glen Benton. L’artwork (come per ogni produzione Inch Prod.) è assai curato, ad effetto e stravagante… Cristu Crastu!!!

Mogwli - Gueule De Boa

#PER CHI AMA: Jazz/Rock
Jazz, elettro jazz, acid jazz, classic jazz, improvvisazione, c'è proprio di tutto nel nuovo album del trio francese Mogwli, un exploit di colori e musica per un disco strumentale, sofisticato e dinamico, pieno di virtuosismi e congetture ritmiche singolari, alla maniera intricata dei Battles. Supportati da batteria, fiati e tastiere (le chitarre non sono ammesse in questo gioco di suoni), i Mogwli si sbizzarriscono nel ripercorrere e deformare teorie e strade di tanti generi e stili musicali diversi tra loro. Il sound è moderno, carico, con quel tocco cool alla The Smile, ed anche se qui, il jazz la fa sempre da padrone, sebbene possiamo parlare tranquillamente di trame ed intermezzi che guardano al progressive rock più eclettico ed istrionico, senza però perdere quel sound alternativo, che per tutto il disco ti rimanda, a volte nel mondo elettronico, sintetico e cosmico delle produzioni della Ultimae Records, a volte tra le follie compositive degli Art Zoyd, in altre occasioni si crede di aver a che fare con un presunto nipote di Edgar Varese, schizofrenico, volgarmente innamorato delle bizzarrie dei sopracitati Battles, con il gusto compositivo che distingueva i Medeski, Martin e Wood negli anni '90/2000. Quindi, momenti frenetici s'intrecciano a forme più contratte e sperimentali, oppure melodiche e armoniche, a volte il lato percussivo prende il sopravvento, per poi lasciar spazio ad un classicismo che è lontanissimo dal sound precedente, che improvvisamente cambia direzione verso una techno elettronica imitata perfettamente dai tre, senza campionatori o aggeggi simili. Insomma, stiamo cercando il bandolo della matassa, ma non lo troveremo, e i cambi di tempo spettacolari di "Lèviathan" non ci aiuteranno proprio ad identificare questa creatura sonora. In realtà il disco ha un sound veramente originale ed è ben costruito e ben prodotto, non ha una singola direzione sicura, tutto può accadere, nota dopo nota, canzone dopo canzone, un continuo esternare teorie sonore e ritmiche, messe in atto da tre superbi musicisti (basti guardare il video live - Mowgli, Murkiness. Festival JAZZ360 2019 - che trovate in rete per capire di che pasta sono fatti). Potremmo cercare di definirlo etichettandolo fusion/jazz/rock, ma ancora ci sarebbe da obiettare, perchè, in effetti, 'Gueule De Boa', letteralmente testa di serpente, che nasconde un po' anche il significato di postumo di una sbornia, ha l'onore di essere una vera e propria jungla sonora, che farà molto piacere agli amanti dell'avanguardia e del jazz meno ortodosso. Brani come "Dario", "Bicouic Orbidède" e "Sauge d'une Nuit d'ètè", dettano legge, ma tutto il disco risulta imprevedibile e godibilissimo, da ascoltare e riascoltare in continuazione, per coglierne l'enorme lavoro compositivo ed esecutivo che si nasconde dietro le geniali composizioni di questo trio transalpino. Ascolto doveroso per tutti gli amanti del prog e dell'avantgarde jazz contemporaneo. (Bob Stoner)

(Budapest Music Center Records - 2023)
Voto: 83

https://soundcloud.com/mowgli-official

giovedì 13 aprile 2023

Kvist - For Kunsten Maa Vi Evig Vike

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black
Vorrei, con questa recensione, rendere omaggio ad un gruppo norvegese ormai sciolto (anche se Metal Archives darebbe la band ancora attiva nonostante non rilasci nulla dal 1996/ndr), che però con questo album di black potente e fiero si era distinto tra gli altri esponenti della scena per una buona tecnica e per una buona costruzione delle atmosfere, tristi ma evocative, vicine a sonorità che resero celebri i Satyricon di 'Nemesis Divina'. Certo, i Kvist avevano dalla loro una regisrazione più modesta ma sempre di buon livello, però erano riusciti comunque a convogliare in un'unica direzione il black primordiale senza tanti fronzoli, al black più ricercato e sinfonico. Da sottolineare l’ottimo intreccio fra armonie di tastiere e di chitarre. Se 'For Kunsten Maa Vi Evig Vike' non fosse in vostro possessso, beh datevi da fare e trovatelo.

(Avantgarde Music/Peaceville Records - 1996/2020)
Voto: 72

https://peaceville.bandcamp.com/album/for-kunsten-maa-vi-evig-vike

Dying Fetus - Purification Through Violence

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Grind
L'album ha qualche anno ma poco importa perchè i Dying Fetus suonano death-grind, un genere che se ne infischia dei trend imperanti. Chi conosce il genere sa quali siano gli ingredienti: tempi di batteria veloci, accelerazioni improvvise, voce gutturale alternata ad una più acuta, testi che sono un concentrato di odio e violenza, a volte parossistici e quindi divertenti come in "Skull Fucked" e "Raped on the Altar", a volte impegnati come "Nothig Left to Pray for". Personalmente penso che le convinzioni politiche siano roba da punk-hardcore e non c'entrino niente con il metal. Comunque quello che conta maggiormente sono le parti suonate: i pezzi sono buoni, anche se la produzione è un po' debole per quanto riguarda il suono di chitarra, la durata breve (28 min) contribuisce a non stancare chi ascolta. È presente anche una cover dei maestri Napalm Death, "Scum" , qui richiamata "Skum (Fuck the Weak)". Non consiglio l'album ai puristi dell'heavy, mentre lo faccio a chiunque voglia mettere nello stereo un cd estremo ma allo stesso tempo divertente.

(Pulverizer Records/Relapse Records - 1996/2021)
Score: 65

https://dyingfetus.bandcamp.com/album/purification-through-violence

martedì 11 aprile 2023

Niden Div.187 - Impergium

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Old School
Già con il mcd d’esordio 'Towards Judgement' nel ’96, questo gruppo svedese si era distinto per le qualità malsana e grezza del suono. Nel ’97 la band sforna il suo primo ed unico full-lenght , dopo di che se ne perdono le tracce. Prima di entrare nel vivo della recensione vorrei soffermarmi un attimo sul booklet, perché è rappresentativa del concept trattato all’interno dell’album e cioè la guerra con le sue atrocità ed ingiustizie. Il suono proposto è sporco, con una voce fetida e allucinata in stile black. Le chitarre costruiscono trame semplici e ossessive con tempi tirati all’inverosimile. Direi che se non fosse per la registrazione volutamente underground o per altre caratteristiche oltranziste della band, il loro sound potrebbe essere identificato come black svedese ma le visioni oscure, atroci, deliranti della musica sono qualcosa di unico e irripetibile. Se ancora fosse in circolazione questo album, lo consiglierei a chi cerca atmosfere allucinate e totalmente estreme. 27 minuti d’inferno.

(Necropolis Records/Self - 1997/2021)
Voto: 68

https://nidendiv187.bandcamp.com/album/impergium

Räum - Cursed by the Crown

#PER CHI AMA: Post Black
Una grandinata di riff caustici come la morte irrompono in questo debut album dei belgi Räum, intitolato ‘Cursed by the Crown’. “Andromeda” è la furibonda traccia che esplode nei nostri cervelli con quel riffing scarno e angosciante, mentre la voce ringhiante di Olivier Jacqmin, lascia trasparire tutto il proprio odio. Si tratta certamente di un furente post-black dai rari tratti atmosferici (giusto un paio di break acustici interrompono infatti la furia cieca del quartetto originario di Liegi) che potrebbe evocare nelle partiture più ragionate, un certo black norvegese di metà anni ’90. Ci provano infatti solo per pochi secondi nella title track, secondo atto di questo disco, a offrire un sound più compassato, ma dopo pochi attimi si riparte con un suono glaciale, tiratissimo (dove peraltro non mi convince affatto l’acustica della batteria), decisamente asciutto e questo screaming che alla lunga diventa a dir poco fastidioso. Fortunatamente il mattatoio messo in atto dai nostri s'interrompe a metà traccia, lasciando il posto a sonorità più affabili, quasi sognanti e con la comparsa contestuale di vocals pulite e oscure che comunque abbassano quella tensione quasi insopportabile che si era creata nei primi 11 minuti di ascolto. Con un fare vicino a certe sonorità death doom, la band sembra ripartire da un black più ragionato che per lo meno non persiste in frustate continue. Addirittura, un assolo dal piglio scandinavo chiude un pezzo comunque movimentato e più interessante di quello in apertura. Il sound tipicamente old school riprende però nella terza “Fallen Empire” e lo fa macinando riff serrati a mo’ di contraerea nei cieli di Baghdad con un rifferama tagliente, qualche episodico frangente melodico e poco più, il che non arriva a scardinare la mia emozionalità in fatto di sonorità estreme. Un peccato, perchè qualche idea discreta ci sarebbe pure, ma la sensazione che avverto, anche alla fine della lunghissima (12 minuti), spettrale e meno ammorbante “Beyond the Black Shades of the Sun“, è che quello che ho fra le mani, sia un prodotto austero, forse ancor troppo ancorato ai dettami della tradizione black. C’è ancora un po’ da lavorare per scrollarsi di dosso quell’impronta old fashion che rendono i Räum, ancora una band tra tante. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions – 2022)
Voto: 64

https://ladlo.bandcamp.com/album/cursed-by-the-crown

Trup - Nie

#PER CHI AMA: Black/Death/Noise
Prosegue l’opera della Godz ov War Productions nello scovare talenti sempre più feroci e incazzati. Oggi è il turno dei polacchi Trup e del loro corrosivo ‘Nie’. Il lavoro del trio di Varsavia si palesa quasi come un intransigente concentrato di black old school anche se nelle cinque schegge impazzite incluse in quest’album, si riescono a rintracciare anche elementi caratterizzanti la proposta dei nostri. Si parte con la furia sonora di “29”, song lanciata alla velocità della luce che trova in qualche elemento hardcore la chiave di volta per dare una lettura più integrata di quanto proposto da questi pazzi scatenati. Detto che nelle note della successiva “30” ci sento una mistura di Darkthrone e Napalm Death, potrete immaginare la ferocia profusa da questi ragazzacci in 120 secondi di puro delirio musicale. Di ben altra pasta “31”, malmostosa e dissonante, quasi una versione più distorta dei Deathspell Omega (ma non credo sia possibile) che per ben tre minuti ci allieta comunque con sonorità estremamente melodiche prima di condurci in un calderone di furia disumana, che si paleserà anche attraverso un cantato strillato, manco si trattasse di ultrasuoni per i cani. Fortunatamente alternato a questo bordello, c’è spazio anche per parti più sludgy, giusto per farci rifiatare un pochino prima delle montagne russe finali che avranno modo di regalarci anche un assolo a dir poco psicotico (chi ha detto Aevangelist?). La title track si affida ad un orrorifico sludge black per catturare la nostra attenzione, ma si rivelerà meno incisiva delle precedenti. L’ultima, “33”, si perde in tre minuti di noise black, per poi abbracciare un mefitico sound in bilico tra ambient, sludge, drone, black e paranoia ai massimi livelli che decretano la notevole personalità di questi loschi figure nel proporre un qualcosa di assolutamente interessante ma di difficilissima digestione. Io vi consiglio caldamente di dargli un ascolto, con la premessa che qui se non avete la scorza sufficientemente dura, di male ve ne farete parecchio. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions - 2022)
Voto: 70

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/nie

mercoledì 5 aprile 2023

HolyArrow - My Honor is my Loyalty

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Un tributo per l’esercito cinese della Seconda Guerra Mondiale (e speriamo ci si fermi qui), le forze di terra in “My Honor is my Loyalty” e per l’aeronautica in “March to the Sky”. Ecco il nuovo EP dei cinesi HolyArrow che funge da apripista per il quarto album in uscita per la one-man-band di Xiamen, guidata da Shi Kequan. Il mastermind (che abbiamo peraltro trovato anche in altre realtà quali Demogorgon e Rupture) ci offre un black non particolarmente innovativo che evoca battaglie militari fin dalla marcette che introducono entrambe le tracce del dischetto. Suggestive sicuramente, la trovata è per lo meno originale (anche quando è inserita nella matrice sonora del secondo dei due brani), ma la proposta musicale si perde poi in chitarre zanzarose, un black thrash che ha ben poco da dire e soprattutto da chiedere. Ci prova il factotum cinese con tutta una serie di cambi di tempo su cui s'innestano le grim vocals del frontman, ma in tutta onestà, fatto salvo per qualche trovata folklorica da attribuirsi all’introduzione di alcune linee melodiche che richiamano la tradizione cinese, trovo ben poco di interessante durante l’ascolto di questo EP. Non mi ero particolarmente emozionato ai tempi della mia recensione di ‘Fight Back for the Fatherland’, non mi sono emozionato oggi. Pazienza, evidentemente gli HolyArrow continuano a non essere nelle mie corde. (Francesco Scarci)

(Pest Productions – 2023)
Voto: 60

Vektor - Black Future

#FOR FANS OF: Prog Thrash
This album is incredible. The amount of work it took to put it together, riffs and all was probably a while! David DiSanto is probably one of the top progressive thrash metal guitarists known. His work is quite technical! The rhythms and leads are outstanding. I'm glad the band reformed, though with some different musicians. That is fine as long as they can keep up with this guy. Vektor is a band with an acquired taste to them, they're not for everybody. Even though they're not for everybody doesn't mean that metalheads should disrespect their work. This album quite resoundingly is just an ass-kicker. So fast in many parts, yet there are parts where tempos slow down.

I liked all the songs on here and felt that every single one of them was put heart and soul into. The main things I like about it ARE the tempo changes and vocals. David's high-end screams shriek but most of the time they're tolerable. The abilities here with the songwriting capabilities are just astounding. I don't care what anyone says, Vektor is in a league of their own. Far surpasses a lot of bands nowadays. These guys are truly respectable individuals in terms of music, maybe not morals. But that's not what concerns me here. All I care about is the band's music, not lifestyle habits or way of life. As long as they can hack it here, that is what matters.

I've been able to find this album in a local record store actually, it only took 10 years to show up at a record store. I thought being Vektor it's gotta be good. And as I came to believe that it was a good choice! The songs on here are somewhat long, some the tracks are over 10 minutes in length. But they never get boring. They're more interesting the more you listen to them. Being a former guitarist, I notice things about the riffs and that the tremolo picking is superior, the leads spellbinding! These guys are far above being amateurs. They're way more advanced, the music just slays. I wouldn't say any song on here is "dull." Quite the contrary.

Since I bought the physical CD, doesn't mean that it is required. As long as you get to hear this is what matters. But showing that you support the band in any way, that is what counts. These guys I hope will stick around for a long while. It's been 10+ years so far (with gaps), so I hope they will endure a long career. I always say to support the band by buying their album, but now people mostly revert to digitally downloading albums. Some of my friends don't even have a CD player! But stay old school and buy the CD if you still have a device that plays it! Vektor is sticking around, and what a debut 'Black Future' is and what they all have become! (Death8699)


(Heavy Artillery Records/Earache Records - 2009/2018)
Score: 85

https://vektor.bandcamp.com/album/black-future

Zeal & Ardour - Firewake

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
La creatività di Manuel Gagneux è sempre alle stelle. Gli Zeal & Ardour erano usciti a febbraio 2022 con l'album omonimo; non fa nemmeno in tempo a finire l’anno, che se ne escono con un altro EP, ‘Firewake’, che in realtà è stato scritto tempo addietro ma che non aveva trovato posto nella precedente release. La proposta? Quella di sempre, ossia in grado di miscelare sonorità black metal con suoni sperimentali che ci riconducono alla tradizione gospel degli schiavi afro-americani. Una caratteristica questa che mi ha fatto apprezzare da sempre le qualità della stravagante creatura elvetico-americana. Due i pezzi a disposizione per i nostri per conquistarci con il loro sound evocativo: “Firewake” in apertura, la title track, con un incipit affidato alla classica coralità che evoca appunto la musica afro-americana, seguita poi da un rifferama ritmato e da grim vocals che si oppongono alle voci pulite (e fantastiche) del frontman. “Cinq” è invece un breve pezzo strumentale, guidato da una chitarra cupa che con la sua melodia, s’insinuerà con un certa disinvoltura nella vostra testa. Una release questa però che non merita un voto formale data l’esigua durata e visto che il solo vero pezzo è quello che dà il titolo all’EP. Non ci resta allora che assaporarci questi due pezzi in attesa di una nuova uscita. (Francesco Scarci)

(Sub Pop Records – 2022)
Voto: S.V.

https://zealandardor.bandcamp.com/album/firewake

The Meads Of Asphodel - The Excommunication of Christ

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Come recensire il cd d'esordio degli inglesi The Meads of Asphodel? Non è facile, ci sono molte cose da dover considerare, per una band che non si può semplicemente definire black metal. È come ascoltare Venom e Sigh che suonano i loro pezzi mischiandoli a parti folk della tradizione est europea, con un'influenza musicale che li avvicina più a qualcosa dei primissimi anni '80 che ad altri loro contemporanei! Il cd contiene oltre a del nuovo materiale, anche alcune tracce già presenti sui precedenti demo ma ri-registrate, ed una cover degli ormai appartenenti alla preistoria del rock, gli Hawkwind, suonata peraltro insieme a Huw Lloyd Langton, loro chitarrista originale (tra l'altro gli Hawkwind sono stati anche una delle prime band di un tale Lemmy dei Motorhead), ma di ospiti su questo cd ce ne sono altri: c'è A.C. Wild dei Bulldozer che presta la sua voce per l'intro e c'è il cantante degli Old Forest che partecipa ad un'altra traccia. I componenti della band sanno sicuramente come suonare, ed anche se ad un primo ascolto vi chiederete "ma che stanno facendo?", vi accorgerete che ogni particolare è stato curato con la dovuta attenzione, ed il risultato è un cd ricco, sotto ogni punto di vista, dall'ottima veste grafica, al contenuto musicale, che finalmente suonava all'epoca come qualcosa di nuovo.

(Supernal Music/Razed Soul Productions - 2001/2014)
Voto: 75

https://godreah.bandcamp.com/album/2001-2014-re-issue-the-excommunication-of-christ-lp 

lunedì 3 aprile 2023

Limbes - Ecluse

#PER CHI AMA: Post Black
Altro giro, altro regalo, nel senso di un'altra one-man-band francese, che ormai devo ammettere non faccia più notizia. I Limbes sono della scuderia Les Acteurs de l'Ombre Productions, e anche questo non sembra nemmeno più far notizia e se ci aggiungiamo il genere, beh che volete aspettarvi, black nella più classica tradizione dell'etichetta francese. Almeno cosi sembrerebbe... Già, perchè mi sa tanto che la label di Nantes ci ha visto lungo un'altra volta e ha aggiunto un'altra entità davvero fuori dagli schemi a quelle già interessanti del proprio roster. Guillaume Galaup, responsabile del progetto, che peraltro abbiamo già incontrato nei Blurr Thrower, ha tirato fuori un album di debutto sconvolgente, per intensità e violenza, con un lavoro sparato a tutta velocità fin dall'opener "Lâcheté", tra linee di chitarra selvagge, melodiche e taglienti, vocals strazianti ed un vertiginoso senso di inquietudine, sorretto da eccellenti atmosfere che più o meno interrompono quella furia bieca che contraddistingue la matrice di fondo delle sonorità qui incluse. I Limbes fanno male in 'Ecluse', nonostante le sole quattro tracce, ma se pensate che solo "Leurre" dura un quarto d'ora, potrete immaginare come qui ci sia ben poco da scherzare. E il buon Guillaume ci investe in "De Courbes & de Peaux" con un torrenziale sound, di quelli che non fa prigionieri, non salva nessuno, black nero come la pece in una pericolosa mistura di suicidal, depressive e post-black malefico e dolorante, che sarà solo in grado, con la sua inarrestabile furia, di devastare tutto quello che gli si para avanti. Non bastano i break atmosferici per darci una parvenza di melodia o più facile digeribilità di un disco che troverà nell'epicità delle chitarre di "Corridors" uno dei suoi punti di forza per poi annientarci definitivamente con quei quindici interminabili minuti del distruttivo finale affidato a "Leurre", una song che rappresenta la summa della proposta dei Limbes come tormento vocale, vigore sonico (l'impeto che si sente al quarto minuto non ha eguali nel disco) e malvagità. Insomma, un disco questo, da maneggiare certamente con estrema cautela. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 77

https://ladlo.bandcamp.com/album/ecluse

Vital Remains - Dechristianize

#FOR FANS OF: Death Metal
I got this on my digital release before I decided to buy the album. I still like their latest more, but oddly enough I'm scoring it the same as that one. The main beef I have with the album is the snare drum, other than that I thought it was an impeccable release. The songwriting is amazing. I love the riffs and intensity. It seemed like this one did well but I'd have to say that 'Icons of Evil' was more suitable to my pallet upon listening to and times I've listened to it. However, I thought that this one was a bit faster tempo-wise and aggressive. I don't care much for the early stuff and I have no idea what the new stuff is going to sound like when it's complete.

I'll probably just stick with the two Vital Remains releases not the old. I think the newer is less raw and more likable. This one is downright amazing. The riffs are just everywhere and brutal. They really hit-home with this one. I think that they just are great with having Glen via Deicide voluntarily in for lead vocals on here. He sounded more like the "newer" Glen on his vocals. The lineup is forever changing and I don't think there are going to be any of the original members on the new stuff. All of it is pretty much 21st century members. Time will tell when the new album arrives (if ever) and we'll see how it pans out.

The production quality is quite good, a little bit raw though. But the music sounds top notch despite that. The guitars are fantastic. I felt that overall an impeccable album. They got better than the older (quite fast) and seemed to be the most mature on 'Icons of Evil'. I think that they deserve all the praise they seemed to on this album. Really innovative songwriting (as I say) and wicked leads. Overall, a very dark and depressing album. And the perfect lyrics for Glen right up his alley with the Satanism. If you might want to not read the lyrics to this release if you're bound by religion, but just maybe learn the titles of the songs.

Like I did, I downloaded this album first but didn't check it out right away. I waited a while. I thought that the new album was just more suitable to me. But most were in disagreement. I think that both are just amazing death metal. I don't think that anything on here was done wrong, I though that all the songs were solid. And the leads were top notch. Glen sounded brutal, just applicable to the music of this release. He did them justice both albums. So yeah, this was unrelenting and amazing, I wouldn't change much of any of it except the snare drum! Other than that, check it out!
(Death8699)

(Olympic Recordings/Cosmic Key Creations - 2003/2020)
Score: 80

https://www.facebook.com/vital.remains.official/

Fargo - Geli

#PER CHI AMA: Post Metal, Russian Circle
Quattro lunghissime tracce strumentali per i teutonici Fargo e il loro post-rock/metal sognante, reso ancor più suggestivo dall'idea di affidare i titoli dei brani ai nomi di alcun città tedesche (esperimento già fatto in occasione dei primi due EP). E allora, ecco che il nostro tour di 'Geli' (nickname dato a Angelika Zwarg, madre di due cari amici della band, che fu una insegnante d'arte e pittrice che morì nel 2018 dopo una lunga malattia) parte da "Dresden", affascinante città della Sassonia che sorge sulle sponde del fiume Elba, e da qui si snoda lungo i suoi nove minuti, attraverso sonorità dapprima delicate, e poi decisamente più dirompenti, laddove il rifferama si fa più pesante e contestualmente, si palesano, come unica eccezione, anche le strazianti vocals del frontman. Poi, a braccetto bello veder andare chitarra, basso e batteria, con ampie porzioni strumentali ad accompagnarci in quei landscape sonico-atmosferici, sorretti da un ispirato tremolo picking. La seconda tappa fa sosta in Baviera a "Regensburg", sul bel Danubio blu. Sarà la componente poetica legata a quella del fiume più famoso d'Europa a renderla anche più morbida? Una morbidezza che durerà comunque giusto il tempo di un paio di giri di orologio per lasciare poi spazio ancora ad esplosioni chitarristiche, interrotte comunque da parti più atmosferiche, e nel finale decisamente malinconiche. Peccato solo che qui non si palesi quella lacerante voce che avevamo potuto apprezzare nell'opener, avrebbe fatto giusto comodo per spezzare la monoliticità del riff portante, sorretto peraltro da un drumming che sembra scandire il tempo come le lancette di un orologio. Terzo stop nella capitale, "Berlin", la traccia più lunga con i suoi quasi 10 minuti. Un incipit che mi ha evocato la colonna sonora di "Inception", la splendida "Time" di Hans Zimmer, una scalata lenta e sensuale che per oltre tre minuti sembra quasi rassicurarci con le sue melodie, per poi ringhiare grazie all'ardore delle sue chitarre. Ma il nostro collettivo, che si avvale peraltro anche di un paio di guest star, è abile nell'alternanza di tempi, grazie e soprattutto alla prova magistrale del batterista dietro alle pelli. La band ci porterà con ottime idee fino all'ultima sosta del loro tour, a "Pforzheim", città che in tutta franchezza non conoscevo, ma che nelle sue note racchiude a mio avviso il meglio di questo disco, essendo cosi ricca di pathos, forza e intensità, pur includendo un sample di due minuti di un discorso di Winston Churchill contro le ideologie omicide, il medesimo però che abbiamo già sentito nel 1984 in "Aces High" degli Iron Maiden. Suggestivo ma forse un po' troppo abusato. Nonostante qualche piccola sbavatura comunque, 'Geli' rappresenta un ottimo debutto su lunga distanza per i nostri, sebbene io proverei a puntare maggiormente sulla presenza di un vocalist come parte integrante del collettivo. (Francesco Scarci)

(Kapitän Platte - 2023)
Voto: 74