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sabato 31 agosto 2013

Autism - The Crawling Chaos

#PER CHI AMA: Post-metal, Post-rock strumentale, Cult Of Luna
Non è una novità, per le band ascrivibili al genere post-qualcosa-strumentale, usare spoken words qua e là nel disco. Ma l'idea degli Autism per questo concept è davvero efficace: la voce narrante, dalla prima all'ultima delle sette canzoni che compongono il disco, legge frammenti del racconto "The Crawling Chaos" del compianto Howard Phillips Lovecraft. La musica diventa quindi colonna sonora perfettamente integrata nella lettura del racconto e il lavoro si trasforma in una sorta di audiolibro musicale, dove parole e suoni contribuiscono a creare un'atmosfera oscura e surreale. Le coordinate musicali di "The Crawling Chaos" non sono nulla di originale, anzi, peccano spesso di ripetitività: le chitarre comandano e guidano tutti gli strumenti, costruendo architetture decisamente metal – senza tralasciare inserti più prog ("Maelstrom", "Concealment"), parecchi spazi melodici più vicini al post-rock ("Radiant Waters") e sperimentazioni sonore interessanti ("Savant Syndrome"). Su questo tessuto si intreccia una sezione ritmica non indimenticabile che, tuttavia, risulta più che sufficiente all'economia del disco – nulla di suonato, intendiamoci: Autism è in realtà un solo project di un musicista lituano, costruito con chitarre e Protools. Se fosse tutto qui, "The Crawling Chaos" sarebbe un disco non certo epico, ma sicuramente più che presentabile. C'è però un problema: come dichiarato dallo stesso Autism in più di una intervista, "non importa che ogni nota sia perfetta. Se c'è un piccolo errore, lo lascio. Questi errori aggiungono un elemento umano". Verissimo. Ma quasi tutto il disco pecca di timing, soprattutto nella prima parte: le chitarre sono sempre appena troppo avanti o appena troppo indietro rispetto al click, creando spesso un tremendo effetto rimbalzo che non può non infastidire un ascoltatore medio. Considerato che il disco è costruito in digitale, un errore del genere è davvero gravissimo. Un peccato, perché le idee ci sono, così come la tecnica sufficiente a realizzarle: sarebbero bastati una cura maggiore e un piccolo lavoro di rifinitura per ottenere un disco molto migliore. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2012)
Voto: 55

http://autism.bandcamp.com/

In the Guise of Men - Ink

#PER CHI AMA: PER CHI AMA: Math, Djent, Periphery, Killswitch Engage, Meshuggah
I quattro francesi dietro al moniker In the Guise of Men devono essere dei dannati perfezionisti: attivi dal 2005, dopo un demo del 2006 sono stati in silenzio per quasi sei anni prima di sfornare l'EP "Ink", sei tracce che sembrano muoversi nelle coordinate del nuovo metal tardo-adolescenziale e cerebrale stile Periphery, Killswitch Engage e compagnia. C'è però un problema di aspettative, se vogliamo, o forse di maturità della band. Ascoltate il primo minuto di "Suicide Shop", l'opening track: pura follia matematica, cassa e riffing pressanti, un cantato potente e non scontato – tutti presupposti per un gran disco. Ecco, non fatevi troppe illusioni: a parte la bella "Drowner", i bridge di "Dog to Man Transposition" e qualche passaggio in "Blue Lethe", il resto del disco è un pastone poco chiaro di melodie banali e riff che dimenticherete prestissimo. L'impressione generale è che nelle parti strumentali la scrittura sia più libera e incisiva, ma quando si tratta di costruire un tessuto di base per la voce, gli In the Guise of Men mollino un po' la corda. Non ho sentito nulla di memorabile se non – purtroppo – dei ritornelli talmente pop da lasciarmi senza parole; e se pure la voce è potente e urlata per almeno metà disco, continua troppo spesso a ricadere nella melodia poco originale, di quelle che ai concerti fanno venire voglia di sventolare un accendino sopra la testa. C'è del buono, intendiamoci, considerato che è di fatto il primo disco della band e che, probabilmente, il margine di miglioramento è ancora tanto. Se siete alle prime armi col math, può essere un disco interessante: ma se avete già ascoltato abbastanza poliritmi nella vostra vita, Ink non durerà molto nel vostro lettore cd.(Stefano Torregrossa)

(Dooweet Records - 2013)
Voto: 60

http://www.intheguiseofmen.com/

After All - This Violent Decline

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Thrash, Xentrix, Anacrusis, Exodus
Dopo il mediocre “The Vermin Breed” (già stroncato dal sottoscritto), i belgi After All ci riprovano con il loro thrash metal influenzato dai mitici anni ’80. A differenza del precedente disco, il sound di “This Violent Decline” si è parzialmente irrobustito, mantenendo comunque come solida base di partenza lo stile proposto dai mitici Exodus e dalle altre band dell’area di San Francisco. La produzione di Fredrik Nordstrom (In Flames, Arch Enemy, Soilwork) ai mitici Fredman Studios di Gotheborg, ha giovato parecchio al sound della band mitteleuropea rendendo i brani più potenti e compatti, dodici nuovi pezzi con cui gli After All cercano di colpirci al costato. I ragazzi parzialmente riescono anche nel loro intento, sparandoci in faccia vincenti riffs heavy thrash, rasoiate laceranti degli axemen che risultano preparati sia in fase solistica che ritmica, cavalcate che richiamano gli album anni ’80 di Metallica e Testament e gli immancabili chorus alla Anacrusis o Xentrix. Il gruppo cerca anche di inserire alcune melodie squisitamente catchy nella propria musica, per non apparire alla fine del tutto insipidi e passare inosservati ai più. Diciamo che la sufficienza la raggiungono, anche se la performance del vocalist risulta ancora poco convincente; inoltre si tratta di musica che come al solito ha ben poco da dire, vista comunque la pochezza di idee e originalità spese. Il disco comprende anche la traccia video di “Frozen Skin”. Alla fine, “This Violent Decline” è un album di thrash metal anni ’80, riletto in chiave moderna, quindi chi è appassionato di questo genere, un ascolto lo dia pure. Gli altri, si vadano a sentire gli originali, molto meglio... (Francesco Scarci)

(Dockyard I)
Voto: 60

http://www.afterall.be/

Revenance - Omen of Tragedy

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Brutal Death
No, no e ancora no... mi rifiuto di recensire una tale porcheria!!! Cinque ragazzotti che vomitano nei microfoni, strapazzano i loro strumenti, facendo uscire solo dei suoni brutali in linea con la peggior tradizione brutal statunitense. Il quintetto di New York City ci sputa addosso dieci tracce di pessimo brutal death metal, tra il più putrido mai sentito negli ultimi tempi. Di certo non coadiuvati da una buona produzione, il sound dei Revenance è un attacco ferale ai nostri pochi sopravissuti neuroni cerebrali: chitarre marcissime, blast beat, voci in acido miscelate a grugniti dall’oltretomba, fughe in territori grind e il gioco è presto fatto. Mi stupisce il piacevole assolo della title track, così come pure “Catharcyst”, quinta traccia dell’album, strumentale e completamente arpeggiata, che si differenziano dal resto di questo banale “Omen of Tragedy”. Per il resto è solo noia, con i conclusivi 15 minuti di cicale (si avete capito proprio bene, sto parlando del verso della cicala) a prenderci per il culo, con questo orrido disco... L’edizione limitata (fortunatamente 500 sole copie) include anche un poster e qualche adesivo. Catastrofici... da allora infatti (era il 2006) solo silenzio. (Francesco Scarci)

(Permeated Records - 2006)
Voto: 45

http://www.purevolume.com/revenance

Siva Six - Rise New Flesh

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: EBM, Industrial, Electro Music
La sorte di questo duo greco sembra già essere scritta. L'interesse che i musicisti di derivazione metal manifestano per il suono "sintetico", è evidente, non viene mai accolta di buon occhio in certi ambiti della musica elettronica. Per questo "Rise New Flesh" è stato probabilmente snobbato o guardato con molta indifferenza dal pubblico a cui si è rivolto Ma chi sono questi due "metallari" dalle velleità elettronico-industriali? Presto detto: il tastierista Noid è stato per ben sette anni un membro attivo della black metal band Rotting Christ, mentre Z (alla voce) ha fatto parte per dieci anni degli altrettanto famosi Septic Flesh, formazione death/gothic greca dalle grandi potenzialità. Un curriculum di tutto rispetto, ma anche una pesante zavorra che i Siva Six si portano appresso. Inevitabilmente. Dovendo esprimere il mio parere, posso dirvi che "Rise New Flesh" è un lavoro valido sotto molteplici aspetti. Innanzitutto il gruppo si è cimentato in una sorta di "harsh-EBM" che riesce a demolire senza mai annoiare, creando la giusta amalgama tra la staticità della battuta che il genere impone e un lavoro di tastiere complesso e assolutamente mai banale. Non c'è dubbio che i Siva Six abbiano molto da insegnare in termini di composizione ed è sufficiente soffermarsi sui grandiosi intrecci apocalittico-orchestrali di "Nihil Before Me" e "Nexus 6" per accertarsene. Efficace anche la prova vocale di Z, che si affranca dal timbro esageratamente artefatto oggi tanto in voga e opta invece per un approccio ben più crudo e diretto (suppongo ispirandosi ai Nitzer Ebb). Di certo non siamo di fronte ad un lavoro imprescindibile, ma brani come "Streetcleaner" o "Awayk" sono mazzate EBM che non potranno lasciarvi indifferenti, se in questa musica ricercate soluzioni violente e intelligenti allo stesso tempo. (Roberto Alba)

(Decadance Records - 2005)
Voto: 70

http://www.lastfm.it/music/Siva+Six/Rise+New+Flesh

Die Apokalyptischen Reiter - All You Need Is Love

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Death dalle tinte sinfoniche e avanguardistiche 
Dodici le tracce che compongono il terzo album di questi quattro pazzoidi tedeschi! Fautori di un sound affascinante quanto strano a definirsi. Reiter metal dicono loro, coniando un genere che si basa su potenza, emotività,buoni riffs e grandi melodie! “Liched by the Tongues of Pride” apre il disco con un assalto frontale di black-death metal con timbri vocali tanto cari ai grandi Obituary. Per poi proporre un doom molto ispirato, dalle venature gotiche e con tastiere in primo piano. “…Erhelle Meinhe Seele” è epica e melodica. Un alternarsi di timbri vocali sempre azzeccatissimi, accompagnati da chitarre molto compatte ed evocative. La follia di "Geopfert" in cui break improvvisi di piano esplodono in mazzate thrash dalla voce urlata oppure le cavalcate di piano e chitarra in “Die Schoneith….”, uno tra i pezzi più interessanti. Questi brani rivelano una vena creativa originale e mai scontata tesa ad unire melodia e rabbia! Se contiamo poi che a farcire il tutto ci siano anche fisarmoniche, violini e il cantato venga proposto in varie lingue, dall’inglese al tedesco, non posso che consigliarvi questo lavoro e aggiungerlo nella lista di uno dei prodotti più interessanti di inizio millenio! 

(Hammerheart Rec. – 2000)
Voto: 85

Secrets of the Moon - Carved in Stigmata Wounds

BACK IN TIME

#PER CHI AMA: Black occulto, Potentiam, primi Keep of Kalessin
Sebbene la biografia li presenti come un terzetto di black metal occulto, i Secrets of the Moon poco hanno a che fare con le sonorità di casa nostra, che, per intenderci, devono a gruppi come Mortuary Drape, Opera IX e Funeral Oration la paternità del suddetto genere. Il gruppo tedesco attinge più che altro da una corrente del black metal orientata allo sfoggio delle proprie doti tecniche, tant'è che il termine "occulto" trova giustificazione solamente nelle liriche dell'album e non certo nelle atmosfere che la musica è in grado di evocare. Ad ogni modo "Carved in Stigmata Wounds" non è affatto un brutto album e l'unica pecca effettivamente riscontrabile sta nella prolissità di alcuni arrangiamenti e nell'eccessivo protrarsi delle composizioni, che raggiungono dei minutaggi talvolta sfiancanti. Per quanto infatti le velocità non siano sempre sostenute, 70 minuti e più di black metal non sono facili da reggere per nessuno e diventano una difficile prova di resistenza persino per chi possiede padiglioni auricolari ben rodati. Un vero peccato, perché questi tre tedeschi ci sanno fare e già dai primi riff di "Cosmogenesis" ci si accorge che non sono poche le frecce al loro arco. La voce, prima di tutto, mantiene quella perfetta ruvidità utile a bilanciare in ugual misura aggressione e musicalità, mentre le chitarre annichiliscono senza mai perdere il controllo, interrompendo solo saltuariamente la loro folle corsa in favore di momenti più ragionati. Non manca qualche sprazzo di tastiera, che riveste però un ruolo assolutamente marginale nell'economia generale dei brani. Come già detto, è l'ottima preparazione tecnica degli strumentisti a farla da padrona nell'album e non è da meno il lavoro svolto in sede di produzione, responsabile di un suono limpido e a sua volta selvaggio. Se masticate il genere, provate ad immaginare un incrocio tra Keep of Kalessin, Potentiam e Dissection e avrete un'idea abbastanza calzante di come suonino i nostri. In conclusione, una prova convincente ma, ripeto, offuscata da una durata dei brani a dir poco estenuante, che fa dell'album un prodotto discreto e niente più. (Roberto Alba)

(Lupus Lounge/Prophecy - 2004)
Voto: 65

https://www.facebook.com/sotm777

giovedì 22 agosto 2013

Satyricon - Volcano

BACK IN TIME

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Da più di un decennio seguo le sorti di questo colosso norvegese, che assieme ad Emperor e a pochi altri è riuscito a portare il black metal a livelli elevatissimi. Lavori come "Dark Medieval Times", "The Shadowthrone" e il capolavoro assoluto "Nemesis Divina" hanno segnato un'epoca e hanno posto le basi per la crescita di un genere che agli inizi degli anni '90 sembrava dover essere relegato unicamente all'underground. Ho sempre accolto con grande entusiasmo ogni prova in studio di Satyr e Frost e neanche il tanto contestato "Rebel Extravaganza" era riuscito a deludermi quando uscì nel 1999. Trovo che "Rebel Extravaganza" rappresenti tuttora il capitolo più estremo e misantropico della carriera dei Satyricon, un ottimo album che purtroppo non fu accolto in modo benevolo e venne criticato duramente, forse proprio per il suo carattere ostico e per l'abbandono totale delle atmosfere epiche e medievali degli esordi. Dopo l'uscita di "Volcano", ammetto però di esser rimasto sorpreso e disorientato leggendo tutti i commenti positivi che l'album ha ricevuto da stampa e affezionati e non mi sento di appoggiare in pieno questo verdetto collettivo che ha decretato la nuova creatura dei Satyricon come un'opera d'arte sublime ed innovativa. Indubbiamente "Volcano" ha ereditato le strutture spigolose e dissonanti di "Rebel Extravaganza" ma appare più scarno e diretto del suo predecessore, tanto da perdere quasi integralmente quell'aura ipnotica e malsana a cui il duo norvegese ci aveva abituati nelle sue composizioni più intricate. Solo "Angstridden" porta con sè l'inconfondibile marchio dei Satyricon mentre brani come "Suffering the Tyrants", "Mental Mercury" o "Black Lava", nonostante risultino formalmente perfetti e non manchino di alcuni spunti geniali, scivolano via senza far male e rimangono privi di slancio. Va anche detto che riesce difficile resistere a due pezzi esplosivi come "Repined Bastard Nation" e "Fuel for Hatred" -due macigni dalla vena rock'n'roll che suonati dal vivo, vi assicuro, risultano assolutamente travolgenti- ma questo non basta a far guadagnare quota a "Volcano", che purtroppo rimane soffocato dall'eccessiva smania di sintesi emersa nella sua stesura. Per quanto mi riguarda non c'è nessun tradimento delle origini, nessun cambio radicale di stile e non trovo nulla di sospetto nemmeno nel passaggio della band ad un'etichetta importante (affermare che Satyr e Frost siano diventati delle rockstar è semplicemente ridicolo)... più semplicemente, "Volcano" è un disco sottotono e alle volte un po' noioso, l'album di una band che resta comunque grandissima e rimarrà tale anche in futuro. (Roberto Alba)

(Capitol, 2002)
Voto: 65

http://www.satyricon.no/

Runes Order - The Hopeless Days

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Dark Ambient, Cold Wave
Un tiepido inizio dalle movenze rallentate, quasi come intorpidite da una tremenda sensazione di gelo, la stessa orribile sensazione che solo il terrore per una morte iniqua può serbare. Incomincia così il settimo album di Runes Order, un lavoro le cui prime tracce lasciano ben intendere quale sia il percorso intrapreso da Claudio Dondo dopo le divagazioni nella musica horror anni '70 de "La Casa dalle Finestre che Ridono". Parlo di un ritorno alle sonorità di "Odisseum" e "Waiting Forever", lavori dai quali l'artista è ripartito per catturarne lo spirito e riproporne le intuizioni, ma affrontando l'onere con la padronanza del musicista maturo che ha preso completa coscienza del proprio potenziale espressivo (in tal senso, la collaborazione con Trevor di Northgate e Camerata Mediolanense sembra essersi rivelata cruciale). Con "Il Giorno della Vendetta" si entra nel vivo dell'incubo. Nel crescendo introduttivo di synth, sostenuto dall'incalzante base ritmica di sottofondo, lo stile dell'artista alessandrino diventa immediatamente riconoscibile ed è proprio a partire da questo brano che l'ascolto dell'album si farà sempre più coinvolgente. Segue "After the Passing", una bellissima cover dei Malombra interpretata da Daniela Bedeski (Camerata Mediolanense), la cui voce soave e distante accompagna l'ingresso inatteso di figure evanescenti, che giungono alla nostra dimora come portatrici di un messaggio funesto. Le urla raccapriccianti di "Misoginy!" non lasciano alcun dubbio su quanto stia per accadere: qualcosa di orrendo è già in atto... un delitto brutale ed efferato sta per essere consumato. Il buio della notte si adagia allora come un drappo nero su quel corpo martoriato, su quel volto privo di vita in cui la paura ha dipinto un'ultima smorfia. Le deboli luci al neon di una squallida periferia diventano così, le testimoni del macabro scenario e osservano, tra i rapidi bagliori dei flash, i movimenti di un obiettivo che cattura avidamente le istantanee della vittima. Intanto, le oscure ritmiche trip-hop di "The Night" sembrano trasformarsi nelle complici più fidate del Mostro, accompagnando la sua fuga nel traffico cittadino. Con l'arrivo di "Lucy" assistiamo infine ad uno degli episodi più intensi dell'album, un grido disperato che fa eco tra i ricordi di una mente distorta, quella di chi è pronto ad uccidere ancora. Muovendosi tra soundtrack music, dark ambient, cold wave ed electro ritmata, Claudio Dondo consegna alle stampe un altro formidabile album, un lavoro decisamente emozionante che raggiunge il culmine di una parabola evolutiva in continua ascesa. Prematuro immaginare quale ulteriore crescita affronterà l'artista in futuro; meno difficile è riconoscere "The Hopeless Days" come l'ennesima prova di un talento innato. (Roberto Alba)

(Beyond Production, 2004)
Voto: 85

https://myspace.com/runesorder

mercoledì 21 agosto 2013

Fatal Portrait - An Elusive Instinct... of Lascivia

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Gothic, Cradle of Filth
Un minestrone di suoni “ben congegnato”, senza alcuna cognizione di causa (nel primo brano ogni strumento pare che vada per i cazzi propri): quattro pianti di bambino, due lagne, tre strilli, un po’ di tastiera per condire il tutto e il pranzo è servito, ogni rispettabile vampiro modaiolo è accontentato. Si denota un certo miglioramento strutturale nelle ultime tracce del dischetto, pur rimanendo nei soliti canoni “heavy” triti e ritriti, senza un briciolo di originalità; troppo poco per promuovere questo cd.

(Downfall Records, 2000)
Voto: 45

https://myspace.com/fatalportrait

Burials – Burials

#PER CHI AMA: Mathcore, Progressive Death, Converge, Obscura
C'è un motivo se questa recensione arriva in ritardo, ed è che i Burials sono una delle migliori band che mi sia mai capitato di ascoltare e di conseguenza il cd è rimasto stabile nella mia rotation d'ascolto, lontano dai dischi da recensire. Il sound proposto dal gruppo è qualcosa di eccezionalmente particolare, una miscela di mathcore e progressive death con una decisa vena neoclassica che ne rende unico l'ascolto. Già da "Nova" si riesce a percepire un'atmosfera trascendente che colloca questo lavoro al di sopra di molte blasonate release di generi affini, sia tecnicamente che compositivamente, anche se difficilmente si riuscirebbe a creare paragoni date le straordinarie sonorità partorite dai nostri che riescono ad avvicinare adirritura band quali Neurosis ed Enslaved. Punto focale dell'opera è la velocità che permette al quartetto da Portland la massima resa, irrompendo con virtuosismi stupefacenti arricchiti dalle dissonanze ed armonie che riescono a creare, trovando la loro massima rappresentatività in "Synthetic" e "Wizard Lock". Ma non è certamente grazie solo alla schizofrenica chitarra che l'opera si erge, perchè la sezione ritmica dà prova di un livello ed una preparazione ottima, capace di seguire perfettamente la chitarra che si districa tra le più contorte melodie e trascina tutta l'opera oltre che l'ascoltatore. Altro punto di forza di questo lavoro è che annoia difficilmente grazie alle parti compositive che scivolano tra loro stesse, rendendo l'ascolto perpetuamente energico e febbricitante. Il mio rimpianto più grande è quello di non averli scoperti anni prima ed apetto ansiosamente lanuova release che dovrebbe uscire a breve, ascolto consigliatissimo ma solo agli ascoltatori più provati. (Kent)

(End Theory Records)
Voto: 90


http://burialspdx.bandcamp.com/album/burials

martedì 20 agosto 2013

Tons - Musineè Doom Session

#PER CHI AMA: Doom Metal, Sleep, Iron Monkey
"In the beginning God created the heavens and the earth. And the earth was without form, and void..." Vi devo confessare che inizialmente "Musineè Doom Session", debut album dei Tons, non mi aveva preso molto, probabilmente a causa dello scream troppo acido e violento di Paolo che non reputavo adatto ad un complesso doom metal; dopo svariati ascolti (confermati ulteriormente in un ultimo periodo di ascolto su vinile) devo dire che la formula proposta dai Tons è decisamente valida. Ad una prima ispezione del disco (che lo si può trovare in due versioni, il packaging originale a mo' di confezione o la versione cartonata serigrafata limitata a cento copie numerate, questa molto minimale ma di gran classe), mi balza subito agli occhi i titoli delle canzoni che richiamano grandi classici della musica metal, però migliorati. L'opera si apre con la title-track (con i passi della Genesi riportati all'inizio), traccia con riff pesantissimi e trascinanti, un ottimo inizio per catturare l'attenzione e chiarire sin da subito le intenzioni del trio torinese: tanta saturazione, tanti picchi di volume, tanta lentezza ma con ritmi capaci di far scuotere la testa (come adesso mentre scrivo questo in treno e tutti mi guardano male). Il suono già traboccante dalle distorsioni di chitarra e basso, viene ulteriormente caricato dalla voce creando un muro sonoro invalicabile. La struttura delle composizioni è pressochè semplice, su tutte spicca "Once Upon a Tentacle" traccia più breve e minimale del disco, e "Ketama Gold" traccia a mio parere più debole a causa della prima parte interamente strumentale leggermente prolissa, dato che si sposta su tre riff nel giro di quattro minuti abbondanti. Questa primo full length dei Tons è un chiaro centro pieno nella prolifera nuova scena doom italiana (una traccia come "Tangerine Nightmare" ne è la prova), capace di distanziarsi dagli stilemi classici, ma senza cadere nella banalità delle sonorità valvolari e stonerose. (Kent)

(Escape From Today Records)
Voto: 75

https://www.facebook.com/TONSBAND

sabato 17 agosto 2013

Fall Of Minerva - Departures And Consequences

#PER CHI AMA: Post-Core, Post-rock, Alexisonfire
Questo EP di debutto dei Fall of Minerva potrebbe comodamente essere usato come manifesto per tutto il movimento underground vicino al post-core sviluppatosi da un lustro a questa parte. Contiene tutti gli elementi caratterizzanti questi anni buii di musica dove abbonda la conformità di nicchia, dispersi in un mare di subgeneri e band valide, per cui necessitiamo di fari per sintetizzare elementi presenti in tutto il panorama musicale e riuscire ad avere la sicurezza sonora di un prodotto di qualità apprezzato dal naufrago ascoltatore. I Fall Of Finerva sono uno di questi fari, figli di una stratificazione di generi emersa dal crollo delle antiche civiltà del metal, del rock e del punk hardcore. Ma fondamentalmente che dire della musica? C'è tanto e poco da parlarne, la prima traccia "We're not Allowed Think of Us" riassume la formula del gruppo vicentino, l'apertura con un timido piano si sposta verso preponderanti sonorità screamo infuse di post-rock che mutano aprendo larghe parentesi metalcore e mathcore. L'andamento del disco è pressochè questo, un alternarsi di melodie ed atmosfere alla Sigur Ros e sfuriate core alla Underoath. Un lavoro che presenta un'ottima base di partenza in tempi maturi per queste sonorità. (Kent)

Face Down - The Long Lost Future

#PER CHI AMA: Thrash, Stoner, Pantera, Blind Dog, Alabama Thunderpussy
Mettiamola così: se i Pantera esistessero ancora, se Darrell e soci avessero seguito la deriva southern di Phil Anselmo ben raccontata nei Down, probabilmente oggi suonerebbero come i Face Down. Il quartetto francese, al loro primo full-lenght dopo un EP del 2010, mette insieme una forte dose di thrash metal vecchio stile con una punta di stoner rock: non aspettatevi certo le derive psichedeliche alla Kyuss, né quelle rock'n'roll di Fu Manchu o Queens of the Stone Age. Qui c'è velocità, distorsione metal, doppia cassa in abbondanza; il riffing è serrato e ben costruito, la ritmica mai scontata (finalmente un batterista davvero interessante per presenza e originalità) e i solos hanno spesso quel sapore blues che ha fatto la fortuna dell'ultimo compianto Dimebag. Dovendo dare delle coordinate più vicine, potrei citare gli Alabama Thunderpussy e i purtroppo poco noti Blind Dog, con quella mistura sempre equilibrata tra violenza sudista e blues. A contribuire con forza alla deriva stoner è senz'altro la voce: urlata ma senza mai cadere nel growl, sempre appoggiata su una melodia che ricorda l'intonazione di Jon Garcia. I brani scorrono veloci e potenti e, a parte due episodi di soli due minuti (l'acustica strumentale "Under the Sun", la velocissima sfuriata hardcore "Kiss of Death" e la brevissima parentesi di "Evil Blues"), tutti i brani hanno durate superiori ai quattro o cinque minuti, a riprova di un metal non strettamente citazionista del solo thrash dei Pantera. Sono molti i brani simbolo del gruppo, che dà quindi prova di idee chiare per tutta la durata dell'album: "Smoke Coat" è un vero laboratorio di riff sul mid-tempo, "Only Human", "N°1 Must Die" e "Blow Away the Dust" sono tre veri pugni in faccia, peraltro consecutivi, per velocità e potenza. Mi chiedo solo, pensando al futuro del quartetto: cosa succederebbe ai Face Down se abbandonassero ancora un po' la loro anima thrash a favore di atmosfere più ispirate e desertiche, di un riffing più lento e cadenzato? Può davvero essere questa una strada possibile per la fusione di due generi che hanno sempre avuto più di un punto di contatto tra loro? (Stefano Torregrossa)

The Absence - From your Grave

#PER CHI AMA: Swedish Death, Arch Enemy, Divine Souls
La Metal Blade da sempre sforna dischi di discreto valore. Da Tampa, Florida, arrivano questi The Absence, con quello che fu il loro full lenght d’esordio (un EP al loro attivo, risalente al 2004). Una breve intro chitarristica apre “From your Grave”, album dai forti richiami alla Arch Enemy con buone ritmiche, frutto del lavoro dei due axemen, che ricamano coinvolgenti fraseggi chitarristici. Non siamo di fronte a nulla di originale, per carità, tuttavia per lo meno questi ragazzi ci regalano una quarantina di minuti di death metal melodico, con dei pezzi emozionanti: è il caso di “A Breath Beneath” per il suo forte richiamo alla band svedese di M. Amott, la successiva “Necropolis”, per le aperture melodiche di chitarra e la coinvolgente title track. Ottimamente prodotti da Erik Rutan (Into The Moat, Soilent Green, Hate Eternal) presso i Manna Studios, gli Absence si dimostrano anche validi esecutori, con un discreto gusto per la melodia; lo testimoniano gli assoli della title track, ottima la chitarra solista in “Summoning the Darkness” e l’acustica “Shattered”. Da non trascurare anche la prova di Jamie Stewart, ottimo vocalist della band. Aggressivi, melodici al punto giusto, tecnici, un vero peccato che di album di tale fattura ne siano usciti a tonnellate nell'ultimo decennio, altrimenti questo lavoro (ormai datato 2005), avrebbe meritato anche qualcosina in più... (Francesco Scarci)

Continuo Renacer - Continuo Renacer

#PER CHI AMA: Prog/Techno Death, Gordian Knot, Aghora, Pestilence
Originari della penisola Iberica, i Continuo Renacer, band a me totalmente sconosciuta, sono in attività già dal 1994, con un sound influenzato da act quali Cryptopsy, Death e Suffocation. L’anno 2000 segna il punto di svolta per il gruppo, con il delinearsi di una line-up stabile, priva di un cantante e la virata del proprio stile musicale verso un genere più tecnico e progressivo fuso con il jazz, volto a dare alla band un sound più fresco e innovativo. Sicuramente i tre musicisti baschi dimostrano un più che discreto bagaglio tecnico, magnifico è infatti il basso slappato in alcuni passaggi a ricordarmi le performance di Steve di Giorgio nei Death; forti poi i richiami ai Cynic e alle varie creature nate dalle costole di questi ultimi, Gordian Knot e Aghora. L’unica pecca di quest’album omonimo (datato 2005 e che ha visto un come back discografico solo nel 2011), potrebbe sicuramente essere rappresentata dalla scelta di non avere un cantante a spezzare il ritmo, talvolta fin troppo arzigogolato dei brani, dove spesso le sperimentazioni scadono in esercizi di tecnica fini a se stessi. Interessanti indubbiamente sono i passaggi jazz e prog-rock, che si fondono alla perfezione con un genere assai ostico come può essere questo, fatto di pezzi troppo pretenziosi e complicati e con continui cambi di tempo volti a disorientare l’ignaro ascoltatore; tuttavia non abbastanza sufficienti da impreziosire questo album di debutto che comunque, si assesta su una sufficienza piena. Da rivedere sicuramente la possibilità di assoldare un cantante in formazione... (Francesco Scarci)

Prassein Aloga – Midas Touch

#PER CHI AMA: Heavy/Crossover, Iron Maiden, Sons of Selina, System of a Down
Ultimo album datato dicembre 2011, distribuito via digitale da Heart of Steel per questa band greca nata nel 1995, che ha goduto di buoni riscontri in patria poiché, ad eccezione di questo "Midas Touch", l'ensemble ellenico ha sempre usato la lingua madre per esprimersi. Proprio l'uso a sorpresa della lingua inglese ha dato nuovo slancio e verve a questa formazione molto interessante nonché l'aumento della qualità maggiorato dall'apporto in ben due brani della prestazione vocale di Paul Di Anno, mai dimenticato primo vocalist degli Iron Maiden. Tornando al contenuto del disco dobbiamo ammettere che è straripante di idee, intersecazioni di generi e modi di intendere il rock e il metal a 360 gradi. Troviamo il classic metal dei primi Iron Maiden mischiato a forme psichedeliche vicine agli indimenticatbili Warrior Soul, riff granitici di scuola primi Lamb of God oppure schegge di nu metal a ricordare certe cose dei System of a Down. A volte i nostri ricordano l'hard rock o il thrash più sanguigno, il prog metal più classico con piccoli episodi per così dire pop di lusso, con tastiere in buona evidenza, assoli e riff di carattere e una buona sezione ritmica, ma la differenza reale sta nella versatilità della bellissima voce del cantante Angello che varia continuamente e alla fine dona un tocco di moderno alternative metal anche ai brani più statici. In questo disco la varietà sonora è così vasta che a stento si trovano delle sbavature, considerando poi la fantasia e la costante seppur complessa o variegata orecchiabilità dei brani (qualcosa fa ricorda anche i grandi Sons of Selina, mitica prog rock band underground di fine anni '90), tale che potremo definire questo album un piccolo gioiellino da avere assolutamente... In questo cd ci sono brani per tutti i gusti metallici, in tutte le salse, dall'heavy al crossover senza scardinare l'istrionica e camaleontica originalità della band. I Prassein Aloga ci donano questo lavoro mettendo in mostra tutte le loro doti compositive ed esecutive in quattordici brani da ascoltare tutti d'un fiato senza mai sapere cosa aspettarsi dal brano che segue. Immaginate di ascoltare i 35007 dell'omonimo album suonare una cover degli Iron Maiden tratta dal loro primo disco e avrete un'idea della prima traccia reale, dopo l'intro di questo "Midas Touch" e se non bastasse per capirli, potremo passare direttamente alla tredicesima e quattordicesima traccia, una ballata e uno strumentale con piano straziante e assolo di rarefatta floydiana memoria con altre mille venature seventies sparse qua e là... Un disco per menti aperte e cervelli che elaborano e macinano musica rock e metal a tutto campo senza limite alcuno ed epoca. Una grande prova di maturità, un cd da ascoltare, una band da seguire!(Bob Stoner)

Kaptivity - Walk Into the Pain

#PER CHI AMA: Old school Death metal, Grave, Deicide
Era da tanto che non mi capitava di ascoltare qualcosa di old school e tutti sono a conoscenza che la scena italiana non abbia tantissime band che seguono queste sonorità, purtroppo, sopratutto in ambito death metal. I Kaptivity riescono nel loro intento grazie ad un songwriting aggressivo che non cade mai nella banalità, ed è forse questo che pecca nel loro disco (o probabilmente che vorrei sentire io): una attitudine schietta e menefreghista capace solo di rappresentare le più becere musiche. Quello che io identifico come il "problema" è l'effettiva capacità strumentale e compositiva del combo emiliano che riesce perfettamente nel suo intento di creare delle tracce di matrice death old school con un pizzico di aria macabra e funeraria. Dopo l'atmosfera creata dall'intro, le composizioni sono un sussegguirsi di violenza sonora e di bieca oscurità, in primis le tracce "City of Pain" e la evocativa "Burning Until the End". Avrei preferito "Dawn of the Immolated" successiva all'"Intro", dato che è impossibile ascoltarla composti. L'opera risulterà molto piacevole per tutti gli amanti di un certo death metal primordiale o per coloro che sono alla costante ricerca di nuove leve per vecchie sonorità. (Kent)

mercoledì 14 agosto 2013

Picatrix - Quaestio Prima

#PER CHI AMA: Ambient elettronica downtempo
Difficile introdurre quest’artista, poiché avvolto dalla nebbia del mistero. L’unica cosa che si può narrare, è che pare quest’opera sia scritta e composta da Luigi Seviroli (autore, tra l’altro, di alcune musiche per fiction italiane e del film su Dylan Dog), ma non è chiaro se sia proprio lui sotto pseudonimo. Altra chicca, è l’intervento all’interno del booklet del famoso scrittore Valerio Evangelisti (ricordiamo “Il Ciclo di Eymerich”, e la trilogia di Nostradamus), che loda questa breve composizione di 5 tracce. Tutta l’opera, ormai datata 2005, catapulta l’ascoltatore in un limbo che evoca immagini di vita medievale, con sterminati campi e villaggi fatti di capanne sotto il castello, aiutati anche da note di cornamusa sintetizzate (presente in tutte le operette), oltre che a momenti di suspense in “Zohar et Metatron”. Note allegrette si possono sentire in “The Inquisitor” che con la cornamusa quasi crea un’atmosfera giocosa. Tutt’altra ambientazione viene creata in “From Hell”: cupa, inquietante, drammatica. 10 minuti angosciosi, che lasciano l’ascoltatore in sospeso ma che riportano alla perfezione la parte più nera e tenebrosa del medioevo, piena di fantasmi e ignoranza. Si chiude così quest’ambiguo album, perfettamente mimetizzato nella nebbia più fitta e che, nonostante i numerosi ascolti, risulterà veramente impenetrabile da comprendere. Di sicuro è perfetto per qualche serie televisiva in costume, o come sottofondo musicale per leggere. (Samantha Pigozzo)

The Coffeen - You Must Be Certain of

#PER CHI AMA: Heavy Doom Stoner Punk
Caffettiera, bara da morto e altre amenità, questo album è un calderone infernale di generi (stoner-doom-heavy metal-dark-punk-blues-la suoneria dell' Iphone, etc.) che se preso nel modo giusto, non è così male. Per modo giusto intendo non seriamente, dopo tutto cercar di fondere generi diversi è già stato fatto, però o hai le palle per farlo bene, altrimenti cadi nel banale. Tecnicamente niente da dire, si sente che c'è esperienza e pelo sullo stomaco, ma ormai non basta quello, da anni. Parliamo brevemente di "Zombie for Breakfast", doom iniziale lento come un cadavere che cerca di risalire dalla sua tomba e vocione grosso in dark style. Poi si cambia e via di punk, assolo di wah wah e cori che ricordano l'heavy metal degli anni 80. "Fistfuck Rising" è uno stoner primordiale, neanche fossero mai esistiti i Kyuss e gli Sleep. Giri ripetitivi e voce con un pò di riverbero, giusto per non perdere lo stile vintage del cd. Chiudo (sennò sto male) con "When the Telephone Doesn't Ring" che risolleva i The Coffeen, almeno per alcuni riff che catturano l'orecchio del vecchio rocker e lo incitano a smuovere le budelle bruciate dal troppo whisky trangugiato nei molti anni di concerti dei Motorhead, ZZ Top e co. Che vi devo dire, ascoltatevi le altre tracce e decidete che farne. Italians do it better, come recitano i The Coffeen, ma cosa facciamo meglio? Sicuramente non facciamo valere le nostre idee e non mettiamo in gioco il nostro culo per qualcosa in cui crediamo. Noi al massimo il culo ce lo facciamo rompere, non solo da Rocco. (Michele Montanari)

giovedì 8 agosto 2013

Fate Unburied - Dehumanized Society

#PER CHI AMA: Death Melodico, Carcass, At the Gates, Death
Una piacevole melodia di chitarra irta di chorus è l'introduzione di "Arise" traccia iniziale della release "Dehumanized Society", debutto del giovane combo vicentino Fate Unburied. Dura solo pochi secondi la lieve melodia chitarristica che presto si tramuta in pura violenza sonora costituita da un death metal melodico di matrice svedese. La struttura compositiva è molto classica, ovvero uno scream non troppo acido, chitarre veloci con un suono melodico ricco di armonizzazioni, delle linee di basso che non si limitano a zappare le note portanti, ma sopratutto un drumming di notevole tecnica e prestanza, capace di rendere tutte le tracce complete e non lasciare un attimo di respiro. Il punto debole di questa ottima prima uscita è invece il suono troppo digitalizzato, che ormai sta intasando la nuova musica uscente dalle giovani band, grazie ai moderni sistemi di registrazione homemade. Il punto forte di questa release d'altro canto, lo vedo nel songwriting: nonostante nel death melodico sia facile cadere negli stereotipi del genere, i quattro ragazzi veneti riescono a creare delle composizioni tecniche ed affascinanti ("Chimera" su tutte), con l'influenza dei grandiosi Death facilmente riscontrabile. Ci sarà tempo per rendersi più personali, nel frattempo date una chance a "Dehumanized Society". (Kent)

Chaos Plague - Chaos Plague

#PER CHI AMA: Progressive Death Metal, Necrophagist, Pestilence
Tramite il buon Emi della Music Solution's Agency, giunge fra le mie mani questo discreto EP dei Chaos Plague, giovane band di Como, che mi allieta con tre tracce progressive death metal di buona fattura. Le sonorità tendono al classico, distaccandosi dalla moderna scia di gruppi come Beyond Creation o Obscura; la preparazione tecnica è più che sufficente per il genere e alla luce di ciò, non riesco a capire il volere della band di non varare scelte compositive che virano verso parti più adrenaliniche, ma di rimanere sempre sugli stessi stagnanti ritmi e patterns. Le parti più progressive rock e lievemente jazzate, di chiara ispirazione Cynic, sembrano inserite a forza e alla fine non convincono efficacemente tanto che pesa molto nel lavoro complessivo il finale di "Sinner's Regret". In conclusione "Chaos Plaugue" lo vedo come un'opera incompleta che limita terribilmente le capacità di un gruppo, che dati i presupposti fin qui ascoltati, può fare certamente qualcosa di superiore. (Kent)

The House of Usher - Radio Cornwall

#PER CHI AMA: Dark Gothic Rock, The Cure, Joy Division
Ricevo questo doppio cd, ormai datato 2005 ove troneggia l'immagine di un re con tanto di barba e corona, come da tradizione medievale: inserisco il cd nel lettore e chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare dal gothic rock teutonico. "Wherever the Storm May Drop Us" inizia con suoni distorti, per arrivare poi ad una voce che ricorda i Joy Division e i Cure; tutta la canzone è caratterizzata da un'atmosfera cupa, scura, quasi pesante, un goth-rock pulito e piacevole, tranquillo e non impegnativo. "More than Average" si presenta con una voce più acuta pur mantenendo una atmosfera dark: gli strumenti in primo piano sono il sintetizatore e la batteria, mentre in secondo piano vi sono anche chitarra e batteria. Questo brano si avvale anche della collaborazione di una voce femminile per i cori. "A Dead Man's Hand" inizia con spari, elicotteri e urla lasciando poi il posto ad un brano grintoso, cattivo, potente, più dark rispetto ai precendenti ma di grande impatto. "Hide and Seek" è già più calma, con un largo uso di chitarra-batteria e una voce semi-grave, matura. Un brano che accompagna facilmente i pensieri, senza infastidirli, terminando con note di pianoforte e tastiere. "Will You Know Me" ricalca lo stesso ritmo, cambiando solo la velocità: questo brano è un po' più veloce, ma senza risultare troppo duro, insomma rimane sempre nell'ambito rock, senza mai nemmeno timidamente fare capolino nel reparto metal. La sorpresa di questa traccia è la voce femminile che canta in francese, molto dolce e gradevole. "For Better for Worse" è ancora più cupa, degna della migliore tradizione “joy divisiana”: malinconica, funesta, deprimente, persino profonda. Siamo giunti a metà album e ci si presenta la title track, "Radio Cornwall": appena percettibile c'è l'inno americano all'inizio, mentre la canzone risulta bella carica. "The Floor She Walked Upon" ha un tono più solenne e accattivante: personalmente lo reputo uno dei brani migliori di questo album, proprio per la vita che contiene. Il brano sembra essere uscito dai primi anni '90, grazie soprattutto all'uso di tastiere e suoni campionati. "It Doesn't Matter" si mette in luce per uno stampo più industrial e un ritmo più dinamico mentre "Throwing Stones at the Wind" ha un'impronta più allegra: sembra quasi che la band voglia spogliarsi del velo mesto che li circonda, per lasciare spazio ad un sentimento più positivo: quel che ci voleva dopo un album colmo di oscurità. Con "Le morte d'Arthur" arriviamo così alla fine del cd: chitarra e batteria acustiche, voce lugubre, tono solenne e voce femminile, sono gli elementi che caratterizzano il brano, quasi a voler sottolineare la tristezza che la morte porta. Solo verso la fine il ritmo si fa più incalzante, si desta dalla malinconia e riprende la forza trovata nel brano precedente. Come detto all'inizio, quest'opera si avvale di due cd, di cui il secondo contiene sia la già citata “A Dead Man's Hand”, che altre 4 canzoni composte negli anni precedenti, più orientate a suoni di stampo epico/medievale. Non è stato così semplice recensire l'album, causa brani che di base si assomigliano tutti, e che dopo un po' inducono noia nell'ascoltatore. Necessita comunque di essere sentito più e più volte, perché solo in questo modo si capteranno le diverse sfumature. Consigliato a chi ama il dark-rock dei Cure o dei Joy Division. (Samantha Pigozzo)

(Equinoxe Records)
Voto: 60

http://www.the-house-of-usher.de/

Xipe Totec - In Moyocoyani

#PER CHI AMA: Folk Death, Asphyx, Autopsy
Xipe Totec era una divinità mixteca, in origine chiamata semplicemente Xipe, associata al culto della morte e della vita e come dio fu adottato dagli aztechi durante il regno Axayacatl (1469 -1481). Tutto questo per introdurre una band tutta particolare che fonde un carattere industrial/death metal con basi ambient tutte giocate su suoni primordiali delle foreste azteche. La band si chiama come la divinità Xipe Totec è al terzo album ed è uscito nel 2012 per la Invincible Records. La band proveniente dal Messico si è formata nel 1996 e dopo varie uscite e scioglimenti, si è ricostituita nel 2011 dando poi alla luce questo connubio musicale dal titolo "In Moyocoyani" scritto come un concept album con un comune denominatore che lega tutti i dieci brani da una selvaggia e ripetuta colonna sonora della foresta che riaffiora di brano in brano in situazioni diverse ma tutte atte a riportare alla mente lo scopo della composizione. La band si definisce "prehispanic death metal" ed esplora con testi e musica l'epoca del dominio azteco, fino ad arrivare a cantare tutti i nuovi testi in lingua storica azteca. La musica è ben stesa, iper tecnica, velocissima e con assoli entusiasmanti che trovano contraltare nelle frazioni ambient, un growl ragionato e pungente, un disco ben concepito ricco di atmosfera e violenza. Nelle parti pesanti i nostri riflettono gli Autopsy in una versione più secca con influenze fredde ed industriali tranne negli assoli dove un suono molto avvolgente e caldo stupisce per melodia e tecnica esecutiva, un death metal old school ben suonato e marcio come deve essere. Forse la volontà di creare continui ponti tutti giocati sui suoni della foresta risulta alla fine un po' ossessiva ma non guasta, se veramente si riesce ad addentrarsi nel significato dell'opera che acquista valore ad ogni ulteriore ascolto. Come dicevo, un apprezzamento degno di nota va fatto per il lavoro solista della chitarra a cui va dato il giusto merito, anche se siamo convinti che una produzione più raffinata avrebbe potuto donare all'intera opera una qualità ulteriore. A conti fatti e riascolti ripetuti non possiamo che constatare quanto buono sia il risultato di questo album particolare e tutto da scoprire, misterioso come la storia del popolo azteco (attenzione l'album è disponibile in sola distribuzione digitale – vedi Invincible Records – DeFox promotions). Ascolto consigliato. (Bob Stoner)

domenica 4 agosto 2013

Via Sacra - The Road

#PER CHI AMA: Heavy Metal, Iron Maiden
Primo lavoro per la neonata band portoghese, uscito nell'autunno 2012. Geniale è il packing: in cartone, per prendere il cd basta sfilare e aprire un'aletta rotonda (riportante i colori della copertina). In questo modo si evita di rovinare la custodia e occupa minor spazio rispetto alla stessa in plastica. Unica pecca è l'assenza del booklet (ma per vedere le loro facce basta andare sulla loro pagina myspace). "Jimmy's Life" inizia con un giro di chitarra in stile anni '80: la prima cosa che mi salta in mente circa la voce del cantante è "ma sembra Bruce Dickinson!". Tutta la song, assieme anche a "No Lies", segue il filone dell'hard rock energico e veloce, con qualche assolo di chitarra che ti porta direttamente nell'air guitar. "Lost World" e "Black Angel" sono già più rallentate, melodiche, ma il vigore rimane tale e quale: ciò che è aumenta invece è il pathos. Decisamente da cantare a tutta voce. "Souls of Fire" ha un riff iniziale di basso squisito, a cui fanno seguito chitarra e tastiere vigorose e morbide al tempo stesso. Più si procede con l'ascolto, più mi carico di energia positiva: questa è magia! . "Storm in your Soul" e "Never Come Back Home" sono brani più introversi dove il vocalist porta la voce ai due estremi: nella prima tocca il livello più alto, sottolineando la fortissima somiglianza con il buon vecchio Bruce, mentre nella seconda rasenta tonalità più gravi. Brani intrisi di una forza interiore coriacea che lasciano il segno. "Baby Baby" dal ritmo incalzante, ricorda vagamente i Kiss, specialmente negli acuti del corista, oltre che nel largo uso delle tastiere. "Secret Garden" è la mia traccia preferita: note campionate aprono e caratterizzano questo pezzo, rendendolo più cupo e tetro. Estroso! Con "The End of the Road" si arriva alla fine: chitarra aulica all'inizio, per tornare alla risolutezza di base di questo ensemble. Per chiudere, dico che questo è l'album hard rock che più preferisco: non trovo un termine adatto per esprimere la grandezza di questo lavoro. Per me può anche essere definito capolavoro. Bravi!!! (Samantha Pigozzo)

(Ethereal Sound Works)
Voto: 85

https://www.facebook.com/viasacraband

giovedì 1 agosto 2013

Santina è Morta - EP

#PER CHI AMA: Stoner Rock, Teatro degli Orrori, Verdena
Con i Santina è Morta è stato amore al primo concerto, poi al secondo (suonavamo allo stesso Festival) li ho conosciuti e mi sono accaparrato una copia del loro ultimo lavoro. Il trio vicentino si basa su due chitarre molto affiatate tra loro e un batterista che definirlo bravo è poco. Grande impatto sonoro e visivo, condito da ottimi suoni e ritmiche sempre azzeccate. Loro fanno a meno del basso, lo emulano per mezzo di orpelli tecnici e va bene così. Un pò di influenze qua è la, tra cui Teatro degli Orrori, Verdena, stoner vario e tanto altro ancora. Loro stessi si definiscono violenti , ma non disdegnano di fare l'occhiolino ad atmosfere meno aggressiva e più intime. Anche i testi hanno una loro personalità, non banali, ma neanche impegnatissimi. Dopotutto i Santina è Morta fanno musica, non propaganda. Tanto per citare alcuni pezzi, il singolo "Il Sole al Mattino" è un bel ceffone in chiave sentimentale fatto di bei riff distorti e ritmica trascinante. Dopotutto una persona normale non ascolta Noemi o stronzate varie quando è giù perché è stato mollato. Ha bisogno di gridare la sua rabbia e delusione, non di deprimersi con le solite nenie pop. Personalmente mi piacciono anche gli altri brani, in particolare "Angina" per le chitarre piene di delay e riverbero, le esplosioni sonore e quella atmosfera spaziale che non guasta mai. Per essere un EP di cinque pezzi registrato in presa diretta in un giorno, lo ritengo già di ottima fattura. Aggiungici poi un folder in cartoncino fatto a manina con tanto di croce nera ritagliata, il successo è assicurato. Bravi, mi sa che ci rivedremo presto. A proposito, Santina è morta veramente. (Michele Montanari)

Ende – Whispers of a Dying Earth

#PER CHI AMA: Black, Emperor, Bathory, Taake
Questo primo full lenght del progetto solista del compositore bretone I. Luciferia è uscito nel 2012 per Obscure Abhorrence Productions ed è composto da nove brani per un totale che supera i quaranta minuti. La musica si snoda tra le terre tortuose del black metal ortodosso degli Emperor, dei Bathory e la furia dei Taake, mantenendo comunque una buona dose di originalità ma soprattutto un tiro micidiale, unito ad una vorticosa e continua malvagia frenesia che coinvolge fin dal primo ascolto e ci proietta in una densissima nebbia oscura. Dopo l'intro rituale, l'atmosfera si fa ferale, martellata da una batteria superba e onnipresente che condiziona molto positivamente il sound dell'intero album, supportando a dovere la continua ricerca di melodia e forza voluta dal nostro autore. Splendida la prova per questa one man band alle prese con quasi tutti gli strumenti e anche vocalmente, tra screaming lancinanti e growls il mastermind francese (impegnato anche nei progetti Reverence e Osculum Infame) se la cava degnamente, anzi potremmo dire con classe. Il sound risulta potentissimo, impietoso e maestoso; di buona qualità la registrazione, l'album fila velocissimo anche se un po' statico per il genere, fatto d'umore nero, pensieri pesanti e profondi, visto che tutti i titoli che lo compongono trattano l'oscurità. Tutto è ben gestito e calibrato a dovere, il suono è maturo, violento e mai banale, ricercato soprattutto nell'insieme e nelle parti melodiche. Infatti non emergono virtuosismi, ma quello che si nota e ci resta più nelle orecchie è proprio l'uniformità della musica in tutte le sue tracce. Gli Ende non perdono mai di vista l'effetto blastbeat finale, l'assalto frontale e il punto di vista globale della situazione, pregio per altro di pochi musicisti. Nota di merito alla track numero sette "Our Funeral" (la mia preferita!) che condensa a mio avviso il senso della musica degli Ende ossia velocità, malinconia, tristezza e rabbia nera con una classe elevata che in questo caso si mette ancor più in evidenza con un ponte acustico di notevole caratura, prima di un finale al vetriolo. Il finale contrasta tutte le altre tracce mostrando il lato intimista degli Ende, concludendo tra cori mistici, arpeggi e suoni ambientali di un mare agitato e freddo come quello di Bretagna. Gli Ende sono una band con un potere di fuoco esagerato e speriamo che questo primo full lenght rappresenti solo l'inizio della battaglia! (Bob Stoner)

(Obscure Abhorrence Productions)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/ENDE/318388168188998

Aeternal Seprium - Against Oblivion's Shade

#PER CHI AMA: Heavy Power, Iron Maiden, Domine
Formatisi nel lontano 1999 a Contado del Seprio (Varese) con il nome Black Shadows, nel corso degli anni i nostri hanno modificato la line-up, mantenendo 3 dei membri fondatori (Leonardo Filace, Matteo Tommasini e Santo Talarico) e accogliendo, 3 anni dopo, il cantante Stefano Silvestrini. Nel 2007 l'act lombardo registra il primo demo, ”A Whisper From Shadows” con il nome Aeternal Seprium, nel frattempo entra un secondo chitarrista arrivando alla formazione odierna. Nel 2009 esce un altro demo ”The Divine Breath of Our Land”, e nel 2011 finalmente esce il primo e vero album, che mi accingo ad esplorare. Si parte con ”The Man Among Two Worlds” e “Vanaglory” di chiaro stampo "iron-maidiano”: vigorosa, ritmata, cantata con tutta l'energia che si ha in corpo. I testi sono sia in inglese che in italiano. Degni di nota sono gli acuti, più e meno prolungati, che conferiscono, in una, una nota di heavy metal più puro; nella seconda, è da ricordare il lungo e magistrale assolo di chitarra verso il terzo minuto. “Sailing Like the Gods of the Sea” si avvicina più al thrash, ma senza mai dimenticare l'influenza di Bruce Dickinson & soci: a volte la portanza vocale è talmente ricca e ingente, che mette la pelle d'oca a sentirla. “Soliloquy of the Sentenced” placa gli animi e diventa più modulata, epica: la batteria suonata con furore, le chitarre accordate più basse offrono toni smorzati che rendono una sensazione più composta. “In Sign of Brenno” a tratti ricorda i primi Metallica, ma sono più che altro piccoli lampi, anziché una vera e propria ispirazione. “Victimula's Stone” si avvale di un bel chorus che dà un maggiore impatto e un'aria più dinamica al tutto. “Solstice of Burning Souls”, alle prime note, sembrerebbe indirizzata verso una melodia più morbida, ma dopo quasi un minuto tutto torna come sempre. Da evidenziare soprattutto la preponderanza della chitarra messa a frutto: fa venire la pelle d'oca. Dicevamo delle parti cantate in italiano: è il caso di “L'Eresiarca”, ballad scritta e cantata nella lingua tricolore. Oserei pure ricordare un che di Marlene Kuntz in questa cantica proprio per il suo stile vocale. Piccole venature medievali si possono cogliere nel corpo di “The Oak and the Cross” e “Under the Flag of Seprium”, un omaggio alla loro terra natia. Si chiude questo mistico viaggio in terre e mondi lontani, pieni di battaglie e cavalieri: una pubblicazione prorompente e vigorosa che ti carica e ti porta ad affrontare meglio una lunga giornata nel segno del metal. (Samantha Pigozzo)