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Visualizzazione post con etichetta Doom. Mostra tutti i post
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martedì 11 febbraio 2025

Volt Ritual - Swamp Lake City

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Giusto un paio di pezzi per il nuovo EP dei polacchi Volt Ritual, intitolato 'Swamp Lake City'. Quello, da pochi giorni uscito, dovrebbe essere (almeno stando a Bandcamp) il secondo EP per i nostri (all'attivo peraltro anche un full length), che s'inserisce nel filone stoner/doom rock, un lavoro che segna un passo in avanti nella carriera musicale del terzetto di Bielsko-Biała. Il sound della band è caratterizzato dai classici riff pesanti, accompagnati da sonorità distorte tipiche di un certo occult doom rock, coadiuvato dalle altrettanto classiche influenze stoner, in grado di aggiungere anche un pizzico di psichedelia ai due brani qui contenuti. Ecco, quanto certificato almeno nell'iniziale "The Giant Awaits", una song piuttosto canonica per il genere, in cui la produzione risulta comunque solida ed equilibrata, esaltando la pesantezza sonora, senza perdere la chiarezza necessaria per apprezzare le diverse sfumature musicali. Ovviamente, non siamo di fronte a nessuna evoluzione sonora o invenzione di chissà quali nuove sonorità, in quanto il disco si muove sulla combinazione di momenti aggressivi con fasi più riflessive e atmosferiche. La voce grungy (a volte un po' troppo in ombra) di Mateusz è tesa a flirtare con quella del vocalist dei Fu Manchu. Un bel chitarrone apre "Miasto Wśród Bagien", una traccia cantata in polacco che sembra evocare, nelle sue note piuttosto lineari e dirette, anche spettri garage/punk rock, al pari di derive di scuola Electric Wizard. Il brano alla fine sciorina un orecchiabile bridge ma l'acme del brano, si registra esattamente a metà con una deliziosa parte atmosfera ricca di riverberi di grande efficacia. La chiusura percussiva, dotata di una tribalità coinvolgente, chiude un EP che sembra promettere interessanti sviluppi futuri ma che verosimilmente, necessita di un'ulteriore sgrezzata per permettere al trio di indossare il giusto abito per le grandi cerimonie. (Francesco Scarci)

lunedì 10 febbraio 2025

The Bottle Doom Lazy Band - Clans Of The Alphane Moon

#PER CHI AMA: Doom/Stoner/Psichedelia
Ci hanno impiegato ben nove anni i doomsters francesi The Bottle Doom Lazy Band a tornare sulle scene con un nuovo full length, sebbene in mezzo siano usciti un EP nel 2020 e un live album, l'anno successivo. E cosi a squarciare questo lungo silenzio, ecco 'Clans of the Alphane Moon', nuovo album pubblicato dalla Sleeping Church Records. Un lavoro che combina gli elementi pesanti del doom di Pentagram e Trouble (aver detto Black Sabbath sarebbe stato troppo scontato) con influenze spaziali e psichedeliche, andando a creare un'atmosfera coinvolgente che sicuramente ridarà entusiasmo ai vecchi sostenitori della band. Il disco, come da tradizione, è caratterizzato da riffoni belli tosti che, sin dall'iniziale "Ride the Leviathans", fondono nelle loro note, stoner e doom. Ispirandosi alla cultura fantascientifica degli anni '60 e '70, il disco, nel suo litanico incedere, va aumentando i giri del motore con la sinistra "Crawling End", e un giro di chitarra ripetitivo e per questo, parecchio ansiogeno, su cui si andrà a porre la teatrale voce di Bottleben. Poi è ancora l'opprimente sezione ritmica a prendere il sopravvento, con una porzione percussiva davvero impressionante che ci accompagnerà fino a "To the Solar System". Un altro brano intenso che mi ha fatto pensare ai Candlemass di Messiah Marcolin, e comunque a un genere dotato di un canovaccio ben preciso, dal quale fuggire sembra essere compito assai arduo, se non affidandosi a una componente solistica imprevedibile, strumento che sembra non mancare ai nostri e gli consenta di prendere le distanze dai vari mostri sacri del genere. Un bel basso pulsante apre "Castle Made Of Corpses", un brano oscuro che ricorda storie di orrore, e che vede le chitarre intrecciarsi con il basso, lungo il suo ardimentoso cammino. La successiva "The Technosorcerer" (il brano più lungo del lotto) non è da meno per tenebrose ambientazioni e una ridondanza, nella sua componente ritmica, che vede sviluppare, in psichedelici giochi di luce, una significativa evoluzione della narrazione sonora. Quasi dodici minuti di sonorità asfissianti che vanno, grazie a Dio, via via crescendo fino a un finale chiuso, in realtà, un po' in sordina. "Flames of Sagitarius" vira verso suoni decisamente più classici e se da un lato, è un piacere rievocare certe sonorità, dall'altro, sembra anche voler dire che 70 minuti per un disco sono forse un po' troppi per rimanere ad alto livello tutto il tempo. E stancamente (sfiancato già da oltre un'ora di musica), mi appresto ad abbracciare "The Dying Earth", ultima e gustosa traccia di un lavoro mastodontico che magari non brillerà in originalità, ma comunque ci restituisce una band dotata di buon gusto e sfumature innovative, capace di incorporare elementi psichedelici e sperimentali nel proprio sound. (Francesco Scarci)

martedì 4 febbraio 2025

Tigguo Cobauc - Fountains of Anguish

#PER CHI AMA: Black/Sludge
The English band Tigguo Cobau, whose peculiar name has historic ties with its hometown Nottingham, presents its sophomore effort entitled 'Fountains of Anguish'. The second album is always a crucial moment for a project as they must make a step forward and distinguish themselves from the fierce competition. Tigguo Cobau's approach is quite interesting as they blend some black metal influences into their core sludge metal sound, while adding a strong atmospheric touch.

'Fountains of Anguish' incorporates all the aforementioned elements, achieving a remarkably solid balance between abrasion and atmosphere. The typical aggressiveness of sludge metal is complemented by melodic and ambient sections, resulting in songs that have a unique touch. This blend is evident not only in the band's instrumental music but also in the vocals. The raspy vocals play a significant role, but cleaner vocals are also utilized throughout the album. The album features ups and downs in intensity and tempo changes, creating a dynamic listening experience. Take, for example, the track "Eternal Quietus," which showcases marked contrasts between different sections and overall intensity. The vigorous pace and crushing riffs, accompanied by ferocious screams, make this song one of the heaviest yet mesmerizing with its hypnotic atmospheric parts. Renatos Ramos delivers a stellar vocal performance, effortlessly varying his tone as needed. He typically uses high-pitched tones for extreme vocals but also incorporates lower tones, closer to metal, as seen in the crushing and heavy "Inner Disaster." Another standout track is "Engaged Putridity," where all the elements that define the album are tastefully combined. The song is vibrant from start to finish, exuding tremendous energy with top-notch guitar work, abrasive vocals, and the ever-welcome atmospheric essence that enhances the entire work.

'Fountains of Anguish' by the English band Tigguo Cobauc, is definitely a remarkable album. The different elements and influences of the band are combined in an inspired way, creating compositions that exude energy and honesty. I strongly recommend giving it a chance if you enjoy songs with a well-balanced brutality and atmosphere. (Alain González Artola)


(Exitus Stratagem Records - 2024)
Score: 83

https://www.facebook.com/tigguocobaucband

giovedì 23 gennaio 2025

Swallow the Sun - Shining

#PER CHI AMA: Doom/Depressive
‘Shining’, il nono album in studio dei finlandesi Swallow the Sun, rappresenta un punto di svolta significativo nella loro discografia. La nuova uscita del quintetto di Jyväskylä propone un suono che, pur non rinunciando del tutto alla componente death-doom più pesante del passato, si orienta verso una dimensione più melodica e accessibile. Questa evoluzione si traduce in composizioni maggiormente dirette e orecchiabili, come si può notare in brani come “Innocence Was Long Forgotten” e “MelancHoly”, esempi perfetti del cambio di rotta intrapreso dalla band. Tuttavia, questo nuovo lavoro non abbandona l’oscurità che da sempre ha contraddistinto gli Swallow the Sun. Al contrario, l’album è pervaso da un’atmosfera avvolgente e da melodie che evocano profondità insondabili, dove la luce appare solo come un lontano ricordo. Questa sensazione emerge anche nelle liriche, che esplorano temi come la perdita, l’isolamento e la vulnerabilità. E la musica diventa così un mezzo catartico, un riflesso sonoro delle fasi del lutto e un’espressione poetica che risuona nel cuore dell’ascoltatore (ascoltare la title track per comprendere al meglio). L’esperienza complessiva dell’album risulta, però, contrastante: i brani alternano momenti malinconici ma carichi di groove, come accade in “Under the Moon & Sun”, a tracce che sembrano rievocare i fasti e le atmosfere plumbee delle origini della band, come in “Charcoal Sky”. Sebbene questa eterogeneità possa sembrare un punto debole per chi cerca maggiore coesione musicale, in realtà essa rivela un viaggio interiore tormentato e irrisolto. È un invito ad affrontare i propri demoni, sintonizzandosi con il profondo senso di inquietudine che permea l’album. Ciò che rimane indiscutibile è la capacità degli Swallow the Sun di non essere mai prevedibili. Pur richiedendo un ascolto attento e una buona dose di pazienza per assimilare appieno i brani, ‘Shining’ si conferma come un’opera di grande qualità e profondità emotiva. (Francesco Scarci)

domenica 12 gennaio 2025

Sahg - More of Nothing

#PER CHI AMA: Heavy/Doom
A dimostrazione che la Norvegia non è solo la patria del black metal (e dei Motorpsycho), ecco arrivare i Sahg con un nuovo lavoro, 'More of Nothing'. La band originaria di Bergen e in giro ormai da un ventennio, ci propone quattro nuovi brani che affondano le proprie radici nel doom di sabbattiana memoria, ovviamente rilette in chiave più moderna e anche un filo ruffiana. Eh si, perchè la title track, posta in apertura di dischetto, oltre a palesare il classico mastodontico rifferama tipico del genere, ammicca con i cori a soluzioni più easy listening. Piacevoli eh, non è una lamentela la mia, giusto una pura constatazione. Decisamente più oscura e robusta "Suffer in Silence", complice un suggestivo break atmosferico a metà brano atto a prepararci a un roboante finale, in cui a mettersi in luce sono la voce dell'onnipresente Olav Iversen, fondatore della band, e breakdown improvvisi. "Children of the Revolution" è invece più marcatamente blues/hard rock, ma d'altro canto, trattandosi di una cover del 1967 dei britannici T. Rex, e riproponendola in modo piuttosto fedele all'originale, era anche lecito aspettarsi quest'attitudine. Una traccia tuttavia di cui avrei fatto a meno. Più seducente la conclusiva "She's a Queen", una sorta di ballata blues old fashion che chiude piacevolmente un lavoro che mi sentirei di suggerire però ai soli fan della band scandinava. (Francesco Scarci)

(Drakkar Entertainment - 2024)
Voto: 68

https://www.facebook.com/Sahgband

lunedì 16 dicembre 2024

Grand Harvest - Till Förruttnelsen

#PER CHI AMA: Black/Death/Doom
Era da un po' che non ci immergevamo in suoni death doom; mi vengono quindi in aiuto gli svedesi Grand Harvest con il loro 12" 'Till Förruttnelsen' e due lunghi pezzi che affrontano il tema della fine del genere umano, argomento sempre più ricorrente nelle liriche degli ultimi album che ho ascoltato di recente, e chissà come mai. Un mondo che ormai sta giocando sul filo del rasoio dell'autodistruzione, offre spunto al quintetto di Malmö per disegnare questi due pezzi che corrono su linee melodiche malinconiche che mi hanno evocato i primi My Dying Bride, ma a differenza della band inglese, mi sembra poter dire che sembra esserci anche una prominente vena blackish nelle note dei nostri, pur mantenendo comunque intatta la coesistenza di death, doom e black stesso, attraverso un uso interessante di linee di chitarra piuttosto pulite, cori maestosi e vocals a cavallo tra screaming e growl. Questo quanto certificato dall'iniziale title track, riproposto comunque anche nella successiva "Consummatum Est (Det är Fullkomnat), che non fa altro che confermare le buone sensazioni che ho avuto nell'ascolto dell'opening track. Il sound si muove sempre su un'intelaiatura death doom mid-tempo, con le vocals qui forse più spinte verso l'harsh. Niente di grave sia chiaro, anzi mostrano molteplici sfumature di una band che sembra avere delle buone potenzialità, da esplorare in un nuovo album più strutturato, che sembra sia al momento in lavorazione. Per ora, ci si accontenta di questo antipasto, in attesa di un piatto ben più corposo. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2024)
Voto: 68
 

lunedì 4 novembre 2024

Urza / Calliophis - Dawn Of A Lifeless Age

#PER CHI AMA: Death/Funeral Doom
Ecco uno di quegli album semplici semplici da recensire: un bel concentrato di funeral death offerto da due band tedesche a me totalmente sconosciute, gli Urza e i Calliophis, che evidentemente, era un po' che non si facevano sentire. I nostri hanno cosi unito le forze per dar voce al loro disagio interiore e condensarlo in questo split intitolato 'Dawn of a Lifeless Age'. Due i pezzi a disposizione per ciascuna band, per circa 23 minuti a testa, fatti di sonorità apocalittico-asfissianti. Il disco si apre con i berlinesi Urza, che erano in silenzio dal 2019, quando uscì il loro debut album. Il quintetto teutonico ci propone due pezzi ben suonati ma forse troppo derivativi: se "Maunder Minimum" è il classico emblema del funeral doom, quello dotato di buone e melodiche linee di chitarra, profondità degli arrangiamenti, oscure ambientazione e vocals super growl, "Through Ages of Colossal Embitterment" si presenta invece inizialmente più abrasiva e votata ad un death doom dalle ritmiche più spinte e veementi, con parti che evocano un che dei primissimi Anathema di 'Serenades'. Dopo un paio di minuti però, il sound dei nostri torna a sprofondare in meandri depressivo-catacombali, di sicuro impatto emotivo, soprattutto alla luce di un utilizzo alternativo, e ben più convincente, delle vocals. Niente di nuovo sotto il sole comunque, anche se la qualità generale è piuttosto buona. È allora la volta dei Calliophis, band originaria della Sassonia, che ha peraltro già tre album all'attivo dal 2008 a oggi. Per loro, un ritorno dopo il convincente album del 2021, 'Liquid Darkness', e due nuovi pezzi, "Trepak" e "Endure Your Depression", che si muovono dalle parti di un death doom assai melodico ed emozionalmente toccante. Ottime melodie contraddistinguono infatti i due brani, unite ad eleganti parti atmosferiche e a una buonissima componente vocale. Se dovessi esprimere il mio personale gradimento tra le due band di oggi, orienterei la mia scelta decisamente verso i Calliophis, complici quelle sonorità soffuse ma penetranti, quelle linee melodiche di chitarra che dipingono strazianti paesaggi emotivi, e che avvicinano i nostri a certe eleganti produzioni scandinave del passato. Un bel modo per conoscere due band questo split album e indirizzarci alla scoperta delle loro discografie, se solo saranno in grado di toccare anche le vostre corde dell'anima. Le mie hanno vibrato, soprattutto in compagnia dei Calliophis e voi, chi preferite? (Francesco Scarci)

lunedì 9 settembre 2024

Mourning Dawn - The Foam of Despair

#PER CHI AMA: Black/Doom Sperimentale
Ecco un'altra band che qui nel Pozzo dei Dannati è ormai di casa: sto parlando dei francesi Mourning Dawn e del loro recente comeback discografico, sempre attraverso la Aesthetic Death. 'The Foam of Despair' è il loro sesto lavoro su lunga distanza e si configura come la classica miscela death doom, accompagnata da atmosfere black depressive che ricordano certe cose degli Shining. Questo è già evidente nell'opening track, "Tomber du Temps", che sembra ammiccare non poco ai colleghi svedesi guidati da Niklas Kvarforth. La forza di questo primo brano risiede nella cupezza delle sue chitarre, negli strali malinconici insiti nelle melodie e nel cantato disperato di Laurent "Pokemonslaughter", che si muove tra uno screaming comunque intelligibile e un approccio narrativo ansiogeno. Da sottolineare la componente solistica da urlo e la presenza dello strepitoso sax di Adrien Harmois nella coda del brano, a mettere la classica ciliegina sulla torta a un pezzo davvero evocativo, che nella chiusa evoca un che dei nostrani Dawn of a Dark Age. La seconda "Blue Pain" vede una nuova ospitata del disco: dietro al microfono si presenta infatti l'onnipresente Déhà (peraltro responsabile anche del mixing e mastering dell'album), in un pezzo che scalda gli animi ancor di più, per quei suoi rimandi inequivocabili ai Katatonia di 'Brave Murder Day'. E io godo. Non poco peraltro, visto l'ottimo lavoro melodico proposto e la performance vocale di uno dei miei cantanti preferiti, in ambito estremo. "Borrowed Skin" dura oltre 11 minuti e promette bene sin da quel morbido incipit affidato al parlato del frontman. Le atmosfere si mostrano plumbee, il giro di batteria quasi ipnotico, ed è qui che il terzetto di Parigi ci inchioda in un incedere straziante, con il vocalist che sprofonda in territori growl, mentre le chitarre assumono sembianze sghembe ma sempre sinistre, interrotte da un brevissimo break centrale, che troveranno modo poi di esibirsi in altri ottimi assoli. Notevole. Dopo tante cose abbordabili, ecco che "Apex" mostra il lato più scorbutico dell'ensemble transalpino, sebbene la song si muova su un mid-tempo claustrofobico e ostico da digerire, ma gli arrangiamenti in sottofondo sono egregi e inducono sicuramente a un ascolto curioso e attento. Ma l'attenzione verrà sicuramente catalizzata dalle atmosfere trip-hop della successiva "Suzerain" dove si palesa un altro ospite, A.K.: ancora un parlato in francese, echi dei CROWN che si esibiscono nelle chitarre pesanti dei nostri con la comparsa contestuale del cantato graffiante di Laurent. Che la traccia non sia comunque come tutte le altre è palese, avanzando nell'ascolto di un brano magnetico, intenso e psichedelico che, non so per quale motivo, ho trovato per certi versi accostabile a "Epitome XIV" dei Blut Aus Nord. Ultimi due pezzi a disposizione per la band per farci gridare al miracolo: si parte con il doom di "The Color of Waves", che incorpora un suggestivo intermezzo atmosferico, punto di partenza di un nuovo irrequieto e inquieto giro di chitarre. Si chiude con l'industrialoide "Midnight Sun" (traccia peraltro non disponibile nella versione vinilica) che con le sue sperimentazioni sonore, sancisce che in casa Mourning Dawn, qualcosa è davvero cambiato, e in meglio. (Francesco Scarci)

giovedì 5 settembre 2024

Officium Triste - Hortus Venenum

#FOR FANS OF: Death/Doom
The Dutch veterans Officum Triste are for sure one of the most relevant projects in the doom metal scene. Founded 30 years ago, these veterans have a career full of great albums, although they haven’t been particularly prolific. But you know, it’s always clever to focus on quality rather than on quantity, and Officium Triste has followed this rule with a devoted constancy. As you probably imagine, there have been some line-up changes through its three decades of existence, although less than you could think. More importantly, a core trio remains since its inception, which probably explains how this band maintains its recognizable classic sound. This could be a bad thing if the inspiration drops, but thankfully Officium Triste has kept the passion alive, which is something remarkable.

Its combination of death and doom metal influences, with a strong atmospheric touch, has always been very appealing to me as this ambience enhances the beauty of its melodies. The new opus entitled 'Hortus Venenum' is not an exception. The balance between atmosphere and tasteful guitar melodies is again impeccable. Firstly, the production is just perfect, it’s equally clean and powerful, leaving each musician, including the always robust vocals, to shine when necessary. Structurally, the compositions don’t differ too much in its peace, a quite unsurprising fact if we have in mind that doom/death metal is not a subgenre known for its incredible tempo changes. In any case, the songs don’t sound absolutely monotonous as the band tries to add small variations in each composition. You can appreciate this effort between the first track, "Behind Closed Doors", and the second one entitled "My Poison Garden". The intense album opener contains everything you expect and love from Officium Triste. The guitar harmonies are top-notch. Their beauty is undeniable and combined with the piano/key arrangements the captivating moments come one after the other. Creating mesmerizing moments is something Officiam Triste can do as many times as they want, which speaks volumes about the band’s talent and passion. The initial part of "Anna’s Woe" is a fine example of it, with this marvelous ambient section led by delicate guitar and piano melodies. The rest of the album follows similar patterns and quality level, which makes the listener fully enjoy the experience. The album itself is not long at all, as it clocks around 41 minutes. The way you end an album is always a key moment, as it lets the listener with a lasting taste of the band’s work. Once again, the Dutch veterans know how to do the job properly. The last and longest piece, "Angels With Broken Wings", is a magnificently crafted composition with tons of exquisite melodies. It’s a remarkably slow song, but it shouldn’t be a problem for the accustomed listener, as the aforementioned melodies are a delicatessen of sonic nourishment for the listener.

In conclusion, Officium Triste has returned with a truly excellent new album. The greatness of its melodies and atmosphere clearly shows the amount of effort put by the band, and it is for sure a gift for its numerous fans. (Alain González Artola)


(Transcending Obscurity Records - 2024)
Score: 88

https://officiumtriste.bandcamp.com/album/hortus-venenum

martedì 27 agosto 2024

Still Wave – A Broken Heart Makes an Inner Constellation

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dark/Gothic
I romani Still Wave, sono una super band, formata da membri di Aetheris, Aborym, Rome in Monochrome e Blackosphere, che si presentano all'esordio con un album uscito sotto le ali protettive dell'etichetta italiana These Hands Melt. Il progetto nasce chiaramente con l'intento di partorire musica sulla scia di band cardine, come i Katatonia, e quindi con la tipica malinconia dilagante tra le tracce, lasciandosi tentare anche da vie decisamente più morbide e melodiche, cosa che a suo tempo, mise in luce ma anche in difficoltà artistica, band blasonate come i Paradise Lost. Unire doom, black metal e gothic, non è certo una novità, ma quando il cantato esce dal seminato e in parte, fa pensare ai primi Editors, presumo che un attimo di sconcerto sia d'obbligo. La cosa potrebbe anche spaventare al primo ascolto, ma in un album dove la ricerca della melodia è prioritaria, a un ascolto più approfondito, ci si accorge invece che la scelta stilistica in questione non è poi così fuori luogo e che la presenza dei pochi cantati violenti, non avrebbe fatto la differenza anche se fossero stati in numero maggiore. Certo, la voce di Valerio Graneri, che milita nei Rome in Monochrome, è caratterizzante e orbita attorno ai circuiti più darkwave/neofolk, e mostra una tonalità che si pone a metà strada tra Tom Smith epoca 'Munich', e uno stile personale che lo contraddistingue chiaramente, da ricercare a mio parere, nel cantato dei primi due album degli In the Woods, con un'interpretazione vocale sempre sopra le righe, raffinata e ricercata. La sua presenza fa roteare il suono della band attorno alle atmosfere della sua prima band d'appartenenza, anche se gli Still Wave ne ampliano la rosa di suoni e mostrano più varietà compositiva. Ad esempio in "Near Distant" (canzone simbolo del disco per il sottoscritto), la voce nella sua veste pulita si presenta in termini tanto squisiti, da renderla, nel ritornello, un brano praticamente perfetto, un pezzo che al quinto minuto circa, subisce un'amputazione netta da uno scream in chiave depressive black, che lo lacera senza via di uscita, per poi chiudere con un finale assai romantico e decadente. Ecco, il segreto di questo album sta tutto qui, nell'unione di suoni che fanno parte di certa new wave, dark e cold wave, con sonorità metalliche, buie e profonde, sempre pacate e controllate, a offrire uno spettro ampio di suoni che si rintana anche in ombre e colori grigi, ma che induce anche un senso di estrazione dalla realtà, come il ponte del brano 11, che mi ricorda in chiave più mediterranea, le splendide sonorità contenute in 'Damnation' degli Opeth. 'A Broken Heart Makes an Inner Constellation' è un album che opera in mezzo a un contesto musicale che si espande tra gli ultimi Katatonia e quell'idea di spostare il gothic/doom, verso sonorità più sofisticate e allo stesso tempo più accessibili, come fu 'Believe in Nothing' o 'Symbol of Life' per i Paradise Lost. L'ottima caratura dei musicisti rende l'opera matura, e la costruzione dei brani intensa e credibile, con riferimenti ad altri artisti ma sempre omogenea ed effettivamente personale. Una buona produzione li accompagna alla ricerca di un sound perennemente in equilibrio, con un lavoro egregio delle tastiere e delle calde chitarre che negli assoli, aumentano il contrasto con il suono profondo e cupo delle composizioni, sostenendo a dovere, l'ottica riflessiva e lo sguardo rivolto all'infinito, di una certa scuola post-black metal/shoegaze, alla Alcest per intenderci, che finisce per avvolgere l'intero disco. Un disco comunque, da assaporare lentamente e a fondo. (Bob Stoner)

lunedì 29 aprile 2024

Moon Incarnate - Hymns to the Moon

#FOR FANS OF: Death/Doom
The German trio Moon Incarnate, born in 2022, has recently released its debut, 'Hymn to the Moon', with the well-known label Iron Bonehead Productions. With just two years of existence, things have moved quite fast, which is not a big surprise considering how experienced are the musicians involved in this project. All the members have at least other two side-projects, a fact that clearly shows how active they are in the metal scene. This indicates that the musical vision behind Moon Incarnate was quite clear for them, which led them to rapidly focus their efforts on their first release, which is a pivotal moment for any project.

Moon Incarnate's sound is firmly rooted in the doom/metal subgenre, with a classical touch that I would mention. The influence of quintessential projects, especially from the mighty 90s, is clearly present and serves as a lighthouse for them. Their debut album, 'Hymns to the Moon,' also features old-school album artwork and consists of seven enjoyable pieces of pure doom with expected elements and enriching arrangements that are always welcome. The riffing plays a main role, as you can imagine, with a good dose of very competent riffs and appealing melodies. The vocals are harsh, but they don't exclude the use of clean ones, while the arrangements are used in a very good way and quantity. The guitar harmonies of the album opener "Hymn to the Moon" are a good taste of what to expect. This is pure doom with its slow pace accompanied by tasteful guitar riffing. Things become serious with the first track, "The Tempest." The somber riffing is complemented by deep and intimidating growls, while the pace is even slower compared to its predecessor. The atmospheric touch of this track gives an epic feeling and definitively enriches the composition. Some clean vocals are already included here, but just in the form of narrative voices. This is generally how these vocals are used, but we have a couple of good examples of a more relevant use, like for example in "Nemesis." The track has an interesting contrast between the mainly guitar-oriented structures and some atmospheric moments, where clean vocals are generously used, achieving an enjoyable combination. Furthermore, although this album's pace isn't particularly varied, a track like "Nemesis", offers a slightly faster rhythm with a good use of the double bass. The aforementioned atmospheric arrangements are used in moderate quantity, but they always work. It can be an introducing dark keynote, some vocal imitating synthesizers, or a similar resource, but they always give an extra point of richness and ambience to the composition. 'Hymns to the Moon' comes to its end with one of the best tracks, entitled "The Kraken". An album closer has the responsibility of ending the album on a high note, and this track achieves its duty. Here we can find another interesting use of clean vocals, in this case as the track opener. Once again, these soft vocals are used in a remarkably atmospheric section, which marks a great contrast to the following traditional/doom part, where growls and riffs command the song until its powerful finalization.

In conclusion, 'Hymns to the Moon' is a very solid first step in Moon Incarnate’s career. The listener will find here seven songs of trademark doom/death metal, appropriately enriched with different elements that give them their own personality. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Productions - 2024)
Score: 78

https://moonincarnate.bandcamp.com/album/hymns-to-the-moon