Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Doom. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Doom. Mostra tutti i post

lunedì 16 dicembre 2024

Grand Harvest - Till Förruttnelsen

#PER CHI AMA: Black/Death/Doom
Era da un po' che non ci immergevamo in suoni death doom; mi vengono quindi in aiuto gli svedesi Grand Harvest con il loro 12" 'Till Förruttnelsen' e due lunghi pezzi che affrontano il tema della fine del genere umano, argomento sempre più ricorrente nelle liriche degli ultimi album che ho ascoltato di recente, e chissà come mai. Un mondo che ormai sta giocando sul filo del rasoio dell'autodistruzione, offre spunto al quintetto di Malmö per disegnare questi due pezzi che corrono su linee melodiche malinconiche che mi hanno evocato i primi My Dying Bride, ma a differenza della band inglese, mi sembra poter dire che sembra esserci anche una prominente vena blackish nelle note dei nostri, pur mantenendo comunque intatta la coesistenza di death, doom e black stesso, attraverso un uso interessante di linee di chitarra piuttosto pulite, cori maestosi e vocals a cavallo tra screaming e growl. Questo quanto certificato dall'iniziale title track, riproposto comunque anche nella successiva "Consummatum Est (Det är Fullkomnat), che non fa altro che confermare le buone sensazioni che ho avuto nell'ascolto dell'opening track. Il sound si muove sempre su un'intelaiatura death doom mid-tempo, con le vocals qui forse più spinte verso l'harsh. Niente di grave sia chiaro, anzi mostrano molteplici sfumature di una band che sembra avere delle buone potenzialità, da esplorare in un nuovo album più strutturato, che sembra sia al momento in lavorazione. Per ora, ci si accontenta di questo antipasto, in attesa di un piatto ben più corposo. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2024)
Voto: 68
 

lunedì 4 novembre 2024

Urza / Calliophis - Dawn Of A Lifeless Age

#PER CHI AMA: Death/Funeral Doom
Ecco uno di quegli album semplici semplici da recensire: un bel concentrato di funeral death offerto da due band tedesche a me totalmente sconosciute, gli Urza e i Calliophis, che evidentemente, era un po' che non si facevano sentire. I nostri hanno cosi unito le forze per dar voce al loro disagio interiore e condensarlo in questo split intitolato 'Dawn of a Lifeless Age'. Due i pezzi a disposizione per ciascuna band, per circa 23 minuti a testa, fatti di sonorità apocalittico-asfissianti. Il disco si apre con i berlinesi Urza, che erano in silenzio dal 2019, quando uscì il loro debut album. Il quintetto teutonico ci propone due pezzi ben suonati ma forse troppo derivativi: se "Maunder Minimum" è il classico emblema del funeral doom, quello dotato di buone e melodiche linee di chitarra, profondità degli arrangiamenti, oscure ambientazione e vocals super growl, "Through Ages of Colossal Embitterment" si presenta invece inizialmente più abrasiva e votata ad un death doom dalle ritmiche più spinte e veementi, con parti che evocano un che dei primissimi Anathema di 'Serenades'. Dopo un paio di minuti però, il sound dei nostri torna a sprofondare in meandri depressivo-catacombali, di sicuro impatto emotivo, soprattutto alla luce di un utilizzo alternativo, e ben più convincente, delle vocals. Niente di nuovo sotto il sole comunque, anche se la qualità generale è piuttosto buona. È allora la volta dei Calliophis, band originaria della Sassonia, che ha peraltro già tre album all'attivo dal 2008 a oggi. Per loro, un ritorno dopo il convincente album del 2021, 'Liquid Darkness', e due nuovi pezzi, "Trepak" e "Endure Your Depression", che si muovono dalle parti di un death doom assai melodico ed emozionalmente toccante. Ottime melodie contraddistinguono infatti i due brani, unite ad eleganti parti atmosferiche e a una buonissima componente vocale. Se dovessi esprimere il mio personale gradimento tra le due band di oggi, orienterei la mia scelta decisamente verso i Calliophis, complici quelle sonorità soffuse ma penetranti, quelle linee melodiche di chitarra che dipingono strazianti paesaggi emotivi, e che avvicinano i nostri a certe eleganti produzioni scandinave del passato. Un bel modo per conoscere due band questo split album e indirizzarci alla scoperta delle loro discografie, se solo saranno in grado di toccare anche le vostre corde dell'anima. Le mie hanno vibrato, soprattutto in compagnia dei Calliophis e voi, chi preferite? (Francesco Scarci)

lunedì 9 settembre 2024

Mourning Dawn - The Foam of Despair

#PER CHI AMA: Black/Doom Sperimentale
Ecco un'altra band che qui nel Pozzo dei Dannati è ormai di casa: sto parlando dei francesi Mourning Dawn e del loro recente comeback discografico, sempre attraverso la Aesthetic Death. 'The Foam of Despair' è il loro sesto lavoro su lunga distanza e si configura come la classica miscela death doom, accompagnata da atmosfere black depressive che ricordano certe cose degli Shining. Questo è già evidente nell'opening track, "Tomber du Temps", che sembra ammiccare non poco ai colleghi svedesi guidati da Niklas Kvarforth. La forza di questo primo brano risiede nella cupezza delle sue chitarre, negli strali malinconici insiti nelle melodie e nel cantato disperato di Laurent "Pokemonslaughter", che si muove tra uno screaming comunque intelligibile e un approccio narrativo ansiogeno. Da sottolineare la componente solistica da urlo e la presenza dello strepitoso sax di Adrien Harmois nella coda del brano, a mettere la classica ciliegina sulla torta a un pezzo davvero evocativo, che nella chiusa evoca un che dei nostrani Dawn of a Dark Age. La seconda "Blue Pain" vede una nuova ospitata del disco: dietro al microfono si presenta infatti l'onnipresente Déhà (peraltro responsabile anche del mixing e mastering dell'album), in un pezzo che scalda gli animi ancor di più, per quei suoi rimandi inequivocabili ai Katatonia di 'Brave Murder Day'. E io godo. Non poco peraltro, visto l'ottimo lavoro melodico proposto e la performance vocale di uno dei miei cantanti preferiti, in ambito estremo. "Borrowed Skin" dura oltre 11 minuti e promette bene sin da quel morbido incipit affidato al parlato del frontman. Le atmosfere si mostrano plumbee, il giro di batteria quasi ipnotico, ed è qui che il terzetto di Parigi ci inchioda in un incedere straziante, con il vocalist che sprofonda in territori growl, mentre le chitarre assumono sembianze sghembe ma sempre sinistre, interrotte da un brevissimo break centrale, che troveranno modo poi di esibirsi in altri ottimi assoli. Notevole. Dopo tante cose abbordabili, ecco che "Apex" mostra il lato più scorbutico dell'ensemble transalpino, sebbene la song si muova su un mid-tempo claustrofobico e ostico da digerire, ma gli arrangiamenti in sottofondo sono egregi e inducono sicuramente a un ascolto curioso e attento. Ma l'attenzione verrà sicuramente catalizzata dalle atmosfere trip-hop della successiva "Suzerain" dove si palesa un altro ospite, A.K.: ancora un parlato in francese, echi dei CROWN che si esibiscono nelle chitarre pesanti dei nostri con la comparsa contestuale del cantato graffiante di Laurent. Che la traccia non sia comunque come tutte le altre è palese, avanzando nell'ascolto di un brano magnetico, intenso e psichedelico che, non so per quale motivo, ho trovato per certi versi accostabile a "Epitome XIV" dei Blut Aus Nord. Ultimi due pezzi a disposizione per la band per farci gridare al miracolo: si parte con il doom di "The Color of Waves", che incorpora un suggestivo intermezzo atmosferico, punto di partenza di un nuovo irrequieto e inquieto giro di chitarre. Si chiude con l'industrialoide "Midnight Sun" (traccia peraltro non disponibile nella versione vinilica) che con le sue sperimentazioni sonore, sancisce che in casa Mourning Dawn, qualcosa è davvero cambiato, e in meglio. (Francesco Scarci)

giovedì 5 settembre 2024

Officium Triste - Hortus Venenum

#FOR FANS OF: Death/Doom
The Dutch veterans Officum Triste are for sure one of the most relevant projects in the doom metal scene. Founded 30 years ago, these veterans have a career full of great albums, although they haven’t been particularly prolific. But you know, it’s always clever to focus on quality rather than on quantity, and Officium Triste has followed this rule with a devoted constancy. As you probably imagine, there have been some line-up changes through its three decades of existence, although less than you could think. More importantly, a core trio remains since its inception, which probably explains how this band maintains its recognizable classic sound. This could be a bad thing if the inspiration drops, but thankfully Officium Triste has kept the passion alive, which is something remarkable.

Its combination of death and doom metal influences, with a strong atmospheric touch, has always been very appealing to me as this ambience enhances the beauty of its melodies. The new opus entitled 'Hortus Venenum' is not an exception. The balance between atmosphere and tasteful guitar melodies is again impeccable. Firstly, the production is just perfect, it’s equally clean and powerful, leaving each musician, including the always robust vocals, to shine when necessary. Structurally, the compositions don’t differ too much in its peace, a quite unsurprising fact if we have in mind that doom/death metal is not a subgenre known for its incredible tempo changes. In any case, the songs don’t sound absolutely monotonous as the band tries to add small variations in each composition. You can appreciate this effort between the first track, "Behind Closed Doors", and the second one entitled "My Poison Garden". The intense album opener contains everything you expect and love from Officium Triste. The guitar harmonies are top-notch. Their beauty is undeniable and combined with the piano/key arrangements the captivating moments come one after the other. Creating mesmerizing moments is something Officiam Triste can do as many times as they want, which speaks volumes about the band’s talent and passion. The initial part of "Anna’s Woe" is a fine example of it, with this marvelous ambient section led by delicate guitar and piano melodies. The rest of the album follows similar patterns and quality level, which makes the listener fully enjoy the experience. The album itself is not long at all, as it clocks around 41 minutes. The way you end an album is always a key moment, as it lets the listener with a lasting taste of the band’s work. Once again, the Dutch veterans know how to do the job properly. The last and longest piece, "Angels With Broken Wings", is a magnificently crafted composition with tons of exquisite melodies. It’s a remarkably slow song, but it shouldn’t be a problem for the accustomed listener, as the aforementioned melodies are a delicatessen of sonic nourishment for the listener.

In conclusion, Officium Triste has returned with a truly excellent new album. The greatness of its melodies and atmosphere clearly shows the amount of effort put by the band, and it is for sure a gift for its numerous fans. (Alain González Artola)


(Transcending Obscurity Records - 2024)
Score: 88

https://officiumtriste.bandcamp.com/album/hortus-venenum

martedì 27 agosto 2024

Still Wave – A Broken Heart Makes an Inner Constellation

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dark/Gothic
I romani Still Wave, sono una super band, formata da membri di Aetheris, Aborym, Rome in Monochrome e Blackosphere, che si presentano all'esordio con un album uscito sotto le ali protettive dell'etichetta italiana These Hands Melt. Il progetto nasce chiaramente con l'intento di partorire musica sulla scia di band cardine, come i Katatonia, e quindi con la tipica malinconia dilagante tra le tracce, lasciandosi tentare anche da vie decisamente più morbide e melodiche, cosa che a suo tempo, mise in luce ma anche in difficoltà artistica, band blasonate come i Paradise Lost. Unire doom, black metal e gothic, non è certo una novità, ma quando il cantato esce dal seminato e in parte, fa pensare ai primi Editors, presumo che un attimo di sconcerto sia d'obbligo. La cosa potrebbe anche spaventare al primo ascolto, ma in un album dove la ricerca della melodia è prioritaria, a un ascolto più approfondito, ci si accorge invece che la scelta stilistica in questione non è poi così fuori luogo e che la presenza dei pochi cantati violenti, non avrebbe fatto la differenza anche se fossero stati in numero maggiore. Certo, la voce di Valerio Graneri, che milita nei Rome in Monochrome, è caratterizzante e orbita attorno ai circuiti più darkwave/neofolk, e mostra una tonalità che si pone a metà strada tra Tom Smith epoca 'Munich', e uno stile personale che lo contraddistingue chiaramente, da ricercare a mio parere, nel cantato dei primi due album degli In the Woods, con un'interpretazione vocale sempre sopra le righe, raffinata e ricercata. La sua presenza fa roteare il suono della band attorno alle atmosfere della sua prima band d'appartenenza, anche se gli Still Wave ne ampliano la rosa di suoni e mostrano più varietà compositiva. Ad esempio in "Near Distant" (canzone simbolo del disco per il sottoscritto), la voce nella sua veste pulita si presenta in termini tanto squisiti, da renderla, nel ritornello, un brano praticamente perfetto, un pezzo che al quinto minuto circa, subisce un'amputazione netta da uno scream in chiave depressive black, che lo lacera senza via di uscita, per poi chiudere con un finale assai romantico e decadente. Ecco, il segreto di questo album sta tutto qui, nell'unione di suoni che fanno parte di certa new wave, dark e cold wave, con sonorità metalliche, buie e profonde, sempre pacate e controllate, a offrire uno spettro ampio di suoni che si rintana anche in ombre e colori grigi, ma che induce anche un senso di estrazione dalla realtà, come il ponte del brano 11, che mi ricorda in chiave più mediterranea, le splendide sonorità contenute in 'Damnation' degli Opeth. 'A Broken Heart Makes an Inner Constellation' è un album che opera in mezzo a un contesto musicale che si espande tra gli ultimi Katatonia e quell'idea di spostare il gothic/doom, verso sonorità più sofisticate e allo stesso tempo più accessibili, come fu 'Believe in Nothing' o 'Symbol of Life' per i Paradise Lost. L'ottima caratura dei musicisti rende l'opera matura, e la costruzione dei brani intensa e credibile, con riferimenti ad altri artisti ma sempre omogenea ed effettivamente personale. Una buona produzione li accompagna alla ricerca di un sound perennemente in equilibrio, con un lavoro egregio delle tastiere e delle calde chitarre che negli assoli, aumentano il contrasto con il suono profondo e cupo delle composizioni, sostenendo a dovere, l'ottica riflessiva e lo sguardo rivolto all'infinito, di una certa scuola post-black metal/shoegaze, alla Alcest per intenderci, che finisce per avvolgere l'intero disco. Un disco comunque, da assaporare lentamente e a fondo. (Bob Stoner)

lunedì 29 aprile 2024

Moon Incarnate - Hymns to the Moon

#FOR FANS OF: Death/Doom
The German trio Moon Incarnate, born in 2022, has recently released its debut, 'Hymn to the Moon', with the well-known label Iron Bonehead Productions. With just two years of existence, things have moved quite fast, which is not a big surprise considering how experienced are the musicians involved in this project. All the members have at least other two side-projects, a fact that clearly shows how active they are in the metal scene. This indicates that the musical vision behind Moon Incarnate was quite clear for them, which led them to rapidly focus their efforts on their first release, which is a pivotal moment for any project.

Moon Incarnate's sound is firmly rooted in the doom/metal subgenre, with a classical touch that I would mention. The influence of quintessential projects, especially from the mighty 90s, is clearly present and serves as a lighthouse for them. Their debut album, 'Hymns to the Moon,' also features old-school album artwork and consists of seven enjoyable pieces of pure doom with expected elements and enriching arrangements that are always welcome. The riffing plays a main role, as you can imagine, with a good dose of very competent riffs and appealing melodies. The vocals are harsh, but they don't exclude the use of clean ones, while the arrangements are used in a very good way and quantity. The guitar harmonies of the album opener "Hymn to the Moon" are a good taste of what to expect. This is pure doom with its slow pace accompanied by tasteful guitar riffing. Things become serious with the first track, "The Tempest." The somber riffing is complemented by deep and intimidating growls, while the pace is even slower compared to its predecessor. The atmospheric touch of this track gives an epic feeling and definitively enriches the composition. Some clean vocals are already included here, but just in the form of narrative voices. This is generally how these vocals are used, but we have a couple of good examples of a more relevant use, like for example in "Nemesis." The track has an interesting contrast between the mainly guitar-oriented structures and some atmospheric moments, where clean vocals are generously used, achieving an enjoyable combination. Furthermore, although this album's pace isn't particularly varied, a track like "Nemesis", offers a slightly faster rhythm with a good use of the double bass. The aforementioned atmospheric arrangements are used in moderate quantity, but they always work. It can be an introducing dark keynote, some vocal imitating synthesizers, or a similar resource, but they always give an extra point of richness and ambience to the composition. 'Hymns to the Moon' comes to its end with one of the best tracks, entitled "The Kraken". An album closer has the responsibility of ending the album on a high note, and this track achieves its duty. Here we can find another interesting use of clean vocals, in this case as the track opener. Once again, these soft vocals are used in a remarkably atmospheric section, which marks a great contrast to the following traditional/doom part, where growls and riffs command the song until its powerful finalization.

In conclusion, 'Hymns to the Moon' is a very solid first step in Moon Incarnate’s career. The listener will find here seven songs of trademark doom/death metal, appropriately enriched with different elements that give them their own personality. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Productions - 2024)
Score: 78

https://moonincarnate.bandcamp.com/album/hymns-to-the-moon

sabato 6 aprile 2024

In Autumn - What’s Done Is Done

#FOR FANS OF: Death/Doom
Founded in 2011, the Italian band In Autumn hasn’t been particularly prolific, as they have released only three albums in more than a decade of existence. Its line-up has been reasonably stable, although they have changed the lead singer a few times which is always a quite crucial element, so this might explain why they have taken more time to release new music. In any case, as I always say, it’s better to focus on quality instead of quantity as we can also see bands which release so much music that it can lead to some boredom.

Let’s focus on In Autumn’s new opus entitled 'What’s Done Is Done', which has been released by the well-established Italian label My Kingdom Music. In Autumn combines doom and post-metal sounds, which makes its music a bit more dynamic and varied than the typical doom metal band. Which doesn’t change is the expected melancholy and despair that the music breathes, a fact that it is not totally surprising as both genres, even being different, share this approach when music is created. Vocally, there is a mixture of slightly rasped aggressive vocals and a quite melancholic clean ones which are well-balanced in their use, being the most usual ones the aggressive ones, although the use varies depending on the song. The guitar tone has a greater influence of post-metal sounds, particularly when it sounds heavier, while the most melodic riffing has a clear classic doom metal approach. This is clearly noticeable in the album opener "What’s Done Is Done" where the band uses all the aforementioned resources. The most melodic riffs are especially welcome, as the sole use of post-metal style riffing may sound a bit repetitive for me. As always, balance is the key element, and this composition achieves its goal of using both sides in a very good way. "Inside My Soul" is one of those compositions where the different elements are used, succeeding with creating a great contrast between the different sections of the song. The first half has the most melancholic touch with those clean vocals and a calmer pace, while the second half brings back the more aggressive vocals and a good use of lead guitar melodies. This, combined with a faster pace, makes this song of the most enjoyable ones. Another highlight of the album is the track "The Illusion Of Reality". For sure, one of the heaviest ones. Here we can enjoy some of the most powerful riffs, use of the double bass and a headbanging inducing pace. I do also enjoy the combination of nice lead guitar melodies and the clean vocals in the chorus, which helps to make this song particularly addictive. The contrast between heaviness and melody is even clearer in the track "Block", which also has a quite vivid pace. As it has been the case in other compositions, heavier and calmer sections come abruptly one after the other, although this song is maybe the clearest example of this approach. The ups and downs in the intensity of the song achieves to get the attention of the listener from the very beginning to the end.

At the end, 'What’s Done Is Done' is for sure a quite entertaining piece of work. Its mixture of doom and post metal gives to the album a more varied touch and helps to create quite enjoyable tracks. The solid performance makes this work a good dose for those who enjoy this mixture of genres, although it doesn’t bring anything new on the table. (Alain González Artola)