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sabato 9 dicembre 2023

Valhalla - V Gimnah I Proklyatiyah

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Pagan Black
For Slavs Only. Nel booklet, titoli e testi sono in ucraino (tranne la settima canzone, "Invasion", il cui testo però non è stampato). Nulla da ridire: le nazioni hanno tutto il diritto di difendere le proprie specificità, anche linguistiche, contro la marea montante dell'omologazione culturale imposta dal nuovo ordine mondiale. Tuttavia, pur riconoscendo a queste espressioni musicali la dignità che meritano, non possiamo non provare una forte sensazione di estraneità culturale di fronte ad esse. Ma veniamo al demo in questione. Per quanto concerne i contenuti prettamente musicali, non è che ci sia da stare troppo allegri: sinceramente in giro c'è di molto meglio. Comunque, diciamo che si tratta di un black metal piuttosto naive con qualche inserto folk. L'opera ha, per così dire, un sapore vagamente agreste. La band sicuramente presentava ampi margini di miglioramento, in realtà dopo questo album si è sciolta, segno che le qualità non erano proprio ottimali.

(Beverina Productions - 1999/2018)
Voto: 45

https://beverina.bandcamp.com/album/valhalla-tape-1999

mercoledì 18 ottobre 2023

Sabhankra - Rotting Helios

#PER CHI AMA: Black/Thrash
È furia dilagante quella contenuta in questa tape dei turchi Sabhankra, per un EP di soli due pezzi che sembrano voler fare da apripista ad un imminente album. Il genere proposto dallo storico quartetto di Istanbul è un black thrash sparato a mille km orari, come certificato dalla veemente "Rotting Helios". Sin qui nulla di eccezionale penserete giustamente voi, non fosse altro che questa dirompente scarica elettrica sia interrotta da intermezzi che sembrano catapultarci tra i palazzi della vecchia Costantinopoli (peraltro il vecchio moniker della band era Constantinopolis), quindi permeati di una leggera vena folklorica che stempera quella violenza insita nel mood ferale dei nostri. Peccato non ne abbiamo fatto maggior uso, il sound della band ne avrebbe giovato, in particolar modo per prendere le distanze dalle innumerevoli band che suonano qualcosa di assai simile. E la successiva "The Black Sun" non fa troppi sconti con un sound similare ma che per lo meno prova a metterci del suo, con una maggior ricerca di sprazzi di evocatività ed epicità, che si accostano al thrash (per la ritmica) e al black (per le screaming vocals e le chitarre in tremolo che raddoppiano la ritmica) ideato dall'ensemble, per un risultato finalmente più interessante. Certo, con due soli pezzi non è facile valutare completamente la performance della band, che se seguirà le orme del lato A della cassetta, rischia una stroncatura, mentre se sarà in grado di elaborare maggiormente le idee contenute nel lato B, potrebbe regalare qualche bella soddisfazione. Rimango in attesa quindi, curioso di ascoltare un più lungo e strutturato lavoro di black thrash folk ottomano. (Francesco Scarci)

domenica 6 agosto 2023

Ancient Rites - Dim Carcosa

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Folk/Viking
L'ingresso di un tastierista nella band non poteva restare senza conseguenze: gli Ancient Rites si sono scostati alquanto dai lidi del thrash degli esordi, lasciando spazio cospicuo alla melodia, pur senza convertirsi con ciò al power metal (la voce di Gunther Theys è troppo roca per riuscire gradita ai fans di Rhapsody e Hammerfall). Ciò non toglie che 'Dim Carcosa' sia un ottimo album di heavy metal epico, avente, quale destinazione ideale, il pubblico dei Running Wild. Musicalmente parlando, il tutto risulta un po' troppo arioso e luminoso. Con sgomento, ci pare di udire talvolta assoli di chitarra alla Malmsteen associati a languidi coretti ("North Sea"). I testi trattano, con competenza, di temi storici (le lotte tra franchi e saraceni, la scorreria vichinga sull'isola di Lindisfarne) e mitologici. Il booklet contiene, oltre ai testi delle canzoni, interessanti testi esplicativi posti a commento di ciascuna di esse. Peccato che questi testi, stampati come sono in caratteri minutissimi, e per di più sullo sfondo di illustrazioni dalle tinte scure, risultino di lettura assai disagevole. Gli orfani di Bathory (quello di 'Hammerheart', si intende!), coloro che hanno apprezzato 'Arntor' di Windir e sono stati catturati dalle atmosfere marziali di 'Creed of Iron' (Graveland), e i discepoli di Falkenbach e Thyrfing procedano ad un attento ascolto preliminare prima di risolversi all'acquisto.

(Hammerheart Records - 2001)
Voto: 68

http://www.ancientrites.be/

martedì 25 luglio 2023

Furvus - Deflorescens Jam Robur

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Ambient/Folk
Interessantissimo quanto coinvolgente e assolutamente sentito questo primo disco di Furvus, ennesimo progetto del livornese Luigi M. Menella. Si tratta di un concept album sul declino della cultura e del mondo pagano sul territorio italico, oscurato dalla violenta tirannia persecutoria della Chiesa. Questo concept è musicalmente rappresentato da brani di folk apocalittico e marziali, da altri più ambientali ed oscuri, e da brani di musica medievale. Il percorso storico del disco inizia con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, attraversa il Regno Romano Barbarico per giungere agli anni bui del Medio Evo fino ad arrivare al Rinascimento e al ripristino del riconoscimento dell’uomo-artista, focalizzando in particolar modo l’obiettivo sul genio di Leonardo. Il lavoro di composizione musicale/lirico e grafico è stato meticolosamente studiato e ragionato affinchè ogni immagine, ogni nota ed ogni parola (rigorosamente in latino o in italico antico) potesse rientrare correttamente e coerentemente nel periodo storico trattato in ognuno dei quattro “libri” (ognuno dei quali suddiviso in “capitoli” per un totale di venti brani/“capitoli” e 40 minuti di musica) in cui è suddiviso questo disco. Il lussuoso booklet riporta poi per ogni brano una fotografia di un dipinto, un luogo o un oggetto attinente ad esso ed una massima tratta dai classici della letteratura Greco-Romana. È un disco di grande spessore, pieno di particolari da scoprire e riscoprire ad ogni ascolto; un viaggio nella immortale memoria del passato guidato dalle superbe fotografie del booklet in cui si può perdersi per ore o per sempre.

(Beyond Productions/Mvsa Ermeticka - 1999/2012)
Voto: 75

https://mennella.bandcamp.com/album/deflorescens-iam-robur-remastered-reworked

sabato 22 luglio 2023

Beenkerver – Twee Wolven

#PER CHI AMA: Epic Black
La saga delle one-man-band prosegue e questa volta ci conduce nel mondo di Beenkerver (all’anagrafe Niels Riethorst), polistrumentista originario di Gelderland, nei Paesi Bassi. Dopo il disco d’esordio uscito lo scorso anno, ‘Ontaard’, il mastermind olandese, in compagnia del batterista Nico de Wit (Alvader, Bezweing), torna con un nuovo EP di tre pezzi, ‘Twee Wolven’. La proposta della band ci porta nei paraggi di un black metal ispirato, melodico, e stranamente interessante, visti i contenuti alquanto scontati della proposta. Il concept del dischetto è legato ai racconti dei vecchi nativi americani e alla lotta simbolica tra due lupi che in realtà rappresentano le emozioni che albergano dentro ognuno di noi, l’uno collegato ad emozioni cattive (l’odio, l’invidia, il risentimento, l’avidità, ecc), il secondo invece legato a emozioni positive, quali gioia, pace, speranza e amore, ecc. Chi vincerà? Questa è la domanda che si pone l’artista mittle europeo in questi tre brani, pregni di melodie, suggestioni folkloriche (“Deel 2 – De Strijder”), accelerazioni post-black, harsh vocals, ed epiche cavalcate di scuola Windir, eseguite in tremolo-picking (“Deel 1 – De Dromer”), ingredienti sicuramente stra abusati, ma che in questo contesto, trovano un loro perchè. Tornando poi alla domanda del musicista, la risposta dei Cherokee sarebbe che prevarrebbe l’emozione che uno decide di cibare, mentre Beenkerver cerca di esplorare un'ulteriore opzione, ossia pensare alla co-esistenza dei due lupi. Insomma, la classica domanda esistenziale su cosa prevarrebbe tra bene e male, un argomento già sviscerato più volte in passato da altre band e che qui, trova per lo meno un pizzico di interesse, legato ad una ricerca musicale all’insegna di un black melodico che non lascerà del tutto scontenti. (Francesco Scarci)

(Vendetta Records - 2023)
Voto: 65

https://beenkerver.bandcamp.com/album/twee-wolven

Primordial - Spirit the Earth Aflame

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Pagan Black
Le band irlandesi non fanno il solito metal; non tutte infatti dimenticano le proprie origini e come fatto anche dai Primordial, la musica folk sta alla base delle loro composizioni. Non vi basterà un solo ascolto per interpretare al meglio 'Spirit the Earth Aflame', ma ogni volta ne scoprirete sicuramente elementi che vi erano sfuggiti senza accorgevene. I Primordial non vogliono sviluppare le loro idee e gusti musicali semplicemente suonandole, ma vogliono ricrearli trasmettendoli tramite atmosfere che ripercorrono temi epici e il black metal che si susseguono accompagnati da cantati puliti e più estremi. La musica non è brutale e violenta ma l’impatto metallico è presente e non delude, forse la voce del cantante si mostra inferiore nei momenti scream ma impressiona invece in quelli puliti, in cui sembra uscire dall’ambito metal. Il lavoro dei Primordial non delude le aspettative, come purtroppo han fatto altri loro connazionali e compagni di etichetta, i Cruachan.

(Hammerheart Records/Metal Blade Records - 2000/2010)
Voto: 75

https://primordialofficial.bandcamp.com/album/spirit-the-earth-aflame

mercoledì 7 giugno 2023

Lumsk – Fremmende Toner

#PER CHI AMA: Folk Prog Rock
I Lumsk sono una band norvegese che ha sempre volato sopra le aspettative dell'ascoltatore comune, emancipando e schivando in maniera originale, la pura etichetta del genere folk metal, mischiando musica tradizionale con strumenti classici, avanguardia e progressive rock con l'inflazionata commistione tra musica folk ed oscuro metal estremo. La grazia che caratterizzava il precedente 'Det Vilde Kor', rimane un punto fermo in comune con il nuovo 'Fremmende Toner', oltre al fatto che entrambi sono stati concepiti per musicare opere di poesia. Il primo su scritti di Knut Hamsun, mentre il nuovo, si basa sulla raccolta di poesie di autori vari, tra cui Nietzsche, Goethe, Swinburne, tradotte da Andrè Bjerke. Nel nuovo disco, l'intimismo di 'Det Vilde Kor' si fonde con alcune delle strutture del loro album 'Troll' del 2005 (penso ad "Avskjed"), e possiamo anche dire che, se da una parte la band abbandona il duro stampo metal, dall'altra si protrae a mani tese verso un rock progressivo magistrale, mai troppo eccessivo e ben integrato in un folk di incantevole fattura. Folk di matrice scandinava o di influenza celtica, poco importa, visto il labile confine musicale qui manifestato, e posso scommettere che di fronte a questo nuovo gioiellino dei Lumsk, gli ascoltatori più accorti faranno poca fatica ad apprezzarne le sfumature, e coloro che hanno amato a suo tempo il capolavoro 'Barndomens Stigar' dei Kultivator oppure il grande Alan Stivell, magari quello progressivo di 'Before Landing', quanto i The 3rd and the Mortal di 'Memoirs' o 'Fools Give Birth to Angels' delle Pooka, con guizzi di luce alla Comus e quel tanto di malinconia pacata, presa in prestito dagli ultimi lavori degli Anathema ("Das Tote Kind"), adoreranno scoprire la vasta platea sonora su cui poggiano le basi di questo disco. Mari Klingen ha una voce fatata (ascoltatela poderosa in "Fiolen") e come nuova entrata nella band, riesce a stupire in ogni pezzo, per carisma, colore ed estensione vocale, mentre la nuova chitarra di Roar Grindheim dona calore alle sculture soniche progressive, a volte sfiorando anche lidi al limite del pop sognante ed incantato, con una delicatezza e una sofisticata capacità compositiva che stupirà i fans della prima ora. Armonioso ed arioso, si può anche notare una lieve familiarità con il sound romantico ed epico dei Meatloaf, nel duetto tra Klinghen e Mathias R. Samuelsen, autore ed editore e qui in veste di cantante, dal tono solenne e molto teatrale. Il disco scivola in maniera fluida, anche se richiede più ascolti accurati per apprezzarne le doti nascoste ed anche qualche angolo sonoro più cupo e teso. Il disco è uscito per la Dark Essence Records, è ben prodotto e vanta una sonorità vicina alle più moderne release folk e a suo modo, è anche vicino alle geniali aperture di Neal Morse. Il disco è da vedere a due facce visto che, le prime sei canzoni sono tradotte dall'originale in lingua madre, mentre le altre sei non sono in norvegese ma fedeli alla lingua originale del paese di provenienza degli autori degli scritti, musicate tutte in maniera diversa nonostante il testo sia quello della stessa poesia. Per dirla con le parole dei Lumsk: "L’idea del concept non era solo fare la stessa canzone due volte, piuttosto di mettere le canzoni allo specchio l’un l’altra, in un certo senso, cercando di ricreare l’idea di una traduzione o nuova creazione..." Un concept a tutti gli effetti riuscito, pieno di pathos e di grande maturità artistica, che colloca i Lumsk in una coordinata astrale diversa e unica nel panorama internazionale del folk prog rock, una band che fonde perfettamente stili diversi in maniera originale, mantenendo intatto il sentimento che guida il folklore della musica tradizionale nordica e lo spirito indomito del rock progressivo senza mai perdere l'attitudine metal che li ha visti nascere. I fans di questo progetto non rimarranno delusi in alcun modo dopo l'ascolto di 'Fremmede Toner', e l'attesa di ben 16 anni dal loro ultimo lavoro sarà ben ripagata. Ascolto dovuto e necessario. (Bob Stoner)

(Dark Essence Records - 2023)
Voto: 88

https://lumsk.bandcamp.com/album/fremmede-toner

mercoledì 24 maggio 2023

The Tangent - Not as Good as the Book

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Rock
Se pensate che il progressive rock stia al totalitarismo neo-prog dei Tangent più o meno come l'internazionale socialista ai ventisei tagli da uomo autorizzati dal regime di Kim Jong-Un, allora potete pensare di avvalorare la vostra tesi esplorando il più prolisso e sfrontato tra tutti gli album prolissi e sfrontati del collettivo in questione. Nelle segrete di questo quarto (doppio) disco troverete di tutto: piano-jazz, Canterbury, i Porcupine Tree, il negazionismo neo-prog (Pink Floyd chi?), il flauto di Ian Anderson, la truzzaggine di E-L-P, il van-der-sax di Theo Travis, il capitano Kirk, i Toto e tutti gli accordi reperibili nei manuali di musica. Tutto questo, diluito in una sorta di stream-of-consciousness sonoro per definire il quale, l'aggettivo torrenziale sarebbe meno adatto dell'aggettivo oceanografico. Cose tipo una Carouselambra zeppeliniana eseguita dai Mike and the Mechanics nella plancia dell'Enterprise (l'incipit di "A Crisis in Midlife" per esempio), per intenderci. L'edizione deluxe di questo album, di cui vi prego di rileggervi il titolo (involontariamente?) iperrealista, contiene una pregevole graphic-novel di 100 pagine che narra la distruzione della Terra da parte di una razza di ferocissimi alieni al suono di "Relayer" degli Yes. Esattamente. (Alberto Calorosi)

(Inside Out Music - 2008)
Voto: 60

https://www.thetangent.org/

martedì 25 aprile 2023

Wintarnaht - Anþjaz

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Formatisi originariamente col moniker Winternight e come one man band capitanata dal bardo Grimwald (che sta dietro anche a band quali Dauþuz e Isgalder, oltre ad essere un ex di molte altre), il buon mastermind ha poi tradotto il proprio nome nella forma germanica più arcaica, ossia Wintarnaht, proponendo una commistione di suoni epic black pagani in questo lavoro intitolato ‘Anþjaz’. La classica intro atmosferica e poi via alle epiche battaglie già dalla title track di questo quinto album della band della Turingia. Se la copertina del cd lasciava presagire un prodotto scarno e forse mal registrato, in realtà ho trovato i contenuti di ‘Anþjaz’ al pari dei primi brillanti lavori dei Menhir (fatalità anche loro della Turingia, quasi ci fosse un magico sottobosco in quella zona di foreste della Germania) in grado di quindi di sciorinare un pomposo concentrato di black ispiratissimo che si muove tra arcaiche melodie, cori folklorici e galoppate di black furente, che trova però spesso e volentieri rallentamenti atmosferici che rendono il tutto decisamente più gustoso e appetibile (ascoltatevi “Wint Zuo Storm” per meglio comprendere il flusso musicale del factotum teutonico). “Regangrâo” è un bell’intermezzo acustico che ci conduce alla devastante “Haimaerþa”, una scheggia impazzita di black grondante odio nelle sue ritmiche infuocate e nel growling/screaming efferato del frontman. Grimwald picchia sicuramente come un fabbro, ma stempera l’irruenza del black con i suoi intermezzi folk con tanto di cori, che per certi versi mi hanno evocato gli Isengard. Nella lunga e tenebrosa “Untar þe Germinâri Mâno”, il black si sporca di sonorità doom che vedono in splendide aperture chitarristiche, tiepidi squarci di luce, cosi come pure il cantato pulito rende tutto evocativo, al pari di un basso che macina lugubri suoni in sottofondo. Ancora un break strumentale e poi arrivano le ultime due tracce, di cui vorrei sottolineare la vivacità di “Staingrab in þe Morganbrâdam”, ove ho la sensazione di captare tracce di Absu nelle sue linee di chitarra che nel finale, si sbizzarriscono in una ritmica impetuosa e devastante, diluita solo dal lavoro delle tastiere e dai molteplici cambi di tempo e coro. In chiusura, “Ûzfaran” sembra nascere dalla chitarra di un impavido menestrello, per poi evolvere in una sorta di rituale sciamanico che chiude alla grande un lavoro a cui francamente non avrei dato un euro e che invece ha saputo conquistarmi per i suoi interessanti contenuti. Ben fatto. (Francesco Scarci)

mercoledì 5 aprile 2023

HolyArrow - My Honor is my Loyalty

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Un tributo per l’esercito cinese della Seconda Guerra Mondiale (e speriamo ci si fermi qui), le forze di terra in “My Honor is my Loyalty” e per l’aeronautica in “March to the Sky”. Ecco il nuovo EP dei cinesi HolyArrow che funge da apripista per il quarto album in uscita per la one-man-band di Xiamen, guidata da Shi Kequan. Il mastermind (che abbiamo peraltro trovato anche in altre realtà quali Demogorgon e Rupture) ci offre un black non particolarmente innovativo che evoca battaglie militari fin dalla marcette che introducono entrambe le tracce del dischetto. Suggestive sicuramente, la trovata è per lo meno originale (anche quando è inserita nella matrice sonora del secondo dei due brani), ma la proposta musicale si perde poi in chitarre zanzarose, un black thrash che ha ben poco da dire e soprattutto da chiedere. Ci prova il factotum cinese con tutta una serie di cambi di tempo su cui s'innestano le grim vocals del frontman, ma in tutta onestà, fatto salvo per qualche trovata folklorica da attribuirsi all’introduzione di alcune linee melodiche che richiamano la tradizione cinese, trovo ben poco di interessante durante l’ascolto di questo EP. Non mi ero particolarmente emozionato ai tempi della mia recensione di ‘Fight Back for the Fatherland’, non mi sono emozionato oggi. Pazienza, evidentemente gli HolyArrow continuano a non essere nelle mie corde. (Francesco Scarci)

(Pest Productions – 2023)
Voto: 60

giovedì 16 marzo 2023

Evol - Dies Irae

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Folk Black/Ambient/Gothic
I primi demotape della band italiana Evol non erano facilmente reperibili. L'idea di proporli (e riproporli più di recente/ndr) su cd fu pertanto lodevole. 'Dies Irae' contiene i demo 'The Tale of the Horned King' (1993) e 'The Dark Dreamquest - Part I' (1994), più due tracce registrate dal vivo nel 1995. Chi conosce gli Evol e ne ha apprezzato lo stile non si faccia sfuggire l'album in questione. Per coloro che li hanno sentiti solo nominare si rendono necessarie alcune informazioni supplementari. Gli Evol erano fautori di un "black metal" (ammesso che questa definizione sia legittima) molto atipico. Nulla a che vedere con Darkthrone e Mayhem, per intenderci, né con i primi Satyricon ed Emperor. Nelle loro composizioni musicali, caratterizzate fra l'altro dalla presenza di una trasognata voce femminile, le parti aggressive erano assai rare. Le atmosfere, lungi dall'essere lugubri, inclinavano semmai verso l'onirico e il fiabesco. Caratteristiche, queste, che si sono venute accentuando nel corso degli anni, sino ad imporsi con assoluta evidenza nell'ultimo vagito della band, 'Portraits' (1999).

(Black Tears/Iron Goat Commando - 2001/2019)
Voto: 66

https://www.metal-archives.com/bands/Evol/6145

giovedì 9 marzo 2023

Cave Dweller - Invocations

#PER CHI AMA: Noise/Ambient/Dark
Il nuovo album di Cave Dweller, ovvero Adam R. Bryant, ex membro della band post black metal americana Pando, è stato concepito come una lunga colonna sonora, con l'idea stessa di emanare una visione simbolica del rapporto che lega l'uomo alla spiritualità della natura. Un concetto profondamente radicato tra le note della musica di questo uomo delle caverne, che si fa notare fin dal significato del moniker scelto dall'autore stesso. Le danze si aprono con una voce che recita sopra una rarefatta base, acustico ambientale ("An Invitation"), morbida ed eterea per proseguire nella oscura parvenza di "To Accept the Shadow", che ricorda le trame delle musiche più cerebrali dei Virgin Prunes (vedi la splendida raccolta 'Over the Rainbow'), con un piano nostalgico e amaro a condurre le musica, per poi finire a deragliare su di un finale dark/ambient, con la presenza ritmica di una percussione metallica, che sonda i terreni dei lavori, tutti da scoprire, del progetto mistico/ambient russo, Enoia. Da qui, si viene traghettati in modo naturale, verso la splendida "Bird Song". Questo brano era già presente nel precedente ottimo EP, 'Between Worlds', ed è una traccia che vanta un cantato fragile, drammatico ed epico, con una chitarra solitaria dall'animo grigio e un'evoluzione in stile folk black, che fa riscoprire tutta la forza artistica di questo atipico menestrello del Massachusetts. L'arte di Cave Dweller è sotterranea, rurale fino al midollo, criptica, sperimentale e la si apprezza solo se si colgono i dettagli di registrazioni fatte con smartphone, rumori, fruscii e suoni non convenzionali, particolari sparsi un po' ovunque con genialità e la consapevolezza di creare qualcosa di profondamente evocativo. Un'opera di 44 minuti che evolve le sperimentazioni dell'autore in vari ambiti, folk apocalittico, ambient, alternative country, neofolk, senza prendere a prestito niente da nessuno, per un viaggio personale e originale. Suoni d'ambiente, uccelli in sottofondo, gabbiani, noise, oppure una tiepida batteria di matrice jazz, per rendere più accessibile la ballata noir, minimalista, "Entelechy". Un sound tribale e oscuro, con conseguente esplosione black industriale, nello stile della sua precedente band, dona con vigore, una facciata ipnotica e cosmica al lungo brano intitolato "Mirror". Ma la differenza in chiave di bellezza estrema, la troviamo nella canzone conclusiva intitolata "Solastalgia", dove il solo campione di voce simil lirica/sciamanica, che persiste in sottofondo di tutta la traccia, fa onore all'arte di questo musicista unico e impareggiabile nella sua esplicita arte sonora isolazionista, fredda, rumorista e lo-fi, contornata da psichedelia cosmica ed un cristallino folk, con uno spirito etnico proveniente da qualche sistema solare sconosciuto, che rievoca un vero e proprio risveglio interiore. Un album in veste concettuale, che rispecchia un po' la forma del gioiello sonoro quale fu, 'The Inspiration of William Blake' di Jah Wobble, ovviamente da accostare solo come intuizione compositiva, non come stile musicale, visto che i due artisti sono agli antipodi stilistici, ma convergono entrambi per una libertà d'espressione molto proficua. 'Invocations' è stato creato e mixato dallo stesso Bryant in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 2018 e il 2021, e si presenta come un resoconto del suo percorso sonoro, quindi da considerarsi come una specie di diario di bordo delle sperimentazioni che hanno dato vita al primo splendido album del 2019 (sotto il titolo 'Walter Goodman – or the Empty Cabin in the Woods') e l'EP sopracitato del 2021. Una musica intimista tutta da scoprire ed apprezzare, per cui consiglio di ascoltare prima questa raccolta introduttiva, per poi passare in ordine temporale, alle altre due ottime opere di questo valido autore. (Bob Stoner)

domenica 26 febbraio 2023

Rakoth - Jabberworks

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Folk Black
I russi Rakoth mi avevano letteralmente rapito con le loro atmosfere decadenti e tristi nel precedente 'Planeshift', edito anch’esso per l’italiana Code666. Questo 'Jabberworks' è il risultato di una lunga gestazione durata ben quattro anni, dal 1996 al 2000, quando è stato registrato avvalendosi peraltro dell’orchestra russa “Grotesque Orchestra”. La musica proposta qui è sempre black folk, che funge da punto d’incontro tra il passato e quello che sarà in effetti il futuro sound della band, dove le parti più lente, riflessive e folk sono più accentuate rispetto alle parti black. Sicuramente l’uso dell’orchestra ha impreziosito ancor di più quanto fatto dai russi, e come sempre, spunta uno strumento importantissimo, il flauto, che è di una tristezza infinita. Musica che riesce a coinvolgere emotivamente quella dei Rakoth, mai banale, malinconica e sognante. Ben registrata. In definitiva, un buon secondo capitolo della saga Rakoth, che lascia presagire ancora degli ottimi spunti per il futuro.

mercoledì 19 ottobre 2022

The Mañana People - Song Cycle, Or Music For The End Of Our Times

#PER CHI AMA: Psych Folk/Indie
Rimango sempre sbalordito quando incontro band di questo tipo e scopro che la loro provenienza il più delle volte è la Germania. Certo, in questa terra è nato il krautrock direte voi, quindi la psichedelia è di casa, ma la diffusione del psych folk, rimodernato e aggiornato ai nostri giorni, è cosa più in disuso di questi tempi, quindi, voi giurereste sul fatto che il folk psichedelico oggi, abbia trovato casa a Bonn? Dopo aver ascoltato questo duo tedesco, me ne sono convinto, ed è innegabile che in Germania esista un'anima psichedelica molto radicata. Sono rimasto affascinato dal modo intrigante di intendere la musica in questione da parte di questi due giovani musicisti, una commistione di voci e modi di fare del passato, filtrate da sonorità fresche, ricercate e moderne. Partiamo dal fatto che i "Fab Four" e i The Moody Blues hanno lasciato un segno nell'infanzia dei due giovani artisti, che il Paul McCartney dell'album 'Ram' sia uno degli imputati assieme al suo psichedelico amico John, che i richiami ai The Flamming Lips più pop e moderati siano indiscutibili, la presenza lontana del buon Syd Barrett, l'influenza e la precedente collaborazione con Bonnie Prince Billy e un'arrangiamento molto spesso degno delle visioni migliori del grande Nick Drake, fanno di quest'album un'ottima espressione di come si possa suonare stralunati oggi, senza cadere nel plagio o nella ripetitività, in maniera del tutto naturale e originale, creando un disco coloratissimo e vitale, caldo e brillante, proprio come se l'anno in corso forse il 1968. Impossibile dare un premio al pezzo migliore, visto che il disco scivola deliziosamente canzone dopo canzone con una facilità d'ascolto impressionante, tanta è la quantità di suoni e arrangiamenti cosmici presenti al suo interno, la sua orecchiabilità, e l'equilibrio tra forme retrò e soluzioni moderne è attraente e dona alla band un'identità forte e chiara. Tutto è al posto giusto e nelle giuste percentuali si dividono il folk, il country, il pop, la psichedelia ed il lato elettronico minimalista, con una capacità di riesumazione e restaurazione dei canoni di un genere che non sentivo così costruttivo dai dischi degli Scott 4 di fine anni '90, ed in tempi recenti nell'album 'The Brave and the Told' dei Tortoise proprio con Bonnie Prince Billy. Non solo nel comporre ma anche nel canto, i The Mañana People, sono degli autori formidabili, che generano liriche ad effetto, che possono spaziare dagli echi di Arcade Fire ai già citati Fab Four o The Moody Blues, con una facilità ed un'eleganza non comuni. Un disco da ascoltare e riascoltare più volte, un disco che si presenta come semplice prodotto folk, ma che al suo interno nasconde molto molto di più, un vero bosco incantato di suoni e rimandi musicali, un album consigliato a chi ama farsi sorprendere e farsi trasportare in altri mondi a suon di musica allucinata. Imperdibile per gli estimatori del genere. (Bob Stoner)

domenica 16 ottobre 2022

Inchiuvatu - Viogna

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Folk/Black
Inchiuvatu, sin dagli esordi è stato un progetto particolare, nuovo, dove l'unione tra tradizione siciliana, e tutto ciò che di buono può produrre la musica estrema (in particolare nel black metal veloce, intransigente, crudo), è studiata e intelligente. 'Viogna' è un'opera atmosfericamente varia, dove l’uso passionale e triste delle tastiere spicca, rispetto agli altri strumenti. In questo secondo lavoro di Agghiastru "sognatore" vi sono richiami al sound che sin da 'Addisiu' aveva creato, ma solo per quanto rigurada le chitarre. Anche in 'Viogna' Agghiastru è riuscito perfettamente a trasporre in musica le immagini espresse nei testi. Quindi, ascoltando i brani si ha l’impressione di essere al cospetto di un teatrino di marionette, non certamente spensierato e allegro anzi, ed attraverso delle metafore viene raccontato un po' il rapporto (in tutti i sensi) tra le persone. Visioni mistiche e tetre accompagnano questo coraggioso e intenso opus. Inchiuvatu è un’entità forte e viva nel panorama italiano, sempre in continua evoluzione, che va avanti fiera delle proprie radici.

lunedì 19 settembre 2022

Anders Buaas – The Edinburgh Suite

#PER CHI AMA: Prog Rock
I dischi strumentali dei chitarristi di estrazione hard-prog non sono esattamente la mia tazza di tè, per cui mi sono approcciato a questo lavoro con una dose di diffidenza giustificata solo dai miei pregiudizi, anche se titolo e foto di copertina mi facevano comunque sperare in qualcosa di interessante (ho una mia teoria sulle copertine dei dischi, secondo la quale dischi belli possono avere copertine orribili ma non ho ancora trovato dischi orribili con belle copertine). Comunque sia, il norvegese Anders Buaas non è esattamente un ragazzino, e sa il fatto suo, tanto come chitarrista quanto come compositore e arrangiatore. Dopo una vita da turnista in band norvegesi e dopo aver accompaganto in tour gente del calibro di Paul Di Anno, da qualche anno ha intrapreso una carriera solista di cui questo rappresenta il sesto capitolo. Dopo un lavoro in tre parti sulla caccia alle streghe del sedicesimo e diciassettesimo secolo, uno di improvvisazioni chitarristiche e uno dedicato alle carte dei tarocchi, 'The Edinburgh Suite' è una lunga suite, appunto, divisa in due parti di circa venti minuti ciascuna. Accompagnato da una band di assoluto valore (basso, batteria, tastiere, percussioni e vibrafono), Mr. Buaas, che si rivela chitarrista di rango e dal bellissimo suono, ci regala un album davvero godibile ed estremamente curato in ogni passaggio e ogni particolare, riuscendo a passare con grande naturalezza da atmosfere acustiche e sognanti al folk britannico, al jazz, al prog metal, senza farsi mancare passaggi più tipicamente prog dominati dai synth. E riesce a farlo senza indulgere in eccessivi “sbrodolamenti” (il primo vero assolo di chitarra elettrica arriva dopo circa 10 minuti) e, cosa ancora più importante, riuscendo a tenere le varie parti della suite insieme con invidiabile coerenza e senso della misura. Davvero notevole poi la sua attitudine per le melodie “catchy”, epiche ma non fastidiose, quasi da colonna sonora. In definitiva, questa 'The Edinburgh Suite' è il primo disco del genere al quale riesco ad arrivare in fondo senza un malcelato senso di fastidio, da molto tempo a questa parte. Ottima sorpresa. (Mauro Catena)

domenica 21 agosto 2022

The Decemberists - What a Terrible World, What a Beautiful World

#PER CHI AMA: Indie Folk Rock
È tassativo non offuscare l'elemento di maggior fascinazione, vale a dire il nitore del songwriting di Meloy. Occorrono arrangiamenti accuratissimi ma trasparenti ("Spectoriani", li definisce giustamente qualcuno). Si spazia quindi dal pop-piano-da-radio (l'inspiegabile singolo "Make You Better") a certe caciare indie-'90 alla R.E.M. ("The Wrong Year"), al doo-wop pruriginoso mid-'60 ("Philomena") al "gospel bianco da convention democratica" (la definizione è sempre di quel qualcuno) della cripto-biografica "The Singer Addresses His Audience" (da confrontare con "Anathema" degli Anathema), alle dolenti e austere "Till the Water is All Long Gone" e "Carolina Low", collocabili tra i Dire Straits di 'Private Investigation' e il Roger Waters di 'Each Small Candle'. Buona parte dell'ultima facciata del vinile (la terza) sembra una sorta di doveroso tributo al folk di Dylan e Young, cui Meloy deve sicuramente molto più di una cena costosa. (Alberto Calorosi)

(Capitol Records - 2015)
Voto: 80

https://www.decemberists.com/

lunedì 25 luglio 2022

Panopticon - The End is Growing Near

#PER CHI AMA: Black/Folk
Dopo il 'Live in Belgium' ed in attesa di ascoltare qualcosa di nuovo, il buon Austin Lunn ha riesumato un paio di pezzi che aveva scritto nel biennio 2008-2010, all'epoca dell'uscita di 'Collapse'. Proprio in linea con la furia di quel disco, i due nuovi vecchi brani dei Panopticon si muovono tra ritmiche sparatissime, urla feroci e melodie votate sempre ad un caotico ma efficace black dalle vaghe tinte folkloriche. Si parte con la lunga e tortuosa "Haunted America II", song incentrata sul tema della persecuzione degli indigeni d'America da parte dei coloni inglesi e che si muove su frenetiche ritmiche black contrappuntate dalle grim vocals del factotum statunitense, e tra disarmoniche porzioni di chitarra che raramente ho trovato nella discografia del musicista originario del Kentucky. Il primo pezzo sembra un lungo racconto che avrà modo di toccare apici compositivi davvero interessanti per poi chiudersi con delle spoken words che ci introdurranno all'altrettanto suggestiva title track, il cui tema è legato alla crisi climatica e alla degradazione dell'ambiente, e che nasconde nella sua ritmica una spettrale melodia che ne stempera la brutalità palesata nel martellante incedere di batteria e chitarre. Saranno anche due brani di oltre 12 anni fa, ma la qualità dei Panopticon non si discute minimamente, anzi trovo questi due pezzi molto migliori di alcune delle ultime release del polistrumentista americano. Bella trovata. (Francesco Scarci)

sabato 25 giugno 2022

High Castle Teleorkestra - The Egg That Never Opened

#PER CHI AMA: Suoni Sperimentali, Mr. Bungle
Vi sentite pronti per vivere un'esperienza folle? Lo siete davvero ad aprire quell'uovo che non è mai stato aperto? Perchè quando farete partire questo folle disco, non potrete più fare marcia indietro. Il sestetto internazionale degli High Castle Teleorkestra (in realtà la band include uno smisurato numero di comparse) vi porterà con questo 'The Egg That Never Opened', attraverso differenti palcoscenici, dal mondo dello swing ai suoni balcanici, passando in rassegna le colonne sonore dei film anni '50, '60, il jazz, l'avantgarde e infine anche il metal. Proprio da qui parte infatti la title track e da riffoni piuttosto pesanti che evolveranno/degenereranno nel giro di pochi secondi, in un fiume musicale da farvi impallidire, che potrà evocare inequivocabilmente la follia dei Mr. Bungle (sarà merito del fatto che nella band è presente anche il sassofonista Bär McKinnon dei Mr. Bungle stessi?) e ogni altro progetto firmato Mike Patton, con un melting pot esagerato di generi. Quelle tipiche sonorità romantiche della capitale francese, con tanto di fisarmonica, aprono invece "Ich Bin's", ma attenzione perchè in sottofondo si nascondo minacciosi chitarroni che continueranno a masturbarci le menti con il loro pesantissimo incedere. Spettacolare "The Aramchek Accusation", una song intanto finalmente cantata, ma che nasconde al suo interno, un'altra scala cromatica davvero assurda che ci condurrà attraverso turbolenti scenari fino alla più tranquilla e malinconica "Valisystem A", dove il tributo a Ennio Morricone sembra ancor più evidente ma che va a miscelarsi con surf pop e jazz. Quello che questi pazzi furiosi hanno fatto (ricordo che oltre a membri di Mr. Bungle, ci sono anche musicisti provenienti da Estradasphere, Farmers Market, Doc Booger e Probosci) ha alla fine del prodigioso, del suggestivo, sicuramente del delirante, frutto comunque di una competenza musicale senza confini, che aspetta solamente la vostra voglia di evadere dagli schemi e sperimentare senza paura alcuna. Il mio pezzo preferito? Senza ombra di dubbio, "At Last He Will", ove convergono sonorità metal e cinematiche, mentre una menzione d'onore spetta alla conclusiva "Mutual Hazard" e quelle sue sonorità a cavallo tra metal ed echi balcanici. Le tracce più difficili da affrontare perchè eccessivamente sperimentali? La melliflua "The Days of Blue Jeans Were Gone" e la lunga e troppo cantata "Diagnosing Johnny". Ultima segnalazione: la versione deluxe include 43 bonus track, fate vobis! (Francesco Scarci)

lunedì 13 giugno 2022

The Decemberists - The King is Dead

#PER CHI AMA: Folk Rock
L'impervio percorso artistico del più ingombrante genio del prog-nu-folk non facente sesso con le groupies, scivola per sottrazione con la stessa velocità di una discesa lungo la coclea di Fibonacci. Ma se è facile sottrarre da 'Crane Wife' (il quarto album della band statunitense) le progressioni progressive e mainstrimate mainstream, se è altrettanto facile sottrarre da 'Hounds of Love' certi arzigogolanti arzigogoli da 'Quesito con la Susi' o da ultimi Porcupine Tree, meno facile è sottrarre alle vivaci composizioni dei primi album dei The Decemberists quella rurale spontaneità che odora di cuoio e merda di vacca. 'The King is Dead' è la (meravigliosamente eseguita e impeccabilmente prodotta) teca di cristallo che espone il songwriting di Colin Meloy al massimo del suo talento creativo. Ascoltate questo album ogni volta che pensate di aver fatto una cosa di cui avete paura di pentirvi. Vale a dire, spesso. (Alberto Calorosi)

(Capitol Records/Rough Trade Records - 2011)
Voto: 75

http://www.decemberists.com/