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martedì 11 novembre 2025

Dodengod - Heralds of a Dying Age

#PER CHI AMA: Black/Death
Se non avessi saputo la provenienza dei Dodengod (si ringrazia sempre Metal Archives per questi dettagli), avrei pensato che il trio fosse originario della Svezia, per quella loro proposta all'insegna di un death dalle chitarre super ribassate, che mi ha evocato band come Unleashed o Grave. In realtà, i nostri arrivano dal Belgio e questo 'Heralds of a Dying Age' è il loro secondo album. Un lavoro che ci schianta immediatamente in faccia la loro efferata violenza. Fatto salvo per l'intro "In Darkness", le successive "The Grinder Feeds on Hate" e "Breathe Deep the Dark", mi investono con una sezione ritmica debordante, fatta di tonalità oscure e asfissianti. Non c'è un barlume di luce nelle note di questi 10 pezzi. Anzi, l'atmosfera si fa addirittura più cupa in un pezzo come "The Adversary", grazie al suo piglio doomish, che sfocia, per alcune acuminate linee di chitarra, anche nel versante black, ma che sorprende al tempo stesso, per alcuni ghirigori in tremolo picking che ne amplificano la melodia. E non è certo una novità, visto che già le precedenti tracce avevano palesato rallentamenti doom, con una fortissima predilezione per melodie quasi psichedeliche (e ripenso al finale di "The Grinder Feeds on Hate"). Questo per dire che alla fine i Dodengod non sono dei veri e propri picchiatori, o che propongano unicamente un genere monolitico e da lì non si spostano di un millimetro. Direi che seguono un canovaccio, che vede spesso cominciare i brani con una ritmica piuttosto robusta per poi disorientare l'ascoltatore con trovate atmosferiche, lisergiche, sempre inattese. E anche un pezzo come "Devouring Fires" mostra lo stesso comportamento, tra derive psych, accelerazioni deflagranti, un rifferama potente, tagliente e brutale, ma poi ecco che suoni spettrali si palesano in un sottofondo che ha molto spesso da regalare qualche inusuale sorpresa. E sta qui la forza dei nostri, che altrimenti avrei etichettato come l'ennesima band che voleva fare il verso ai mostri del passato. E se ci aggiungiamo anche una buona perizia strumentale, un ottimo gusto nella sezione solistica, le contaminazioni black (spaventosa la ritmica della title track, ma anche quello screaming che talvolta si affianca al growl) e doom (ascoltate la successiva "Born"), potrete intuire anche voi come questo album non debba essere frettolosamente scartato come mera copia dei grandi act del passato. La mia traccia favorita? La diabolicamente sinistra e di scuola Altar of Plagues, "No Distant Flame Ahead". Insomma, per concludere, 'Heralds of a Dying Age' è un lavoro estremo, davvero violento, ma con una sorprendente voglia di stupire con trovate melodiche sempre interessanti. (Francesco Scarci)

(Pest Records - 2025)
Voto: 70

giovedì 6 novembre 2025

Leaving Time - Loop / Live Beneath

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dream Pop
Nell'ottica di evadere dagli estremismi sonori, ecco soccorrermi gli statunitensi Leaving Time, fautori di un sound a metà strada tra l'alternative e lo shoegaze. Solo due pezzi, che arrivano giusto un anno dopo l'uscita del loro album di debutto 'Angel in the Sand'. La proposta del quartetto della Florida è molto chiaro: dei bei chitarroni saturi e lineari, su cui estendere le vocals chiaramente eteree tipiche del genere. Niente di nuovo insomma, se non farsi cullare dal contrasto sonoro tra il melodico wall of sound eretto dai nostri e quelle linee vocali sognanti. Nessun sfoggio di tecnica fine a se stessa, niente assoli, fatto salvo per un bridge al limite del noise, nella coda di "Loop". La melodia regna sovrana in "Live Beneath", in quel suo tiepido inizio, parecchio ruffiano (zero chitarroni qui), molto dream pop e contraddistinto da vocalizzi quasi nascosti dal rumore delle chitarre che lentamente salgono di volume e robustezza. Poi, il canovaccio è il medesimo della prima traccia: vocals e melodie litaniche, un break atmosferico che si dilata nel tempo e nello spazio, un apporto chitarristico decisamente più graffiante e i giochi terminano qui, anzi tempo, giusto per saggiare di che consistenza sono fatti questi musicisti di Jacksonville, qualora non li conosceste. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 63

De Profundis - The Gospel of Rot

#PER CHI AMA: Death Old School
Nuovo capitolo per i deathster inglesi De Profundis, una band che, in tutta franchezza, non ho mai particolarmente amato. Si tratta di una band dalla lunga militanza nell'underground che dal 2005, anno della loro formazione a oggi, ha visto il quintetto londinese passare dal death doom degli esordi, a un black death a metà del loro percorso, fino a completare la propria trasformazione in un death nudo e crudo di stampo americano. La band fa il suo ritorno sulle scene con questo EP di quattro pezzi, intitolato 'The Gospel Of Rot', che include tre inediti più la cover di "Subtraction" dei Sepultura. Si parte con la corrosiva "I: Corruption", i cui unici punti di interesse risiedono in una basso iper tecnico, in qualche apertura di chitarre in stile Atheist e una buona vena solistica. Per il resto, suoni ormai vetusti, voci al vetriolo in un mix tra screaming e growl, e zero emozioni. "II: Deception" non è da meno, con quella sua galoppata ormai troppo old school per chi come me è cresciuto con questi suoni trent'anni fa e per cui gli originali, rimangono i migliori interpreti di un genere che trovo abbia ben poco da dire, fatto salvo per alcune rare eccezioni. Ribadisco la validità tecnica della band, esplicata attraverso interessanti trame solistiche e un tentativo di riproporre anche il sound svedese nella terza "III: Indoctrination". Per il resto, trovo il tutto poco allettante, anche la cover dei Sepultura riletta in chiave americana, visto che è sparata a tutta velocità manco fosse un pezzo di brutal death. Per me è un no grazie, ascolto altro. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 60

mercoledì 5 novembre 2025

Ancient Death - Ego Dissolution

#PER CHI AMA: Death Progressivo
Dalle nebbiose profondità di Walpole, Massachusetts, ecco emergere gli Ancient Death, un quartetto che irrompe sulla scena del progressive death metal con il debut 'Ego Dissolution', dopo qualche uscita di EP e split album. Formatisi nel 2021, la band si fa portavoce di un sound che fonde il death old school con sfumature psichedeliche e progressive. Potete immaginare il mio scetticismo davanti a un artwork di copertina che già lascia presagire tutt'altro. Eppure, già con l'iniziale title track, ho dovuto ricredermi in fatto di proposta musicale e qualità del quartetto statunitense, proprio per una capacità intrinseca di bilanciare brutalità, atmosfera e introspezione, posizionando i nostri come una forza fresca e ambiziosa, giusto a ridosso di Blood Incantation e pochi altri; sarà forse per questo che un'etichetta come la Profound Lore, ci avrà voluto puntare. Fatto sta che i nostri sciorinano otto tracce che, di primo acchito, potrebbero anche sembrare brutali, ma che se poi vai a fargli i raggi X, trovi che possiedano una tecnica davvero notevole, con arrangiamenti che sono un mosaico di riff grooveggianti, tecnici ("Breaking the Barriers of Hope") o più atmosferici ("Breathe - Transcend (Into the Glowing Streams of Forever)", dove peraltro fa la sua comparsa anche una quanto mai inattesa voce femminile), e che si chiudono puntualmente con assoli funambolici che mi hanno evocato i Death del buon Chuck. Mamma mia, quante emozioni, e dire che quell'artwork di copertina mi aveva già predisposto a disintegrare questa band eppure, le ulteriori influenze che arrivano da Cynic, Atheist o Nile, ci consegnano una band e un prodotto già maturi. Brani come la strumentale "Journey to the Inner Soul" (con il suo eco ai Death di 'Human'), "Unspoken Oath" o la conclusiva "Violet Light Decays", esaltano l'estetica psichedelica del death metal, pur non avendo inventato nulla di nuovo. Certo, quella copertina continuo a trovarla imbarazzante. Bravi comunque! (Francesco Scarci)

(Profound Lore Records - 2025)
Voto: 75

Ordinul Negro - Dodekatemoria

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
È inevitabile che quando si parli di black metal rumeno, il nostro pensiero vada a band come Negură Bunget o Dordeduh, che hanno delineato un sound intriso di folklore e misticismo, influenzando un'intera generazione di musicisti underground. Eppure, appena nelle retrovie ecco scorgere gli Ordinul Negru, una realtà che contiene membri ed ex delle band sopra menzionate e che, attivi dal 2006, vantano una discografia alquanto sostanziosa, fatta di nove album e 10 tra split ed EP. Musicalmente, potrebbero essere un immaginario ibrido tra Negură Bunger e Deathspell Omega. Il loro ultimo lavoro, questo 'Dodekatemoria', che ci eravamo persi esattamente un anno fa, e per cui la loro etichetta ha voluto darci l'opportunità di riparare, consolida il terzetto come custodi di un black atmosferico e occulto, in un momento in cui il genere cerca di rinnovarsi attraverso temi esoterici, senza tuttavia perdere la sua forza primordiale. Il risultato lo potete già scorgere nei solchi dell'opening track, "Aleph", che combina le dissonanze dei francesi D-O, la veemenza del black, la delicatezza di una voce femminile che a metà brano fa la sua comparsa, accompagnando il growling rauco del frontman, e in generale di un suono oscuro che privilegia tanto l'immersività quanto la crudezza di tutte le sue componenti. Il risultato è davvero interessante, per quanto sia tutt'altro semplice godere dei contenuti del disco. 'Dodekatemoria' è infatti un lavoro scorbutico da digerire, non sono sufficienti le due donzelle a prestare le loro delicate e soavi voci per rendere il tutto più accessibile. C'è ben altro nelle note delle sei lunghe tracce ivi incluse. E non basta nemmeno un inizio timido come quello della title track a farci credere che l'album sia cosi semplice da ascoltare: meravigliose certamente le melodie folkloriche, quasi mediorientali, che si srotolano in sottofondo, ma altrettanto telluriche le accelerate ritmiche, direi post black, a cui ci sottopongono routinariamente i tre musicisti di Timișoara. E sono schiaffoni che volano, sebbene un brano come "Judas Goat", nella sua ritualistica ascesa, sembra cogliere qualcosa di più degli insegnamenti dei Blut Aus Nord, in un lungo finale da brividi. "The Decrepitude of Centuries" se la prende forse con troppa calma (circa tre minuti e mezzo) prima di irrompere feroce e ferale, in una song che nel proprio incedere tribale e monolitico, sembra chiamare in causa anche gli Altar of Plagues. Mid-tempo oriented anche "Zahir", che evolve da un black/doom iniziale a un brano ricco di componenti cariche di groove e folk (chi ha detto Melechesh?), davvero degno di nota. In chiusura, "Palladian Rituals" con i suoi dieci minuti di musica, ci offre un altro spaccato della proposta degli Ordinul Negro, tra atmosfere rarefatte, accelerazioni repentine, vocals pulite in sottofondo, ottime voci femminili e splendide melodie, che mi fanno credere a un futuro radioso per la band. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2024)
Voto: 76

domenica 2 novembre 2025

Aduanten - Apocryphal Verse

#PER CHI AMA: Melo Death/Black
Gli Aduanten risultano essere il side project di Obsequiae, Vex, Panopticon e Horrendous, eppure sul rinomato sito Metal Archives, non trovo traccia di membri di Panopticon e Horrendus, ma vedo semmai citati i Ruins of Honor. Comunque, a parte queste sciocchezzuole, 'Apocryphal Verse' è il secondo EP della band texana, che dovrebbe proporre un death black melodico, come testimoniato dalla lenta e graffiante "Cerulean Dream", una song che chiama immediatamente in causa, una band svedese a me cara, che agli esordi, si muoveva nei paraggi di un melo death, sebbene oggi siano decisamente più black oriented. Quindi, andando a delimitare il perimetro degli Aduanten, direi che ci troviamo nei pressi di un death melodico mid-tempo, che troverà tuttavia modo di aumentare la propria ferocia sul finire del brano. Niente di nuovo all'orizzonte ma la prova del batterista, come spesso accade, è sicuramente da premiare. Avrei gradito un bell'assolo in chiusura, ma niente da fare, è già tempo di "Decameron", un altro esempio di death melodico che non ha granché da chiedere, e che trova nello stridulo del cantante e in un ritmo, a un certo punto e per pochi secondi vicino al post black, le soli componenti black, peraltro alquanto innocue. Un arpeggio apre "Grace of Departure", ma quello che mi pare continui a mancare, è un qualcosa che coinvolga l'ascoltatore, un bridge, un assolo (qui solo un accenno), una parte melodica che rimanga impressa nella testa, insomma un qualcosa che mi faccia pensare che questo lavoro abbia realmente un suo perchè, visto che anche con la conclusiva "The Weakening Sovereign", il trio di Austin non riesce a uscire dalla propria zona di comfort e finisce per spegnersi su una banalissima accelerazione black e un giro di chitarra abusatissimo. Insomma, troppo poco per esaltarne la performance. Attenderò impaziente il full length d'esordio per decretare il mio supporto o meno ai nostri. (Francesco Scarci)

(Nameless Grave Records - 2025)
Voto: 60

venerdì 31 ottobre 2025

Hulder - A Beacon From Darkened Skies

#PER CHI AMA: Black/Folk
Una semplice cassetta (tra l'altro disponibile anche in una ritual edition) con sole due tracce, per tutti gli amanti dell'oggettistica vintage. Per chi ama il digitale invece, la pagina bandcamp degli statunitensi (ma in realtà originari del Belgio) Hulder, vi darà modo di ascoltare il loro ultimo EP, 'A Beacon From Darkened Skies'. Noi, la one-woman-band l'avevamo già recensita in passato, sottolineando come fosse avvezza a un certo tipo di black atmosferico, piuttosto grezzo. Non posso far altro che confermare le parole del mio collega Alain e sottolineare come la polistrumentista belga, ora basata nello stato di Washington, e qui aiutata da altri due musicisti, Vrolok e Necreon, si muova nell'ambito di un genere estremo che affonda le sue radici nel black scandinavo. Lo dimostra subito la title track, con chitarre ultra tirate e screaming vocals, spezzate da un break più atmosferico. Non posso invece dire altrettanto della seconda "Zonnesteen", una song che richiama sonorità folk in stile Wardruna/Ivar Bjørnson & Einar Selvik, guidate da una chitarra acustica e da un drumming tribale, nonché dalla calda voce pulita di Hulder e dalle oscure backing vocals di Necreon, per un esperimento sicuramente ben riuscito. (Francesco Scarci)

(Self/Medieval Darkness - 2025)
Voto: 66

mercoledì 22 ottobre 2025

Unto Others - I Believe In Halloween II

#PER CHI AMA: Dark/Gothic/Post Punk
Della serie "dolcetto o scherzetto", gli statunitensi Unto Others tornano con un EP che suona come un regalino per i propri fan. Era già accaduto nel 2021, in occasione di 'I Believe in Halloween', tornano oggi con un secondo capitolo, 'I Believe In Halloween II', un dischetto di cinque pezzi, tra cui due cover, una dei Misfits, l'altra dei Ramones. L'EP si apre con le ottime melodie di "They Came from Space" e un sound che si muove nei paraggi di un dark gothic fresco e melodico, che probabilmente poco aggiunge alle più recenti uscite del quartetto di Portland, ma per chi magari non li conoscesse, potrebbe essere un buon biglietto da visita per approcciare la band originaria dell'Oregon. Melodie orecchiabili, suoni andanti, buone vocals e una bella dose di energia. La medesima che si respira nella punkeggiante "What I Did...", una scheggia di 1 minuto e 45, tra galoppate anni '80 e qualche break in grado di regalarci qualche momento scanzonato. Lo stesso dicasi per la successiva "Robots", carina soprattutto per il suo coro e l'assolo funambolico nella seconda metà. Poi, ecco le due cover: "Halloween" dei Misfits, per altri due minuti di scorribande punk rock dedicate alla festa di zucca e fantasmi, in pieno stile eighties. E parlando di questi anni, non si poteva nemmeno rinunciare a "Pet Sematary" dei Ramones, una delle peggiori canzoni di sempre della band newyorkese, ma che qui viene riproposta in modo quasi più convincente dell'originale. Insomma, niente di nuovo all'orizzonte, solo una gran voglia di spensieratezza. (Francesco Scarci)

(Century Media - 2025)
Voto: 66

Kowloon - Invocation of Baekdu

#PER CHI AMA: Raw Black
Non potevo non scrivere una recensione su una band nord coreana, soprattutto alla luce della copertina ridicola del disco, di contenuti musicali al limite dell'indecenza, ma comunque di un fascino esotico sprigionato da una release che alla fine, non mi ha lasciato indifferente. Sto parlando dei 구룡 (che tradotto in inglese dovrebbe essere Kowloon, come il nome di una delle aree urbane di Hong Kong, chissà  poi se ci sia qualche attinenza) e del loro EP di debutto, '백두의 소환' (tradotto nell'inglese 'Invocation of Baekdu', dove quest'ultima rappresenta il nome della montagna sacra più alta della Corea del Nord). Il genere musicale proposto? Un raw black metal che sembra ricondurci indietro nel tempo di 35 anni, ai tempi delle prime uscite norvegesi di Mayhem e compagnia. Tre brani e nove efferati minuti di black metal crudissimo e registrato malissimo, con la band che ci tiene a sottolineare che lo studio di registrazione è stato utilizzato durante gli orari consentiti, rispettando rigorosamente le normative durante l'intero processo creativo e che le attrezzature sono di proprietà statale. Le chitarre sono invece taglienti e melodiche nel secondo brano, con un riffing acuminato che richiama Emperor e Dissection allo stesso tempo, e delle vocals straordinariamente buone. Ecco, se mettiamo da parte la copertina del disco, la pessima registrazione, la prima abominevole traccia, e il cantato in lingua madre, con questo secondo pezzo si assiste quasi a un miracolo. Con la terza song ci lasciamo infine braccare da un pirotecnico black/thrash strumentale che evoca ancora una volta gli spettri scandinavi degli anni '90. Chissà se alla fine questi Kowloon siano realmente un progetto nord coreano o una burla in stile Ghost Bath, fatto sta che andranno obbligatoriamente seguiti da molto vicino, giusto per capire se il regime li avrà nel frattempo eliminati per questo loro atto di ribellione nel rilasciare un disco black. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 61

lunedì 20 ottobre 2025

Toughness - Prophecy

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death
'Prophecy' è stato il demo con cui i polacchi Toughness hanno fatto il loro debutto sulla scena nel 2022. La band, che avevamo incontrato qui nel Pozzo in occasione del loro album 'The Prophetic Dawn', e che quest'anno ha visto peraltro l'uscita del secondo cd, 'Black Respite of Oblivion', ha avuto la fortuna di veder anche il demo riproposto dalla loro etichetta, con una nuova veste grafica e una bonus track. Al pari del loro debut album, che io stesso avevo recensito, devo ammettere che anche il qui presente lavoro non brilla certo in fatto di produzione, causa un suono sporco, scarno e che di fatto non mi fa apprezzare la performance dei singoli strumenti. La proposta musicale è poi inevitabilmente legata a quel brutal death, mai troppo violento in realtà, di cui vi avevo parlato in passato, con spruzzate di techno death a sottolineare la comunque notevole perizia strumentale del quartetto di Lublino. Tuttavia, devo dire che il primo pezzo, "Carnal Ecstasy", non l'ho trovato cosi interessante, forse troppo ripetitivo nei suoi giri di chitarra, cosa che non ho riscontrato invece nella successiva e più delirante, "Cleavered". Vi basti ascoltare infatti i suoi giri di basso e di chitarra per rimanere paralizzati, per non parlare poi della sassaiola affidata a un drumming a dir poco schizoide. La voce, manco dirlo, un growl strozzato in gola. Pezzo interessante, diretto e mordace che in meno di tre minuti chiude positivamente la pratica. Ben più complessa e strutturata invece la successiva "The Oracle of Disentanglement", song inizialmente soffocante nel suo apparato ritmico e vocale, meno ariosa e jazzy però, rispetto alla seconda traccia. Una song alla fine monolitica ma comunque ubriacante. Per quanto riguarda la bonus track, "Defying of the Messiah", questa mostra un incedere iniziale più doomish oriented, per poi liberarsi nuovamente in giri un po' troppo ridondanti di chitarra. Un plauso tuttavia va all'inumano batterista che siede nelle retrovie e che detta i tempi pazzeschi di un disco piuttosto violento. (Francesco Scarci)

(Godz Ov War Productions - 2022/2025)
Voto: 65

Pogarda - Czarne Obrazy

#PER CHI AMA: Black Progressive
È una prima assoluta quella dei polacchi Pogarda. 'Czarne Obrazy' è infatti l'EP di debutto per il quintetto di Krosno, un lavoro di cinque pezzi e oltre 21 minuti di musica dedita a un black progressive. Le note introduttive di "Lament" sono delicati arpeggiati che vedono uno screaming rauco e straziante, andarsi ad affiancare per creare un sound lento, sofferente, melodico che, al minuto 3.50, mi ha addirittura evocato gli Agalloch di 'The Mantle'. Non tanta raffinatezza sia chiaro, e nemmeno la delicatezza delle note della band statunitense, visto che il sound dei Pogarda esplode invece in un post black dinamitardo, dove a mio avviso, andrebbe rivisto il suono della batteria. La proposta non è affatto male, per quanto il cantato sia in lingua madre, non certo morbido da assimilare. Ipnotica la successiva "Nieludzkie Pragnienie", dove spicca ancora una scelta stilistica che vede tiepide e soffuse melodie affiancarsi a un cantato decisamente malato di raucedine, mentre apprezzabili sono le parti in tremolo picking che si dilettano a dipingere affreschi di desolazione lacerante. "A Czwartą Plagą..." parte stranamente più sostenuta, quasi in una sorta di post punk dalle tinte black, un po' come facevano gli An Autumn for Crippled Children agli esordi. In "Freski" è invece è un bel basso a guidare una musicalità più ostica, resa ancor più difficile da assorbire causa una voce ancor più vetriolica. I giri in tremolo picking sono però davvero goduriosi e questo basta, per il momento, a bilanciare i frangenti meno digeribili del disco. In chiusura, le atmosfere graffianti di "Wilki Wyją" sanciscono un debutto certamente interessante, sulla scia di altre realtà tipo Karg o Harakiri for the Sky, una piccola gemma però, da sgrezzare al più presto. (Francesco Scarci)

(Godz Ov War Productions - 2025)
Voto: 69

giovedì 16 ottobre 2025

Van Diemen - Van Diemen III

#PER CHI AMA: Melo Death
I Van Diemen, dopo essere emigrati definitivamente in Australia (in realtà solo un membro della formazione è tedesco), tornano con il loro terzo lavoro, intitolato un po' banalmente, 'Van Diemen III'. La proposta del quartetto della Tasmania, che già in passato abbiamo avuto modo di recensire qui nel Pozzo, in occasione del secondo disco 'Sarcophilus Laniarius', viaggia lungo i binari di un death metal melodico, con il più classico muro di chitarre a costituire l'intelaiatura dei nostri, a cui aggiungere una bel growling ficcante, e un'ottima dose di solismi che, già dall'iniziale "T.D.M.", mi fa sobbalzare dalla sedia. Insomma, questo per dire che non siamo affatto di fronte a degli sprovveduti, ma già ai tempi del precedente album, avevamo avuto modo di constatarlo. Quello su cui semmai posso recriminare è una mancanza di freschezza a livello musicale, insomma nulla di particolarmente originale o cosi personale, da farmi gridare al miracolo. C'è la componente catchy, ruffiana per dirla in italiano, con i cori in "A Patient Man", che aprono la strada a un bridge di chitarra e a un dinamitardo assalto all'arma bianca nella seconda metà del brano, un preludio a un altro assolo, tuttavia non altrettanto incisivo come nell'opening track. Un buon arpeggio, forse un filo ridondante (tre minuti e mezzo dello stesso giro di chitarra, li avrei evitati), apre "I'll Die a Free Man", una song robusta, ma certo penalizzata da un riffing che alla lunga stanca, almeno fino all'assolo che chiude in fading. Più mid-tempo oriented e dal piglio malinconico, "Shadows of the Dead" si dispiega, seguendo un determinato pattern musicale per un tempo forse eccessivamente lungo. Ecco qual è il problema del disco, il fatto di dilungarsi un po' troppo nei brani, e far calare l'interesse nell'ascoltatore, che brama quanto prima, l'arrivo salvifico di un assolo a interrompere ritmiche estremamente prolisse ("The Land of Fire and Stone" è un altro esempio emblematico). Per il resto, i brani sono sicuramente piacevoli, soprattutto per coloro che bazzicano questo genere votato al melo death di stampo Dark Tranquillity (la conclusiva "Such is Life" potrebbe essere il manifesto programmatico dei nostri, peccato solo sia strumentale) o più death doom atmosferico, come ascolterete in "Internal Scars", o ancora nella più deflagrante "Thylacine", una song al limite del black metal. Insomma di carne al fuoco ce n'è, andrebbe grigliata meglio viste le potenzialità che i nostri hanno, per fare molto bene. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 70

mercoledì 15 ottobre 2025

The Blood Mountain Black Metal Choir - Demo I "Folklore"

#PER CHI AMA: Post Black
Sebbene il demo sia stato registrato tra il 2022 e il 2023, questo 'Folklore' vede la luce soltanto nel 2025. Figlio di The Blood Mountain Black Metal Choir, one-man-band americana, il disco si muove su coordinate affini ad altri due progetti del mastermind statunitense, ossia Isleptonthemoon (splendido il loro ultimo lavoro) e Wounds of Recollection (altra release interessante, la loro ultima), e quindi di un black metal viscerale che ci accoglie tra miti e leggende della catena montuosa degli Appalachi, che ormai, al pari del sound cascadiano, ha creato un certo interesse tra i cultori del black underground. E cosi mi appresto ad ascoltare i cinque pezzi di questo demo che sprigionano la loro mistica energia dall'opener "Blue Ridge" e da un arpeggio che viene presto rimpiazzato da una cavalcata che guarda proprio al post black cascadiano, con i suoi ritmi incalzanti, le vocals laceranti e una buona dose di melodia di fondo. Se devo citare una band a cui affiancherei i nostri, vi direi in prima battuta i Panopticon, poi ovvio che di sfumature che portano altrone, se ne potrebbero trovare a bizzeffe. Comunque sia, il lavoro scivola via piacevolmente tra le dirompenti linee di chitarra della traccia d'apertura e passando per gli arpeggi e le distorsioni di "3:19", permettendo alla musica di darci modo di evocare nel nostro immaginario, quelle suggestive montagne che si estendono da Terranova, in Canada, fino all'Alabama. La title track è un breve intermezzo acustico, ancora scuola Panopticon, mentre "Televangelism" attacca roboante, manco fosse "God Alone" degli Altar of Plagues, per poi tranquillizzarsi a metà brano e riprenderci a schiaffoni con la serrata ritmica nella seconda metà. In chiusura l'outro acustico "Closing", ci conferma che la scena a stelle e strisce, dedita all'appalachian black, è più viva che mai, basta solo andarla a scovare. (Francesco Scarci)

(Fiadh Productions - 2025)
Voto: 70

lunedì 13 ottobre 2025

Superion Tyrant - Demo MMXXV

#PER CHI AMA: Death/Grind
Della serie lavori da cui tenersi alla larga, ecco il demo 2025 degli italiani Superion Tyrant, quartetto che vede tra le proprie fila, membri di Node, Derelict, Mind Snare e Heathen/Lifecode, quindi non certo gli ultimi sprovveduti. E forti di queste provenienze dal mondo black/death, il four-piece italico si lancia in sonorità che abbracciano anche il grind e che in tutta franchezza, non mi vedono proprio supportare questo genere. Quattro pezzi più intro per nemmeno undici minuti di musica, che vogliono i nostri stuprare la propria strumentazione in un sound che potrebbe evocare i Napalm Death di 30 anni fa. Ecco, 30 anni fa queste sonorità mi potevano andare anche bene (d'altro canto amavo il suono rilasciato dal martello pneumatico), oggi non più. Desidero qualcosa di fresco, moderno e innovativo, anche e soprattutto in ambito estremo, quello che sa sempre amo. Altrimenti, preferisco andarmi a prendere gli originali, che erano decisamente meglio. Tecnicamente ineccepibili, ma nulla di più, nemmeno l'ombra di un assolo per regalarmi un sussulto, ma la costante sensazione di stare su una carrozza del treno impazzita (il finale di "Allotropic Deathforms" è emblematico). (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 50

Malepeste - Ex Nihilo

#PER CHI AMA: Ritual Black Metal
Ci sono voluti ben dieci anni per veder il ritorno sulle scene dei francesi Malapeste, se escludiamo uno split album con i Dysylumn nel 2018. 'Ex Nihilo' è dunque il nuovo lavoro, il terzo per i nostri, che vede la luce grazie al supporto della sempre attenta Les Acteurs de l'Ombre Productions. Sei nuovi pezzi a testimoniare il processo evolutivo del quintetto di Lione, alle prese qui con un suono che bilancia tradizione e introspezione e che vede i Deathspell Omega come fonte di ispirazione per le strutture dissonanti che ci accolgono sin dall'iniziale "Ab Chaos", un pezzo breve che funge più da introduzione che altro. La musica dei Malepeste inizia infatti meglio a fluire dalla seconda "Quaestionis", un pezzo sicuramente obliquo per le sue linee ritmico-melodiche, che vedono i nostri muoversi su un black mid-tempo dotato di arrangiamenti stratificati con un uso minimale dei synth che servono a creare un velo atmosferico ritualistico al tutto. L'utilizzo delle vocals poi non è mai troppo efferato, passando da rauchi gutturali a urla strazianti e pulite, che per certi versi mi hanno evocato i Primordial. Il basso è lì, con la sua carica pulsante a guidare una musicalità che di estremo sembra aver ben poco, se non qualche fiammata di blast beat qua e là lungo il disco. Abbiamo citato i gods irlandesi nella seconda traccia, li citerei anche nella terza "Imperium", per i vocalizzi di Larsen che ricordano a più riprese, quelli di Alan A. Nemtheanga, anche se con un minor grado emozionale. La musica prosegue poi su ritmi mai troppo forsennati, sebbene nella seconda metà del brano, la ritmica si faccia decisamente più tellurica. "Stupor" si muove su dinamiche affini tra mid-tempo e una raffinata componente liturgica (scuola primi Batushka) che alla fine potrebbe essere quell'elemento che contraddistingue il sound del five-piece transalpino e che troverà maggior spazio nelle atmosfere più criptiche della successiva "Acceptio", un brano che vanta peraltro un'interessante componente solistica e una coda dal piglio solenne. In chiusura, ecco "Relapsus", il cui significato latino evoca la ricaduta, con il brano che sembra avere un andamento ciclico, come se tornasse su se stesso, ricreando la tensione iniziale e chiudendo il cerchio attraverso un suono che trova modo di esplodere in maniera definitiva, muovendosi sempre in bilico tra un black melodico dalle venature dissonanti e le ormai già citate, sonorità liturgiche. Insomma, un ritorno gradito, soprattutto per tastare lo stato di forma dei Malepeste e i segni di un sound in costante evoluzione. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 73

venerdì 10 ottobre 2025

Lycan Rex - Black Fire and Vitriol

#PER CHI AMA: Raw Black
Non sempre sono cosi fortunato a imbattermi in album stratosferici, buoni o banalmente normali. Capita anche la volta che mi ritrovi ad ascoltare dischi, dai quali meglio tenersi alla larga. È il caso dell'EP di debutto degli statunitensi Lycan Rex, intitolato 'Black Fire and Vitriol', orribile già dalla sua copertina. Per quanto riguarda l'aspetto musicale poi, diciamo che la one-man-band originaria dell'Illinois, non è affatto agevolata da una produzione, qui alquanto approssimativa e da una proposta che abbraccia un black, a tratti cacofonico, che non lascia ben sperare. Sei i pezzi a disposizione, per quindici minuti di musica selvaggia, nuda, cruda, che ci rimanda a un raw black/thrash/punk di stampo anni novanta, con chitarre ronzanti, laceranti screaming vocals, un timido tentativo di creare atmosfere nebulose con tiepidi tastiere in sottofondo, e poco altro. Fatico a trovare un pezzo più interessante degli altri proprio perchè il livello è tendente verso il basso, e anche più basso e allora quindi, meglio skippare in avanti e lasciare questo lavoro a chi nutre il proprio cervello con sonorità estreme e nefande. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 45

Dor - The Dream In Which I Die

#PER CHI AMA: Dark/Folk/Psych
E questi Dor da dove saltano fuori? Dal flyer informativo in mio possesso, leggo che si tratta di un quartetto italico, nato in realtà come one-man-band nel 2019, che torna sulla scena con questo 'The Dream In Which I Die', a distanza di un paio d'anni dal full length d'esordio, intitolato 'In Circle'. Questa seconda loro fatica, al pari del predecessore, è ispirata alla letteratura, più specificatamente alla rilettura di Giorgio Manganelli al 'Pinocchio' del Collodi, e sembrerebbe far ripartire la band là dove aveva lasciato, ossia da uno psichedelico e occulto dark rock, tuttavia esplorando qui sentieri musicali leggermente differenti. Guardando la cover dell'album, è inevitabile che il primo pensiero vada a 'In the Court of the Crimson King' dei King Crimson, ma musicalmente parlando, non trovo ci siano cosi tanti punti in comune con la famosa band progressive britannica. Le dodici tracce incluse si muovono infatti dagli umori dissonanti dell'opener "Silence", un pezzo non certo semplice da digerire tra spoken words, litaniche e sghembe linee ritmiche che in taluni frangenti mi hanno fatto pensare anche a derive noise (forse la reale novità tra l'esordio dei nostri e questa seconda fatica). Un delicato arpeggio apre e guida "Mangiafuoco", attraverso vicoli bui che sembrano quasi proiettarmi nella narrazione dell'oscura e losca figura del burattinaio collodiano. Un riffone imponente, altra novità rispetto a 'In Circle', apre la successiva "Rigmarole", una song sinistra, poco lineare, a tratti malata, e che nelle sue distorsioni ritmiche, mi ha evocato certe cose dei Black Heart Procession. Apprezzabili i tocchi di piano nella seconda metà del brano che provano a contrapporsi a un clima che si fa ben più cupo e morboso nel finale. "When My Life Was Ebbing Away" ha un incipit tiepido al pari delle sue vocals, timide in sottofondo, a richiamare il dark folk statunitense. Saranno nuovamente le sonorità oblique delle chitarre a prendere il sopravvento nel corso del brano, quasi a indicare la nuova via intrapresa dal combo abruzzese. Avendo ascoltato anche il precedente album, posso immaginare che chi aveva apprezzato quel disco, magari si troverà maggiormente in difficoltà qui, dove in certi frangenti, si viene investiti da roboanti approcci ritmici. Non è certo il caso della sognante "Time Machine", in linea con le sonorità intime e minimali del debutto. Tralasciando il superfluo intermezzo di "Gazing", ascoltatevi semmai le divagazioni math/jazz di "The Light Keeper", per scoprire le nuove avanguardistiche e intellettualoidi trovate della band italica, che ama sicuramente sperimentare, catalizzando con molteplici trovate (e l'utilizzo di svariati strumenti) l'attenzione di chi ascolta. Lo facevano più timidamente nel primo lavoro, affidandosi ad atmosfere sognanti atte quasi a cullare l'ascoltatore, lo fanno in modo più diretto e "shockante" in questa release, quasi a voler sottolineare una progressione stilistica rispetto agli esordi. Forti poi di una produzione cristallina che enfatizza ogni singolo strumento (spettacolari a tal proposito le percussioni iniziali di "Icona", che mi deflagrano in cuffia), i Dor cavalcano l'onda del post rock cinematico nel finale di "Rest", affidandosi invece a deviate suggestioni dark folk nella conclusiva "Nobody Knows". Alla fine, per il sottoscritto che ha ascoltato prima il qui presente disco rispetto al debut, sembra evidente il passo in avanti stilistico, soprattutto alla luce di una maggior varietà dei suoni, dopo le eccessivamente blande melodie degli esordi, che forse non mi avrebbero entusiasmato più di tanto. (Francesco Scarci)

(Dischi Bervisti - 2025)
Voto: 75

giovedì 9 ottobre 2025

Mysthicon - Bieśń

#PER CHI AMA: Black/Death
Dieci anni di vita e due soli album (e un EP) all'attivo per questo quintetto polacco, nato dalla collaborazione di alcuni membri (ed ex) di Lux Occulta, Vader, Hate, Batushka e Karpathian Relict, per una band quindi, con un certo pedigree alle spalle. 'Bieśń' si configura quindi come un lavoro solido e sicuramente votato a sonorità estreme, visti gli interpreti coinvolti. Lo si evince immediatamente dall'esplosività di "Shapes", la traccia che apre il disco in modo piuttosto deciso, evocando però sin dai primi passaggi, echi dei primi Rotting Christ, a livello vocale, e dei Samael a livello atmosferico, anche se in certe rasoiate di chitarra, mi è venuto in mente addirittura 'Skydancer' dei Dark Tranquillity. Insomma, avrete già intuito che all'interno dei sei pezzi di 'Bieśń', tra cui una cover dei Lux Occulta ("Creation"), troviamo tutto quello che l'armamentario estremo ha da offrire: black, death, partiture atmosferiche e anche un pizzico di doom. Sebbene la produzione di 'Bieśń' sia un esempio di equilibrio tra crudezza e modernità, gli arrangiamenti sono stratificati e dinamici, con un uso prominente di chitarre che dominano attraverso riffs distorti ma sempre melodici, ben supportati da una batteria che varia da ritmi mid-tempo a blast beat sporadici, creando un contrasto tra aggressività e atmosfera. Il basso fa il suo, fornendo un fondale solido e pulsante, ma anche aprendo timidamente una song come "Unbearable Silence", in cui si assiste anche a un dicotomico utilizzo delle voci, pulite e strazianti (e in taluni casi anche growl). Lo screaming si palesa comunque con un timbro in grado di emanare un senso di disperazione viscerale, in una traccia che si muove in bilico tra sfuriate black e rallentamenti più ragionati, senza mai per forza rinunciare alla melodia. Tra i brani chiave citerei anche "We Are The Worms", un inno alla putrefazione, che si srotola con un rifferama groovy che marcia oppressivo, creando un contrasto tra il doom e un bridge black che accelera il tempo, e per finire, vocals piuttosto convincenti, soprattutto nella loro conformazione più graffiante. Buona e non esagerata la componente tastieristica che va a bilanciare le scorribande black in cui si lanciano i nostri, evocando, per certi versi, anche un che dei Lux Occulta, laddove emergono blande influenze dalle tinte sinfoniche. Certo, i Lux Occulta erano a mio avviso - ma io sono un loro grande fan - una spanna sopra nel creare possenti sinfonie, ma il tentativo di inseguire certi sperimentalismi, si confermano vincenti. Se da un lato ho trovato "Na Naszej Krwi" più trascurabile per la sua sterile e fine a se stessa veemenza, è invece su "The Storyteller" che mi soffermerei maggiormente. Qui è più evidente la ricerca di conferire maggior melodia e nel creare ambientazioni sinistre e orrorifiche, senza tuttavia strafare in termini di velocità ingaggiate, ma concentrandosi piuttosto su una narrazione oscura, coadiuvata da interessanti giri di basso e aperture atmosferiche. Chiudere con "Creation" dei Lux Occulta, estratta dal debut 'The Forgotten Arts', poteva portare i suoi rischi, invece il brano viene reinterpretato alla grande, con un approccio più pesante rispetto all'originale, godendo peraltro di una produzione mille volte migliore, e un esito finale, davvero positivo. Insomma, se siete amanti degli estremismi sonori black/death spruzzati di una buona dose di melodia, il nuovo disco dei Mysthicon, potrebbe fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 72

Nihili Locus - Semper

#PER CHI AMA: Black/Doom
Prima di recensire 'Semper', ho voluto riascoltare '...Ad Nihilum Recidunt Omnia', EP di debutto della band piemontese, per capire cosa mi fece scattare l'amore per questa band e se il nuovo lavoro, potesse ripristinare quell'interesse che era andato perduto con il precedente 'Mors'. Ebbene, una capacità emozionale non indifferente, una forte componente melodica e l'utilizzo delle voci femminili, resero quel breve dischetto una pietra miliare del black/death/doom italico. Ora, eccoci alla resa dei conti, a quasi 30 anni da quel lavoro, con una band che vede riproposta per 4/6, la sua formazione originale. 'Semper' esce per la My Kingdom Music e sembra già dal suo incipit, "Lugubri Lai", abbandonarsi ad atmosfere desolate, toni cupi e malinconici, che vogliono realmente restituirmi quei suoni che tanto avevo apprezzato a metà anni '90. È in effetti un tuffo nel passato il mio, quello che mi catapulta in un periodo che vide affacciarsi altre realtà del calibro di Cultus Sanguine, Necromass, Sadist, Novembre, Opera IX, per una scena che non ha mai dovuto invidiare altre nazioni. E cosi i Nihili Locus sono ritornati dopo un silenzio durato altri 15 anni (fatto salvo per un paio di compilation) con il loro black doom decadente, drammatico e decisamente oscuro, che farà la gioia di chi come me, è cresciuto e si è formato con queste sonorità. Certo, il primo commento che mi verrebbe da fare, è che io nel frattempo mi sono evoluto nei miei ascolti e nel mio essere esigente in fatto di musica estrema, mentre i Nihili Locus, appaiono ancorati a un sound vetusto, che necessiterebbe di un tocco più moderno. Ma non siamo di fronte a una realtà mainstream e quindi, ci sta che la band abbia mantenuto inalterata quelle peculiarità che li avevano contraddistinti a suo tempo. Durante l'ascolto del cd, ritrovo alcuni elementi del passato nelle note anguste di "Pensieri Nebulosi", song che ci avvolge con il suo plumbeo presagio di morte, forte anche dell'utilizzo della lingua italiana nei testi, che aumenta in un qualche modo la sinistra atmosfera che sprigiona il brano, al pari con l'utilizzo di inquietanti tocchi di tastiera. Il pezzo è buono, non una spada, ma il suo giro di chitarra sicuramente mostra un certo fascino. Lo stesso che emana la successiva "(Grida) La Notte Eterna", dove le liriche sono riconoscibilissime e la song si caratterizza per un incedere cadenzato e solenne, cesellato poi da melodici giri di chitarra che accompagnano una voce sgraziata ma incisiva, in un'atmosfera surreale che si farà man mano più oscura e angosciante. "Incolore Aberrazione" palesa nuovamente il binomio vincente tra la melodia della chitarra e la straziante componente vocale, in un pezzo un po' più complesso e meno lineare da digerire. In chiusura, "Il Tuo Sangue per i Miei Maiali" si presenta malvagia più che mai, una traccia che avrei visto bene in un film come The Blair Witch Project, ma che da metà in poi, rivela un'attitudine accomunabile ai primi lavori della band di Nichelino, quella che mi fece innamorare di questa band che a distanza di oltre 30 anni dalla sua formazione, rimane ancora ben radicata nell'underground italico. 'Semper' alla fine è un gradito ritorno, utile per saggiare lo stato di forma dei Nihili Locus, dopo tante interruzioni nella loro storia. Tuttavia, a mio avviso, il sound della band necessita ancora di un lavoro di sgrezzamento, indispensabile per poter stare al pari dell'infinità di band che oggi popola il mondo estremo. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2025)
Voto: 70

martedì 7 ottobre 2025

Les Bâtards du Roi - Les Chemins de l'Exil

#PER CHI AMA: Medieval Black
Da Orléans, ecco i Les Bâtards du Roi (LBdR), che ritornano, a un anno di distanza dal precedente omonimo disco di debutto, con questo 'Les Chemins de l'Exil'. Un ritorno gradito quello del trio transalpino, da sempre concentrato a narrare eventi storici dell'epoca medievale, attraverso l'irruenza del black metal. E i nove pezzi qui contenuti proseguono infatti il percorso intrapreso lo scorso anno, proponendo un black melodico che riprende un po' le linee guida della Les Acteurs de l'Ombre Productions, sempre attenta nella produzione di band allineate al loro "credo". Abbiamo recensito i Darkenhöld a giugno e mi verrebbe da dire che i LBdR sembrano seguire il medesimo filone, forse con un briciolo di melodia in più e anche con un pizzico di freschezza in più, cosa che si era invece persa nelle ultime release della band nizzarda. E cosi il disco si apre con i soffici tocchi di "La Forêt" che lasceranno ben presto a un riffing potente e a seguire, a una parte ben più atmosferica, in cui il vocalist Regicide lascia andare il proprio screaming. Ma che l'approccio dei nostri verso gli aspetti melodici sia palese, si evince anche dalle linee di chitarra della seconda "L'Âme Sans Repos", un pezzo che nonostante un esplosivo incipit, si assesta successivamente su un mid-tempo ragionato, sorretto da una chitarra in tremolo picking e da un drumming davvero incisivo, che a tratti sfora nel post black. È tuttavia nella terza "Vers l'Étoile Solitaire" che ravviso una maggior voglia di sperimentare: forse in quel cantato pulito in lingua madre che apre il brano o ancora, nelle ottime linee melodiche e nel break semi-acustico nella seconda metà, seguito da bridge/assolo che contribuiscono a confezionare quello che sarà poi il mio brano preferito del lotto. Apprezzabile anche "Le Chevalier au Corbeau", che non sembra aver niente a che fare col black, almeno nel suo incipit: poi spazio a una bella cavalcata, voci che si alternano tra pulito e scream, momenti a tratti ruffiani, che contribuiscono comunque a rendere più accessibile la proposta dei nostri. E ulteriori conferme arrivano dalle aperture delle successive "Ord Vil Merdos " e "Le Val Dormant", quest'ultima addirittura melliflua nei suoi primi 90 secondi. E alla fine, questi si riveleranno tutti i punti di forza per i LBdR, per prendere le distanze da Darkenhöld e soci e da un approccio oramai troppo intransigente. Non siamo ancora su livelli eccelsi, ma la strada intrapresa, mi sembra quella corretta. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 73