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martedì 18 febbraio 2025

Oranssi Pazuzu - Muuntautuja

#PER CHI AMA: Psych Black Sperimentale
Converrete con me che gli Oranssi Pazuzu siano un unicum nel panorama estremo. 'Muuntautuja' è il loro sesto album sempre focalizzato a mescolare elementi black metal, psichedelia ed elettronica, in un'opera che sfida ancora una volta, ogni tipo di convenzione. Con questo lavoro, la band finlandese riesce a mantenere la propria identità unica esplorando nuovi territori sonori mantenendo comunque intatta quell'atmosfera oscura e ipnotica, marchio di fabbrica del combo di Tampere. I brani oscillano tra momenti di intensa aggressività (come nell'iniziale "Bioalkemisti" o nell'ancor più sghemba "Voitelu") e sezioni più tranquille e riflessivo (come accade nella title track, che segna una transizione verso un sound più minimalista e fluido, con l'elettronica che gioca un ruolo centrale, ove dominano sintetizzatori inquietanti e ritmi pulsanti), creando comunque un flusso sonoro avvolgente. I brani possono passare da esplosioni di rumore a momenti di calma quasi meditativa (ascoltare l'angosciante "Hautatuuli"). Un break rumoristico ("●") e siamo già proiettati verso un finale apocalittico con un trittico di song che vede in "Valotus" un esempio di umorale rumoristica espansione primordiale, song straniante dotata di un finale in cui il black sfocia in un puro noise dronico. "Ikikäärme", la traccia più lunga del disco, ha un incipit inquietante e un carattere comunque assai stralunato, quasi stessimo assistendo a un incubo a occhi aperti; il pezzo alterna comunque parti aggressive a sezioni atmosferiche che evocano immagini di paesaggi alieni. La conclusiva e ambientale "Vierivä Usva" conferma l'audacia di un lavoro che si configura a essere come una vera e propria odissea sonora, capace di condurre l’ascoltatore attraverso territori sconosciuti al di là delle Colonne d’Ercole. (Francesco Scarci)

Evoking Winds - Your Rivers

#PER CHI AMA: Black/Epic/Folk
L'album 'Your Rivers' degli Evoking Winds si è rivelato per il sottoscritto una delle sorprese più entusiasmanti del 2024, consolidando il talento di questa band bielorussa che continua a stupire con la sua capacità di fondere black metal e folk in un equilibrio impeccabile. Giunto al loro sesto lavoro, il gruppo dimostra una maturi artistica notevole, spingendosi verso nuove direzioni sonore senza tradire il proprio stile distintivo. Questo disco, composto da dieci tracce per un totale di 51 minuti, si distingue per la sua atmosfera incredibilmente evocativa e malinconica, un viaggio musicale che intreccia riff di chitarra possenti con melodie folk ricche di profondità e intensità emotiva. Brani come l'opener "Verily Said" o le straordinarie "The Lights of Skellige" e "Lilac and Gooseberries" sono perfetti esempi della versatilità della band: momenti di feroce aggressività si alternano a sezioni melodiche e contemplative, intrise di una magia eterea che deve molto anche alla presenza di vocalizzi femminili sognanti. La strumentazione usata dalla formazione a otto elementi, è un vero punto di forza dell’album: flauti, arpe, cornamuse e ben tre chitarristi creano un senso dinamico e stratificato, arricchendo ogni traccia con contrasti affascinanti. Questo connubio tra strumenti acustici e parti elettriche si fa particolarmente evidente in episodi come "Brotherhood of Brenna" o la title track, dove soluzioni orchestrali amplificano l'aspetto epico e cinematografico del disco. La produzione è impeccabile, riuscendo a valorizzare ogni dettaglio senza mai sacrificare l’impatto emotivo o l’intensità dei brani. Blast beat furiosi, tremolo picking raffinati e arrangiamenti curati convivono in un insieme che non stanca mai, offrendo un’esperienza sonora a dir poco immersiva. I testi affrontano con sensibilità e profondi temi universali come i mutamenti del mondo, i conflitti, l’amore, la morte e il ciclo perenne della vita, conferendo ulteriore spessore a un’opera già straordinaria sotto il profilo musicale. Seppure disponibile solo in versione digitale unico piccolo rammarico 'Your Rivers' si guadagna, senza esitazione, un posto tra i migliori album dell’anno, almeno per il qui presente. È un lavoro imprescindibile per chi cerca autenticità, innovazione e una freschezza rara nel panorama musicale contemporaneo. Una scoperta che merita tutta l’attenzione possibile. (Francesco Scarci)

giovedì 13 febbraio 2025

Hippotraktor - Stasis

#PER CHI AMA: Post Metal/Djent
Io non gli avevo dato molto credito all'inizio ma 'Stasis', dei belgi Hippotraktor, è uno di quegli album che ha ricevuto un'accoglienza entusiasta da parte della critica e dei fan, consolidando la band come una delle nuove promesse nel panorama post-metal. Alla fine anche il sottoscritto si è ricreduto, e non è rimasto immune al fascino emanato dal secondo album del quintetto di Mechelen, per un disco che si distingue per la sua fusione di generi, combinando elementi djent (l'opener "Descent", cosi come la title track, con il loro groove sincopato alla Meshuggah, ne rappresentano il manifesto programmatico), post-metal (palesi, a tal proposito, le influenze di scuola The Ocean in "The Reckoning") e progressive metal (e qui, "Echoes" e "The Indifferent Human Eye", potrebbero essere dei buoni esempi della combinazione di questi ultimi due generi). In questo modo, la band riesce a mantenere un equilibrio tra complessità e accessibilità, con brani che si sviluppano in modo dinamico e coinvolgente, mantenendo la componente melodica una parte importantissima nell'economia del disco. Questo approccio diretto è, alla fine, una delle caratteristiche distintive dei nostri, che sembrano non amare le introduzioni lente, privilegiando l'immediata immersione dell'ascoltatore nel cuore dell'azione, in cui a primeggiare sono le vocals pulite del chitarrista Sander Romi (che strizza l'occhiolino al bravissimo frontman dei The Ocean), a cui fanno da contraltare i grugniti di Stefan de Graaf, mentre la ritmica è un macigno che si muove talvolta sinuosa ("Renegade"), e in altri casi più robusta ("Silver Tongue"), comunque garantendoci alla fine un ascolto coinvolgente, ispirato, e certamente destinato a lasciare il segno nel panorama post moderno, soprattutto tra tutti quelli che amano un sound più ricercato e originale, io in primis. (Francesco Scarci)

(Pelagic Records - 2024)
Voto: 80

https://hippotraktor.bandcamp.com/album/stasis

martedì 11 febbraio 2025

Unreqvited - A Pathway to the Moon

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze
Il buon William Melsness (aka 鬼), nonostante la sua giovane età (30 anni compiuti da poco), è arrivato al ragguardevole traguardo del settimo album con gli Unreqvited, senza contare poi EP, split sotto lo stesso moniker e altri album sotto il nome H V N W R D ., The Ember, the Ash, il fantasy dungeon dei Ilúvatia o l'emo dei Write Home. Insomma, un artista a tutto tondo che in 'A Pathway to the Moon' trova, a mio avviso, la sua consacrazione. Il nuovo album si presenta come un'opera audace e intensa, che esplora le profondità dell'emozione umana attraverso sonorità ricche e stratificate che portano avanti il marchio distintivo del blackgaze/post black degli Unreqvited. Dopo l'intro di rito, ecco esplodere, quasi inaspettatamente, il black di "The Antimatter", un brano che sembra coniugare l'orchestralità dei Dimmu Borgir con atmosfere più eteree, mescolando splendide melodie con passaggi più violenti (quasi djent), creando un contrasto in grado di destabilizzare chi conosce bene la one-man-band canadese, tra cui il sottoscritto. Riconosco invece il marchio di fabbrica del polistrumentista nord americano in "The Starforger", un pezzo onirico, dannatamente malinconico, quasi straziante nelle sue melodiche linee di chitarra e nel dualismo vocale tra voci pulite e scream. Un brano, subito eletto come il mio preferito, che avvolge come un tenero abbraccio da cui sarà difficile staccarsi. Ma il disco è un susseguirsi di emozioni in grado di indurre una profonda analisi introspettiva. Pezzi come "Void Essence/Frozen Tears" e "Into the Starlit Beyond", offrono altri esempi ineccepibili di un sound incentrato su uno shoegaze evocativo, coinvolgente, delicato che merita di essere ascoltato e soprattutto vissuto, con tutto quell'impatto emotivo che da essi ne deriva. 'A Pathway to the Moon' è un gioiello che vede ancora in "Departure: Everlasting Dream", l'ideale colonna sonora del nuovo capitolo della saga di Avatar, 'Fuoco e Cenere', di prossima uscita, per quella sua capacità di creare paesaggi sonori complessi ed evocativi. Un lavoro questo che, enfatizzato da una produzione spettacolare, permetterà di accogliere nuovi adepti tra i fan degli Unreqvited, per un viaggio sonoro che merita di essere esplorato da chiunque. (Francesco Scarci)

Volt Ritual - Swamp Lake City

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Giusto un paio di pezzi per il nuovo EP dei polacchi Volt Ritual, intitolato 'Swamp Lake City'. Quello, da pochi giorni uscito, dovrebbe essere (almeno stando a Bandcamp) il secondo EP per i nostri (all'attivo peraltro anche un full length), che s'inserisce nel filone stoner/doom rock, un lavoro che segna un passo in avanti nella carriera musicale del terzetto di Bielsko-Biała. Il sound della band è caratterizzato dai classici riff pesanti, accompagnati da sonorità distorte tipiche di un certo occult doom rock, coadiuvato dalle altrettanto classiche influenze stoner, in grado di aggiungere anche un pizzico di psichedelia ai due brani qui contenuti. Ecco, quanto certificato almeno nell'iniziale "The Giant Awaits", una song piuttosto canonica per il genere, in cui la produzione risulta comunque solida ed equilibrata, esaltando la pesantezza sonora, senza perdere la chiarezza necessaria per apprezzare le diverse sfumature musicali. Ovviamente, non siamo di fronte a nessuna evoluzione sonora o invenzione di chissà quali nuove sonorità, in quanto il disco si muove sulla combinazione di momenti aggressivi con fasi più riflessive e atmosferiche. La voce grungy (a volte un po' troppo in ombra) di Mateusz è tesa a flirtare con quella del vocalist dei Fu Manchu. Un bel chitarrone apre "Miasto Wśród Bagien", una traccia cantata in polacco che sembra evocare, nelle sue note piuttosto lineari e dirette, anche spettri garage/punk rock, al pari di derive di scuola Electric Wizard. Il brano alla fine sciorina un orecchiabile bridge ma l'acme del brano, si registra esattamente a metà con una deliziosa parte atmosfera ricca di riverberi di grande efficacia. La chiusura percussiva, dotata di una tribalità coinvolgente, chiude un EP che sembra promettere interessanti sviluppi futuri ma che verosimilmente, necessita di un'ulteriore sgrezzata per permettere al trio di indossare il giusto abito per le grandi cerimonie. (Francesco Scarci)

lunedì 10 febbraio 2025

The Bottle Doom Lazy Band - Clans Of The Alphane Moon

#PER CHI AMA: Doom/Stoner/Psichedelia
Ci hanno impiegato ben nove anni i doomsters francesi The Bottle Doom Lazy Band a tornare sulle scene con un nuovo full length, sebbene in mezzo siano usciti un EP nel 2020 e un live album, l'anno successivo. E cosi a squarciare questo lungo silenzio, ecco 'Clans of the Alphane Moon', nuovo album pubblicato dalla Sleeping Church Records. Un lavoro che combina gli elementi pesanti del doom di Pentagram e Trouble (aver detto Black Sabbath sarebbe stato troppo scontato) con influenze spaziali e psichedeliche, andando a creare un'atmosfera coinvolgente che sicuramente ridarà entusiasmo ai vecchi sostenitori della band. Il disco, come da tradizione, è caratterizzato da riffoni belli tosti che, sin dall'iniziale "Ride the Leviathans", fondono nelle loro note, stoner e doom. Ispirandosi alla cultura fantascientifica degli anni '60 e '70, il disco, nel suo litanico incedere, va aumentando i giri del motore con la sinistra "Crawling End", e un giro di chitarra ripetitivo e per questo, parecchio ansiogeno, su cui si andrà a porre la teatrale voce di Bottleben. Poi è ancora l'opprimente sezione ritmica a prendere il sopravvento, con una porzione percussiva davvero impressionante che ci accompagnerà fino a "To the Solar System". Un altro brano intenso che mi ha fatto pensare ai Candlemass di Messiah Marcolin, e comunque a un genere dotato di un canovaccio ben preciso, dal quale fuggire sembra essere compito assai arduo, se non affidandosi a una componente solistica imprevedibile, strumento che sembra non mancare ai nostri e gli consenta di prendere le distanze dai vari mostri sacri del genere. Un bel basso pulsante apre "Castle Made Of Corpses", un brano oscuro che ricorda storie di orrore, e che vede le chitarre intrecciarsi con il basso, lungo il suo ardimentoso cammino. La successiva "The Technosorcerer" (il brano più lungo del lotto) non è da meno per tenebrose ambientazioni e una ridondanza, nella sua componente ritmica, che vede sviluppare, in psichedelici giochi di luce, una significativa evoluzione della narrazione sonora. Quasi dodici minuti di sonorità asfissianti che vanno, grazie a Dio, via via crescendo fino a un finale chiuso, in realtà, un po' in sordina. "Flames of Sagitarius" vira verso suoni decisamente più classici e se da un lato, è un piacere rievocare certe sonorità, dall'altro, sembra anche voler dire che 70 minuti per un disco sono forse un po' troppi per rimanere ad alto livello tutto il tempo. E stancamente (sfiancato già da oltre un'ora di musica), mi appresto ad abbracciare "The Dying Earth", ultima e gustosa traccia di un lavoro mastodontico che magari non brillerà in originalità, ma comunque ci restituisce una band dotata di buon gusto e sfumature innovative, capace di incorporare elementi psichedelici e sperimentali nel proprio sound. (Francesco Scarci)

Weather Systems - Ocean Without A Shore

#PER CHI AMA: Prog Rock
Sono sempre stato un grande fan degli Anathema e il loro split del 2020 è stato un macigno da sopportare. Per alleviare questo dolore, ecco arrivare i The Radicant (nuova creatura di Vincent Cavanagh, ex voce degli Anathema, che magari avremo modo di recensire più avanti) e 'Ocean Without a Shore' dei Weather Systems, un significativo ritorno per l'altro fratello, Daniel Cavanagh e con lui, l'ex batterista della band inglese, Daniel Cardoso. È però quest'ultimo lavoro a suonare come ideale progressione musicale degli Anathema, riflettendone la sua evoluzione artistica anche nel moniker, che altro non è che il titolo dell'album dei nostri del 2012. E allora, a fronte di tutte queste situazioni, e alla voglia di Daniel di non porre la parola fine alla band che ha guidato in compagnia dei fratelli per trenta lunghi anni, ecco la proposta che non ti aspetti, con un sound che appunto prosegue la parabola stilistica degli Anathema, attraverso nove nuove composizioni. E si parte dalle splendide melodie di "Synaesthesia" e "Untouchable - Part 3" che proprio al disco 'Weather System' afferiscono musicalmente, esibendo melodie al chiaroscuro, tocchi di una malinconia disarmante, la collaborazione alla voce con vari personaggi (Soraia, Petter Carlsen e Oliwia Krettek) che ci permettono di avere tra le mani un lavoro introspettivo che strizza l'occhiolino a Porcupine Tree e Pink Floyd, sempre votato alle sperimentazioni psichedeliche ("Do Angels Sing Like Rain?"), ai loop ritmici ("Ghost in the Machine"), ai reprise di vecchi e strazianti brani ("Are You There? Part 2"), che fanno capire quanto sia ancora forte e durevole il legame con il passato dei nostri, cosi come il contatto con le ultime cose più elettroniche di 'The Optimist' ("Still Lake"). Insomma, 'Ocean Without A Shore' sembra rivelarci una sorta di continuità musicale quasi a dire che gli Anathema non sono ancora morti. Quale somma gioia per il sottoscritto. (Francesco Scarci)

(Music Theories Recordings - 2024)
Voto: 77

https://weathersystems.bandcamp.com/album/ocean-without-a-shore

venerdì 7 febbraio 2025

Until Death Overtakes Me - Diagenesis

#PER CHI AMA: Funeral Doom
'Diagenesis' è un'opera che trasforma il funeral doom in una potente esperienza catartica. La one-man band belga Until Death Overtakes Me, guidata dall'enigmatico Stijn Van Cauter, consegna al pubblico il suo tredicesimo album, un viaggio musicale che trascende la mera fruizione sonora per diventare una meditazione profonda su morte, trasformazione e rinascita. Ogni traccia, dalla durata monumentale di circa un quarto d'ora, si configura come un capitolo indipendente di una narrazione cupa, permeata da malinconia e dalla totale assenza di speranza, con titoli capaci di evocare immagini intense e riflessioni spirituali. L’album si apre con "Ascension", un brano che agisce come portale verso un abisso insondabile. Le chitarre si insinuano lentamente, simili a vapori irrespirabili che sgorgano da una ferita nella terra, mentre i synth ambient costruiscono un’atmosfera intrisa di suggestioni ritualistiche e oscure. La voce di Van Cauter emerge come un ruggito cavernoso che recita versi intrisi di morte e devastazione. Tra inni solenni e lamenti desolati, "Ascension" mantiene una delicatezza sonora quasi eterea, come se volesse preparare l’ascoltatore a un imminente cataclisma musicale. È una perfetta introduzione al resto del disco, capace di catturare e inquietare, trascinando chi ascolta in un vortice sonoro dal quale sarà difficile far ritorno. Il viaggio continua con "End’s Lure", un'immersione totale nel tema della trasformazione. La batteria segna un ritmo sepolcrale, quasi a scandire il lento fluire di ere geologiche, mentre le tastiere disegnano melodie rarefatte dall'impronta eterea. Il brano avanza con un’evoluzione lenta ma inesorabile, creando una sensazione di metamorfosi tanto sonora quanto spirituale. La successiva "White Light" non è da meno: il suo andamento lento e insondabilmente oscuro, evoca immagini di raggi luminosi che filtrano a malapena attraverso fenditure nella roccia. Il pezzo dissolve le barriere tra reale e trascendente, grazie a un impianto sonoro minimalista che invita alla contemplazione. A chiudere l'opera troviamo "For", il brano più breve della raccolta (poco più di 13 minuti). Questo pezzo avvolge l’ascoltatore in paesaggi sonori opprimenti e introspettivi, fungendo da degna conclusione per un album che non teme di addentrarsi nei temi più profondi e tenebrosi dell’esistenza. "For" suggella l'esperienza d'ascolto con una performance che lascia un segno indelebile, consigliata solo a coloro che ricercano nella musica qualcosa che vada oltre il semplice ascolto, verso una dimensione emotiva e introspettiva. 'Diagenesis' è molto più che un album: è una davvero ostica opera immersiva che invita alla contemplazione del mistero della morte e delle sue trasformazioni. Perfetto per chi desidera perdersi in paesaggi sonori oppressivi e avvolgenti, questo lavoro si distingue per la sua capacità di trasformare l’oscurità in arte catartica. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2024)
Voto: 73

https://udom.bandcamp.com/album/diagenesis

Akhlys - House of the Black Geminus

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
'House of the Black Geminus' degli statunitensi Akhlys, l'ho inserita nella mia top 5 del 2024, ed è per questo che ho deciso di recensirla qui nel Pozzo. Un'opera straordinaria che incarna l'essenza del black metal atmosferico con una maestria senza pari. Questo progetto, guidato dal visionario Naas Alcameth, riesce a trasportare l'ascoltatore in un viaggio sonoro avvolto da oscurità e mistero. Il tutto è immediatamente dimostrato dalle melodie sghembe ma ammaglianti, di "The Mask of Night-speaking", che da porzioni dark ambient, che richiamano gli esordi della band del Colorado, ci conducono poi nel gorgo più infernale degli abissi pensati dagli Akhlys. Un viaggio che prosegue sempre più verso il basso con "Maze of Phobetor" e una ritmica incendiaria che, nelle sue sinistre linee di chitarra, evoca inequivocabilmente Blut Aus Nord e Deathspell Omega. Quello che mi esalta qui è la violenza incarnata dal brutale cantato del frontman. Con "Through the Abyssal Door", le atmosfere sono sempre più plumbee e nebulose grazie a sonorità doomish che si incastrano alla perfezione con un black magistralmente suonato e soprattutto prodotto. "Black Geminus" pur essendo una tappa strumentale di puro passaggio, poggia le sue basi su claustrofobiche atmosfere droniche, il cui compito è di prepararci agli ultimi due assalti del disco, "Sister Silence, Brother Sleep" e "Eye of the Daemon - Daemon I", per altri quasi 20 minuti di musica malefica, maestosa, orrorifica, inquietante ma soprattutto epica. Un'opera da non perdere per chiunque desideri esplorare le profondità della musica estrema. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2024)
Voto: 85

https://akhlys.bandcamp.com/album/house-of-the-black-geminus

mercoledì 5 febbraio 2025

Body Count - Merciless

#PER CHI AMA: Crossover/Thrash
Mai avrei pensato di scrivere dei Body Count, la provocatoria band statunitense guidata da Ice-T, sempre attenta alle tematiche sociali e antirazziali. Eppure quando ho dato un ascolto distratto a 'Merciless', il mio iniziale scetticismo e la mia scarsa attenzione, si sono trasformati in grande entusiasmo. L'ottava release del collettivo americano è caratterizzata da un sound denso e aggressivo, con chitarre pesanti e ritmi incalzanti che riflettono la furia e l'intensità tipiche della band, pur mantenendo la propria identità ancorata a quel crossover, tra rap metal e hardcore. Brani come "Psychopath" e "Drug Lords" (la prima con la comparsata di Joe Bad dei Fit for an Autopsy e la seconda con Max Cavalera alla voce) offrono riff potenti e ritmiche serrate, creando un'atmosfera di urgenza. In particolare mi soffermerei sulla title track che ho particolarmente amato, con quel suo sound ipnotico e robusto al tempo stesso, che mi ha evocato 'South of Heaven' degli Slayer. Aggiungiamo poi una produzione che privilegia la rotondità del suono, permettendo a ogni strumento di risaltare, e alla voce di Ice-T di farsi sentire con una forza ineguagliabile (anche se a volte rimanda un po' troppo al buon vecchio Tom Araya). E a proposito di vocals e vocalist, nella selvaggia "The Purge", dobbiamo segnalare il featuring di Mr. Corpsegrinder (Cannibal Corpse), in un altro pezzo che francamente grida al miracolo, in una miscela tra gli Slayer più compassati e i Massacre. Parlando di guest star, poi non posso tacere l'assolo di David Gilmour (si, quel signore inglese che suonava nei Pink Floyd) nell'intramontabile cover di "Confortably Numb", un pezzo riletto in chiave rappeggiante. E ancora da menzionare, le apparizioni di Howard Jones (ex Killswitch Engage) nella velenosa e super ruffiana (ascoltatevi il ritornello) "Live Forever". Potrei andare avanti citandovi altri mille personaggi che hanno preso parte a questo disco, ma la mia raccomandazione è di dare un'opportunità a questo disco, ne potreste rimanere anche voi piacevolmente sorpresi. (Francesco Scarci)

(Century Media - 2024)
Voto: 78

https://bodycountband.com/

martedì 4 febbraio 2025

Rheinkaos - All my Being is a Dark Verse

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
Ci sono voluti ben 16 anni per risentir parlare dei Rheinkaos, band greca che era uscita nel 2008 con un demo - che il sottoscritto aveva recensito - e poi il nulla. Un silenzio assordante. Si era parlato di un primo full length nel 2010, ma questo rimase strozzato in una carenza di budget che mi fece pensare alla prematura capitolazione dell'act ellenico, cosa che effettivamente accadde nel 2015. Eppure, la creatura di Dimitrios B. aveva lasciato un segno, per quel sound industrial-avanguardistico che scomodava mostri sacri come Dødheimsgard e Ulver. Poi con mia grande sorpresa, lo scorso anno ho letto che la band si era riformata, e addirittura aveva deciso di completare le due tracce lasciate abbandonate una decina d'anni fa. Il trio ha quindi rilasciato questo EP di due pezzi, intitolato 'All my Being is a Dark Verse', che include "Beta Religion" e "The Commencement Fear". Devo dire che i pezzi riflettono assolutamente quanto avevamo già apprezzato su quel 'Demo 2008', ossia una base avantgarde su cui imbastire una ritmica black coadiuvata da elementi sperimentali, che portano i nostri a sbandare in derive di "ulveriana" memoria, complice peraltro un uso possente dei synth, ed evocando, in altri momenti, le cose più progressive degli ultimi Enslaved, con la band greca che arriva a citare addirittura i Fates Warning, tra le proprie influenze. La proposta del trio è davvero molto interessante, con pulsioni cosmiche che divampano dalle linee di basso, chitarra e componenti elettroniche varie, al pari delle esplosioni vulcaniche sulla luna di Giove, Io, mentre la voce del frontman si alterna tra parti pulite e harsh vocals. L'inizio della seconda traccia è ancor più affascinante, e qui si sentono probabilmente quelle influenze che conducono al prog dei Fates Warning, ovviamente in una veste più pesante viste le grim vocals che duettano con altre più cibernetiche e insieme si affacciano comunque su una matrice musicale davvero da brividi. Uno strabiliante break atmosferico centrale miscela hammond e chitarre, mentre oniriche visioni psichedeliche, coadiuvate da giri di chitarra acustica, fughe post rock, un sax delirante e orchestrazioni da applausi, completano un brano esagerato, lasciando trasparire le enormi potenzialità di una band che potrebbe realmente configurarsi come la maggior sorpresa di questo 2025. Per ora mi tengo basso con il voto (e sarà un 75!), solo perchè il qui presente dischetto è stato partorito oltre 10 anni fa e include due sole song, ma la curiosità di conoscere lo stato di forma dei Rheinkaos oggi, vi garantisco che è enorme. (Francesco Scarci)

lunedì 3 febbraio 2025

Wintersun - Time II

#PER CHI AMA: Symph Metal/Melo Death
Sono serviti ben dodici anni ai finlandesi Wintersun per dare vita al tanto atteso seguito di 'Time I'. 'Time II' è infatti uscito ad agosto dello scorso anno e si distingue dal precedente album per la sua complessità e la cura nei dettagli. Va detto che il nuovo disco del quartetto di Helsinki, si pone come un'opera maestosa che combina elementi di metal sinfonico e melo-death, con una proposta caratterizzata da arrangiamenti intricati e una produzione di alta qualità, che riflette l'attenzione meticolosa del frontman Jari Mäenpää nel creare un'esperienza sonora a dir poco immersiva. Il tutto è testimoniato da un utilizzo copioso di orchestrazioni pompose e parti vocali evocative. Il disco si apre con "Fields of Snow", un'intro strumentale che evoca paesaggi invernali attraverso eteree melodie orientali. Ma la delicatezza iniziale si trasformerà rapidamente in un'esplosione di quei suoni tipici dei Wintersun, combinando melodie eleganti con riff potenti nella spettacolare "The Way of the Fire", un'epopea di dieci minuti che rappresenta sin da subito, uno dei momenti top dell'album. Questo brano è caratterizzato da una varietà di stili, passando da sezioni in blast beat a momenti più melodici e contemplativi. La voce di Jari alterna, come da copione, clean e growl, creando una sorta di contrasto emotivo che non può non catturare l'ascoltatore. "One with the Shadows" è invece più lenta e riflessiva, con melodie suggestive, ma anche dotate di un pizzico di malinconia e un'atmosfera costantemente grandiosa, qui grazie a un ritornello particolarmente coinvolgente. Un breve interludio strumentale, "Ominous Clouds", e si torna a cavalcare con un'altra lunga song, "Storm", un pezzo intenso (complice anche un dilatato preludio strumentale), caratterizzato da riff frenetici e una struttura dinamica. Qui, i Wintersun riescono a catturare l'essenza del caos attraverso un muro sonoro che ricorda le sonorità del precedente 'The Forest Seasons'. Nonostante la sua lunghezza, il brano mantiene alta l'attenzione grazie a una serie di cambi di ritmo e a un assolo di chitarra straordinario. "Silver Leaves" chiude l'album con una potenza emotiva straordinaria. Utilizzando principalmente un riff ricorrente, il brano evolve in un'esperienza quasi trascendentale, culminando in melodie orientali zen che evocano immagini serene e meditative. In definitiva, 'Time II' non solo soddisfa le altissime aspettative generate dal suo predecessore, ma le supera abilmente grazie alla ricchezza delle composizioni e a una produzione cristallina. Ogni traccia rappresenta un viaggio autonomo, pur contribuendo alla coerenza generale del disco. I Wintersun confermano ancora una volta la loro straordinaria capacità di fondere il metal estremo con elementi sinfonici e folk, realizzando un’opera che lascerà un segno indelebile nella memoria degli ascoltatori. (Francesco Scarci)


(Nuclear Blast - 2024)
Voto: 82

https://wintersun.bandcamp.com/album/time-ii

domenica 2 febbraio 2025

Irae - Promiscuous Fire

#PER CHI AMA: Black Old School
'Promiscuous Fire' è un EP che cattura l'essenza del black metal portoghese, un genere noto per la sua intensità e atmosfera assai oscura. Gli Irae, one-man band tra le più rappresentative della scena (con sei album, tre EP e ben 19 split all'attivo!!), dimostrano anche qui di voler proseguire nel loro intento di proporre un black old school. Il 4-track si apre con l'atmosfera cupa e minacciosa di "The Curse of Lael", caratterizzata da riff di chitarra taglienti e una produzione grezza che ricorda le origini del black metal, senza però rinunciare a una certa chiarezza sonora. Le tracce sono costruite su strutture complesse, con cambi di tempo repentini e melodie ancestrali che evocano un senso di disperazione e rabbia. Lo screaming, aspro e disperato, di Vulturius si fonde perfettamente con l'atmosfera generale, aggiungendo un ulteriore strato di intensità emotiva. Tracce come "Vinho de Gólgota" e "Porco de Satanás", sembrano voler rievocare le radici del black, chiamando in causa i primi Bathory e i Darkthrone, e sono esempi perfetti di come il mastermind lusitano riesca a creare brani veloci e malvagi, mantenendo intatta l'essenza del black primordiale. La produzione, pur mantenendo un suono crudo e autentico, permette di apprezzare ogni dettaglio della composizione, dalle dissonanti linee di chitarra (ascoltare la controversa "Endless Circle") alle debordanti mazzate alla batteria che contribuisce a creare un ritmo incalzante che trascina l'ascoltatore in un vortice di emozioni contrastanti. Insomma, 'Promiscuous Fire' è un discreto ritorno che conferma gli Irae come una delle band più interessanti del panorama black iberico e che vede la band proseguire nel personale desiderio di non tradire le radici del genere, offrendo un'esperienza sonora intensa e coinvolgente. Consigliato però ai soli appassionati di black old fashioned. (Francesco Scarci)

Hail Spirit Noir - Fossil Gardens

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Con 'Fossil Gardens' i greci Hail Spirit Noir segnano un nuovo capitolo nella loro percorso musicale, tornando a esplorare con maggiore enfasi le loro radici black metal, senza però rinunciare alla sperimentazione che li ha sempre contraddistinti. Questo sesto album, pubblicato nell'estate dello scorso anno, è un viaggio sonoro ambizioso che mescola elementi di metal progressivo, psichedelia e rock gotico, creando un'opera complessa e affascinante. L'album si apre con "Starfront Promenade", un brano che cattura subito l'attenzione grazie a riff di chitarra potenti e blast beat tipici del (post) black metal atmosferico, con un connubio di voci, growl e pulite. È evidente un cambio di direzione rispetto al precedente e controverso 'Mannequins', che si muoveva in territori più vicini al synthwave. In 'Fossil Gardens', il sestetto di Salonicco recupera invece la ferocia del metal estremo, ma la fonde con la loro inconfondibile vena sperimentale. La produzione è impeccabile: calda e potente, in grado di valorizzare sia i momenti più aggressivi che quelli più delicati. Gli arrangiamenti sono stratificati e complessi, con synth cosmici e chitarre che si intrecciano in modo fluido ("The Blue Dot"). Ma anche altri, brani come la lunga "The Road to Awe", incarnano perfettamente questa fusione, alternando sezioni vocali che spaziano dai growl feroci a melodie pulite e ipnotiche. E ancora sottolineerei, l'avanguardismo di "The Temple of Curved Space", il post black della title track che guarda ad atmosfere cinematiche e blackgaze, senza dimenticare nemmeno la stravaganza ambient-strumentale di "Ludwig in Orbit". Dal punto di vista lirico, questo nuovo lavoro affronta temi cosmici ed esistenziali, portando l'ascoltatore in un viaggio attraverso il tempo e lo spazio, attraverso testi enigmatici e profondi che aggiungono un ulteriore livello di coinvolgimento emotivo e intellettuale all'album. In definitiva, 'Fossil Gardens' è una prova convincente della maturità artistica degli Hail Spirit Noir, con i nostri che riescono a combinare il peso del metal estremo con elementi progressivi e atmosfere psichedeliche, offrendo un'esperienza sonora davvero entusiasmante che farà la gioia di chi ama il metal d'avanguardia e cerca qualcosa di stimolante ma un po' più accessibile, per un viaggio affascinante da intraprendere senza alcuna esitazione. (Francesco Scarci)

martedì 28 gennaio 2025

Dark Tranquillity - Endtime Signals

#PER CHI AMA: Swedish Death
'Endtime Signals' dei Dark Tranquillity, si erge come un autentico monumento alla malinconia e all'introspezione, un viaggio musicale che esplora i meandri più profondi dell’anima. Questo nuovo album rappresenta una fase evolutiva per la storica band svedese, intrecciando un mix di pessimismo e riflessione che permea ogni traccia. Il viaggio si apre con "Shivers and Voids", un brano che fonde un’introduzione malinconica affidata alle tastiere a chitarre distorte, creando un’atmosfera avvolgente e accattivante. Riff affilati e percussioni martellanti dialogano con passaggi più atmosferici, mantenendo l’ascoltatore costantemente in tensione. Tra le tracce più impattanti troviamo "Unforgivable", un pezzo dirompente e diretto, dove i blast beat scuotono le fondamenta e i riff sembrano divorare lo spazio circostante. Nonostante l’intensità travolgente, la ricerca melodica rimane centrale: gli assoli di chitarra, impeccabili dal punto di vista tecnico, offrono istanti di pura estasi sonora. "Neuronal Fire" impressiona con un’introduzione atmosferica che culmina in momenti di aggressività magistrale. Il brano si distingue per il suo assolo di chitarra particolarmente ispirato e per le dinamiche avvincenti che catturano sin dal primo ascolto. "Not Nothing" si apre lentamente, avvolgendoci in una malinconia quasi ingannevole, per poi trasformarsi in una potente traccia di metal estremo. Le melodie accattivanti e un finale che richiama l’incipit, conferiscono al pezzo una struttura circolare perfetta. Ogni brano dell'album diventa una finestra su paesaggi interiori complessi, dove luce e tenebra danzano in un duello eterno. La rabbia manifestata in alcuni episodi (penso a "Enforced Perspective", il brano meno convincente del lotto) si alterna a momenti di intensa riflessione. Un esempio toccante è "One of Us Is Gone", un tributo emozionante all'ex chitarrista Fredrik Johansson, spentosi nel 2022 per un tumore. Qui la band si allontana temporaneamente dall’aggressività del metal per immergersi in una dolcezza malinconica, accompagnata da violini che si intrecciano magistralmente con le melodie vocali di Mikael Stanne. Il risultato è una sinfonia ricca di emozioni, capace di colpire nel profondo. Allo stesso modo, "False Reflection" si presenta come una ballad atmosferica che si trasforma gradualmente in un finale epico. Il connubio tra tastiere e chitarre pulite aggiunge delicate sfumature a un album pervaso da forza e determinazione. In definitiva, 'Endtime Signals' non è solo un album: è un’esperienza immersiva di quasi sessanta minuti (nella versione con due bonus track), un’opera che invita a riflettere sulla condizione umana. I Dark Tranquillity riescono a mantenere viva l’essenza del loro sound distintivo, pur esplorando nuove frontiere artistiche. Con una produzione attenta e una scrittura profondamente ispirata, questo lavoro risulta uno dei più affascinanti della loro recente discografia. Preparati a lasciarti trasportare da questa sinfonia cupa e stratificata, un album da ascoltare ripetutamente per coglierne ogni dettaglio e le mille emozioni racchiuse tra le sue note. (Francesco Scarci)
 
(Century Media - 2024)
Voto: 78
 

domenica 26 gennaio 2025

Thy Catafalque - XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek

#PER CHI AMA: Avantgarde/Black/Folk
Il nuovo album 'XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek' dei Thy Catafalque rappresenta un ulteriore capitolo complesso e affascinante nella carriera di Tamás Kátai, la geniale mente dietro il progetto, consolidandone la reputazione nell’universo dellavantgarde black metal. Questo dodicesimo lavoro si distingue per una sorprendente fusione di stili, che si muovono dall’estremo al melodico, con un forte legame alla storia e alla cultura ungherese. La complessità musicale, una firma distintiva dell’artista magiaro, permea l’album attraverso elementi folk, prog, elettronica e avantgarde, oltre a intensi momenti di metal estremo. Per la prima volta, Kátai ha collaborato con il produttore Gábor Vári, ottenendo una produzione più raffinata rispetto ai lavori precedenti. Tra i dieci brani che compongono il disco, identificherei come di maggiore spicco "Mindenevő", un’intensa combinazione di growl e melodie accattivanti che richiamano vagamente gli Amorphis nelle note iniziali, a cui fa seguito una cavalcata black/death a guidarne il refrain. "Ködkirály" sembra articolarsi in due atti: una prima parte malinconica, impreziosita dalla voce femminile di Ivett Dudás (dei Tales of Evening) e una seconda, che si evolve in unesperienza sonora drammatica e potente, sospesa tra sonorità black e atmosfere imponenti dal sapore doom. "Lydiához" è una reinterpretazione malinconica e folkloristica di un brano dell’artista ungherese Sebő Ferenc, cantata con grazia, da Martina Veronika Horváth (The Answer Lies in the Black Void) e Gábor Dudás. I due artisti vanno a unirsi allo stuolo di collaborazioni (oltre 20 musicisti coinvolti) che hanno contribuito a rendere ogni traccia unica, arricchendo il tessuto sonoro dei Thy Catafalque, e donando sfaccettature sempre nuove ai pezzi. Nel frattempo si arriva a "Vakond", un vivace brano strumentale che intreccia stili e strumenti diversi, dal fischio al bouzouki, creando un’atmosfera festosa ma carica di nostalgia. La title track chiude il disco con melodie leggere e un ritornello coinvolgente, mettendo nuovamente in mostra la straordinaria versatilità della band. In definitiva, 'XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek' riflette l’evoluzione continua e coraggiosa dei Thy Catafalque. Sebbene non raggiunga le vette dei precedenti 'Vadak' o 'Sgùrr' (che rimane il mio preferito), questo nuovo capitolo offre una ricchezza di suoni e ispirazioni che non mancherà di stupire anche lascoltatore più ignaro, regalandoci nuove prospettive ed esperienze sonore. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2024)
Voto: 78