Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Francesco Scarci. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Francesco Scarci. Mostra tutti i post

lunedì 11 marzo 2024

A/Oratos - Ecclesia Gnostica

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Non sembra ci sia voglia di cambiar politica in casa Les Acteurs de L’Ombre Productions, della serie squadra che vince non si cambia. Eppure, a un certo punto, inizierei a cercare qualcosa di più originale per evitare di incancrenirsi con proposte che rischiano di divenire un po' troppo scontate. Oggi mi trovo di fronte i parigini A/Oratos che provano a mischiare un po' le carte, muovendosi comunque nel panorama black di casa. 'Ecclesia Gnostica' è il loro primo album su lunga distanza, dopo l'EP 'Epignosis' uscito nel 2019. Ora, dopo un covid di mezzo, la band torna finalmente a far sentire la propria voce con sette nuovi brani che si muovono nei meandri di un black glaciale, contrappuntato da una vena mistico-esoterica che si declina attraverso alcune parti vocali salmodianti in un po' tutti i pezzi. Si parte dalle ritmiche infuocate dell'opener "Le Hiérophante", guidate comunque da una discreta ed epica melodia di fondo e dal dualismo vocale (black/pulito) di Aharon (che abbiamo peraltro avuto modo di incontrare recentemente anche con i suoi Griffon). Diciamo che se non ci fossero state queste parti declamate in francese, avrei tagliato corto nella recensione, descrivendo i nostri come una delle tante band seguaci dei dettami Swedish black dei Dark Funeral. Fortunatamente, ci mettono del loro e in quel caos sonoro generato, riescono addirittura a carpire la mia attenzione. Penso al pacato arpeggio che apre "Deuteros" e che ci dà modo di prender fiato dopo il martellamento asfissiante delle prime tracce. Poi la song prosegue tra le maglie sghembe di un black sinistro (o "gnostico", cosi come definito dalla band stessa). Ancora meglio, citerei le orchestrazioni adoperate nell'incipit di "Le Septième Sceau" (o nell'atmosferica "Ô Roi Des Eons"), un brano le cui trame chitarristiche evocano in un qualche modo la musica classica, un po' come fatto in passato da Dispatched o Windir, cosi come da sottolineare, c'è pure più ampolloso passaggio dai tratti sinfonici. Quello su cui lavorerei ora è una maggior ricerca di originalità, che già emerge a tratti nell'evoluzione di questo disco, ma che rimane spesso ancorata alla brutalità delle ritmiche. Per il resto, la strada imboccata sembra quella giusta, ma qualche accorgimento lo prenderei per il futuro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2024)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/ecclesia-gnostica

venerdì 1 marzo 2024

Griffon - De Republica

#PER CHI AMA: Symph Black
Terzo album per i nostri amici Griffon, band parigina che abbiamo già avuto modo di ospitare qui nel Pozzo un altro paio di volte. 'De Republica' è il terzo album per il quartetto transalpino che continua a mostrarsi particolarmente ispirato, forse qui ancor più che in passato, grazie a un black/death che sembra incrementare quell'eredità sinfonico-goticheggiante che avevamo apprezzato in passato. E cosi, già l'iniziale "L'Homme du Tarn" (ispirata a un'icona antimilitarista francese, Jean Jaurès) regala grandi emozioni tra scorribande in territori estremi, rallentamenti dal taglio sinfonico e i vocalizzi del duo formato da Aharon e Antoine, che si muovono in molteplici territori, dallo scream efferato al pulito gotico, fino ad arrivare a un growling comunque espressivo. Complimenti, dopo il primo brano comprerei il disco a scatola chiusa. I nostri intanto proseguono nella narrazione della storia francese con brani altrettanto corposi, e la violenza espressa in "The Ides of March" ne è la prova, con un'alternanza tra furibonde ritmiche, parti più atmosferiche e altre ancor più sinfoniche che strizzano l'occhiolino ai nostri Fleshgod Apocalypse, ma anche alla musica classica, soprattutto nel comparto solistico di questo brano (ma da estendere poi anche agli altri). "À l'Insurrection" ha un piglio rutilante che ammicca tanto ai primi Dispatched quanto alle forme più orchestrali di black metal, il che palesa la grande personalità e fiducia dei nostri nel proporre un sound fresco che mancava da un po' in questa scena. Bel colpo, mi fa piacere notare la crescita costante dei Griffon, ancor più palese nella successiva "La Semaine Sanglante", forse il brano che più ho apprezzato, per quel suo approccio epico che mi ha evocato anche un che degli Emperor nelle partiture più agguerrite, senza scordarsi della bellezza degli assoli e delle pompose ed eloquenti linee melodiche. Insomma, tanta roba. Anche laddove i nostri partono col freno a mano tirato ("La Loi de la Nation"), per poi lasciarlo in una discesa vorticosa negli abissi, la band si dimostra costantemente ispirata e mai scontata. A chiudere il disco, dotato peraltro di una splendida copertina, ecco la title track, che ci regala gli ultimi sontuosi minuti di un'ottima quanto inaspettata release: qui, tra solenni narrazioni in stile Misanthrope, registrazioni di battaglie, una tensione crescente e un suono compassato ma sempre magniloquente, esempio della grandeur francese anche nella musica, i nostri chiudono in bellezza un disco che si appresta a posizionarsi nella mia top ten dell'anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2024)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/de-republica

venerdì 16 febbraio 2024

Esoteric - Epistemological Despondency

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Funeral Doom
Sono passati 30 anni, ben tre decadi dall'uscita di questo memorabile lavoro che risponde al nome di 'Epistemological Despondency', atto primo dei britannici Esoteric. Era peraltro sempre la Aesthetic Death a far uscire una release che torna oggi in digipack, edizione limitata e rimasterizzata, un evento che celebra la storica uscita di un doppio cd che probabilmente ha fatto la storia in ambito funeral doom e, al contempo, inaugura la Vynil Series dell'etichetta inglese. E allora che dire di nuovo di un disco che già il fatto che duri ben 88 minuti per sei brani, rappresenta già il manifesto programmatico della band originaria di Birmingham. Ah Birmingham, quante ne hai viste, dai Judas Priest ai Napalm Death, passando per i Black Sabbath, fino ad arrivare agli Esoteric appunto. Esoteric che con questo lavoro pongono una pietra miliare di un genere, cosi come avevano fatto i loro illustri concittadini. E allora, se ancora non conoscete questo ambizioso e mastodontico album, non potete far altro che lasciarvi avvinghiare dalla morsa mortifera dell'allora sestetto (dotato di tre chitarristi) guidato da Greg Chandler. Vi accompagnerà già dall'introduttiva "Bereft" (20 minuti!!) in un viaggio nel profondo della vostra psiche, tra chitarre ultra ribassate, atmosfere super psichedeliche condite da voci che rimbalzano come l'eco contro le pareti, mentre le chitarre producono caleidoscopici e camaleontici riff. La musica vi entrerà cosi dentro, arrivando a toccarvi direttamente le budella, estraniandovi dal mondo che vi circonda. Vi renderete presto conto che questo sarà uno dei tanti effetti psicotropi in grado di generare questo disco, visto che la successiva "Only Hate (Baresark)" potrebbe sembrarvi semmai un tributo ai Napalm Death di 'Scum', visti i soli due minuti e 40 a disposizione, affidati a ritmiche incendiarie grind e vocalizzi animaleschi. Esperimento stravagante che serve forse a spezzare la monoliticità dell'opener prima di affidarvi ai 19 asfissianti minuti di "The Noise of Depression", una song che si affida nuovamente ad atmosfere iper dilatate, almeno per i primi cinque minuti, per poi sfociare in territori che potrebbero evocare un altro (capo)lavoro uscito un anno prima, 'Transcendence into the Peripheral' dei Disembowelment per poi sprofondare nuovamente in lugubri e pachidermiche atmosfere funeral. "Lamented Despondency" apre il secondo terzetto di brani con suoni peculiari in sottofondo, ma quando attaccano le cavernose vocals di Greg, vi renderete ben presto conto di essere stati catapultati in un altro incubo a occhi aperti. "Eradification (of Thorns)" suona più ruvida, forse perchè sembra mostrare un retaggio ancorato al death doom dei My Dying Bride degli esordi, con qualche ammiccatina anche ai Cathedral di 'Forest of Equilibrium', anche se le demoniache vocals del frontman sembrano distanziarci un po' dai due colossi inglesi. Chiusura affidata ai 26 minuti (si avete letto bene) di "Awaiting My Death", una maratona vera e propria, una song che da sola avrebbe potuto costituire un disco a sé stante, una traccia ancor più liquida delle precedenti tra partiture arpeggiate, un'effettistica ricercata, echi e riverberi ancor più forti, derivanti dalla psichedelia dei famigerati anni '70, che fanno forse ricadere la band nel funeral forse solo per le growling vocals. Non temete perchè l'ossessività del doom farà breccia nelle vostre anime ormai straziate anche nel resto della song, che vanta peraltro un fantastico assolo che chiude un super pezzone per un disco quasi unico nel suo genere, che merita di stare nella collezione di tutti gli appassionati di queste sonorità. (Francesco Scarci) 
 

mercoledì 14 febbraio 2024

Dominion of Suffering • Phobonoid - Split

#PER CHI AMA: Black/Death
Split album in casa Godz ov War Production che mette insieme i nostrani Phobonoid con gli elvetico/slovacchi Dominion of Suffering per quaranta minuti di vorticose, sanguinarie e intriganti sonorità estreme. Sono proprio questi ultimi ad aprire le danze con un sound sparato ai mille all'ora che ci annichilerà con la furia delle sue ritmiche e di belluine screaming vocals. Quello che mi sorprende durante l'ascolto di "The Way of Destruction", ma ancor di più in "Descendant of the Fallen Gods", è la capacità del quartetto di coniugare il black con porzioni heavy metal anni '80, come se questo lavoro fosse stato concepito ormai 40 anni fa. Interessante poi il fatto di proporre qualche assolo che potrebbe evocare i fasti del thrash/death teutonico (questo lo si evince anche in alcune linee di chitarra), cosi come pure porzioni ritmiche che paiono ispirarsi all'oscurità dei Celtic Frost. Decisamente di un piglio diverso la proposta di Lord Phobos, il mastermind che si cela dietro al moniker Phobonoid, che già abbiamo avuto modo di apprezzare in passato per quel suo black sperimentale. "Cosmonauta Eterno I" ci impiega però oltre due minuti a ingranare ma per fortuna ne dura circa dieci e mezzo. Qui la one man band trentina torna a deliziarci con suoni dallo spazio profondo, quel cosmic black freddo e cibernetico, capace invece di scaldarmi l'anima con quelle partiture atmosferiche in cui ammicca ai Blut Aus Nord o ai Progenie Terrestre Pura, soprattutto nella seconda metà del brano, ove le vocals rimangono in sottofondo e il driver del brano è dato dalle melodie sci-fi del polistrumentista italico. Ottimo, come sempre, ma devo ammettere di essere già un fan dei Phobonoid. "Cosmonauta Eterno II" riduce il numero dei giri del motore, con un'atmosfera mortifera, quasi catacombale, fonte di disagio interiore grazie ai suoni pilotati da un plumbeo basso e dalle vocals mefitiche del frontman. Il flusso melodico si canalizza poi attraverso essenziali linee di chitarra e porzioni di synth che rendono la proposta più bombastica all'ascolto e che confermano le eccelse qualità di Lord Phobos. L'ultima traccia è poi un outro ambient che segna la fine di un nuovo viaggio interstellare in compagnia dei Phobonoid. (Francesco Scarci)

Zmarłim - Ziemie Ja​ł​owe

#PER CHI AMA: Black/Death
Stranamente gli Zmarłim non sono riportati su Metal Archives, quindi non starò troppo a tediarvi su che album sia il cui qui presente 'Ziemie Ja​ł​owe' nella discografia della band polacca (ma vi direi che quello di oggi è in realtà l'EP del 2018 con una nuova cover, e con l'aggiunta di un breve intermezzo ambient e un nuovo brano). Per chi non li conoscesse, vi basti sapere che il trio originario di Konskie propone un black alquanto caustico, di quelli che non lasciano troppo spazio alla melodia, ai fraseggi ricercati o all'avanguardismo. Le prime tre tracce sono datate 2018 e ci si potrebbe aspettare che suonino più grezze rispetto alle successive, palesandosi con un suono che evita troppi spargimenti di sangue, dimostrandosi chirurgico nell'esecuzione, nelle rasoiate ritmiche, cosi come negli inaspettati rallentamenti pseudo-atmosferici della lunga "Szuflady" o nelle glacialità delle sue chitarre. Diciamo che il terzetto polacco offre una proposta piuttosto tradizionale per il genere, differenziandosi magari da altri colleghi, per soluzioni chitarristiche un filo sghembe ("Wędrowcy"), inserite in un contesto davvero privo di compromessi. Detto dell'inutile intermezzo strumentale, focalizziamoci maggiormente su "Patrzą Na Nas Tylko Satelity" che ipotizzavo meno grezza rispetto alle precedenti. La sensazione comune è invece che i nostri siano diventati ancora più sporchi e cattivi con influenze che spaziano dal punk/hardcore al grind/death, con una violenza tale da non lasciare prigionieri e sprigionare anzi una malvagità che sembrava quasi inespressa nei precedenti pezzi. Staremo a sentire in futuro che direzione prenderanno i Zmarłim, per ora provate a dargli un ascolto. (Francesco Scarci)

domenica 11 febbraio 2024

Suffer Yourself - Axis of Tortures

#PER CHI AMA: Funeral/Doom
Quel che si suol dire un facile album da recensire... Si perchè qhuello degli svedesi (ma in realtà originari di Kiev) Suffer YourSelf, è un'angosciante proposta di un'ora tonda tonda di funeral death doom. 'Axis of Torture', quarta opera del quartetto, è un disco di quattro pezzi più intro e outro, quindi potrete immaginare come quella da affrontare sia in realtà una staffetta di quasi 15 minuti per ognuno dei pezzi inclusi, fatta di suoni soffocanti, annichilenti la mente e l'anima grazie a sonorità che, già dall'iniziale "Axis Insanity", ci stritolano nella morsa di un plumbeo funeral doom che vede alternarsi a violente schitarrate death, mentre la voce cavernosa del frontman, affronta altrettanto leggere tematiche legate alla sofferenza, al dolore e alla disperazione. Lo ribadisco, un disco facile facile, anche nell'ascolto. Ovviamente, continuo a essere ironico, però i Suffer Yourself (un nome, un programma) ci mostrano come oggi sia ancora possibile proporre funeral doom, senza scadere nel problema del "già ascoltato". Questo perchè i nostri sono abili costruttori di ossessive partiture al limite della tensione emotiva, a cui accostare quelle accelerazioni death che strizzano l'occhiolino indistintamente a Incantation o Disembowelment, mentre tutto il disco potrebbe rievocare i fasti funerei dei primissimi My Dying Bride. La differenza con questi ultimi sta però in una maggiore classe dei nostri che si declina in più raffinate partiture atmosferiche e in una maggiore cura dei suoni. La prima traccia (anzi la seconda per diritto di cronaca) quindi supera di sicuro la prova, lasciando il campo poi ai 17 minuti di "Axis Despair", che risulta essere ancor più asfissiante nel suo monolitico incedere che si dipana attraverso un incipit che sembra stringerci al collo, generando pensieri negativi e mortiferi, con quelle stridule chitarre in sottofondo, raddoppiate da un altro strato di suoni che non possono far altro che produrre incubi a livello subconscio. E pian piano, i nostri aumentano i giri del motore, mentre le voci si fanno più demoniache, il suono ancor più mastodontico tra un rifferama compatto e profondo, e una serie di assoli alla sei corde, a rendere il tutto più convincente e accattivante. Ma i Suffer Yourself non sono certo dei pivelli e la loro esperienza maturata attraverso 13 anni di vita e quattro album, nonchè il mastering di Greg Chandler (Esoteric, Lychgate), li consacra a essere una valida alternativa ai mostri sacri del genere, e penso a Evoken o My Shameful. E arriviamo ai dieci minuti e mezzo di "Axis Pain", che sembrano quasi una passeggiata rispetto alle due precedenti mostruose tracce, complice anche una maggior ricercatezza sonora, almeno nelle linee iniziali della song, prima di perdersi nei labirinti psicotici di un death metal poco affabile, direi sghembo e malato, che si saprà alternare a porzioni atmosferiche e melodiche per un risultato di sicuro valore. "Axis Time" si apre con il cantico del soprano Kateryna Osmuk che, non solo è responsabile delle backing vocals growl del disco e della batteria, ma ci delizia per alcuni secondi con la sua magnifica e raffinata ugola. Poi il canovaccio non muta poi di molto nel resto della traccia, se non per proporre qualche parte di tastiera più spettrale, cosi come stralunate linee di chitarra o eleganti arpeggi che confermano l'ottimo lavoro dei nostri. Ora spetta a voi armarvi di santa pazienza e affrontare questa indolente discesa verso gli abissi dei Suffer Yourself. (Francesco Scarci)

venerdì 2 febbraio 2024

Sarneghera? - Il Varco nel Vuoto: Tales From the Lake Vol​.​2

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Tornano i bresciani Sarneghera? per raccontarci altre epiche storie proveniente dal lago d'Iseo, utilizzando quel loro stralunato sound che già avevamo avuto modo di apprezzare in 'Dr​.​Vanderlei: Tales From the Lake Vol​.​1', atto primo del quartetto nostrano. 'Il Varco nel Vuoto: Tales From the Lake Vol​.​2' prosegue su coordinate similari, arricchendosi tuttavia di ulteriori richiami che, nella distruttiva traccia d'apertura, "Human Killa Machina", sembrano accostare a quella disarmonica linea ritmica già descritta nel debut, richiami di "beatlesiana" memoria nel bridge centrale o addirittura echi dei The Buggles, quelli che cantavano "Video Killed the Radio Stars", per intenderci. Sarò un visionario, però questo è quello che ci sento, nonostante la band lombarda ci prenda a badilate sul muso. E continuano a farlo anche nella più punkeggiante "Vono Box", una cavalcata abrasiva interrotta da momenti più ragionati, che rendono l'ascolto dei nostri più interessante, soprattutto a fronte di un'alternanza vocale - pulito/distorto - alquanto azzeccata e a delle liriche che ancora una volta miscelano più lingue. "Sos" è un pezzo più ipnotico, grazie a un'arpeggiata parte introduttiva che lascerà ben presto il posto a una roboante ritmica in grado di evolversi ulteriormente verso più direzioni, tra il math, l'alternative e il post metal cinematico. Non si tirano certo indietro i Sarneghera?, il braccino corto lo lasciano ad altri e provano in mille modi a sperimentare, riuscendoci poi più o meno bene e non importa, ciò che è rilevante è quello che ne venga fuori sia sicuramente ancora assai apprezzabile. Ultimo brano e sento anche qui odore di provocazione, cosi com'era successo nel primo EP: "L'Universo è una Parte di Me", cantata anche qui in italiano (un'altra analogia col precedente lavoro), mescola garage rock, indie, alternative, post-hardcore e tanto altro, per un pezzo breve, ma ficcante al punto giusto. Mentre mi rimetto ad ascoltare l'EP, ribadisco la necessità di un lavoro più lungo per meglio tastare il polso dei bravi Sarneghera?. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings/I Dischi del Minollo - 2023)
Voto: 74

https://sarneghera.bandcamp.com/album/il-varco-nel-vuoto-tales-from-the-lake-vol-2

giovedì 1 febbraio 2024

Cultum Interitum - Sacrum Funeral

#PER CHI AMA: Black/Death
Dall'antro della bestia ecco arrivare il terzo album dei polacchi Cultum Interitum. La sensazione che ho provato durante l'ascolto di "S", l'opener di questo 'Sacrum Funeral', è infatti quello del fiato putrido che sgorga dalle viscere di un mostro infernale. E altrettanto putrido è anche il sound del misterioso terzetto di Varsavia, che libera un black sinistro, rozzo, mostruoso e inquietante, fatto di accelerazioni scellerate e ignobili rallentamenti atmosferici, in cui il minimo comune denominatore, rimane una voce gorgogliante e posseduta, che sembra arrivare direttamente dall'Inferno. E il suono cavernoso, turbolento e malefico si conferma anche nella successiva "A", in cui percepisco peraltro influenze derivanti da Aevangelist e Portal, in un vorticoso maelstrom sonoro che vi risucchierà nel gorgo. Un vortice dal quale emerge un latrato che dura parecchi secondi all'inizio di "C", per lasciar poi posto a un caos sonoro senza soluzione di continuità che vi lascerà basiti, quanto il sottoscritto, durante l'ascolto di questa annichilente proposta black/death, che arriva ad arricchirsi di ulteriori suoni disturbanti in sottofondo in coda alla song. La violenza prosegue impunita anche in "R", un'altra traccia dove si vive un'alternanza frastornante di umori e atmosfere, tra roboanti accelerazioni e spaventosi rallentamenti, che ci accompagnano attraverso una perpetua oscurità fino a "V", breve ma martellante e mefitica come poche. L'ultima "M" (e i titoli dei brani completano cosi la parola SACRVM) è la conclusiva e definitiva traghettata verso l'abisso, tra sonorità doom, black e funeral apocalittico che sanciscono la malvagità dei Cultum Interitum. (Francesco Scarci)

RüYYn - Chapter II: The Flames, The Fallen, The Fury

#PER CHI AMA: Black Old School, Gorgoroth
Mi sono preso una lunga pausa, lo ammetto, ma ora sono tornato. Il mio rientro coincide con la recensione della one man band francese Rüyyn, una creatura, quella guidata da Romain Paulet, che avevamo già ascoltato in occasione del debut EP del 2021. Il progetto del factotum transalpino torna con un nuovo capitolo, 'Chapter II: the Flames, the Fallen, the Fury', e un black sound che si conferma rabbioso, glaciale, caustico. Si perché le sei tracce qui incluse, proseguono in quella medesima direzione iniziata in occasione dell'uscita omonima, anzi sembrano aver addirittura aumentato i giri del motore, come dimostrato dalle selvagge ritmiche di "Part I" o del suono più rutilante di "Part II". Lo spazio per deviazioni più atmosferiche non manca nemmeno in questo lavoro e ancora le porzioni più riflessive di "Part II", lo palesano. Poi largo a ritmiche di rimembranza norvegese, con i Gorgoroth in cima alla lista delle influenze, in compagnia però di mostri sacri come Mgła o Deathspell Omega. Non mancano tuttavia anche dei richiami al prog rock che conferiscono in questo caso maggior brio alla proposta del polistrumentista. Strano che mentre scriva queste cose, sia ancora fermo al palo del secondo pezzo (quasi nove minuti), il brano che forse meglio incarna lo spirito dei Rüyyn. Andando avanti, è ancora la furia distruttiva black/thrash a farla da padrone, con la voce vetriolica del frontman e le chitarre, a tratti dissonanti, a guidare l'ascolto. Se "Part III" non tocca le mie corde nel modo adeguato, ci pensa però la più criptica e complessa "Part IV" (altri otto minuti e mezzo di lampi di classe) a sostenere la qualità di un lavoro che affonda le proprie radici negli anni '90 e li riporta in auge con un livello qualitativo medio alto. I due brani in chiusura, "Part V" e "Part VI", proseguono con quanto di buono fatto sin qui, sebbene non mostrino la medesima qualità compositiva. Cercherei infatti per il prossimo disco di lavorare maggiormente sulla personalizzazione dei suoni, per evitare di ritrovarmi qui alla prossima recensione, di fare l'elenco delle band a cui i Rüyyn potrebbero essere accostabili. (Francesco Scarci)

mercoledì 17 gennaio 2024

Fluisteraars - De Kronieken Van Het Verdwenen Kasteel - II - Nergena

#PER CHI AMA: Pagan Black
Ho recensito la prima parte di questo trittico di EP 10", degli olandesi Fluisteraars, mi sembrava quindi doveroso darvi un feedback anche sul secondo capitolo, in attesa del terzo atto. Beh, la band la conoscete, auspico tutti, e si fa portavoce di un black furioso, mistico e misterioso. Le melodie di "De Maan, Zon Van de Doden", che aprono 'De Kronieken Van Het Verdwenen Kasteel - II - Nergena', minimizzano quell'incedere distruttivo ma, direi meraviglioso, che contraddistinguono il pezzo. Un eco dei Negura Bunget a livello percussivo e nell'utilizzo di inusuali strumenti sonori, accompagnati dalle catramose vocals di Bob Mollema, mi fanno sussultare dalla sedia per un brano che vede un finale più doomish e venato da tinte folkloriche. Spettacolare, cosi come auspico lo sia altrettanto il side B del disco, "De Mystiek Rondom de Steen des Hamers". E questa, pur risultando in apparenza più lineare del side A, non delude le aspettative, e nella sua maestosa epicità, conferma la bontà della band olandese e una crescita musicale davvero invidiabile. (Francesco Scarci)

lunedì 15 gennaio 2024

Il Fiume - Brucia

#PER CHI AMA: Grunge/Indie
Diavolo, non la cosa più semplice da recensire da parte del sottoscritto. Quello de Il Fiume è infatti una versione italiana del grunge sporco e incazzato di primi anni '90. Ascoltando "Ancora", la traccia d'apertura di 'Brucia', ho sentito infatti forti influenze provenienti da 'Bleach', senza trascurare tuttavia un'aura malinconica che sembrerebbe derivare dai primi Smashing Pumpkins. Mi dovrà scusare la band se il mio background musicale in questo ambito non sia cosi esteso, e conosca solo i capisaldi del genere, ma quei mostri sacri che hanno scritto un'epoca, li ritrovo nello scorrere di queste sette tracce. Qualcosa di simile anche nella seconda song, la title track, in cui ancora l'eco di Kurt Kobain e soci, periodo 'Nevermind', si palesa nel refrain delle chitarre e in un cantato in italiano che ben ci sta in questo contesto indie-grunge rock. Graffianti le linee di chitarra di "Frustrazione", che mostra suoni più sghembi e distorti rispetto ai precedenti, ma la brevità dei prezzi, la linearità delle melodie, il cantato nella nostra lingua madre, rende comunque facilmente fruibile (e apprezzabile) l'ascolto di 'Brucia'. Certo, non siamo davanti a chissà quale capolavoro artistico, ma il disco de Il Fiume si lascia piacevolmente apprezzare in tutti i suoi brevi e immediati brani, di cui sottolineerei ancora la psichedelia di "Karma Armonico" e la robustezza ritmica di "Ne Porto il Ricordo", che ammicca, con i suoi suoni nudi e crudi, ad un mix tra punk e hardcore. A chiudere l'EP, la più intimista e straziante "Qualcosa" che delinea a tutto tondo la proposta musicale de Il Fiume. (Francesco Scarci)

domenica 14 gennaio 2024

Maul - Desecration and Enchantment

#PER CHI AMA: Death/Doom
Un po' di sano marcescente death metal dalla Svez...no ho sbagliato, dagli Stati Uniti. La band originaria del North Dakota mi ha un po' spiazzato in effetti con questo 'Desecration and Enchantment', visto un sound che sembra essere devoto, almeno inizialmente, a quello "made in Sweden" dei Grave, ma che in realtà nel corso dell'ascolto, muterà più volte, abbracciando anche influenze floridiane (e penso agli Obituary). Questo è quello che si evince dall'iniziale "The Sacred and The Profane / Hovering, Sinking", song che li per li, mi stava portando a bollare questo EP come l'ennesima proposta priva di personalità. Invece, il dischetto palesa influenze esoteriche, doom, sludge e quant'altro. Signori, questi sono i Maul, quintetto di Fargo, che vi saprà ammaliare con la propria proposta estrema si, ma al contempo melodica, oscura, malefica, contraddistinta da profondi chitarroni, growl mefitiche, ma anche parti atmosferiche e mid-tempo ("Disintegration of the Soul"). La seconda traccia mostra anche il lato più progressive, dei cinque brutti ceffi americani, in una song comunque ricca di colpi di scena tra break acustici, ripartenze black e un sound comunque coinvolgente. La versione in cassetta include anche una terza song, "Worshipping Self-Deviance", ma ahimè non è nelle mie mani. Quindi cercate voi la tape e date una chance a questo lavoro. (Francesco Scarci)

(20 Buck Spin - 2023)
Voto: 72
 

mercoledì 10 gennaio 2024

Bolt Gun - The Warren

#PER CHI AMA: Black/Post Metal
Avete presente il buon Iggor Cavalera dei Sepultura? Ebbene, si è messo in "società" con gli australiani Bolt Gun per rilasciare questo EP, intitolato 'The Warren', che dovrebbe fare da apripista al terzo lavoro dei Bolt Gun. Due pezzi comunque all'insegna di un caustico black/post metal che si palesa piuttosto convenzionale (per non dire piattino) nei primi due minuti della prima parte di "The Warren" per poi mutare completamente pelle con l'intervento di un elegante sax che rompe quel ritmo ridondante di un incedere maltoa che sembra poter gonfiarsi, crescere ma in realtà rimane strozzato fino a quando esplode una ritmica martellante e distopica, un assalto all'arma bianca che non fa prigionieri. La chiusura del primo brano è lasciata a claustrofobici suoni ambientali che ci preparano alla seconda parte del brano, "The Warren Part II". Qui l'incipit atmosferico è melodico, introspettivo, triste, per poi virare verso l'inquietante, il sinistro fino a che compare il drumming potente di Iggor in uno scenario che ha quasi dell'apocalittico, sebbene sembri che confluiscano nel sound della band influssi di matrice jazz. Le chitarre ripartono su un black mid-tempo, accompagnate dalle vocals strazianti del frontman e di una dinamica sonica che ancora una volta sembra poter decollare grazie al ringhiare delle chitarre che sommergono di note la voce del cantante che si perderà sotto una fitta e opprimente coltre di rabbia e negatività. Ora non posso che aspettare con ansia il full length. (Francesco Scarci)

giovedì 4 gennaio 2024

Vale Of Tears - Oxymora I.

#PER CHI AMA: Melo Groove Death
Arrivano da Karcag in Ungheria e non devono essere confusi con gli omologhi, ma ormai sciolti, originari di Budapest. I Vale of Tears di quest'oggi, si sono formati addirittura nel 1997 e 'Oxymora I.' è un EP che arriva 14 anni dopo il precedente full length 'Illdisposed Inner Interest', quasi a dire "ragazzi non temete, siamo ancora vivi". E allora fatevi investire anche voi dal roboante sound melo death del quintetto magiaro. Un trio di song che arriva giusto in tempo per prenderci a schiaffoni con i loro riff tritasass: "Antibiosis" ne è un chiaro esempio tra un riffing sincopato, growling vocals e ottimi assoli, a cui aggiungere anche la partecipazione di tal Péter Kelne. "The Loudest Silence" prosegue l'opera demolente, in un intrecciarsi di ottimi assoli che sfrecciano piacevoli su questo tessuto ritmico davvero pesante (e che forse andrebbe leggermente alleggerito). I growls di Ferencz Mulicz sono davvero da orco cattivo, ma in questo contesto ci stanno dopo tutto benino. In chiusura, "Limited Freedom" suona più fresca, più moderna, più melodica e sembra quasi meno mastodontica, soprattutto grazie allo splendido lavoro delle asce e a delle influenze elettroniche che ci mostrano un lato differente dei Vale of Tears. Insomma, un ritorno che per alcuni potrebbe essere anche gradito, per me invece una piacevole sorpresa. (Francesco Scarci)

lunedì 1 gennaio 2024

Borgarting - Beist

#PER CHI AMA: Black Metal
La Dusktone deve averci preso gusto ad arruolare band norvegesi nel proprio roaster, pensando forse di trovare quella band che le permetta di fare il salto di qualità, un po' come fondamentalmente fanno anche le squadre di calcio quando cercano nuovi talentuosi piccoli Messi in Sud America, sperando nel colpo gobbo. Cosi, anche l'etichetta nostrana, setacciando tutto il sottosuolo norvegese, ha fatto saltar fuori questi Borgarting, che arrivano al loro secondo album. 'Beist' è un esempio di black mid-tempo, anche se l'introduttiva "De Skyldige" è piuttosto una noiosissima nenia. Poi, a partire da "Allfar", emergono forti le influenze nordiche di band del calibro di Khold o Satyricon, tra gelide chitarre zanzarose, una parvenza melodica, delle vocals che sembrano evocare gli Enslaved e quanto di "alternativo" la scena black norvegese ha provato a rilasciare in passato. Non siamo ai livelli di intoccabili mostri sacri, ma le song scorrono via veloci tra schitarrate rancide che odorano di black thrash old school ("Hat"), grim vocals, porzioni più melodiche e atmosferiche ("Mer"), che provano a stemperare le dissonanze sonore di influenza "satiriconiana", periodo 'Rebel Extravaganza' che ritroviamo nelle note dei nostri. Ma poi, la sensazione che respiro dopo quest'immersione nel mondo dei Borgarting è un po' deludente, visto che alla fine dei conti, non ho sentito nulla di originale, ma solo un disco ben suonato, e poco più, che per carità, è già tanta roba in un periodo in cui bandcamp e affini, permettono a chiunque di dare il proprio contributo (talvolta pessimo) a un mondo musicale che sembra si stia accartocciando su se stesso. Comunque, quello del quintetto norvegese è alla fine un discreto lavoro, di lontana matrice black'n'roll, giusto per sottolineare una sorta di sperimentazione nelle note di 'Beist'. Bravini, ma i nuovi Messi si contano sulle dita di una mano. (Francesco Scarci)

sabato 16 dicembre 2023

Vokonis - Exist Within Light

#PER CHI AMA: Stoner/Psych Rock
Un po' di sano stoner con gli svedesi Vokonis che con 'Exist Within Light', ci stanno fondamentalmente dicendo di metterci comodi, che dopo le tre canzoni di questo EP, arriveranno anche quelle di un nuovo quinto lavoro, che verosimilmente uscirà nel 2024. E allora godiamoci il sofferto esempio di stoner doom dei nostri, che si arricchisce qui di ulteriori influenze. L'iniziale "Houndstooth", oltre ad evocarmi un che dei primi Baroness/Mastodon, mostra una prepotente ritmica rabbiosa nella sua seconda parte che va a braccetto con le growling vocals della gentil donzella Simona Ohlsson, che nella parte più pulita sembrerebbe in realtà un uomo, mah. Comunque, la proposta dei nostri si fa ancor più obliqua, e dalle venature progressive nella seconda "Revengeful", che oltre a mostrare ritmiche poco lineari, si conferma super sghemba anche nella componente solistica. Il suono per quanto più caustico e forse più difficile da digerire, sottolinea la progressione sonora dei nostri, dovuta anche ai vari cambi di line-up. Ma il terremoto in casa Vokonis non sembra aver minato le qualità del quartetto di Borås. In chiusura, la lunga title track mostra il lato più psichedelico dei nostri (anche a livello vocale), che mantiene comunque ancorati i capisaldi ritmici nello stoner, per una performance soddisfacente che potrebbe addirittura portare nuovi fan alla band scandinava. Ora non ci resta che attendere i nuovi sviluppi con l'iiminente Lp. (Francesco Scarci)

(Majestic Mountain Records - 2023)
Voto: 70
 

lunedì 11 dicembre 2023

Flukt - Omen ov Darkness

#PER CHI AMA: Black Old School
Siete dei nostalgici del famigerato true black norvegese e bramate di ascoltare nuovi capolavori devoti al maligno, e provenienti dalle lande innevate della Norvegia? Beh, eccovi accontentati con il secondo disco dei Flukt, 'Omen ov Darkness', che vi riporterà ai fasti del black metal di metà anni '90, quando impazzavano le chiacchiere da bar sulle chiese incendiate, la rivalità tra alcuni individui della scena, e, più importante, il forgiarsi di splendide band estreme. Ecco, erano gli anni '90, 30 anni fa, i Flukt arrivano fuori tempo massimo con un disco che sicuramente trae linfa vitale da quella gente, prova a infilarci un pizzico di idee, giusto per non farsi sgamare troppo nell'aver scopiazzato a destra e a manca dai vari Gorgoroth, Mayhem e compagnia cantante (ci sono anche influenze derivanti dal black svedese, Dissection e Setherial in testa) e spera di farsi notare in una scena brulicante di dischi come questi. Non mi hanno preso questi Flukt, mi spiace, io che sono cresciuto musicalmente a fine anni '80 inizi dei '90, quindi quanto contenuto in questa release per me, sono solo sonorità stra-abusate e alla fine anche noiose, che non trovano, ahimè, il mio benevolo appoggio. Certo, se siete dei fan incalliti della fiamma nera dell'ultima ora beh, allora qui troverete tutto quello che fa per voi: screaming vocals, tributi ai Darktrone ("He Who Must Not Be Named"), chitarre incendiarie ("Falt Fra Himmelen") e addirittura una terribile copertina, proprio in linea con la tradizione true black. Onesti (speriamo) ma ormai sorpassati. (Francesco Scarci)
 
(Dusktone Records - 2023)
Voto: 60
 

martedì 28 novembre 2023

Turangalila - Lazarus Taxa

#PER CHI AMA: Psych/Post Metal
Li avevo recensiti un paio di anni fa con quel sorprendente 'Cargo Cult', che delineava una band in preda a psichedelici slanci math/post rock. Li ritrovo oggi con un nuovo lavoro, 'Lazarus Taxa', e una maturità artistica rinnovata che sottolinea l'eccellente stato di forma della band barese. Dieci nuove tracce quindi per assaporare ancora quell'irrequietezza di fondo che permea il sound del quartetto pugliese, che si materializza immediatamente con le soffuse ma granitiche melodie shoegaze dell'introduttiva "Wow! Signal", un pezzo che in un qualche modo, sembra evocare quel post metal che avevo descritto nell'ultima "Die Anderen" del precedente album. Un pezzo timido che lascerà ben presto il posto a "Neopsy" e a una ritmica potente ma forte di una linea melodica più dinamica e coinvolgente, che si muove comunque in un'alternanza tra sonorità più fluide e altre più oblique che giocano, non poco, a disorientare l'ascoltatore. Effetto quanto mai recepito durante il mio personale ascolto di questa song, cosi incisiva e ipnotica, e convincente soprattutto a livello vocale. Soffice invece l'approccio offerto in apertura della spettrale "Ugo", dove un senso onirico perdura fino a quando i nostri non decidono di aumentare il numero dei giri, in una strategia musicale che vede una successione ritmica tra atmosfere più pacate e altre più movimentate, dove peraltro a palesarsi, c'è anche una sezione d'archi. Suggestiva non c'è che dire, anche nella porzione più rabbiosa nel finale che ci introduce alla più nevrotica "P38", traccia che si muove tra ritmiche sincopate e vocals eteree, altro effetto che potrebbe essere confondente a chi approccia la band per la prima volta. Ma questo è ciò che vogliono trasmettere i Turangalila, ne sono certo: in "Antonio, Ragazzo Delfino" la band ci scuote con una ritmica di tooliana memoria, anche se ad un certo punto (verso il terzo minuto), il sound diviene più lisergico nelle sue deliranti e ossessive linee di chitarra. Ancora tanta sofficità nelle note sognanti della title track, almeno fino a metà brano, quanto farà capolino l'asprezza delle chitarre che per 50 secondi ringhiano come lupi inferociti, ma che successivamente ci accompagneranno in incorporee atmosfere ultra sensoriali. "Reverie" è una schiva (e stranita) strumentale traccia arpeggiata che tuttavia sembra cullarci in modo psicotico, prima di un'altra breve song, "A Pilot With No Eyes", che sembra lontanamente odorare di un che dei Neurosis più sognanti. Lo sludge più torbido e melmoso di questi ultimi si fa più evidente nelle note di "To The Boy Who Sought Freedom, Goodbye", costituita da atmosfere dense e dilatate al tempo stesso, esplosioni convulsive e spasmodiche e rallentamenti angoscianti, che la innalzano quale brano più strutturato del lotto e anche mio preferito, e dove, i vocalizzi del frontman abbandonano la componente shoegaze per abbracciare quella più pulita e profonda del buon Scott Kelly. A chiudere ci pensa un ultimo buffetto sul viso, ossia le delicate note strumentali (con tanto di malinconico sax) di "Jisei" che fissa nuovi ed elevati standard artistici per i Turangalila. (Francesco Scarci)

(Private Room Records - 2023)
Voto: 78

https://turangalila.bandcamp.com/album/lazarus-taxa

sabato 25 novembre 2023

Hence Confetti - S/t

#PER CHI AMA: Math/Djent
I più attenti che seguono il Pozzo dei Dannati da parecchio tempo, si ricorderanno che abbiamo recensito un paio di dischi dei Mish. Ecco, il frontman di quella band, Rowland Hines, ha pensato di fondarne una tutta nuova durante la pandemia. I nostri, che rispondono al buffo nome Hence Confetti, debuttano quindi per la Bird's Robe Records (la stessa etichetta dei Mish) con questo EP autointitolato che sembra ammiccare al poliritmico sound dei Meshuggah, un genere, il djent, che avevamo comunque apprezzato anche in 'Entheogen' e 'The Entrance' dei già pluricitati Mish. Quindi, facendo tesoro di quell'esperienza, il buon Mr Hines coniuga alla grande le sonorità djent con il math, come palesato nella seconda "Buttons", tra chitarroni pesantissimi e suoni obliqui, il tutto corredato da un growling furibondo e opprimente. Non mi sono dimenticato dell'opener "New Homes" ovviamente, dove gli australiani fanno confluire un che di Devin Townsend nelle note più crepuscolari di un pezzo comunque interessante, una sorta di apripista per un disco che sembra comunque rimanere senza contorni stilistici ben definiti. Questo perchè "Rorschach" (chissà se c'è un qualche riferimento al test psicologico per l'indagine della personalità) si palesa come un delicato pezzo strumentale che poco ha a che fare con i brani precedenti ma sembra piuttosto un lungo e forse tedioso bridge per la seconda parte dell'EP. E "Ovation" e "Bandages", sebbene una introduzione più meditabonda la prima, tornano a impressionare con ritmiche violente più in linea con "Buttons" e parti atmosferiche, che mi hanno evocato in ordine i Lingua, i Tool e nuovamente il folletto canadese. La conclusiva "Bandages", nella sua dirompente violenza sonora, pur peccando a livello produttivo, quasi fosse stata registrata in modo completamente diverso dalle altre tracce, si dimostra la song più diretta, solida, Tool-oriented e ipnotica del lotto. Insomma, quello degli Hence Confetti (peccato solo che questo moniker faccia perdere un filo di credibilità ai nostri) si dimostra un buon biglietto da visita che auspico possa concretizzarsi in un più curato e lungo album futuro. (Francesco Scarci)

Aether - S/t

#PER CHI AMA: Jazz/Post Rock
Non è stato certo cosi facile recensire l'album dei milanesi Aether. Nati solo sul finire del 2021, i quattro esperti musicisti sono riusciti ad attirare l'attenzione dell'Overdub Recordings che subito gli ha concesso l'opportunità, con questo album autointitolato, di mettersi in mostra attraverso una non scontata proposta musicale. Forti di pregresse esperienze in ambito jazz - la tesi di laurea del bassista su questo genere ne è la prova, ma vi basti anche ascoltare "Radiance" per carpire immediatamente le forti influenze del genere afro-americano - la band sciorina undici pezzi strumentali che poggiano la propria architettura proprio sul concetto di base di questo sound, ossia l'improvvisazione, la progressione armonica e l'elasticità ritmica proposta in maniera ineguale, scandita da fughe di basso e chitarra e rallentamenti più tenui e sofisticati ("Thin Air") che palesano ulteriori influenze musicale provenienti dal post rock e dal progressive, il tutto permeato di un tocco cinematico che sicuramente non ne guasta l'ascolto, anzi lo integra abilmente. E proprio quello delle colonne sonore potrebbe sembrare il mood offerto da un brano delicato e sensuale (al limite dell'ambient) come può essere "Grey Halo". Decisamente più jazzy la successiva "Pressure" (e più avanti sarà lo stesso anche con la bluesy "Moving Away"), che mette in mostra l'eccellente perizia esecutiva dei nostri, che tuttavia a me scalda meno il cuore perchè finisco quasi per viverla come un puro esercizio di stile. Più convincente, e per questo più vicina alle mie corde, "A Gasp of Wind" offre le luci del palcoscenico dapprima alla chitarra, per poi spostare i riflettori all'insieme degli strumenti che, pur muovendosi in ambienti oscuri, quasi tetri, ne escono forieri di speranza. Sonorità aliene emergono invece dalla più stralunata e dronica "A Yellow Tear in a Blue-Dyed Sky", in cui la scena sembra prendersela esclusivamente il basso di Mr. Grumelli. Ancora sofismi noise drone con "The Shores Of Solinas", mentre con "Crimson Fondant", il quartetto lombardo sembra abbracciare caleidoscopiche sonorità settantiane blues prog rock (il che stride peraltro con la copertina monocromatica del disco), senza tralasciare comunque quella matrice di fondo jazz su cui poggia l'intero disco. Un viaggio sonoro che si chiude con la musicalità catartica di "This Bubble I’m Floating In": questa sigilla un lavoro ambizioso, complesso e affascinante, che necessita tuttavia di una grande predisposizione di testa e animo per poterla ascoltare ma soprattutto capire. Se voi però vi sentirete pronti ad affrontarla, allora gli Aether potranno fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 75

https://aether5.bandcamp.com/album/aether