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giovedì 28 giugno 2012

Heresy - Knights of God

#PER CHI AMA: Thrash, Megadeth, Metallica, Overkill, Metal Church
Seconda fatica per la band da Ancona attiva dal 1997 che ci propone un thrash metal classico con spunti heavy. L'album contiene delle decenti composizioni in tipico stile eighties’, con protagonisti riff scontati e spedalate di grancassa. Durante l'ascolto passiamo nell'imbatterci da tracce furiose a brani più tranquilli ma coinvolgenti, come “Alone in the Dark” di cui ci propongono una versione acustica alla fine del disco. L'album si apre con un scarica di adrenalina grazie alle tracce “Apocalypse”, “Heresy” e la title track, le quali ci travolgono con tutta la potenza del thrash marchiato Bay Area. Ma la band sa catturare l'attenzione dell'ascoltare, perché il songwriting non persevera nella classica “thrashata” al fulmicotone, ma riesce attraverso piccoli ma complessi fill di chitarra a ravvivare i riff ed a parti melodiche al limite della ballad a rendere sempre più curioso questo cd. Punti critici per questa pubblicazione sono essenzialmente le inette parti vocali e una piatta produzione che incide sul disco in quanto mancante di brillantezza ed aggressività sonora. L'unica cosa che mi convince alla fine di quest'album sono gli interludi melodici che sono sempre azzeccati e, anche se un po' troppo prevedibili, colmano il vuoto di una release poco sotto la sufficienza. Ci si aspetta di più da una band che di esperienza dovrebbe averne a pacchi. (Kent)

(Copro Records)
Voto: 55

mercoledì 27 giugno 2012

Tacoma Narrows Bridge Disaster - Exegenis

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Tool, Russian Circle
Della serie piccoli Isis crescono… Eh si perché i Tacoma Narrows Bridge Disaster (che mi limiterò ad abbreviare come TNBD) hanno un’attitudine che si rifà decisamente ai maestri americani del genere, Russian Circle, Tool e appunto i già citati Isis. Sorprendenti, non c’è che dire. Gongolo già per la scoperta di questa nuova band, capace di regalarmi alt(r)e sopraffini emozioni. Decisamente il post metal sta prendendo una piega notevole nella mia vita, mi sta facendo appassionare notevolmente ad un genere che non avevo molto considerato gli scorsi anni, che in realtà mi produce delle vibrazioni a cui non riesco a rimanere indifferente e i TNBD contribuiscono notevolmente a questa mia crescita interiore. La strumentale “Fractal World” apre “Exegenis” e questo mi fa supporre che i nostri abbiano proseguito sulla scia del precedente lavoro, offrendo solo tracce senza una componente vocale. Niente di più sbagliato quando a partire è la seconda, la title track, che mi offre la brillante performance di Dylan Foulcher alle linee vocali, con il suo cantato suadente e pulito (stile vocalist dei Tool) e con le melodie del combo britannico che affondano le proprie fondamenta in un post rock massiccio, che contribuisce ad aumentare lo spessore della proposta dei TNBD. Godo ancora di più, quando anche suoni estremamente alternativi, ancora di matrice “tooliana”, emergono prepotenti dalle note dei nostri, a dimostrare il grande ecclettismo del quintetto d’Albione. Un’altra song strumentale, “Calligraphy”, scuote le mie membra, prima di cedere il passo all’ipnotica “Valis”, altro esempio di quanto sia possibile essere brillanti con un lungo pezzo strumentale, senza scadere necessariamente nella monotonia. Con “Black Iron Prison” ritornano in sella le splendide vocals di Dylan, mentre le chitarre disegnano paesaggi desolati, con la batteria invece che, assai nervosa, detta il tempo con continui cambi di tempo a dir poco imprevedibili e il sound dell’act inglese che sembra insinuarsi in territori tanto cari addirittura agli Archive. Sorprendenti e soprattutto consigliatissimi a chi ama queste sonorità a cavallo tra il post metal, il post rock e i suoni alternativi bassolinei, come sottolineato nella parte iniziale di “Sungazer”, altra perla dei Tacoma, che mi fa gridare definitivamente al miracolo. Atmosfere soffuse, batteria di scuola Isis, fiumi di malinconiche emozioni, intelligentemente confezionate e convogliate verso l’ascoltatore più esigente. Insomma, non so che altro dirvi per esortarvi a far vostro questo cd, che arriva tra l’altro in una elegante confezione digipack. Ottima musica, bravi musicisti, che volete di più di questi tempi… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 80

Infamous - Of Solitude And Silence

#PER CHI AMA: Black Metal, Kvist, Behexen
Dalle lande innevate e dai gelidi fiordi della Norvegia (ops, Sardegna) arrivano gli Infamous. Sorvolando la ricercata (ed assolutamente, introvata) truezza della copertina, mi accingo ad immergermi nel lavoro dei signori S.A ed Alessandro. Dopo alcuni secondi di adattamento a causa della bassa qualità della registrazione (ancora più bassa di come vuole la buona vecchia scuola black norvegese) mi inoltro nelle oscure foreste sarde, auspicando di trovare buona musica. L'intro di “Of Solitude and Silence” non è affatto male, prima di sfociare in un riff leggermente fuori luogo con la composizione. Fortunatamente la situazione migliora con l'avanzare della traccia, rendendola molto godibile. Addirittura saltano fuori da non si sa dove delle tastierine, che assomigliano molto a quelle degli anni d'oro dei Thyrfing. Traccia 3 – “Grey Euphoria”: non credo ci sia cosa più fastidiosa che abbia mai ascoltato nel mondo del black metal. A parte i gruppi nsbm ovviamente, quelli sono imbattibili. Veramente geniale comunque dato che subito non avevo letto il titolo. Premio all'originalità e alla sfrontatezza. Proseguendo l'ascolto, l'album non migliora, e tracce come “Rex Verminorum” e “Human Scum” riescono a malapena a rasentare la sufficienza, trasformandosi in un noioso passatempo musicale. Questo loro primo full-lenght però, non è così pessimo come sembra. È ascoltabile, se siete abituati ad ascoltare black intendo, anzi vi posso rassicurare dicendo che ho sentito cose ben peggiori e molto più conosciute (ma non voglio fare nomi anche perché magari a qualcuno piacciono veramente, vero Franz). Alcuni riff sono alquanto azzeccati e le tastiere ovunque siano, rinnovano quell'aria malsana di musica già sentita. È un peccato che “Lugore” sia l'outro dell'opera, perché con i giusti provvedimenti, poteva diventare la traccia di svolta dell'album, la vera sorpresa della pubblicazione. Ma il problema principale è che certe composizioni come “Spiritual Desolation” o la title track, che hanno veramente degli interessanti intermezzi, purtroppo si perdano nella dilagante banalità della traccia, disperdendosi in riff riciclati e interludi inetti. Da risentire. (Kent)

(Novecento Produzioni)
Voto: 60


I Sardi black metallers Infamous ci propongono questo album uscito per la Obscure Abhorrence e registrato nel 2010. La band vuole rievocare l'onda black degli anni novanta, Burzum, Graveland o Sargeist in testa, ma il suono del duo non mette in risalto la vera forza dei brani che vivono di sola luce derivata dalla tastiera onnipresente che evoca a fasi alterne atmosfere epiche e più tenebrose. L'impatto è scarno e derivativo, con composizioni monotone anche se suonate in modo molto intenso, la voce potrebbe essere un punto di forza ma l'effettistica la rende dispersiva e distante, l'artwork di copertina basilare, poco definito e ricercato. Lo sforzo creativo c'è e le idee pure ma non bastano per far decollare un intero lavoro che probabilmente si è voluto rendere più oscuro di quello che doveva, in realtà alcune melodie dell'album distano anni luce dal genere in questione e il suono in generale sembra sempre impastato nel fango, poi l'uso eccessivo della tastiera potrebbe aprire più prospettive in ambito symphonic/epic/prog metal che in ambito black. A nostro avviso una produzione e un mixaggio più consono l'avrebbe reso più corposo e competitivo, una veste più professionale avrebbe proiettato i nostri in un'orbita più moderna e di tutt'altro spessore. Comunque la band c'è anche se deve (s)chiarire le idee sulla direzione da prendere in futuro, noi proponiamo la traccia "Human Scum" come migliore dell'album e speriamo sia di buon auspicio per poter sentire l'act isolano nella sua forma migliore. (Bob Stoner) 

(Obscure Abhorrence  Prod.)
Voto: 65

Shroud Of Distress - Be Happy

#PER CHI AMA: Depressive Black, Hypothermia, Lifelover, Shining
Mmm. Un disco apparentemente depressive. Son contento. Adesso l’ascolto e vi do le mie impressioni anche se l'artwork non mi convince molto, troppo moderno. Oppure sarà il font e il titolo che mi condizionano. Sì, probabilmente è il font, ma è meglio se passo alla musica altrimenti resto a fare un monologo su quanto e cosa mi piace delle copertine. Badilate di oscurità in questa prima pubblicazione dei Shroud Of Distress. Cari blacksters e doomsters, tutto il disagio che cercate lo potrete felicemente trovare in queste quattro tracce dei nostri cari amici tedeschi. Mi trovo davanti un album molto malinconico, reso ancora più triste da dialoghi e riprese di suoni d'ambiente. La voce non canta in scream ma urla disperatamente nello stile che ha caratterizzato i Lifelover, i pattern di batteria non molto originali ma sempre azzeccati, passando da furiosi blast beat a tranquilli midtempo, mentre le chitarre sono caratterizzate da un classico grezzo distorto che vira al pulito nelle parti più melanconiche, riuscendo a deprimere ogni singolo istante di questa release. Le tracce scorrono piacevolmente durante i 33 minuti, senza grandi stravolgimenti; il gruppo non possiede infatti molta originalità, nonostante ciò si riesce a captare lo spirito oscuro delle composizioni, grazie ad una produzione per niente perfetta, certe parti non livellate a dovere e una registrazione scarna e mancante di compattezza. Un EP più che decente, contenente anche una traccia nascosta, che spero non troviate, mai. (Kent)

(Pest Production)
Voto: 65

martedì 26 giugno 2012

Nacthvorst - Silence

#PER CHI AMA: Black/Doom/Sludge, Isis
Emozionante! Difficile dare una simile definizione ad un album black doom, che ammetto non avermi colpito affatto per il suo poco brillante avvio, anzi, devo dire che al primo ascolto, questo “Silence” l’avrei proprio segato. Poi non so come mai, ascolto dopo ascolto, è stata una crescita emotiva, una sublimazione della mia anima che si è integrata alla perfezione con il cupo pessimismo del duo olandese. E quindi, abbandonato quell’incedere burrascoso sludgecore di “The Serpent’s Tongue”, ecco lasciare il posto nella sua seconda metà a commoventi atmosfere autunnali, che ci fanno totalmente dimenticare di avere per le mani un prodotto black, fino ad abbandonarci totalmente alle malinconiche melodie di pianoforte della strumentale “After…”. Straziante. “Nightwinds” irrompe con il suo feeling oscuro e lo screaming efferato di Erghal, ma il rifferama tipicamente estremo, finisce per lasciare ben presto il posto nuovamente ad un vorticoso giro sludge/post che, senza dubbio, si rifà ai mostri sacri del genere. Sono stordito e quando “Gentle Notice of a Final Breath” attacca nel mio stereo, ecco che i fantasmi degli Isis (in versione black, ma solo per le vocals) aleggiano intorno a me. Quanta nostalgia per una band che ci ha lasciati, ma quanta gioia per una nuova che si affaccia, proponendo qualcosa che rievoca in me forti emozioni del passato. L’incedere è ipnotico, le chitarre mai troppo pesanti; l’unica cosa che fa prendere le distanze dalla band di Boston, è solo questa voce un po’ troppo maligna per questo genere, tale da confondere i fan e probabilmente rischiare di dividerli tra chi è sostenitore della causa più “alternative” e chi rimpiange la fiamma nera del black depressive dell’esordio “Stills”. Sinceramente, come al solito me ne fotto e proseguo nel mio ascolto, senza curarmi del passato, delle mode o dei commenti della gente. “Silence” è un album favoloso, intensamente emotivo, brillante, nostalgico e la conclusiva “A Way of Silence”, racchiude nei suoi 15 minuti tutta l’eccellenza che questi due ragazzi provenienti dalla terra dei tulipani, hanno da sfoggiare. Veramente bravi! (Francesco Scarci)

(Aural Music)
Voto: 85
 

giovedì 21 giugno 2012

Bretus - In Onirica

#PER CHI AMA: Doom Metal, Pagan Altar, Cathedral, Reverend Bizarre
Da Catanzaro giungono degli ululati nella notte. E dicono chiaramente "E' finalmente arrivato l‘album dei Bretus, 'In Onirica'!", quindi prendetene ed ascoltatene tutti, miei cari seguaci del metallo oscuro. L'ingannevole packaging d'ispirazione naturalista e in font celtici, devo dire che mi ha spiazzato subito, in quanto mi aspettavo di trovarmi davanti un mutamento di sound vicino ai Mael Mordha. Non preoccupatevi, i rilievi psichedelici sono rimasti, ma c'è comunque un'inafferabile atmosfera uggiosa di boschi, verdi campagne incontaminate e druidi che si passano spinelli. Tutti elementi che richiamano anche una grande band del passato, i Pagan Altar. Difatti i Bretus non si discostano molto dal primo doom metal, e riescono a renderlo più personale, più tagliente e più pesante. Le composizioni vanno oltre all'apparente riffone colmo di droga e spessosità. Radicati all'interno delle strutture possiamo incontrare splendidi assoli anni '70, arpeggi delicati, un basso che sa gestirsi bene nel non risultare scontato, e delle tastiere responsabili dell'ambiente etereo che circonda tutta questa pubblicazione. Coglie subito la mia attenzione la voce, esattemente quella che chiunque voglia ascoltare del buon doom classico cerca. Le tracce sono varie e frutto di una grande creatività, addirittura “Leaves of Grass” mi ricorda molto le sonorità di “Led Zeppelin III” mentre accosto la chitarra di “Down in the Hollow” a “Utopian Blaster” dei Cathedral. Ma il quartetto calabro non si ferma qui, e in chiusura passano ad uno scenario più colorato e psichedelico, chiudendo con “The Black Sleep”, 8 minuti di delirio che richiama gruppi precursori del doom come i Black Widow. La produzione tende ad oscurare i suoni ed a tagliare le tonalità, ma questo contribuisce a creare l'atmosfera cupa ideale per questo disco. Un debut eccellente, per tutti gli amanti del doom classico, caratterizzato da una vena psichedelica. (Kent)

(Arx Productions)
Voto: 80 
 

martedì 19 giugno 2012

Burnsred - Burnsred

#PER CHI AMA: Sludge/Doom, Mastodon, Unearthly Trance, Isis
Mi affascinano sin da subito questi Burnsred, gruppo di San Francisco portatore di uno sludge leggermente fuori dagli schemi, che loro tendono a denominare "progressivo" (anche se è un appellativo che affianco maggiormente ai Mastodon). Qui la pesantezza dello sludge è portata all'estremo. Non è la distorsione o certe sonorità di dimensioni esponenziali, come vorrebbe uno stampo di tipo post metal (di cui si evince una forte influenza), ad appensatire il sound della band californiana, ma sono i vari cambi di tempo. Queste inondazioni di lugubri riffoni ai quali si affianca una marcissima voce in scream, riescono a rappresentare il disagio più totale. Da ringraziare immensamente la parte ritmica che riesce ad arrivare a rallentamenti inverosimili, regalandoci queste quintalate di tensione doom. Ma la vera sorpresa di quest'album sono le parti che a mio parere richiamano questa decantata "progressività". I nostri mi scagliano infatti contro delle parti al limite dell'ambient, contornate di tastierine, noise, chitarre pulite, melodie e altre robe simili. Questi intermezzi calzano perfettamente con tutta la struttura sonora e compositiva della band, e posso definitivamente certificarlo quando la parte putrida dei Burnsred si scontra con questa loro anima tranquilla e sognante. In conclusione avrei preferito una registrazione più potente e brillante per far risaltare al massimo le malevoli sonorità di questo full-lenght, a cui non manca nulla, tranne quel pizzico di spessore. Consigliato a tutti gli amanti del downtempo e del marciume. (Kent)

(Self)
Voto: 80

Terraformer - The Sea Shaper

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale
Devo ammettere che stavo per commettere un gravissimo errore. Cioè classificare i Terraformer nel consueto guazzabuglio di gruppi post rock, ma per fortuna ho ascoltato "The Sea Shaper" con giudizio (stavolta) e ho cambiato idea. Si, la struttura probabilmente riconduce al post, ma i suoni, curati con estrema attenzione, sono più rabbiosi e aggressivi. L'utilizzo del classico delay riporta alla mente certe situazioni già ascoltate, ma se non se ne abusa… Da chitarrista posso dare un parere personale alle sonorità delle sei corde dei Terraformer, dicendo che la distorsione è più vicina all’Hard/Heavy e questo crea una miscela personale. Innovativa sarebbe esagerato visto che ormai si è suonato qualsiasi strumento a corda con qualsiasi distorsore di suono esistente sulla terraferma... "Whale" ne è l'esempio lampante ed è diventata la mia traccia preferita, con le sue chitarre aggressive che lottano furiosamente con la linea melodica di basso e la batteria. Una perla musicale in fatto di composizione, i cambi di ritmica sono diversi, ma riconducono tutti ad una trama comune, tanto avvincente quanto potente. Quasi sette minuti che speri durino all'infinito. Non mi succedeva da tempo... La settima traccia "Cross Bearing" ha un riff iniziale che prende subito, ma anche "R'lyeh" lascia stupiti per la somiglianza sonora con i veterani Russian Circles, ma allo stesso tempo, ve li fa dimenticare, per la personale interpretazione terraformeriana. "Anacharsis" mantiene lo stesso stile, ma la traccia risulta più cupa, grazie al ritmo claustrofobico iniziale della batteria. Un mero alternarsi di rullante/tom/grancassa (non me ne voglia il batterista se ho cannato ad individuare i giusti fusti) che prende forma insieme alla chitarra. Un'altra canzone che conferma le eccelse capacità dei Terraformer e la loro maturità. Lancio una provocazione: ascoltate questo ottimo lavoro ed immaginatevi un vocalist dalla voce matura e roca, oppure più melodiosa alla Serj Tankian. Io dico che potremmo spegnere decine di canali Tv e radio che propinano musica "for the masses" ed iniziare a sentire, non solo ascoltare musica. (Michele Montanari)

(Self)
Voto: 80
 

sabato 16 giugno 2012

Eclectika - The Last Blue Bird

# PER CHI AMA: Black/Thrash/Post Rock, Dol Ammad, Limbonic Art
Quello che ho fra le mani è forse uno dei più difficili cd che mi sia capitato di recensire, ma che comunque mi ha stupito maggiormente, per il tipo di sound proposto. “L’ultimo Uccello Azzurro”, citazione che sembra presa dal film K-Pax, è un concentrato di suoni abbastanza affascinanti, anche se poco ben amalgamati tra loro: black furioso, passaggi thrash, ambientazioni sinfoniche e parti post rock, convergono interamente nella release della band francese. A mio avviso, se si fossero curati molti particolari, questo debutto poteva essere davvero una bomba, invece molte ingenuità ed imperfezioni, sicuramente dovute all’inesperienza del trio, lo hanno relegato in secondo piano. L’album si apre con un paio di brani dal rifferama tipicamente black sul quale si staglia lo screaming selvaggio di Aurelien Pers, le growling vocals di Sebastien Regnier e si inserisce la notevole voce soprano di Alexandra Lemoine. Una forte componente tastieristica (simile ai primi lavori dei Limbonic Art) contraddistingue questo debut; arcani passaggi strumentali (“Les Arcanes du Bien-etrè” e “Asylum 835”), gotiche ambientazioni, pompose cavalcate power e discreti assoli, completano il sound della band transalpina, che ha forse avuto il solo demerito di non esser stato in grado di rendere un po’ più omogeneo questo platter, che nasce da una grande ambizione di fondo, essere originale il più possibile. Di certo poi, una scarsa produzione penalizza il suono degli strumenti, non giovando quindi, all’esito finale di “The Last Blue Bird”. Nonostante questa serie di mezzi passi falsi, in fase di produzione, a me questo lavoro non dispiace affatto, forse per il coraggio che la band mette, nel tentativo di cercare una nuova strada per uscire dal vicolo cieco, in cui il metal estremo si è cacciato. Gli Eclectika sono una band potenzialmente dal grande talento: serve solo un po’ di esperienza per fare il grande salto in avanti; ce ne fossero di band cosi coraggiose in giro, il metallo pesante ne gioverebbe enormemente! (Francesco Scarci)

(Asylum Ruins)
Voto: 65

http://eclectika.bandcamp.com/

Infection Code - Intimacy

#PER CHI AMA: Noise/Post Hardcore, Today is the Day, Godflesh
“Pensavo che l’amore fosse un sentimento che…” Così esordisce questo stralunato lavoro degli Infection Code, che ha visto addirittura la band recarsi a San Francisco per il mixaggio, la masterizzazione e la produzione di “Intimacy”, sotto la supervisione di Billy Anderson (Neurosis, Eyehategod, Brutal Truth). Il quarto lavoro dei nostri, registrato presso i Nadir Studio di Tommy Salamanca, si rivela decisamente l’album più intimista e sperimentale mai creato prima d’ora: dall’iniziale “(E)motionless” infatti, si capisce subito che tra le mani non abbiamo qualcosa di puramente convenzionale. Per chi segue la scena post hardcore, il nome che per primo può venire alla mente è quello dei Jesu, in una versione però più selvaggia, brutale e oscura. Le sonorità contenute in “Intimacy” possono ricordare i suoni sintetici dei primi Ministry, ma non solo, perché “Bleeding” mi riporta alla mente certe sonorità punk-dark tanto in voga nei primi anni ’80, una sorta di Fields of the Nephilim in acido. Le influenze dei nostri, in questa claustrofobica release, non si fermano tuttavia qui: sludge, psichedelia e industrial si fondono in questo magnetico lavoro, che sicuramente farà la gioia anche dei fans di Mastodon, degli amanti degli schizoidi ed imprevedibili Fleurety, nonché per chi adora le angoscianti atmosfere dei Neurosis. Album pazzesco, questa release degli Infection Code, che per i primi 300 fortunati aveva previsto anche in un vinile colorato. Altra chicca imperdibile è la versione claustrofobica di “Heart Shaped Box” dei Nirvana, rivista in chiave industrial/cibernetica con la voce malata di Blood a dare quel tocco di follia che non guasta, mentre una serie di sampler la rendono, nella parte finale, quasi irriconoscibile. Abbandonati gli esordi industrial death/grind, gli alessandrini Infection Code ci regalano un gran bel lavoro, speriamo solo che la gente abbia la mente abbastanza aperta per capirlo; fortemente consigliato a chi ama la sperimentazione e l’avantgarde. Pazzoidi! (Francesco Scarci)

(Beyond Productions)
Voto: 80