Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Post Metal. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Post Metal. Mostra tutti i post

mercoledì 10 gennaio 2024

Bolt Gun - The Warren

#PER CHI AMA: Black/Post Metal
Avete presente il buon Iggor Cavalera dei Sepultura? Ebbene, si è messo in "società" con gli australiani Bolt Gun per rilasciare questo EP, intitolato 'The Warren', che dovrebbe fare da apripista al terzo lavoro dei Bolt Gun. Due pezzi comunque all'insegna di un caustico black/post metal che si palesa piuttosto convenzionale (per non dire piattino) nei primi due minuti della prima parte di "The Warren" per poi mutare completamente pelle con l'intervento di un elegante sax che rompe quel ritmo ridondante di un incedere maltoa che sembra poter gonfiarsi, crescere ma in realtà rimane strozzato fino a quando esplode una ritmica martellante e distopica, un assalto all'arma bianca che non fa prigionieri. La chiusura del primo brano è lasciata a claustrofobici suoni ambientali che ci preparano alla seconda parte del brano, "The Warren Part II". Qui l'incipit atmosferico è melodico, introspettivo, triste, per poi virare verso l'inquietante, il sinistro fino a che compare il drumming potente di Iggor in uno scenario che ha quasi dell'apocalittico, sebbene sembri che confluiscano nel sound della band influssi di matrice jazz. Le chitarre ripartono su un black mid-tempo, accompagnate dalle vocals strazianti del frontman e di una dinamica sonica che ancora una volta sembra poter decollare grazie al ringhiare delle chitarre che sommergono di note la voce del cantante che si perderà sotto una fitta e opprimente coltre di rabbia e negatività. Ora non posso che aspettare con ansia il full length. (Francesco Scarci)

martedì 28 novembre 2023

Turangalila - Lazarus Taxa

#PER CHI AMA: Psych/Post Metal
Li avevo recensiti un paio di anni fa con quel sorprendente 'Cargo Cult', che delineava una band in preda a psichedelici slanci math/post rock. Li ritrovo oggi con un nuovo lavoro, 'Lazarus Taxa', e una maturità artistica rinnovata che sottolinea l'eccellente stato di forma della band barese. Dieci nuove tracce quindi per assaporare ancora quell'irrequietezza di fondo che permea il sound del quartetto pugliese, che si materializza immediatamente con le soffuse ma granitiche melodie shoegaze dell'introduttiva "Wow! Signal", un pezzo che in un qualche modo, sembra evocare quel post metal che avevo descritto nell'ultima "Die Anderen" del precedente album. Un pezzo timido che lascerà ben presto il posto a "Neopsy" e a una ritmica potente ma forte di una linea melodica più dinamica e coinvolgente, che si muove comunque in un'alternanza tra sonorità più fluide e altre più oblique che giocano, non poco, a disorientare l'ascoltatore. Effetto quanto mai recepito durante il mio personale ascolto di questa song, cosi incisiva e ipnotica, e convincente soprattutto a livello vocale. Soffice invece l'approccio offerto in apertura della spettrale "Ugo", dove un senso onirico perdura fino a quando i nostri non decidono di aumentare il numero dei giri, in una strategia musicale che vede una successione ritmica tra atmosfere più pacate e altre più movimentate, dove peraltro a palesarsi, c'è anche una sezione d'archi. Suggestiva non c'è che dire, anche nella porzione più rabbiosa nel finale che ci introduce alla più nevrotica "P38", traccia che si muove tra ritmiche sincopate e vocals eteree, altro effetto che potrebbe essere confondente a chi approccia la band per la prima volta. Ma questo è ciò che vogliono trasmettere i Turangalila, ne sono certo: in "Antonio, Ragazzo Delfino" la band ci scuote con una ritmica di tooliana memoria, anche se ad un certo punto (verso il terzo minuto), il sound diviene più lisergico nelle sue deliranti e ossessive linee di chitarra. Ancora tanta sofficità nelle note sognanti della title track, almeno fino a metà brano, quanto farà capolino l'asprezza delle chitarre che per 50 secondi ringhiano come lupi inferociti, ma che successivamente ci accompagneranno in incorporee atmosfere ultra sensoriali. "Reverie" è una schiva (e stranita) strumentale traccia arpeggiata che tuttavia sembra cullarci in modo psicotico, prima di un'altra breve song, "A Pilot With No Eyes", che sembra lontanamente odorare di un che dei Neurosis più sognanti. Lo sludge più torbido e melmoso di questi ultimi si fa più evidente nelle note di "To The Boy Who Sought Freedom, Goodbye", costituita da atmosfere dense e dilatate al tempo stesso, esplosioni convulsive e spasmodiche e rallentamenti angoscianti, che la innalzano quale brano più strutturato del lotto e anche mio preferito, e dove, i vocalizzi del frontman abbandonano la componente shoegaze per abbracciare quella più pulita e profonda del buon Scott Kelly. A chiudere ci pensa un ultimo buffetto sul viso, ossia le delicate note strumentali (con tanto di malinconico sax) di "Jisei" che fissa nuovi ed elevati standard artistici per i Turangalila. (Francesco Scarci)

(Private Room Records - 2023)
Voto: 78

https://turangalila.bandcamp.com/album/lazarus-taxa

martedì 26 settembre 2023

Chorosia - Stray Dogs

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
È un EP di una mezz'ora importante quella della multinazionale che risponde al nome di Chorosia (il cui moniker sul disco lascia intendere peraltro tutt'altro nome). Fatto sta che 'Stray Dogs' è un lavoro che arriva a due anni dal precedente - il secondo - Lp della band viennese (che include membri provenienti da Lussemburgo, Germania, Bosnia e appunto Austria), anche se l'anno scorso i nostri hanno rilasciato addirittura una Live Session di quattro pezzi. La proposta dei nostri si muove all'interno dei confini di certo post metal/sludge che chiama immediatamente alla mente i Neurosis per l'intelaiatura ritmica e le vocals un po' acide del frontman. Tuttavia la traccia d'apertura, nonchè anche title track, nei suoi oltre 10 minuti, palesa porzioni atmosferiche che si affiancano a sfuriate più brutali, senza perder comunque di vista una buona dose di melodia che si esplica in partiture dai toni mediorientali, che evidenziano quindi una certa ricerca musicale da parte dei nostri. Questo sarà ben evidente negli ultimi due giri di orologio di un brano complesso, ben strutturato e dotato di quella capacità di far collidere come sempre l'ossessività dello sludge con il groove dello stoner. Decisamente più thrash metal oriented è invece "The Shrike (Fire Assault)", costruita su un riffone d'annata su cui si inserisce la voce sporca del vocalist e un drumming non del tutto lineare. Fantastico però il cambio di tempo che porta all'assolo conclusivo che ci consegna una band in cui convive un'anima hard rock combinata con una stoner. "Tintinnabula" è il classico elemento acustico-strumentale che funge da raccordo tra la prima metà del disco e la sua seconda parte che include ancora "Reflections" e "Hands, Switchblades, and Vile Vortices". La prima delle due è un'altro pezzone di poco più di dieci minuti che si apre con atmosfere soffuse, un blando crescendo ritmico corredato da timide voci pulite che amplifica la sua veemenza verso il quarto minuto, irrobustendo il quadro ritmico e al contempo inacidendo le vocals, per completare il tutto con un bel vibrante assolo conclusivo che toglie le castagne dal fuoco dall'elevato rischio di intorpidimento mentale nel quale la band si stava infilando. Chiusura affidata infine a "Hands, Switchblades, and Vile Vortices", traccia decisamente più nervosa, rabbiosa e con una combinazione di riff che si dipana tra sludge, death-doom e sonorità oblique di dubbia natura, che chiudono un disco non troppo facile da assimilare, ma che farà comunque la gioia degli amanti del genere. (Francesco Scarci)

(Grazil Records - 2023)
Voto: 70

https://chorosia.bandcamp.com/album/stray-dogs

giovedì 10 agosto 2023

Tangled Thoughts of Leaving - Oscillating Forest

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
Ecco, l’hanno rifatto. Sto parlando degli australiani Tangled Thoughts of Leaving che hanno rilasciato un altro album di folle, imprevedibile post metal strumentale, venato di sonorità jazz. Chi pensa che questo genere inizi a stancare, beh si sbaglia di grosso perchè ancora una volta, la band di Perth supera se stessa e ci delizia con un doppio lavoro dal titolo suggestivo, ‘Oscillating Forest’, e da contenuti di altissimo livello che spazziano tranquillamente anche nel versante post rock, nell’ambient, nel prog, nella pura improvvisazione e addirittura nel noise. “Sudden Peril” apre le danze del lavoro e in poco meno di quattro minuti ci mostra il livello di ispirazione odierno della band, ma è con la più claustrofobica e decisamente più lunga (8:28 min) “Ghost Albatross”, che il quartetto australiano inizia col mettersi a nudo tra atmosfere post rock, spaventosi chiaroscuri orrorifici, cambi di tempo improvvisi e (in)frazioni rumoristiche destabilizzanti, che ci fanno capire il genio di questa band davvero multisfaccettata che sa esattamente come scrivere musica di un certo livello, dotata peraltro di un certo impatto emotivo. La cosa si mantiente anche nei quasi 10 minuti della terza “Twin Snakes in the Curvature”, un pezzo che si presenta con un impianto cinematico-sperimentale davvero inquietante a cavallo fra ambient e noise, in grado di annebbiare il cervello come la peggiore delle sostanze psicotrope. Superato questo trip da funghi allucinogeni, la band pensa bene di infarcire il tutto con il pianoforte e a destabilizzarci ancor di più con partiture jazzistiche davvero funamboliche. Non sarà semplice venir fuori interi da questa jam session, un po' come se ci fossimo fatti un tuffo in un frullatore gigante e avessimo lottato contro kiwi, fragole e banane giganti. Abbandonata questa parentesi vegana, vengo risucchiato dai due minuti rumoristici di “Seep Into” che ci accompagna a “Lake Orb Altar” e alle sue derive soniche desolanti, quasi uno scatto del deserto che è emerso dal prosciugamento del lago d’Aral, una visione apocalittica figlia del mondo in cui stiamo vivendo, un mondo che brucia da un lato mentre l'altro viene innondato da acque tumultuose. E questa song brucia, genera emozioni contrastanti, turbamenti interiori, un malessere da cui sarà difficile sfuggire, sebbene la melodia nella sua seconda metà, provi a stemperare l’apocalisse incombente. Ma poi, la ritmica avanza veloce, il basso pulsa come quando il cuore mi esplode nel petto dopo una scalata di una montagna, i giochi di synth diventano ipnotici e le chitarre frastornanti. Ci pensa “Trinket Forest” a ripristinare l’equilibrio con suoni da tempio buddista (o forse giardino zen). Il rumorismo torna sovrano in “Lamprey Strings” e si va mescolare con un’improvvisazione sperimentale davvero da capogiro in grado di rovesciare pensieri, parole ed emozioni. Se avessi scalato l’Everest sarebbe stato decisamente più semplice e invece farsi inghiottire dalle chitarre caustiche di “Bush Wallaby”, con quei suoi giochi di piano e batteria, diventa quasi una delle cose più complicate da affrontare, visto che davanti ci sono altri tre brani per oltre 20 minuti di musica: dal pianoforte impazzito della spettrale “Folded Into”, suonato da un fantasma in un castello maledetto, alle atmosfere da incubo di “The Mantle”, per terminare con la lunghissima (oltre 11 minuti) title track, in grado di darci il definitivo colpo del ko, tra suoni morbosi, deviati e schizofrenici che non pensavate potessero esistere su questa Terra. Semplicemente pericolosi. (Francesco Scarci)

(Bird’s Robe Records/Dunk! Records – 2023)
Voto: 77

https://ttol.bandcamp.com/album/oscillating-forest

martedì 8 agosto 2023

Thumos - Musica Universalis

#PER CHI AMA: Instrumental Post Metal
Recensiti da poco con l’infinita raccolta di loro demo, ecco riaffacciarsi i Thumos e il loro angosciante post-metal strumentale, nonostante in questo 2023, abbiano già visto la luce un full length e un altro EP. ‘Musica Universalis’ è il loro ultimo parto, un lavoro breve che potrebbe fare da preludio ad una nuova, ennesima, più lunga e strutturata release che sicuramente, la prolifica band americana starà architettanto. Nel frattempo, ascoltiamoci “Mysterium Cosmographicum”, un pezzo che riflette tutti i sacri crismi del post metal, grazie a chitarroni super distorti, atmosfere accattivanti, melodie non scontate, ma anche accelerazioni furiose che strizzano l’occhiolino al black metal, come già abbiamo più volte sottolineato in occasione di precedenti recensioni. In questo caso, il sound è piuttosto vario, di più facile ascolto e, sebbene continui a trovare l’assenza della voce penalizzante, non posso che godere della proposta dei quattro anche nella successiva “Astronomia Nova”, un pezzo che nella sua brevità, sembra raccontare in musica, le recenti scoperte fatte dal telescopio James Webb. “Harmonices Mundi” continua su binari similari al primo brano, mostrandosi ancor più varia, sofisticata e in taluni frangenti, davvero aggressiva. Insomma, un buon antipastino in vista di qualche nuovo piatto ricco, che sono certo la band statunitense, stia preparando. (Francesco Scarci)

(Snow Wolf Records – 2023)
Voto: 70

https://thumos.bandcamp.com/album/musica-universalis

domenica 6 agosto 2023

The End of Six Thousand Years – S/t

#PER CHI AMA: Sludge/Post-Metal/Crust
Ci hanno messo un po’ per rimettersi in sella i The End of Six Thousand Years. Dopo un silenzio durato 11 anni, fatto salvo per un singolo uscito nel 2020, il quintetto italico formato da membri ed ex di Postvorta, Hierophant e Viscera///, ci spara addosso un EP autointitolato di quattro pezzi. Quattro caustici brani che si muovono nei paraggi melmosi delle loro band originarie. Questo almeno quanto si evince quando a decollare nel mio lettore trovo “Collider”, che parte sludgy al punto giusto, per poi dare un paio di scarburate pesanti, tra accelerazioni alla Ulcerate, rallentamenti di scuola post metal, ripartenze feroci, il tutto condito dalla selvaggia voce dell’ex Postvorta Nicola Donà. La proposta della band è corrosiva quanto basta anche e soprattutto, nei momenti più atmosferici o dissonanti del disco. Si continua a picchiare durissimo con le chitarre funambolicamente “svedesi” di “Endbearer”, un pezzo che vede una certa apertura melodica che finisce per collidere con certo retaggio crust/hardcore dell’ensemble nostrano. Tra continui cambi di tempo, melodie sghembe e vorticose raffiche di chitarra si arriva a “Voidwalker”, un pezzo che è un’altra mazzata nello stomaco, come se i Deathspell Omega suonassero sotto l’influsso malsano del crust, in una poderosa e dirompente avanzata di chitarre imbufalite. In chiusura la cover dei Today is the Day, ossia “The Man Who Loves to Hurt Himself”, in una rilettura del brano della band statunitense, distorta quasi quanto l’originale, a decretare quanto i The End of Six Thosand Years siano oggi incazzati, in forma e tosti più che mai. (Francesco Scarci)

venerdì 7 luglio 2023

Thumos - Demo Collection

#PER CHI AMA: Instrumental Post Metal
Questa degli americani Thumos rappresenta una gustosa raccolta per chi segue la band sin dai suoi esordi. Forti di una notevole discografia, pur essendosi formati solamente nel 2018, i quattro gringo ci accompagnano alla scoperta dei loro iniziali cinque demo, 'The Spire' del 2018, 'Mono No Awake' del 2019, 'Lacrimae Rerum' e 'Unwritten Doctrines' del 2020, e infine 'Demiurge' del 2021. Sembra un'opera monumentale, in realtà sono 10 pezzi per 53 minuti di musica, dove apprezzare, se ne sarete in grado, l'evoluzione musicale di una band, votata ad un post metal interamente strumentale. E forse è la mancanza di una voce a rendere più complicata la sfida di capire in che modo i nostri sono maturati in questi quattro anni, in quanto la breve "The Spire" poco si discosta in realtà da "Hiraeth" e "Morriña", contenute nel secondo demo, forse più strutturate, vista anche una lunghezza più importante, se volete più oscure, ma dotate anche di una certa verbosità che sembra diluirne la longevità. Non discuto sulle qualità della band, di cui avevo recensito anche 'The Republic', album d'esordio sulla lunga distanza uscito nel 2022. Potrei dire che "Symbiosis" contenuta nella terza demo sembra più dinamica nel suo incedere, guidata da un bel basso e da una chitarra graffiante, mentre la successiva "Transtemporal" suona un filo più abbottonata all'inizio, per poi lasciarsi andare in una ritmica più fluida e potente nella seconda metà. Scorrendo gli altri pezzi, citerei la dirompente ritmica di "Anamnesis", la brevità devastante di "Emission" che ammica al post black nei frammenti impazziti del suo rutilante incedere, o ancora l'asfissiante "Aporia", in bilico tra doom e post-metal. Sono arrivato all'ultima demo eppure, ribadisco, non trovo sostanziali differenze tra i pezzi, se non in fatto di un certo inasprimento delle sonorità, più vicine al black in un pezzo come "The Betrayer is Come", più pesante invece in "Know the Face of the Destroyer". Il lavoro contiene poi un cd bonus, che include gli EP 'The End of Words' e 'Nothing Further Beyond', usciti nel 2021. Quindi mettetevi comodi perchè troverete altri 55 minuti di musica claustrofobica ("Epithumetikon" e "The Great Beast"), roboante ("Thumoeides" e "The Chariot") e più dissonante ("Metempsychosis" e "The Pillars"). Tutto molto interessante, ma che alla lunga (e dopo quasi due ore statene certi), rischia di annoiare terribilmente e spingerci a premere il quadratino dello STOP sul nostro lettore. (Francesco Scarci)

mercoledì 7 giugno 2023

Lethvm - Winterreise

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge
La scena post metal belga sembra godere di ottima salute. Dopo gli Amenra e gli Stake, ecco farsi strada i Lethvm con il terzo album della loro discografia, 'Winterreise'. L'album, consta di sei tracce, e si prefigge di mettere in musica sentimenti quali rabbia, malinconia e solitudine, articolati utilizzando poesie del XIX secolo scritte da Wilhelm Müller e peraltro già musicate da Franz Schubert nel 1827 nel ciclo di composizioni 'Viaggio d'inverno'. Il disco ha un incedere fin dai primi minuti parecchio saturnino, in un'intelaiatura metallica che comunque chiama in causa mostri sacri, Neurosis su tutti, senza tralasciare gli Amenra stessi degli esordi. L'iniziale "Blank" lo certifica appieno con quel suo sludge doom dai tratti quasi ossessivi che per i primi 60 secondi incendiano l'aria, prima di lasciare il posto ad un sound più ritualistico, quasi lisergico, con le vocals di Vincent Dessard, anche in chiave pulita, in un incedere cadenzato a dir poco inquietante e sul finale quasi malvagio, complice il growling nefasto del frontman. La successiva "Pretence" ha un incipit decisamente più etereo, cosa che mi ha evocato peraltro l'esplorazioni musicali dei nostrani At the Soundawn ai tempi di 'Shifting'. La voce del frontman qui tocca apici di pulizia che potrebbero addirittura ricordare Dave Gahan, prima di spostarsi in territori più animaleschi, al pari della musica, che sprofonda in lidi infernali in bilico tra post metal e funeral doom, in una traccia dall'andatura comunque flemmatica, ma al contempo estremamente melodica, che ammicca nel finale, anche ai Cult of Luna. Con "Torrents", la malinconia sembra palesarsi nei giri di chitarra e nei vocalizzi puliti del cantante. Poi spazio al classico scardinante chitarrismo post metal e alle vocals corrosive del bravo Vincent, ma un certo avanguardismo sonoro s'incunea nella matrice sonora dei Lethvm a creare un subbuglio sonico, che terrei più presente in future produzioni. L'asprezza delle ritmiche, accompagnate ad una voce sempre più tagliente (occhio però ai continui inserimenti della componente clean), chiudono un brano davvero particolare. Nella successiva "Carved" torna prepotente l'influsso dei Cult of Luna nella compattezza ritmica, cosi come pure nella splenica componente vocale. Ma la proposta dai Lethvm ha il pregio di offrire un certo vigore emozionale nelle note atmosferiche di un break da brividi, da cui si dipanano successivamente splendide melodie corredate da ispiratissime vocals, in grado di mettere d'accordo chiunque ami i gods svedesi o i conterranei Amenra. Pezzo sublime. Un po' meno dicasi di "Mournful", song che vede fortunamente l'ospitata delle vellutate corde vocali di Elena Lacroix al microfono, in una traccia davvero ostica da digerire, precariamente in bilico tra post e sludge, stemperata appunto dagli eterei vocalizzi della vocalist che mi ha per certi versi evocato i The 3rd and the Mortal degli esordi. La conclusiva "Night", brano da cui è stato peraltro estratto un video visionario, chiude con catartica emozionalità un disco convincente sotto tutti i punti di vista, che lascia intravedere ampi margini di crescita per il terzetto belga, sulla scia di quanto già fatto da Magnus Lindberg e soci. (Francesco Scarci)

(Dunk! Records - 2023)
Voto: 77

https://lethvm.bandcamp.com/album/winterreise 

lunedì 3 aprile 2023

Fargo - Geli

#PER CHI AMA: Post Metal, Russian Circle
Quattro lunghissime tracce strumentali per i teutonici Fargo e il loro post-rock/metal sognante, reso ancor più suggestivo dall'idea di affidare i titoli dei brani ai nomi di alcun città tedesche (esperimento già fatto in occasione dei primi due EP). E allora, ecco che il nostro tour di 'Geli' (nickname dato a Angelika Zwarg, madre di due cari amici della band, che fu una insegnante d'arte e pittrice che morì nel 2018 dopo una lunga malattia) parte da "Dresden", affascinante città della Sassonia che sorge sulle sponde del fiume Elba, e da qui si snoda lungo i suoi nove minuti, attraverso sonorità dapprima delicate, e poi decisamente più dirompenti, laddove il rifferama si fa più pesante e contestualmente, si palesano, come unica eccezione, anche le strazianti vocals del frontman. Poi, a braccetto bello veder andare chitarra, basso e batteria, con ampie porzioni strumentali ad accompagnarci in quei landscape sonico-atmosferici, sorretti da un ispirato tremolo picking. La seconda tappa fa sosta in Baviera a "Regensburg", sul bel Danubio blu. Sarà la componente poetica legata a quella del fiume più famoso d'Europa a renderla anche più morbida? Una morbidezza che durerà comunque giusto il tempo di un paio di giri di orologio per lasciare poi spazio ancora ad esplosioni chitarristiche, interrotte comunque da parti più atmosferiche, e nel finale decisamente malinconiche. Peccato solo che qui non si palesi quella lacerante voce che avevamo potuto apprezzare nell'opener, avrebbe fatto giusto comodo per spezzare la monoliticità del riff portante, sorretto peraltro da un drumming che sembra scandire il tempo come le lancette di un orologio. Terzo stop nella capitale, "Berlin", la traccia più lunga con i suoi quasi 10 minuti. Un incipit che mi ha evocato la colonna sonora di "Inception", la splendida "Time" di Hans Zimmer, una scalata lenta e sensuale che per oltre tre minuti sembra quasi rassicurarci con le sue melodie, per poi ringhiare grazie all'ardore delle sue chitarre. Ma il nostro collettivo, che si avvale peraltro anche di un paio di guest star, è abile nell'alternanza di tempi, grazie e soprattutto alla prova magistrale del batterista dietro alle pelli. La band ci porterà con ottime idee fino all'ultima sosta del loro tour, a "Pforzheim", città che in tutta franchezza non conoscevo, ma che nelle sue note racchiude a mio avviso il meglio di questo disco, essendo cosi ricca di pathos, forza e intensità, pur includendo un sample di due minuti di un discorso di Winston Churchill contro le ideologie omicide, il medesimo però che abbiamo già sentito nel 1984 in "Aces High" degli Iron Maiden. Suggestivo ma forse un po' troppo abusato. Nonostante qualche piccola sbavatura comunque, 'Geli' rappresenta un ottimo debutto su lunga distanza per i nostri, sebbene io proverei a puntare maggiormente sulla presenza di un vocalist come parte integrante del collettivo. (Francesco Scarci)

(Kapitän Platte - 2023)
Voto: 74
 

venerdì 17 marzo 2023

Jeffk - TAR

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
Tornano le uscite della Golden Antenna Records e l'etichetta tedesca ci propone oggi la seconda release dei conterranei Jeffk che, a distanza di cinque anni dal precedente 'Inadequate Shelter', si riaffacciano con questo 'TAR'. La band, originaria di Lipsia, propone un post rock strumentale che sembra strizzare l'occhiolino ai God is an Astronaut con al seguito tutta la serie di clichè tipici del genere. Si parte da "Fingers" e dalle sue melodie dilatate, quasi intimistiche, spezzate però qua e là da frangenti metal decisamente più ruvidi che sembrano allontanare il terzetto dal post rock. Non so voi, ma verso il sesto minuto del brano ci ho sentito poi un che della melodia della Marcia Imperiale che accompagnava la comparsa de La Morte Nera in 'Star Wars'. Chiamatela suggestione o quello che volete, ma l'atmosfera da li in poi si farà più cupa, almeno fino a quando nel mio stereo partirà "Arcades", song che si muove con un ipnotico giro di chitarre in tremolo picking, accompagnato da una fantasiosa batteria, che evolverà ancora una volta nel finale verso tonalità più fosche e apocalittiche, quasi fosse il marchio di fabbrica dei Jeffk. Con "Ratio" si parte invece decisamente più delicati grazie ad una linea di basso che guida l'incedere di un brano che non mostra in realtà significativi sussulti, se non in una parte centrale più robusta e in una chiusura ancora spettrale. Con "Idle Eyes" ci approcciamo al singolo per cui i nostri hanno girato anche un delirante video. L'inizio è lento e straniante, per poi pigiare successivamente sull'acceleratore grazie ad un sound decisamente più energico, anche se brevi break atmosferici provano a minimizzarne l'irruenza. Una voce urlata qui avrebbe fatto di certo la sua porca figura, soprattutto per donare un po' più di variazioni al tema, laddove il trio teutonico persegue una certa ridondanza ritmica ed effettistica. Tuttavia, devo ammettere che anche questo brano, cosi come tutto l'album, si rivelerà convincente. Anche le residue due tracce, "Lake Bled" e "Swarm", regalano interessanti sprazzi di musica raffinata, peraltro con una ricerca tecnica di un certo livello, leggasi i numeri da circo con cui si destreggia il batterista dietro alle pelli, per quella che sembra essere una continua ricerca di cambi di tempo che possano intrattenere nel migliore dei modi l'ascoltatore. Anche qui non ci troviamo certo di fronte ad una proposta di semplice assimilazione, bisogna infatti entrare in profondità nel mood di questi musicisti, per capirne le intenzioni e assaporarne ogni singola sfumatura. La chiusura affidata a "Swarm" sublima infatti la ruvida emozionalità che 'TAR' è in grado di sprigionare lungo i sui quasi tre quarti d'ora di musica. Non certo la più semplice delle passeggiate, ma spesso anche un buon trekking in montagna con l'aria tagliente può regalare piacevoli emozioni. (Francesco Scarci)

(Golden Antenna Records - 2023)
Voto: 74

https://jeffk.bandcamp.com/album/tar

giovedì 16 marzo 2023

Grava - Weight of a God

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal
Torna l’Aesthetic Death con un’altra delle sue uscite ad effetto. Questa volta l’etichetta britannica è andata a scovare i Grava in Danimarca, un terzetto originario di Copenaghen formatosi nell’anno del lockdown da Covid. Complice verosimilmente quello stato di angoscia generato dall’essere chiusi nelle proprie abitazioni, deve aver portato i tre musicisti a partorire questo angosciante esempio di blackened sludge/post-metal sperimentale di stampo americano (Neurosis docet). Sette i pezzi che sciorinano i nostri per cercare di convincerci della bontà della loro proposta. Si inizia con le fluttuanti melodie di "Waves" che mettono in mostra le peculiarità della band ossia un ipnotico rifferama sludge, vocals che si dimenano tra l'urlato e il growl e un'aura malinconica di scuola Amenra/Cult of Luna che aleggia per questo e i successivi pezzi. Dopo appena tre minuti è il tempo di "Bender" e le atmosfere si fanno ancor più cupe con un muro di chitarre e voci caustiche davvero da incubo, spezzate da frangenti di chitarra più melodici sul finale di un brano che supera di poco i tre minuti e mezzo. Strana la scelta di avere pezzi cosi brevi per un genere spesso contraddistinto invece da lunghe durate. Ma anche le successive "Crusher", "Alight", "Cauldron" e "Appian Way" (quest'ultima stralunata song si colloca addirittura sotto i tre minuti) continuano con questo trend, non solo legato al minutaggio ma anche ad una proposta musicale che si mantiene fedele ai dettami di uno stile che trova qui delle scappatoie in cambi vocali, per la presenza di brevi assoli che accompagnano le dissonanti linee di chitarra. Solo la conclusiva "The Pyre" si discosta non solo in termini di durata dal lotto delle restanti, con oltre otto minuti che condensano quanto ascoltato sin qui ma musicalmente perpetrano, con più break atmosferici, un sound più tormentato per molti più giri d'orologio. Insomma, quello dei Grava è un album complesso e non cosi facile da avvicinare, però potrebbe comunque regalarvi spunti interessanti in un ambito che inizia a scarseggiare per freschezza di idee. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death – 2022)
Voto: 70

https://gravadanois.bandcamp.com/album/weight-of-a-god

mercoledì 11 gennaio 2023

Die Sünde - Strega

#PER CHI AMA: Post Metal/Hardcore
No, i Die Sünde non sono l'ultima new sensation tedesca, i nostri sono infatti una nuova realtà del nostro paese, di Padova per l'esattezza. Questo è il loro EP di debutto che li vede proporre un sound all'insegna di un post metal/sludge dalle forte tinte crepuscolari. L'unico pezzo incluso nel disco è rappresentato dai 20 minuti abbondanti della title track, "Strega", che si apre con le tiepide percussioni e dove la batteria assume il ruolo cardine, con la chitarra relegata solo in secondo piano. La voce fa la sua comparsa al quarto minuto con una tonalità stridula in uno screaming quasi black. Nonostante questi vocalizzi, la musica si conferma però come un mid tempo guidato dal tremolo picking delle chitarre che disegnano con discrete melodie. Largo spazio poi allo strumentalismo con una lunga parte scevra da isterismi musicali fatti di furia e violenza. Detto che la batteria si conferma costantemente in primissimo piano, un break quasi di mutismo cosmico si palesa verso il minuto 7.30 per segnare qui una sorta di punto di svolta per la band, con la proposta dell'act veneto che si fa ora ben più cattiva. Tuttavia, la musica stenta a decollare se non per una sfuriata post black al minuto 9.30. Forse un po' poco per ascrivere questo disco tra i debutti più memorabili della scena metal nostrana. Una nuova variazione al tema, soprattutto a livello vocale, per l'utilizzo di un cantato post hardcore, lo sentiamo verso l'undicesimo minuto, con la musicalità che si fa altrettanto malinconica. E qui sembra di aver a che fare con una band totalmente differente, peraltro che si lascia apprezzare maggiormente rispetto al più spigoloso lato black ascoltato sin qui. Al dodicesimo minuto (manco fosse una telecronaca di una partita) assistiamo ad una nuova ripartenza, un break chitarristico, una lunga parte strumentale che di certo non ruba l'occhio per originalità. Il disco scivola cosi quasi mestamente lungo la sua conclusione, senza ulteriori spunti degni di nota. Il lavoro alla fine necessita urgentemente di un miglioramento sia a livello musicale che di sognwriting, soprattutto laddove (leggasi nel finale) la band finisce per avventurarsi in territori più disarmonici e particolari. Da riascoltare. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records - 2022)
Voto: 63

https://drownwithinrecords.bandcamp.com/album/strega-2

giovedì 8 dicembre 2022

Behind Closed Doors - Caged in Helices

#PER CHI AMA: Instrumental Post Metal
È un trio internazionale quello dei Behind Closed Doors (stravagante questo moniker), formato da prodi menestrelli provenienti da Germania, Paesi Bassi e Svezia, che si sono trovati per rilasciare questo affascinante affresco di post metal strumentale. Sapete quanto storca il naso a non avere un cantato eppure questo 'Caged in Helices' riesce a superare egregiamente la prova del fuoco anche senza un vocalist. Questo perchè i nostri non sono certo degli sprovveduti, avendo arricchito la propria proposta metallica di archi (tra cui Ben Mathot degli Ayreon) che vanno a colmare il vuoto lasciato dalla voce. Questo quanto si può ascoltare già nell'iniziale "The Anti Will", che nei suoi otto minuti ne fa proprio di tutti i colori, attraversando un corridoio fatto di post-rock, post-metal, suoni cinematici e ancora math rock, progressive, musica classica e potrei continuare all'infinito, aggiungendo anche soundtrack e djent, con quella granitica chitarra in chiusura, una vera mazzata nei denti. Spettacolo puro. "Kaleidoscope Antlers" riparte da questo potpourri di generi e stili, da un bel chitarrone avvolto dagli archi che potrebbero evocare in un qualche modo i Metallica ai tempi dell'esperimento sinfonico di 'S&M'. Tecnica squisita, eleganza musicale e ricerca per la melodia contraddistinguono questa e le song a seguire, di cui sottolinerei le due maratone affidate a "Black Pyramid" e "Ad Aspera Adastra, But Why And For What?", due pezzoni tra i nove e i dieci minuti che sottolineano, manco ce ne fosse bisogno, le eccelse qualità compositive della band. La prima delle due peraltro sfoggia una linea di basso davvero da urlo che entra nel cervello e da li non ne esce più. Questa poi è la canzone dove forse la componente orchestrale è meno invasiva e il sound decisamente più incisivo, anche se un paio di break atmosferici ne bilanciano l'irruenza ritmica. In "Ad Aspera..." viola, violino e violoncello tornano a far danni, insinuandosi nelle trame sofisticate di una song dal piglio decisamente minaccioso. Peccato per un lunghissimo break centrale che renderà il brano più suscettibile allo "skip". Il pezzo che poi in realtà ho maggiormente apprezzato è "The Essence of Doubt", con quella sua chitarra orientaleggiante e la sua coda djent, ipnotica quanto basta per tenermi agganciato ad un lavoro che, per quanto privo di un cantante, ha tutte le carte in regola per spaccare culi a destra e a manca. (Francesco Scarci)

giovedì 10 novembre 2022

RÝR - Transient

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
La lingua islandese ormai è di grande ispirazione per un fottio di band: dai titoli delle canzoni ai moniker, non ultimi questi berlinesi Rýr (il cui significato sarebbe sterile, scarso o debole). Quello di oggi è un quartetto che giunge con questo 'Transient', al traguardo del secondo album, offrendo un concentrato di post metal strumentale. Quando penso a questo genere poi, mi viene in automatico pensare ai Russian Circle, leader indiscussi di queste sonorità. Diciamo subito che i quattro teutonici se la cavano piuttosto bene, attraverso un'alternanza di chiaroscuri e partiture più tirate, ove inciampare e fermarsi per prendere fiato. Questa è bene o male la chiave di lettura che ci regala sin da subito l'iniziale "Trajectory", quasi nove ostici minuti di suoni ondivaghi, ove criptiche atmosfere seguono le roboanti ritmiche del duo di asce formato da Marius Jung e Lukas, o dove ancora la progressione musicale rende più dinamico un brano, "Derisive", che probabilmente soffrirebbe un po' della mancanza di un vocalist. Tuttavia, i nostri si muovono con una certa disinvoltura in un marasma musicale, dove il rischio di mettere il piede sull'uovo sbagliato porterebbe solo ad una gran frittata. Ma invece i Rýr continuano a giocare su un'altalena ritmica che vi terrà quanto meno incollati fino alla conclusiva "Shattered", passando dalla più corrosiva "Alienated", dove le chitarre tremolanti potrebbero ben collocarsi anche in un album post-black, o la sinistra title track con le due asce a divertirsi nel creare accanto al classico wall of sound, dei giochini più spettrali in tremolo picking e dove a palesarsi più forte che mai, sarà il basso di Kay. Si arriva quindi in coda al disco con la fosca e più doomish "Shattered" che per oltre nove minuti, avrà modo di esibire suoni graffianti, ritmati e oltremodo pesanti, alternati a parti più sognanti di grande eleganza. Insomma un ritorno con i fiocchi quello dei tedeschi Rýr, che potrebbero avere tutte le carte in regola per dare filo da torcere ai maestri di sempre. (Francesco Scarci)

(Golden Antenna - 2022)
Voto: 75

https://ryrpostmetal.bandcamp.com/album/transient 

mercoledì 9 novembre 2022

Sarneghera? - Dr​.​Vanderlei: Tales From the Lake Vol​.​1

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Voi avete idea di che cosa sia la Sarneghera? È una leggenda metropolitana che la identifica come una tempesta violenta che sembrerebbe collegata alla tragica morte di una ragazza promessa sposa ad un nobile, ma poi gettatasi nel lago d'Iseo, per una drammatica e fatale delusione d'amore. E quindi il cielo tuona vendetta per quell'amore strappato, scatenando vento e pioggia sul lago. Tutto molto affascinante, tanto da spingere la band bresciana a trarre ispirazione da questa storia per il loro moniker. 'Dr​.​Vanderlei: Tales From the Lake Vol​.​1' riprende la stessa storia con altri personaggi: un alieno naufragato nei pressi del lago e il misterioso Dr. Vanderlei che ritrova una maschera in grado di reinventare il linguaggio. Tutto questo nel debutto dei nostri Sarneghera? che ci presentano un sound alternativo sporcato da molteplici influenze. Il tutto appare chiaro sin dall'opener "Larsen Attack" che attacca con una ritmica disarmonica non proprio lineare ed un linguaggio lirico inventato che miscela italiano, inglese, francese, spagnolo, latino in un pot-pourri di parole neonate, il tutto accompagnato da bordate ritmiche che accompagnano una proposta dritta ma comunque assai melodica. Nelle note della prima traccia ci sento inoltre influenze math-rock e post-hardcore. Con "Spyrium" invece quelle colgo sono derive garage rock in un sound che si conferma dinamico ed imprevedibile nella sua alternanza ritmica, con una serie di saliscendi di chitarra che donano una certa originalità e freschezza alla musicalità del combo lombardo. È però con "Lampara" che mi lascio maggiormente suggestionare dai Sarneghera?, grazie ad un gioco di chiaroscuri di chitarra e basso (ma anche a cura di fantasiose percussioni), che per ben tre minuti generano, attraverso uno space rock cosmico e progressivo, una palpabile tensione nell'aria che rimarrà almeno fino a quando la voce salmodiante del frontman farà il suo ingresso in un contesto musicale più controllato rispetto ai precedenti pezzi, ma di comunque grande impatto. In questo brano addirittura compare un bel vocione distorto a mostrare l'ecletticità della band. In chiusura, "Prima i Terrestri" (una parodia forse dello slogano del buon Salvini?), l'unica canzone cantata esclusivamente in italiano, che abbina ancora math rock, alternative, crossover e post metal in un brano che evoca Tool, Lingua e A Perfect Circle in una devastante e sghemba galoppata di oltre quattro minuti. Quella dei Sarneghera? è una bella scoperta, ora non ci resta che attendere un album più lungo e strutturato. (Francesco Scarci)

martedì 8 novembre 2022

Beware of Gods - Upon Whom The Last Light Descends

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal
Chicago, Illinois. Ecco da dove arrivano questi Beware of Gods, misterioso duo dedito ad un sludge/post metal dalle tinte fosche e stralunate. 'Upon Whom the Last Light Descends' è il loro biglietto da visita che ho iniziato ad ascoltare con un certo interesse un paio di mesi orsono e mi porta oggi alla scrittura di questa recensione. Cinque pezzi catartici che si aprono con "Invitation (I Am Named After Death)" ed un sound che lascia spazio a viaggi mentali in preda a sostanze psicotrope e visioni cosmiche che ben potrebbero conciliarsi con l'immagine di copertina del disco. Il sound è sicuramente originale, muovendosi a tratti nel noise, nella psichedelia, nel post metal o nello sludge, come si evince dalla ritmica rallentata della seconda metà del brano. Ma non mi fermerei a queste sole influenze, dato che l'abrasiva voce di The Archetype potrebbe richiamare lo screaming tipico del black, cosi come alcune derive soniche accostano la proposta del duo statunitense a suoni dronici. I vocalizzi del frontman assumono comunque molteplici sembianze, dallo screaming dicevamo dell'opener alle spoken words ma anche un pulito suggestivo ed intrigante. Convincenti, non c'è che dire. Anche se nella seconda "Nightmare in the Dreaming House" si potrebbe cogliere più di un accostamento ai Neurosis, ma la voglia di emergere dalla massa, fa si che i due enigmatici musicisti regalino sonorità astruse, disarmoniche e a tratti caotiche, sortendo un continuo effetto di imprevedibilità, soprattutto quando mi pare che i nostri flirtino con un sound vicino all'alternative dei Deftones, con dei chitarroni comunque frastornanti a fissarsi nelle orecchie. Con "It Sleeps", le sonorità si fanno più sonnecchiose, vuoi forse anche un titolo che richiama il sonno. Ma il sonno in cui ci faranno sprofondare non è certo quello ovattato, ma sembra più qualcosa di inquietante e disturbante, un incubo ad occhi aperti da cui fuggire sarà impresa ardua, anche laddove i nostri sembrano rinunciare a dar fuoco alle polveri e preferendo un versante più atmosferico. Diffidate gente, diffidate, con i Beware of Gods c'è poco per restare sereni e non guardarsi le spalle, la progressione ritmica pur rimanendo bloccata dietro l'angolo, questo pezzo più degli altri vede un approccio ritmico verso gli sperimentalismi dei Terra Tenebrosa o più indietro nel tempo, a riferimenti che ammiccano a Ved Buens Ende e Virus. Ipnotici, angoscianti, malati, il sound dei BoG prosegue in un pezzo apparentemente più affabile e abbordabile, "It Wakes (to Destroy Us)", dove a livello vocale, c'è un'alternanza tra il cantato pulito, lo screaming ed una terza modalità che, non so per quale astruso motivo, mi ha evocato i Soundgarden. Forse sono un visionario, forse inizio a sentire la mancanza di Chris Cornell, però ho percepito una forma primordiale della band di Seattle che sottolinea comunque ancora una volta, un certo ecletismo sonoro da parte dei due artisti. A chiudere questo primo capitolo, ci pensano le asfissianti e lisergiche note di "House of Locusts (Intravenous Sunshine)", che ci inghiottiscono definitivamente nel mondo malato dei Beware of Gods, che in questo loro debutto si sono peraltro ispirati al mito di Azathoth, l'onnipotente "The Blind Idiot God" descritto da HP Lovecraft nelle sue opere, a testimoniare quanto questi due stravaganti personaggi abbiano da raccontare attraverso la loro musica. (Francesco Scarci)

lunedì 20 giugno 2022

Sólstafir - Köld

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog/Post Metal
Prefiguratevi una chitarra magmatica e assolutizzante che discioglie basso e pelli, un uso a dir poco sfrontato dei piatti. Strumenti e voce conglomerati in una sorta di unisono emozionale. OK? Andiamo. Gettarsi alle spalle le black-ragazzate degli inizi: è tempo di architettare sontuose suite progressive (i saliscendi ritmici ed emotivi di "Köld", la onnicomprensiva "Goddess of the Ages" in chiusura) oppure ipnotiche progessioni post-wave ("78 Days in the Desert" e in sostanza tutto il resto del disco uno). Più prossime ai lavori precedenti invece le cupe rarefazioni doom del disco due: la evocativa, post-gilmouriana "Necrologue", eseguita ad ogni concerto e dedicata a un amico prematuramente scomparso, il neurotico singolo "Love is the Devil (and I'm in Love)", una "World Void of Souls" forse solo eccessivamente lunga ma inaspettatamente Nine Inch Nails nel finale. Ascoltate questo disco mentre cercate di figurarvi i Sólstafir in persona rinchiusi nell'armadio del video di "Close to Me" mentre rotolano giù nella caldera dell'Eyjafjöll. (Alberto Calorosi)
 
(Spikefarm Records - 2009)
Voto: 78

mercoledì 1 giugno 2022

Wesenwille - I: Wesenwille & Live at Roadburn

#PER CHI AMA: Post Black
Ho recensito 'II: A Material God' poco più di un anno fa, ma non avevo avuto modo di ascoltare il debut album degli olandesi Wesenwille. La Les Acteurs De L’Ombre Productions ci dà l'opportunità di riscoprire l'esordio 'I: Wesenwille', uscito originariamente nel 2018 per la Redefining Darkness Records e abbinarlo con un set live registrato al Roadburn Redux a Tilburg (Olanda) nel Marzo 2021. E come si suol dire in questi casi, piatto ricco mi ci ficco. Quello che avevo descritto in occasione del secondo album, ossia un black sperimentale malato e sghembo di scuola Deathspell Omega, si conferma anche nei cinque brutali pezzi del primo atto del duo di Utrecht, con un concentrato malsano di suoni che si muovono dalle furenti ritmiche e dallo screaming infernale dell'iniziale "The Churning Masses" a tratteggi ben più cadenzati all'interno della stessa, con melodie che sgorgano fresche e vocalizzi successivamente strozzati in gola. Una partenza di tutt'altra pasta ci aspetta in "Prosopopoeia", un brano che s'introduce dapprima soffice per poi degradare in ritmiche post black evocanti i folli Dodecahedron, sebbene a livello batteristico i nostri finiscano ad ammiccare anche agli Altar of Plagues. Diciamo che i pezzi proseguono sulla stessa falsariga anche con la distruttiva e obliqua "Golden Rays of the Sun", altri dieci minuti di dissonanze black che trovano modo di mostrare tutta la propria imprevedibilità in rallentamenti doom, ripartenze ancor più feroci e ancora parti atmosferiche nel finale (che ritroveremo anche nell'incipit di "Rising Tides", un brano complesso e ostico da digerire ancor più degli altri). In chiusura della prima parte di disco, ecco "From One, We Are Many", un pezzo più breve degli altri (cinque minuti vs dieci) e dai tempi più compassati, anche se le accelerazioni impetuose della seconda metà sono assimilabili a quelle di una valanga che si stacca da una montagna. Il Live al Roadburn include cinque pezzi, tre dal primo lavoro e due dal secondo, che fondamentalmente ripropongono, in modo alquanto fedele alla versione in studio, la musica dei nostri, arricchendola di quella componente live che enfatizza non poco la potenza del combo tulipano. Sinceramente, non sono un fan degli album dal vivo, ma se siete curiosi di sentire come questi sinistri musicisti se la cavano in sede live, beh devo ammettere che questo potrebbe essere un valido modo per testarne la performance. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 75

https://ladlo.bandcamp.com/album/i-live-at-roadburn

domenica 15 maggio 2022

Au-Dessus - Mend

#PER CHI AMA: Post Black
I lituani Au-Dessus li seguo dal loro esordio, quell'EP omonimo uscito nel 2015. Ho comprato anche il loro Lp 'End of Chapter', che trovai all'epoca davvero convincente. Dal 2017 a oggi se ne sono perse le tracce, quasi a pensare che la band originaria di Vilnius si fosse sciolta. Fortunatamente, i quattro misteriosi musicisti tornano in sella sotto l'egida della Les Acteurs de l'Ombre Productions dandoci il proprio segno di vita con quest'altro EP, intitolato 'Mend'. Cinque i pezzi per saggiare le condizioni post pandemiche dei nostri, cinque schegge che esordiscono con la strumentale "Negation I", una lunga intro dronica che cede il passo ad un black storto e strambo come era lecito aspettarsi dai nostri. Poi ecco il via alle "danze" con la causticissima "Negation II" e le vocals viscerali di Mantas a collocarsi su di un tappeto ritmico infuocato e dissonante che farà la gioia di chi segue realtà ingarbugliate quali Blut Aus Nord e Deathspell Omega in primis, ma anche gente stile Kriegsmaschine o Mgła, se proprio volessimo spostarci dalla Francia alla Polonia. Con "Lethargy" si prosegue sulla stessa scia diabolica di post black che trova in furiosi blast beat contrappuntati da una discreta vena melodica, il punto di partenza del brano. "Epiphany" si muove su basi ancor più oblique, tra black mid tempo e sfuriate post che hanno il classico effetto destabilizzante. Poi i nostri ci mettono del loro, con continui cambi umorali a dar maggior enfasi ad una proposta non proprio facile da digerire. L'ultima "Alienation" è forse il pezzo più easy listening dei cinque: inizio lineare, grim vocals che poggiano su un rifferama compatto e potente, ma decisamente dotato di una maggior melodia a renderlo per questo più assimilabile rispetto alle precedenti. La seconda parte poi è dotata di un piglio quasi malinconico tanto da renderla il mio pezzo preferito di questo graditissimo ritorno sulle scene. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 72

https://au-dessus.bandcamp.com/album/mend

Barús - Fanges

#PER CHI AMA: Prog Death/Sludge
Ricordo di aver positivamente recensito i Barús in occasione del loro EP omonimo nel 2016, bollandoli come una versione più violenta dei Meshuggah. La band che ritrovo oggi mostra un rinnovato spirito che probabilmente è passato attraverso il claustrofobico esordio su lunga distanza rappresentato da 'Drowned' e che arriva oggi a questo nuovo e particolare EP di due pezzi intitolato 'Fanges', che mi restituisce, come dicevo, una band assai diversa rispetto al passato. Si perchè la title track che apre il disco, nei suoi 19 minuti, mostra un piglio decisamente compassato (in alcuni frangenti addirittura ambient) per quasi nove giri d'orologio, con un incedere ipnotico che trova sfogo in un post death metal a tratti sghembo e questo rappresenta un po' il punto di forza del quartetto originario di Grenoble. Le vocals si muovono poi tra equilibrismi death e altri più puliti, mentre le melodie oscillano tra ammiccamenti ai The Oceans e ingarbugliamenti catramosi che evocano Ulcerate e gli stessi Meshuggah d'inizio recensione. Il brano si arresta un paio di minuti prima dell'epilogo, lasciando spazio ad una parte acustica di cui francamente non ho ben capito la funzione, ma andiamo avanti e facciamoci investire da "Châssis De Chair", un pezzo decisamente più old style, essendosi affidato a sonorità più death oriented. Ma i nostri oggi amano contaminare il proprio sound con suoni più atmosferici, sludgy, riflessivi, storti e distorti, senza tralasciare il fattore imprevedibilità, tutte caratteristiche che eruttano nel corso del quarto d'ora affidato alla seconda song. I riffoni, di scuola polifonica, rimbombano nelle nostre casse con un'intensità ed una violenza davvero poco rassicuranti. I riff si confermano, anche nei momenti più ragionati, tortuosi dall'inizio alla fine della bagarre e vanno ad accompagnare le oscure growling vocals di Mr K. Insomma tanta carne al fuoco per sole due song a disposizione credo possa essere presagio di grandi cambiamenti in casa Barús. Staremo a sentire cosa ci riserva il futuro con maggiore curiosità. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2021)
Voto: 75

https://barus.bandcamp.com/album/fanges-ep