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venerdì 22 novembre 2024

Time Lurker - Emprise

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Ci ha impiegato ben sette anni il buon Mick, leader solitario dei Time Lurker, a tornare con un nuovo full length. Io c'ero nella stesura della recensione del debut album e ai tempi dello split con i Cepheide, e ci sono oggi per raccontarvi qualcosa di più di questo 'Emprise'. Il nuovo lavoro include cinque nuovi pezzi e, se consideriamo che l'iniziale title track è poco più di una inquietante e demoniaca intro, potremmo ridurli a quattro. Ma questi quattro pezzi sembrano promettere faville. Si parte con "Cavalière de Feu" e un incipit molto delicato, la classica quiete prima della tempesta. E infatti non sbaglio, dal momento che la ritmica della one man band transalpina, esplode in tutta la sua veemente malvagità, qui potenziata peraltro, dallo straziante supporto vocale di Sarah L. Kerrigan (alias Sotte) dei Neant. Quello che colpisce è la componente melodica delle chitarre che donano un più ampio respiro alla proposta dell'act francese, meno prevedibilità e una maggiore gioia nel godere di questa proposta che abbina un black atmosferico ad una componente più suicidal/depressive. "Poussière Mortifère" già dal titolo non lascia presagire nulla di buono: un inizio di "alcestiana" memoria lascia il posto a ipnotiche melodie che potevano fare la loro bella figura anche in 'Hvis Lyset Tar Oss', album leggendario di Burzum, soprattutto per una performance vocale che ricorda, da vicino, quella del Conte Grishnackh. E in linea con i dettami del musicista norvegese, non mancano nemmeno le parti più atmosferiche e quelle decisamente più tirate, che si declinano in una spettacolare linea di chitarra post black nella seconda metà del brano. "Disparais, Soleil" ha un altro inizio assai tiepido, cosi come nel suo prosieguo, cosi caldamente votato al depressive black, in grado di emanare forti emozioni, complice la presenza di un'angelica voce femminile in sottofondo. I motori tornano a rombare con la conclusiva "Fils Sacré", portentosa nel suo impianto ritmico imperniato su tonalità glaciali e più avulse da quelle più melodiche dei primi brani. Tuttavia, si percepisce che covi sotto la cenere un tono più epico che stenta però a decollare definitivamente, complice probabilmente il carattere strumentale del pezzo, che lo priva di una componente, quella vocale, davvero importante. In definitiva, 'Emprise' rappresenta un passo in avanti rispetto alla precedente release del mastermind francese, ma sento che ci sia ancora margine di crescita per sentirne delle belle in futuro. (Francesco Scarci)
 
(LADLO Productions - 2024)
Voto: 74
 

domenica 14 maggio 2023

Unohdus - Niin Turhaan T​ä​hdet Valaisivat Meitä

#PER CHI AMA: Depressive Black
Si tratta di un demo di soli due pezzi rilasciato peraltro in cassetta, questo 'Niin Turhaan T​ä​hdet Valaisivat Meitä' dei finlandesi Unohdus (che subodoro essere una one-man-band), di cui comunque poco o nulla ho trovato in rete. Fatto sta che mi limiterò a commentare la potenza espressiva di "Niin Turhaan T​ä​hdet Valaisivat Meitä" e della successiva "Pohjantuuli", per 10 minuti scarsi di musica che comunque sapranno, a modo loro conquistarvi, con non indifferenti doti persuasive. E penso a tal proposito, a quel violino saturnino che a metà della title track indugiare, con fare evocativamente deprimente, in uno squarcio di sublime malinconia post rock, per poi rituffarsi in un black metal intessuto di una fortissima matrice depressive. La linea black melodica permea anche la seconda song, dove le spettrali grim vocals del frontman si stagliano sulla ritmica mai troppo tirata dei nostri. Peccato lo strumento ad arco non ci delizi ancora con i suoi umori, avrebbe reso quest'opera prima degli Unohdus, semplicemente una piccola gemma incastonata in un mondo in totale stallo. (Francesco Scarci)

lunedì 3 aprile 2023

Limbes - Ecluse

#PER CHI AMA: Post Black
Altro giro, altro regalo, nel senso di un'altra one-man-band francese, che ormai devo ammettere non faccia più notizia. I Limbes sono della scuderia Les Acteurs de l'Ombre Productions, e anche questo non sembra nemmeno più far notizia e se ci aggiungiamo il genere, beh che volete aspettarvi, black nella più classica tradizione dell'etichetta francese. Almeno cosi sembrerebbe... Già, perchè mi sa tanto che la label di Nantes ci ha visto lungo un'altra volta e ha aggiunto un'altra entità davvero fuori dagli schemi a quelle già interessanti del proprio roster. Guillaume Galaup, responsabile del progetto, che peraltro abbiamo già incontrato nei Blurr Thrower, ha tirato fuori un album di debutto sconvolgente, per intensità e violenza, con un lavoro sparato a tutta velocità fin dall'opener "Lâcheté", tra linee di chitarra selvagge, melodiche e taglienti, vocals strazianti ed un vertiginoso senso di inquietudine, sorretto da eccellenti atmosfere che più o meno interrompono quella furia bieca che contraddistingue la matrice di fondo delle sonorità qui incluse. I Limbes fanno male in 'Ecluse', nonostante le sole quattro tracce, ma se pensate che solo "Leurre" dura un quarto d'ora, potrete immaginare come qui ci sia ben poco da scherzare. E il buon Guillaume ci investe in "De Courbes & de Peaux" con un torrenziale sound, di quelli che non fa prigionieri, non salva nessuno, black nero come la pece in una pericolosa mistura di suicidal, depressive e post-black malefico e dolorante, che sarà solo in grado, con la sua inarrestabile furia, di devastare tutto quello che gli si para avanti. Non bastano i break atmosferici per darci una parvenza di melodia o più facile digeribilità di un disco che troverà nell'epicità delle chitarre di "Corridors" uno dei suoi punti di forza per poi annientarci definitivamente con quei quindici interminabili minuti del distruttivo finale affidato a "Leurre", una song che rappresenta la summa della proposta dei Limbes come tormento vocale, vigore sonico (l'impeto che si sente al quarto minuto non ha eguali nel disco) e malvagità. Insomma, un disco questo, da maneggiare certamente con estrema cautela. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 77

https://ladlo.bandcamp.com/album/ecluse

sabato 18 aprile 2020

Hangatyr - Kalt

#PER CHI AMA: Black, Shining
Hangatyr è uno dei molteplici nomi utilizzati per identificare Odino, la principale divinità norrena. Per tributare la sua figura, il quartetto della Turingia ha adottato questo stesso moniker, rilasciando dal 2006 a oggi tre album. Detto che la prolificità non deve essere proprio il punto forte della band teutonica, accingiamoci oggi ad ascoltare il nuovo arrivato 'Kalt', lavoro autoprodotto da poco rilasciato dai nostri. L'album include otto song che irrompono con la furia glaciale di "Niedergang", un pezzo che gela immediatamente il sangue nelle vene, per quella sua bestialità ritmica e vocale (uno screaming efferato in lingua germanica), giusto un breve accenno ad un black atmosferico ma poi, quello che si configura nelle mie orecchie, è quanto dipinto nella cover dell'album, ossia quell'uomo che cammina sotto una fitta tempesta di ghiaccio. Lo stesso ghiaccio che imperversa nelle note della successiva "Entferntes Ich", un brano più mid-tempo oriented, ma comunque contraddistinto dagli aberranti vocalizzi di Silvio e Ira, e da una componente atmosferica che rimane sempre relegata in secondissimo piano. La bufera prosegue con le melodie agghiaccianti di "Firnheim" e una prestazione a livello vocale che mi ricorda quello del buon Niklas Kvarforth nei suoi Shining, mentre il drumming risuona invasato ed insano, soprattutto nella seguente "Blick aus Eis", quando la velocità del drumming si fa ancor più sostenuta e le chitarre ancor più taglienti. "Kalter Grund" è un pezzo decisamente più controllato, con le sue melodie che ricordano da vicino le release del periodo di mezzo dei Blut Aus Nord, cosi sinistre e malefiche, e per questo eletto anche come mio pezzo preferito, soprattutto per la sua capacità di non eccedere in facili estremismi sonori e per la più preponderante valenza melodica ed una certa ricercatezza sonora. Un malinconico intermezzo strumentale, "...Kalt", e si arriva agli ultimi due brani del cd, "Mittwinter" e "Verweht", quindici minuti affidati ad una tormenta sonora che come il vento sferza i nostri volti con soffi d'aria gelidi, l'act tedesco, con le sue plumbee chitarre, genera atmosfere rarefatte ma comunque dotate di una certa intensità epico-emotiva. 'Kalt', per concludere, è un album complicato, non certo facile da digerire di primo acchito, ma che richiede semmai più ascolti per essere apprezzato nella sua veste cosi distante e glaciale. (Francesco Scarci)

sabato 11 aprile 2020

The Ruins of Beverast/Mourning Beloveth - Don't Walk On The Mass Graves

#PER CHI AMA: Black/Doom
In attesa di ingannare il tempo affinchè i rispettivi nuovi lavori vedano la luce, ecco che i The Ruins of Beverast e i Mourning Beloveth, si ritrovano in uno split EP rilasciato in formato 10" per regalarci venti minuti in compagnia di due realtà davvero interessanti dell'etichetta tedesca Vàn Records. Ad aprire le danze di questo 'Don't Walk On The Mass Graves', ci pensa la chitarra acustica degli irlandesi Mourning Beloveth con "I Saw a Dying Child in Your Arms", quasi dieci minuti di sonorità evocative che chiamano immediatamente ed inequivocabilmente in causa i Candlemass con quel cantato dominante e pulito del frontman Frank Brennan, che offre la sua splendida voce ad un delicato supporto ritmico in quella che sembra a tutti gli effetti una ballad. Il tremolo picking a metà brano, oltre a donare una forte componente malinconica, sembra quasi prepararci ad un cambio di registro nella seconda metà del pezzo. La song sembra crescere in intensità ed elettricità, non fosse altro che fa la sua comparsa anche il growling di Darren Moore nonostante la componente emotiva si mantenga comunque in quell'ambito di malessere e depressione tanto caro al quintetto di Athy. A seguire ecco i teutonici The Ruins of Beverast con il pezzo "Silhouettes Of Death's Grace" e la loro consueta amalgama di suoni spettrali che da sempre contraddistinguono la one-man-band capitanata da Alexander Von Meilenwald. La song è lenta e avvolta da un'insana ed angosciante atmosfera (forte anche di sovraincisioni di voci e dialoghi), acuita poi dallo screaming malefico del mastermind, e che vede cambiare registro solamente a 3/4 di brano, in una discordanza sonora che riuscirà a prendere il sopravvento prima dell'epilogo affidato ad una disturbante melodia che evoca un che dei Blut Aus Nord più ispirati, il tutto perennemente in combinazione con il suicidal black doom degli svedesi Shining. Insomma, che ne dite della proposta delle due band? A me piace parecchio. (Francesco Scarci)

sabato 27 luglio 2019

Brouillard - S/t

#PER CHI AMA: Depressive Black, Darkspace
Il factotum Brouillard l'avevamo menzionato in occasione dell'uscita di 'Loin Des Hommes' dei J'ai si Froid..., una transitoria distrazione dalla sua band principale. L'artista transalpino torna con un nuovo lavoro intitolato semplicemente come i precedenti tre, ossia 'Brouillard' (il cui significato sta per nebbia). Quattro pezzi intitolati banalmente "Brouillard", giusto per non creare eccessiva confusione anche con tutti i brani precedentemente prodotti e non lasciare il povero ascoltatore in preda ad eventuali dubbi sul ricordare un titolo o un altro della discografia della one-man-band francese, tutto semplice, tutto estremamente spersonalizzato, o forse eccessivamente personalizzato? Mah, ai posteri... Fatto sta che mi lancio all'ascolto del quarto disco dell'eccentrico musicista d'oltralpe e quello che mi trovo tra le mani è fondamentalmente un'altra visione depressive del misterioso mastermind di quest'oggi che rimanda in modo inequivocabile alle precedenti release dello stesso, cosi come pure al suo side-project. E allora le domandi sono molteplici: perchè avere due progetti distinti se poi i generi proposti confluiscono verso un comune depressive black? Ebbene, una risposta certa non so darvela, posso solo dire che gli oltre cinquanta minuti qui contenuti, contengono melodie e ritmiche che sono accostabili a quelle dei J'ai si Froid... o forse è vero il contrario, non lo so. Aspettatevi pertanto quel black fumoso, a tratti atmosferico già descritto nella precedente recensione, con suoni che variano dal marziale al depressive melancolico, scrutando infiniti desolanti, sorretti da piacevoli parti arpeggiate che placano l'irruenza malefica generata dai diabolici vocalizzi del frontman. A differenza del side project però, posso dire che mi sembra di captare una miglior produzione alla consolle, cosi come pure una minor sporcizia in fatto di lavoro alla batteria. Per il resto, gli ingredienti che trovai nel progetto parallelo di Mr. Brouillard, li ritrovo tutti anche in questo nuovo enigmatico capitolo della saga 'Brouillard' sebbene qui meglio curati: e allora adagiatevi su lunghissimi brani (dagli 8.45 dell'opener ai 17 minuti della song di chiusura), dilatate fughe strumentali in tremolo picking, break acustici, assalti black, arcigne grim vocals, parti di derivazione burzumiana (penso al terzo ed oscuro capitolo), epiche e bombastiche percussioni folkloriche (a metà della seconda traccia, la mia preferita), ammiccamenti vari ai Darkspace in quelle partiture cosmiche dai tratti minimalistico-glaciali che in tutta franchezza, mi sono ritrovato alla fine ad amare. E cosi, da un album che avevo ingiustamente etichettato come mero clone di se stesso, mi rendo conto che Brouillard in questo lavoro riesce ad esprimere molto di più di se stesso, delle sue inquietudini, della sua solitudine, delle sue paure, convogliando il tutto in questi fottutissimi 53 minuti di incubi spettrali. (Francesco Scarci)

venerdì 24 maggio 2019

J'ai Si Froid - Loin des Hommes

#PER CHI AMA: Depressive Black Metal, Burzum, Paysage D’Hiver
Da non confondere con l'omonimo film con Viggo Mortensen, 'Loin des Hommes' rappresenta la terza fatica della one-man-band francese J'ai Si Froid. L'act, guidato dal factotum Brouillard, e forte della collaborazione con la Transcendance, ha da offrirci sette tracce (che includono duo pezzi strumentali) di emozionale e atmosferico black metal. Questo probabilmente si evince anche dalla suggestiva cover cd che lascia presagire da quelle montagne all'orizzonte, il senso di solitudine che vivremo durante l'ascolto del disco. Un album, che dopo l'arpeggiata intro, irrompe con "La Débâcle" ed una proposta di depressive black metal, con tanto di strazianti melodie costruite da compassate e ronzanti chitarre ritmiche su cui poggiano i vagiti disperati del mastermind transalpino in un viaggio di 12 minuti, in cui vi ritroverete anche voi come accaduto al sottoscritto, a pensare a qualunque cosa, contemplando il grigiore del cielo. Non solo suoni emozionali però nei lunghi minuti di questa song, ma anche furiose accelerazioni black, in cui ad essere penalizzata è la componente strumentale legata alla batteria, troppo secca e artificiale nel suo asettico programming sintetico. A ciò dobbiamo aggiungere una registrazione globale non proprio al top, forse legata agli stilemi imposti dal genere. Se i dodici minuti iniziali mi sembravano un po' eccessivi, i 13 prima di "Endurer pour Éprouver la Candeur" e i 16 di "Valse Mélancolique" poi, rappresentano uno sforzo notevole da affrontare, visto che a fronte di un approccio di "burzumiana" memoria, l'artista francese ha poco di nuovo e vario da offrire all'audience, se non un notevolissimo break melodico nella seconda parte della prima traccia, dai forti richiami classicheggianti. Poi un nuovo roboante attacco black che questa volta mi ha ricordato i Windir. Se l'incipit di "Valse Mélancolique" sembra più una suoneria del cellulare, la sua evoluzione invece è un black tiratissimo, saltuariamente epico e assai melodico, in cui però accade che si perdano i contorni degli strumenti, offuscati da quella marcescente registrazione low-fi che citavo poc'anzi. Un intermezzo acustico e arriviamo a "L'Espoir est le Dernier à Crever" il penultimo glaciale atto di 'Loin des Hommes', che riflette esattamente lo spirito distaccato, intimista, a tratti misantropico, del polistrumentista francese. "Le Rappel des Plaines" chiude il lavoro con poche variazioni al tema, concludendo proprio come si era aperto questo viaggio spirituale, ossia con un oscuro e malinconico black metal. Un lavoro più che sufficiente, che necessita di una ripulita generale per potersi aprire a platee più ampie, partendo da una pulizia dei suoni, una maggior umanità nelle linee di batteria, e meno derive musicali ampiamente già sentite sino ad oggi. (Francesco Scarci)

lunedì 20 maggio 2019

Time Lurker/Cepheide - Lucide

#PER CHI AMA: Post Black, Au Dessus
Time Lurker e Cepheide, due band che qui all'interno del Pozzo dei Dannati conosciamo assai bene. Uno split, 'Lucide', che consta di sole tre tracce per oltre trenta minuti di musica. Partono i Time Lurker con un paio di pezzi ("No One is Real" e "Unstable Night") che confermano quanto di buono avevamo già sentito nel debut della one-man-band di Strasburgo, capitanata dal buon Mick (qui peraltro accompagnato da un secondo vocalist, Thibo dei Paramnesia), ossia un post black atmosferico dalle forti tinte apocalittiche, con tanto di cavalcate infuocate, spezzate da ombrosi rallentamenti doom e grida disperate (e soffocate) in sottofondo. Questo è quanto si sente nell'opener track, ancora peggio (o forse meglio) con la seconda impetuosa "Unstable Night", un fiume in piena di abrasive quanto mefistofeliche melodie che sembrano prepararci al nostro incontro con il Signore delle Mosche e a quello che sentiremo da li a poco, con la lunghissima traccia (quasi venti minuti) dei Cepheide. Il duo parigino ci propina proprio la title track dell'album, che per genere, potrei ammettere di essere assimilabile a quello del collega che ha aperto il disco, con la sola differenza nell'uso di vocalizzi più strazianti (di matrice suicidal black metal). La musica poi è per certi versi affine ad "Unstable Night", deviata, diabolica, malvagia e melodica quanto basta per disturbare i sensi e il nostro sonno notturno. Un lungo incubo da quale sarà difficile destarsi, anche nella parte più ambient della traccia, alla fine quella che differenzia le proposte dei due gruppi transalpini. Un succoso split album che sa di riempitivo in attesa delle nuove fatiche delle due compagini, un breve malatissimo viaggio nelle perverse menti di Time Lurker e Cepheide, che conferma, ancora ce ne fosse bisogno, l'eccellente stato di forma della scena estrema francese. (Francesco Scarci)

(Les Acteurs de l’Ombre Productions - 2019)
Voto: 72

https://cepheide.bandcamp.com/album/split-with-timelurker

martedì 17 luglio 2018

Pa Vesh En - A Ghost

#PER CHI AMA: Raw Black
Della serie one-man-band crescono, ecco arrivare dalla Biellorussia il nuovo EP del misterioso Pa Vesh En: due tracce per una quindicina di minuti scarsi dediti ad un black ambient minimalista. Si parte con la spettrale e rumoristica "Haunting and Mourning" per arrivare alla più doomish "Gruesome Exhumation". I suoni dell'opener sono impastati e di pessima qualità con la proposta del musicista biellorusso che si alterna tra il raw black, un suicidal black mid-tempo (grazie anche a delle scream vocals disperate) e rari intermezzi ambient. Il problema sta tuttavia nell'ascoltare una simile accozzaglia di suoni che probabilmente, se registrati come dio comanda, avrebbero potuto suscitare un minimo interesse. Qui invece è tutto caotico, nemmeno fosse il più scarso dei demotape. La storia si conferma anche con la seconda traccia, più orientata ad un sound abissale anche se qui non mancano delle velenose scorribande black. Capisco l'underground, non comprendo invece l'Iron Bonehead Productions che rilascia una simile release. Mah, scelta quanto meno discutibile. (Francesco Scarci)

domenica 11 marzo 2018

Black Sin - Solitude Éternelle

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal, Shining, Burzum
I Black Sin sono un quartetto francese, formato da membri di Cult of Erinyes, Imber Luminis e Deluge, che dopo aver rilasciato lo scorso anno questo 'Solitude Éternelle', ha pensato bene di sciogliersi. Ora, non conosco le cause che hanno portato allo split della band, tuttavia posso solo sottolineare ombre e luci della proposta suicidal black dei quattro musicisti transalpini. Il disco si apre con un'intro a base di urla disperate e ritmica caotica che preannuncia l'arrivo di "Lente Descente", una traccia che evidenzia il lineare quanto elementare approccio black dei nostri, nelle cui allegre scorribande, mi sembra di captare una certa influenza punk. La musica dell'act occitano, sebbene la sua primitiva irruenza, ha comunque qualcosa di interessante nelle sue note che evocano un che dei pazzi suicidi Shining (quelli svedesi mi raccomando). Il riffing è quanto meno accattivante anche nelle sue improvvise accelerazioni e frenate, mentre lo screaming arcigno e sconsolato del vocalist, alla fine risulterà estremamente convincente nella sua performance. Più altalenante la terza "Dévastation", in cui le ispirazioni per i nostri sembrano provenire da gente tipo Lifelover e dalle forme più doomish degli Shining. Niente affatto male le linee di chitarra, cosi come i break acustici, da dimenticare invece le ritmiche punkeggianti sul finire della song. Le chitarre burzumiane di "Derniers Instants de Vie", mi riportano indietro di quasi 25 anni quando sulla scena si affacciavano gli album 'Det Som Engang Var' e 'Hvis Lyset Tar Oss'. Ecco direi, fuori tempo massimo e forse proprio in questo risiedono le ombre dei Black Sin che vengono però spazzate via da quelli che sembrano quasi degli assoli (ma non lo sono) che incrementano invece la componente atmosferico-emotiva del disco e che in questa traccia, identificherei in ben due momenti di catalizzazione massima della mia attenzione. Se "K.A.H.R II" suona un po' meno convincente, troppo dritta e scontata, il giochino di chitarre quasi sul finire, sembra risollevarne le sorti, almeno parzialmente. "Cendres" è una mazzata in pieno volto di incandescente musica black: dieci minuti tra serratissime sfuriate black, rallentamenti depressive, bridge armonici e udite udite, addirittura anche la triste melodia di un sax che trasmette il giusto mood autolesionista al brano. Peccato solo che col pezzo successivo, il decadente romanticismo svanisca del tutto e si torni a viaggiare a velocità infernali giusto per dimostrare quanto la band abbia una certa dimesticazza anche su ritmiche tiratissime. Ecco cosa significava quando parlavo di luci ed ombre. I Black Sin se si fossero focalizzati maggiormente sul genere depressive black metal, forse avrebbero reso oltre ogni più rosea aspettativa. In territori esclusivamente black, finiscono nell'infinito calderone delle band dedite alla fiamma nera. Meno male che si ritirano su con la conclusiva title track che ci riporta nei meandri della solitudine e della disperazione, per gli ultimi sei minuti di passione targata Black Sin. Altalenanti. (Francesco Scarci)

(Black Pandemie Productions - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/blacksin88/

domenica 18 febbraio 2018

Forgotten Woods - The Curse of Mankind

BACK IN TIME:
#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal, Burzum
I discovered this album ten years ago and it was already twelve years old at the time, twenty-two years after its original release and it is still one of the greatest works in black metal history. Along with a few bands such as Burzum, Forgotten Woods was the pioneer of the now called “depressive/suicidal black metal”, but if you listen to this mastodon record, you’ll find barely a gleam of that genre, the most notable being Thomas Torkelsen vocals, but 'The Curse of Mankind' is aggressive, heavy, ever-changing, challenging, epic and captivating.

A black metal masterpiece far away from the DSBM dull records, since it is not focused on those topics proper of this - at the time - unknown genre, 'The Curse of Mankind' is more melancholic, artistic and progressive. Every aspect of this record seems to be there for a specific reason, you can feel that the musicians were comfortable with each other, that the ideas flowed between them naturally. And even when the production was low-fi, you can listen and appreciate every instrument, even the bass line is perfectly listenable, the addition of acoustic guitars mixed with the raw distortion of the electric ones, make a perfect “forest-ish” ambiance. I feel that in this new edition where they improved the mastering a little, and the vocals, at least to me, sound better.

I don’t like labeling Forgotten Woods music as depressive black metal, because as you listen to their catalog, you realize their sound was violent, full of strength and passion, nevertheless they also expressed their sorrows through that music, with beautiful melodies and complex passages, so I have always said, Forgotten Woods plays melancholic black metal, a genre that obviously is non-existent, but I could name bands in the same vein being these ones: Dawn, Peste Noire, Drudkh, In the Woods… (first record), Miserere Luminis, Nagelfar (Germany), Angmar (France), Baptism (Finland), Vinterland and more; all of them share those aspects of aggressiveness, complex compositions, epic long hymns and sadness, but never falling into the depressive/suicidal department. Their music is, as I said, melancholic. Take 'La Sanie des siècles - Panégyrique de la Dégénérescence' the first album by Peste Noire, it is raw, brutal, enigmatic and ruthless and even so there is beauty in the music, acoustic guitars, calm parts, moments of sadness and mourning, just followed by terrific guitar riffs that make you shake your head and start head-banging. And I could say the same of every other band mentioned before.

“Overmotets Pris” is a perfect example of the melancholic black metal genre I was talking about; it starts with a blast beat along with some trve black metal tremolo, after a few compasses it’s followed by a change of pace to let the grim vocals howl your ears, and that’s enough to create ambient, the next you know is they got back to the first tremolo for speed, after that you feel a very dark atmosphere emerging, but out of nowhere the rhythm change again, a beautiful arpeggio in acoustic guitar escorts the electric guitars in a slower tempo, clean spoken vocals hit you like a thunder, a new change, an enjoyable black metal/punk drumming follows, and your head is dancing to the music rhythm; we are only 3 minutes inside an almost 13 minutes length song, and it keeps growing, it keeps amazing you, there is no repetitiveness, no dull song writing, no boring structures in the music, is unpredictable, it is overwhelming. Not even a single second is wasted. There is beauty in darkness.

And the ending… God damn it! That ending! Near the minute nine of the song, you are already familiar with their music, they use that beautiful acoustic arpeggio from the beginning again and you are expecting the end as if an orgasm, as if it enough, but it is never enough for this geniuses, a black metal riff of war, full of power destroys the calm and it gives the song a new path, and it is not over yet, we get a new riff, the drummer is playing as if there is no structure in the music, then blast beats, all the strings creating a harmonic chaos, the vocals calling you from the abyss - silence - a bass line, here we go again with a malevolent riff, and before you know it, the song is over.

To me the only thing DSBM bands learned from Forgotten Woods was the vocal style, I’d like to know a depressive black metal band with such rich songs and complex music. Back then to my time a listened to a lot of DSBM, I know that scene, and there are great bands like Nyktalgia, Gris, Mourning Dawn, Penseés Nocturnes, Hinsidig just to name some of them, but check them in the encyclopaedia or their own pages and they play black metal, melancholic black metal if you ask me. Bands like Happy Days, Make a Change... Kill Yourself or Trist make slow, simple, long tedious songs, even Nocturnal Depression plays black metal! The only two true depressive bands I know capable or greatness are Silencer and Eiserne Dunkelheyt but they are long dead, I could mention Thy Light but they have only one song that is a monument to the genre. Anyway, I can’t see any other aspect DSBM bands took from this particular record to make it its flag as the pioneer of that music style.

One thing you need to know about 'The Curse of Mankind' is that it has a very particular song. “With Swans, I’ll Share My Thirst” is an unexpected piece of music in a black metal album. It is an instrumental song, after a lot of thinking I couldn’t decide on a genre, but it is just beautiful, you could say is classical rock, post-rock (ahead of its time) or even a folk/post-rock/avantgarde song, sounds crazy I know, but musically it is a piece of art, it starts sad and sullen, relaxing almost, but at the end is full of joy and grace, a mouth-organ (or harmonic) is the protagonist of the last part of the song. The first time I listened to it as a fifteen years old who wanted to be trve, I thought it was the weirdest thing it ever happened to an extreme metal album, he even thought it was a mistake, nevertheless he knew it was pure art, he knew it then and he knows it now. One of my lifetime favorite songs.

To close this masterpiece, we get the malevolent “The Velvet Room”, a song with a strong, evil leading guitar riff that takes you to hell, but enough catchy to enjoy and headbang to it. The drums in this song are superb, kind of a jazz effort; I challenge you to predict them even after listening to the song several times. A true masterwork.

In conclusion, 'The Curse Of Mankind' is a must listen not only for black metal enthusiast, but for extreme metal fans in general, as it has everything a metal album must have, great guitar riffs, long songs, terrific vocal efforts, a cohesive collection of tracks, challenging paces and rhythms and some kind of magic it'll make you say it is a classic. (Alejandro Morgoth Valenzuela)

martedì 23 gennaio 2018

Kval - S/t

#PER CHI AMA: Black Old School, Burzum
I Kval sono una nuova one man band finlandese, anzi no: il mastermind che sta dietro a tale monicker infatti, non è altro che colui che fino al 2015 guidava i Khaossos e questo album omonimo è, a dire il vero, la riproposizione di quel 'Kuolonkuu' che su queste stesse pagine abbiamo recensito, con la durata delle song leggermente più elevata. Difficile pertanto aggiungere qualche informazione addizionale ad un disco che, se fosse uscito nei primi anni '90, avrebbe dato filo da torcere a Burzum e compagnia bella, grazie, e riprendo le parole di quella recensione, ad una spettrale overture, e a brani successivi che si affidano ad un incedere ossessivo, tagliente e minimalista. Penso a "Sokeus", una traccia, che nei suoi oltre dieci minuti, mai accenna ad una accelerazione o ad una sfuriata che ne modifichi la sua desolante dinamica esistenziale. Un lavoro spoglio e tormentato che ha modo di mostrare dei tratti folklorici (ad esempio in "Harhainen") ma anche forti accenni di un disperato suicidal black (ascoltate "Kuolonkuu") che lo renderanno ai più un album ostico a cui avvicinarsi. Io, a distanza di quasi tre anni, mi confermo coerente con il voto che diedi alla primordiale forma di questo album dei Kval. Sofferenza allo stato puro. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2017)
Voto: 70

https://hypnoticdirgerecords.bandcamp.com/album/kval

domenica 1 ottobre 2017

Grift - Arvet

#FOR FANS OF: Depressive Black Metal
Eric Gärdefors' anguished and depressive black metal project, Grift, continues in its smooth, intimate, and captivating approach with another desperate cry into the untamed wilderness. The lonely house that Grift built, residing twixt the trees of a desolate forest and lying unlit under an ashen sky, is the prison of an isolated mind that dwells on the inherent insignificance of existence while awaiting inevitable demise.

Folksy acoustic guitars with pattering traditional drums, wailing cries both high and low, and a dive into the fury of fleeting black metal riffs characterize “Flyktfast”, Den Stora Tystnaden”, and “Utdöingsbygd” as genuine and significant standard metal affairs among a catalogue of introspective and disillusioned lyrics. After two minutes of a desolate and creeping intro, where the serenity of a quiet resonating cymbal tolling between creaks of wood is interrupted by distant cries, a barking dog, and a drop into Grift's most energetic song on this album, “Glömskans Jrtecken” harnesses its lonesome atmosphere in a tumble of emotions. The relentlessly kicking rhythm buffets long, drawn out guitars that longingly ring like organs, yearning to recapture a long lost mental state, stuck in a fleeting moment that is impossible to hold onto after conjuring a shadow if itself in retrospect. Lyrically, the song describes the somber revelation that memories merely malform over time. Through an easily-convinced naivete, minds that sought signs of the 'urkraft' or primordial force that has awakened mankind's cognition were simply imagining, never witnessing the spirits manifesting themselves in the greatness that so deluded such a once-impressionable youth.

The avant-garde moments of this release make up the majority of “Morgon På Stromshölm”, with its four minutes of birdsong, cymbal tinks, and a grating violin taking over the final minute of the track. “Nattyxne” embraces its desolation to drag the guitars through begrudgingly beautiful tones while assuring the listener that, despite all the pleasing sounds and picturesque landscapes it conjures, the tone of this album remains firmly entrenched in its dispirited disposition. Emotionally impactful, Grift's 'Arvet' is an unheard cry for help as the production fills the air with the moisture of falling tears and mesmerizing melancholic measures. The understated intensity of this album, lurking in the shadows before pouncing in “Utdöingsbygd”, creates a reversed rhythm crushing its own heart and wallowing in its self-absorbed misery while maintaining a firm grip on the desolate black metal structure that culminates in the swing of tremolos and blasts. (Five_Nails)

(Nordvis Prod - 2017)
Score: 75

https://nordvis.bandcamp.com/album/arvet

venerdì 29 settembre 2017

Ungraved Apparition – PULSE_0

#PER CHI AMA: Dark/Death/Black, Lifelover
Capitanati da una voce dal potere terrificante, la band russa degli Ungraved Apparition approda al suo primo full length attraverso Grimm Distribution/Satanath Records, in forma strabiliante. Un death metal di vecchia scuola, rallentato sulla falsariga di un sound di matrice doom caratterizzato da un'attitudine malata in odor di suicide black metal. Il suono seppur glaciale cede spazio alla melodia mantenendosi comunque ruvido nella sua corposità e nelle vocals, che non lasciano spazio a voci pulite. Come nel migliore degli incubi, con l'ascolto di 'PULSE_0' ci si immerge brano dopo brano in un vortice di emozioni orrorifiche, perverse e depressive, che ammaliano e catturano l'attenzione di chi ascolta. Un concept incentrato su una sorta di viaggio tra la vita e la morte di pazienti all'interno di un ospedale, dove chirurghi dallo humor nero e dal sadico sarcasmo, operano su pazienti inermi che ancora devono capire se il loro destino sarà giacere in eterno tra buio e umidità o se sperare in una salvezza dell'anima. Suoni sinistri, quadrati, potenti, composizioni originali e fantasiose, spesso anticipate da interludi che ne aumentano il tono dark, maligno e perverso. Per comodità, sottolineerei i primi tre brani del disco, a dir poco memorabili. Un ruolo fondamentale poi lo gioca, come detto, la performance del vocalist Damned che canta con una voce abrasiva ed in lingua madre (almeno presumo dai titoli) ottenendo splendidi risultati, calcando sempre pesantemente la mano su atmosfere oscure e presagi a dir poco spaventosi. Belle le aperture chitarristiche di matrice primi Paradise Lost cosi come buona è la produzione del disco, ideale per il tipo di prodotto, con quei suoi inserti d'atmosfera che ricordano band come Psychonaut 4 o Lifelover. La copertina tende ad indirizzare l'ascoltatore verso ambienti più duri del tipo grindcore o brutalcore, rivelandosi altresì ingannevole ma comprensibilissima se si conosce l'intento tematico dell'opera. Uno stile particolare, un modo di intendere il dark metal assai originale, un lavoro cerebrale e affascinante in tutta la sua drammaticità. Ottimo album! (Bob Stoner)

lunedì 5 giugno 2017

Suici.De.Pression - S/t

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal/Doom/Folk
'Suici.De.Pression' non è più solo il titolo di un album dei blacksters brasiliani Thy Light, da oggi è anche la nuova creatura del polistrumentista Vittorio Sabelli (qui sotto lo pseudonimo di Syrinx), che è dovuto "migrare" fino in Giappone per ottenere il contratto con l'etichetta MAA Productions. Il cd omonimo consta di tre tracce, tutte con titoli, testi ed atmosfere che non si possono certo definire solari. Ad aprire, gli oltre 20 minuti della funerea "De.Pression", con i suoi lenti tocchi di pianoforte a cui fanno seguito quelle anguste chitarre catacombali che non lasciano presagire a nulla di buono, su cui si stagliano le screaming vocals del frontman e con le melodie che sembrano richiamare la tradizione folklorica mediterranea, quasi a voler ricordare da dove il buon Vittorio è partito, da quei Dawn of a Dark Age, da poco recensiti su queste stesse pagine. Il flusso disperato prosegue in porzioni d'ombra che nemmeno lontanamente lasciano trasparire un filo di luce. Non ci sono chiaroscuri qui sia ben chiaro, ma solo una musica per anime disperate, cuori disperati, pianti disperati, stanze desolate, vie desolate, muri vuoti, occhi vuoti, parole vuote, giusto per parafrasare il testo della opening track che si dipana lungo un mid-tempo ritmato e porzioni ambient minimaliste. Delle chitarre marcescenti aprono "Despair", una song dal classico mood suicidal black, fatto di atmosfere insane, urla strazianti, dove non mancano neppure le sfuriate black, con le tastiere che giocano il fondamentale ruolo di smorzare la crudezza di un disco altresì estremo in tutto e per tutto. Deprimente ma elegante il break di pianoforte a metà brano, a cui segue una marcetta affidata a batteria e tastiere che per tre minuti si dilungano in giri melodici, atti a preparare il terreno ad un corrosivo finale e all'inizio della delirante "Paranoia", di nome e di fatto, con quel suo loop chitarristico davvero ossessionante e folle. Ancora una volta il retaggio folk del mastermind molisano galleggia in sottofondo, con suoni che contrastano l'alienazione mentale prodotta dalle rugginose chitarre dei nostri. 'Suici.De.Pression' alla fine è un lavoro interessante, ancora da sviluppare e sgrezzare, ma che mostra senza ombra di dubbio, ampi margini di miglioramento. Per quanto possa risultare un album per amanti delle sonorità estreme, un ascolto curioso lo darei lo stesso. (Francesco Scarci)

venerdì 17 marzo 2017

Malefic Mist - Il Richiamo dell'Inverno

#PER CHI AMA: Depressive Black, Burzum
I Malefic Mist sono una one man band di Milano, guidata da tal Mors Taetra che ho avuto già modo di conoscere e recensire con l'altra sua creatura musicale, i The Undergrave Experience. Gli MM francamente non li conoscevo e scorgendo il numero di release a loro carico, sono rimasto davvero impressionato: una quindicina, tra demo e split album, sono inclusi infatti nella discografia del musicista lombardo, peraltro senza mai aver rilasciato un full length. Quello che ho fra le mani oggi è 'Il Richiamo dell'Inverno', un demo cd composto tra il 2008 e il 2012, rilasciato in modo indipendente nel 2012 e solo nel 2016 grazie all'Adimere Records. Due le song contenute in questo lunghissimo lavoro che dura la bellezza di quasi 50 minuti. E la prima traccia, nonché title track, è costituita da oltre trenta minuti di sonorità glaciali, mid-tempo, che potrebbero chiamare in causa il buon vecchio Varg Vikernes e le sue produzioni più minimaliste. Difficile indicare qualcosa di particolare in una traccia che poggia buona parte della sua durata sul lento defluire di un paio di accordi di chitarra e pochi tocchi di basso, con la batteria lontano in sottofondo. Burzum e tutto lo stuolo di band depressive black non possono che essere il punto di riferimento per il mastermind italico. Solo dopo un quarto d'ora si avvertono le prime variazioni nelle linee di chitarra, grazie prima a delle armonizzazioni e poi ad un rallentamento abissale del già di per sé lento flusso sonico di Mors Taetra, qui aiutato da Gionata Ponenti alla batteria e chitarra solista nella successiva "Cuore di Lupo". I minuti scorrono sfiancanti e asfissianti con una ridondanza a livello dei suoni che ha un che di paranoico come quello di un pendolo meccanico in un orologio a pendolo. Nell'ultimo terzo di canzone, le chitarre si fanno più piene, pur senza cambiare l'accordo su cui poggiano, dandoci il definitivo colpo del ko. Arrivo francamente stravolto alla seconda tappa di montagna de 'Il Richiamo dell'Inverno' consapevole che potrei trovarmi di fronte all'ennesimo ipnotico giro di chitarra che questa volta durerebbe una ventina di minuti. Sono tocchi delicati quelli che sfiorano le corde della chitarra nei suoi primi sette minuti di sonorità che rischiano di condurmi direttamente alla pazzia; compare poi il suono arrugginito di una chitarra elettrica ad affiancare il componimento acustico, ma il risultato delirante non cambia ed un senso di inquietudine mi attanaglia la gola fino al raggiungimento degli ultimi interminabili attimi d'ascolto di questo alienante, ma per certi versi affascinante, 'Il Richiamo dell'Inverno'. (Francesco Scarci)

domenica 12 marzo 2017

Afraid of Destiny - Hatred Towards Myself

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal, Burzum
Gli Afraid of Destiny nel 2017 rilasceranno il loro secondo full length. Cosa di meglio allora che recuperare il loro ultimo EP, 'Hatred Towards Myself' e fare la conoscenza di questa realtà nata come one man band e nel frattempo divenuta un quartetto? Nati nel 2011 come Vitam Nihil Est, la creatura guidata da Adimere cambia ben presto moniker in Afraid of Destiny, dando alle stampe in sequenza ad uno split album, al debut, ad un altro paio di split prima di giungere a questo EP, datato 2013-2014 ma uscito solo nel 2016 in 50 limitatissime copie, che include tre sofferenti tracce di suicidal black. Come vuole il genere, ci troviamo di fronte a song dilatate, con ritmiche mid-tempo, chitarre ronzanti (Burzum docet), qualche raro utilizzo di synth e screaming vocals che trattano tematiche legate alla depressione o al suicidio. Questo è quanto potrete ascoltare nella opening track "Reflecting Under an Ascending Moon" e più in generale in un disco che raccoglie ovviamente tutti i cliché di un genere e ricerca, per quanto sia possibile (e complicatissimo), delle variazioni al tema. Ecco perché la traccia nel suo epilogo emula il conte Grishnackh e le sue intuizioni di 'Det Song Engang Var'. Un lunghissimo arpeggio di oltre tre minuti, apre "I Reject Life" (un vero inno alla vita) che poi si abbandona in un crescendo melodico davvero succulento che mantiene tutta la mia attenzione all'ascolto di questa song strumentale che sfodera alla fine anche un attacco di matrice post black. Si arriva alla title track, traccia dal mood oscuro e paranoico, in cui il buon Ayperos alla voce sembra un Gollum travestito da cantante. La song preserva lungo i suoi sei minuti il suo abito grigio scuro, quello da colloquio di lavoro, l'abito delle giornate di pioggia, quello ideale per un giorno da funerale, si il proprio. (Francesco Scarci)

domenica 26 febbraio 2017

Eyelids - Departure

#PER CHI AMA: Depressive Black, Blackgaze
Poche le informazioni trovate in rete a proposito di questa band nostrana: si tratta di un trio composto da M, F e D (facile, ma questo era già riportato all'interno del cd), le cui origini dovrebbero ricondurli alla Basilicata, fondati nel 2012 e che solo nel 2016 giungono alla pubblicazione di questo EP, grazie prima alla Masked Dead Records e poi alla Adimere Records. Tredici minuti di musica sono sempre pochi per giudicare appieno l'operato di una band, ma come si dice, chi si accontenta gode. E allora si prema il tasto play del lettore e ci si immerga nelle malinconiche atmosfere degli Eyelids e del loro 'Departure'. "Betrayed" rivela quanto i nostri siano dei cultori del blackgaze con una song mid-tempo, dotata dei classici ridondanti giri di chitarra a rallentatore che disegnano melodie strazianti (cosi come pure le vocals), di "burzumiana" memoria. Quello che apparirà subito chiaro è una produzione non propriamente cristallina, che ai cultori del bel suono magari farà storcere il naso, ma si sa che in questo genere, più si è sporchi e disperati, meglio è. La title track prosegue sull'onda emotiva dell'opener, evocando nelle sue linee di chitarra assai depresse, la primordialità che si riscontrava in 'Le Secret' degli Alcest. La lentezza si fa ancor più preponderante nella conclusiva "Disclosure", un pezzo che non aggiunge nulla di nuovo a quanto detto sinora, ma che offre un ulteriore spaccato della musica sofferente di questi ragazzi. Non è certo un disco che mi sento di consigliare a chiunque, ma coloro che sono fan di gente come Austere o Woods of Desolation, un orecchio lo porgano pure a questi Eyelids. (Francesco Scarci)

(Adimere Records - 2016)
Voto: 60

martedì 17 gennaio 2017

Kalmankantaja - Kuolonsäkeet

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal, Burzum
Sono infine giunto, al buio, circondato da antiche rovine Quechuas, con l'unica compagnia di un freddo gelido, a Pueblo Fantasma, Bolivia, 4690 metri sul livello del mare. Eolo sul mio volto sferza il suo fiato ove scanna runiche rughe intrise nel mio sangue con i suoi invisibili aghi, rune che brillano e pulsano nell’oscurità. Mi chiamo Kalmankantaja e sono un druido votato al male. Non mi ricordo nemmeno come ci sono arrivato fin qui. Dev'essere l'effetto delle troppe foglie di coca che ho masticato per resistere al freddo, alla fame e per riuscire a trascinarlo. Una cosa, però, me la ricordo bene: il motivo per cui sono lì. Scelgo la chiesa, ove accendo, con uno dei miei incantesimi occulti, un arcano fuoco. Lo pronuncio: “Sieluton Syvyys” e le fiamme divampano poco lontano da me. È stata per l’appunto “Sieluton Syvyys”, entry-track strumentale di 'Kuolonsäkeet', dei finnici Kalmankantaja ad evocare questa mia storia: la sua tastiera occulta, geopardata da rare ed arcane parole, ci inizia all’arte con note che da profonde, sulla scia dell’organo, si trasformano, s’innalzano e mi portano con loro nell’alto dei cieli. Accedo all’Empireo tenendo per mano Beatrice ma dimenticandomi di Dante. Ecco che odo i primi lamenti, i primi strazi, della mia vittima. Ebbene, non sono solo, l’ho portato con me. Finora aveva taciuto, sotto l’ipnotico effetto del mate de coca. Ora si sta risvegliando, tossisce. Quindi urla. Non oso immaginare quali oscure creature si annidino lì, nel posto in cui mi trovo, quali lugubri presenze stia per evocare, ma non ho paura. Io non ho paura di niente. Io non temo nessuno. Nessuno al di fuori di me. Sì, al di fuori di me, perché di me ho paura. Di me ho davvero paura: so come sono. Dentro. Tanto gentile e tanto onesto appaio ma chi mi calpesta… muore. No. Non subito: attendo buono per anni, con paziente disciplina. Faccio maturare per anni il mio silente odio proprio come si fa con il buon vino o come fa il più bastardo dei virus e solo quando tutto sembra tranquillo, quando sono certo che tutti abbiano dimenticato, solo allora colpisco. E vado fino in fondo, senza paura di insozzarmi. Calo la mia falce. Scanno, squarto. Ma non lascio mai tracce. Le sue urla. Sono le sue urla a dare inizio a “Yhdessä Kuoleman Säkeet Kohtaavat” lo strazio di uno che viene torturato e che mi chiede disperatamente di non venire ammazzato. Io semplicemente lo ignoro, anzi, dentro di me godo nel prolungarne le sofferenze. Lui per primo mi ha fatto del male. Senza motivo. La batteria scandisce un ritmo semplice, cadenzato, un quattro quarti lento, con brevi incursioni in ottavi, tipico del genere. Convince il gioco di velocità aumentata solo a tratti, dà corpus e magnificenza a questo brano. Le urla di strazio aumentano ed in quest’armonia s’incarnano alla perfezione in uno screaming potente. Bel lavoro ragazzi, ben fatto davvero. Chitarre distorte all’ennesima potenza punzecchiano ed infastidiscono con pure note di sana ultraviolenza la mia vittima che mai smette di lamentarsi, di contorcersi, come se a ripetizione fosse punta da migliaia di vespe mandarinia japonica. Urla. Urla nell'oscurità. Ma no, no, la mia falce non ha ancora mietuto la sua vittima, c’è ancora così tanto tempo e così poche cose da fare. La sua lama brilla perché ancora non ha assaggiato e non percola, lungo il suo filo, lacrime di sangue. Del suo sangue. Punto il mio bastone, mi concentro, rivolgo lo sguardo al cielo, levito ed al mio comando “Ruoskittu Ja Revitty”, lingue di fuoco all’improvviso si animano, s’innalzano e quindi tracciano un complesso e rotondo sigillo sul terreno con al centro la vittima che ancora urla. I suoi pochi stracci vengono divorati dalle fiamme che assaggiano fameliche anche qualche brandello delle sue carni ma niente di più: non vi sono infatti nuovi ingredienti rispetto la precedente track, non percepisco alcun gusto nuovo. Anzi lo schema si ripete. Belli i dieci minuti di "Yhdessä..." ma forse i successivi dieci di "Ruoskittu..." non vanno ad aggiungere molto. Non sono poi così tanto diversi, forse qui l’agonia viene prolungata un po' troppo. Sulle note di “Memento Mori”, la vittima inizia non solo a prendere atto che deve morire ma che la morte è ormai vicina. Mai giocare con i sentimenti di qualcuno. A meno che non si voglia finire… così. Le sapienti pennellate in solo di tastiera di “Oman Käden Teuras” ed i suoi crescendi, sanno risvegliarmi dal torpore, dandomi qualcosa di nuovo da assaporare. Di mio gusto le interruzioni di batteria. La vittima adesso viene tatuata agli occhi con aghi incandescenti. È questo il mio modo per dire: buona la prova di voce. Nuove sonorità e vocalizzi mi colgono impreparato in “Minun Hautani”: bella questa sorta di dialogo tra vittima e carnefice ovvero il gioco di voci pulita e screaming. Di fronte a “Synkkä Ikuisuus Avautuu” non mi resta che lanciare una moneta per decidere le sorti di questo 'Kuolonsäkeet': testa promosso, croce si muore… …ma la mia è una moneta speciale, dedicata a Giano… e Giano si sa… ha due facce. Invece con la mia vittima non sarò così buono: pollice verso. Morte! Morte! Morte! Mai giocare con… (Rudi Remelli)

mercoledì 26 ottobre 2016

Eterna Rovina - Metamorfosi

#PER CHI AMA: Black Depressive, Movimento d'Avanguardia Ermetico
Le one-man-band rischiano di essere fin troppo inflazionate ultimamente; l'ultima arriva da Urbino, gli Eterna Rovina, ed è opera di tal F., membro peraltro di Batrakos e Sonnenrad. Il giovanissimo musicista marchigiano (21 anni), ci presenta 'Metamorfosi', disco uscito per diverse etichette, tra cui la messicana Silentium in Foresta Records, che ha dato alle stampe la prima release di 'Metamorfosi' e la nostrana Adimere Records, che ha ristampato un cd che era andato velocissimamente sold-out. Questo potrebbe lasciar presagire le ottime qualità del mastermind italico, ma andiamo con ordine e cerchiamo di analizzare pregi e difetti di questo lavoro d'esordio. Intro rumoristica e poi il suono del mare ci conduce a "Decadendo nel Flusso", traccia di black mid-tempo, che sottolinea la vena atmosferica degli Eterna Rovina e di un sound che a più riprese, apparirà ispirato dalla natura e dalla cosmologia filosofica, ma che in termini di suoni, risulterà invece penalizzato da una registrazione a tratti imbarazzante. Peccato, perché la traccia d'apertura (che ritroveremo anche ne "Il Respiro del Silenzio") mette in luce un sound ancestrale, primigenio, condito da serratissime ritmiche su cui si stagliano gli aspri vocalizzi di F., ma che aprono anche a desolati paesaggi evocanti lo spirito del maestro Varg Vikernes. A questo aggiungete poi una diffusa vena malinconica che permea e dona una aurea di mistero all'intero lavoro, contribuendo anche ad una certa alternanza ritmica che si sposa egregiamente con la proposta degli Eterna Rovina. "Memorie del Caos" è un brano più ritmato, che dall'inizio alla fine non ha da offrire grossi sussulti se non una coerente linearità ritmica sovrastata dall'arcigna performance vocale di F. che ci accompagna fino al secondo intermezzo noise "Eco Astrale II". "Ombre di Cenere" non si discosta poi molto dalle precedenti, garantendo sonorità adombrate (quasi funeral doom) di cui sottolineerei il cantato in italiano facilmente intellegibile e uno spaccato di musica lirica da brividi, che eleva qualitativamente, anche se per pochi secondi, la proposta dell'oscuro individuo che si cela dietro al moniker Eterna Rovina, che si avvia verso un epico finale. Ancora una manciata di secondi all'insegna di suoni misteriosi e tocca a "Il Respiro del Silenzio" regalarci squarci di musica emozionale che si muovono tra depressive e post black (in un finale pazzesco), evocando a più riprese la proposta dei piemontesi Movimento d'Avanguardia Ermetico. Quel che stona però nella proposta del musicista italiano è una certa artificiosità nei suoni di batteria (ah, maledette one-man-band con la drum machine!!) e poi il grossolano errore a livello di volumi a fine brano (e inizio successivo) in cui sembra ci sia qualcuno che si diverta a fare su e giù con la leva dei volumi, un vero peccato, che comunque non pregiudica la prova dignitosa di un giovane musicista che ha davanti a sé tutto il tempo per migliorare, imparando dagli errori passati. Alla fine 'Metamorfosi' è un disco per certi versi interessante, ma che necessità di una maggior cura nei dettagli per evitare quei grossolani errori che rischiano di oscurare la buona riuscita di un album. (Francesco Scarci)