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giovedì 16 novembre 2023

Wojtek - Petricore

#PER CHI AMA: Sludge/Hardcore
Li avevamo lasciati nel 2021 con 'Does This Dream Slow Down, Until It Stops?', li ritroviamo oggi con un album nuovo di zecca, 'Petricore', dietro al quale si cela una metafora legata alla sensazione olfattiva di quando la pioggia viene a contatto con la terra arida da tempo, metafora che evoca temi etici ben più profondi che vi invito ad approfondire. I veneti Wojtek, freschi di una rinnovata line-up, arrivano quindi con sei nuovi caustici pezzi che si muovono nei paraggi di uno sludge/hardcore, anche se l'opener "Hourglass" sembra dirci altro del quintetto patavino. Si parte con una galoppata al fulmicotone tra voci abrasive e ricami di chitarra che oltre ad affiancare un rifferama sferzante, danno una parvenza di melodia a un pezzo che potrebbe invece risultare alquanto indigesto. Invece, dietro alla furia velenosa dei nostri, mi sembra addirittura di percepire un tono malinconico, sia nelle linee delle sei corde che nella voce del frontman. La medesima sensazione l'avverto anche nella successiva "Dying Breed", song che palesa subito in apertura un chorus che va a confermare questa mia ipotesi, anche se poi il brano abbraccia influenze più post hardcore oriented, mostrando qualche tiepido rallentamento verso metà brano, da cui ripartire più ritmati che mai, e dove a mettersi in luce è il growling incisivo di Riccardo Zulato, grazie a degli urlacci ben assestati, coadiuvato poi da altri cori. "Now That You Are Gone" si presenta invece decisamente più intimista: le cupe atmosfere sono straziate dalla disperata voce del vocalist, le melodie si palesano in sottofondo in una progressione che porta le chitarre a gonfiarsi, l'aria a dilatarsi fino a lasciare le sole chitarre a ringhiare solenni nell'etere, prima che gli altri strumenti tornino a unirsi alle ambientazioni sludgy costruite dall'ensemble italico e sfoggiare sul finale, una specie di primordiale assolo chitarristico. "Giorni Persi" rappresenta il singolo del disco, rigorosamente cantato in italiano (una prima volta per la band questa), sembra essere una miscela tra punk, hardcore e ancora rallentamenti sludge, anche se il muro ritmico appare mutuato dal riffing possente degli IN.SI.DIA, periodo 'Istinto e Rabbia'. La song poi evolve, nella sua brevità, verso lidi emo/post hardcore. Si torna a durate più consistenti (stabili sempre tra i sei e i nove minuti) con la melmosa "Inertia Reigns" e un sound pachidermico che non fa troppi prigionieri nella sua psicotica progressione musicale che tocca il doom più ipnotico nel suo corso e che la suggellano a mia song preferita del disco. La chiusura è affidata al noise disturbato ed ipnotico di "Hail the Machine", costituita da un paio di riff che s'intersecano con una voce sempre più convincente e un drumming marciante, interrotto solo da un brevissimo break acustico, poi costantemente accompagnato dall'acidissima prova gutturale di Mattia Zambon e dai cori di Morgan Zambon e Riccardo Zulato, che chiudono una prova sicuramente convincente dei Wojtek, che potrebbe aprire a una certa internazionalizzazione della band nostrana. Bene cosi. (Francesco Scarci)

(Flames Don’t Judge/Fresh Outbreak Records/The Fucking Clinica/Dio Drone/Shove Records/Violence in the Veins/Teschio Dischi - 2023)
Voto: 74

https://diodrone.bandcamp.com/album/petricore

venerdì 27 ottobre 2023

Goatroach - Plagueborn

#PER CHI AMA: Death/Doom/Sludge
Usciti digitalmente a settembre 2022, i finlandesi Goatroach sono entrati nei radar della Sleeping Church che ne ha pubblicato fisicamente il disco un anno dopo. 'Plagueborn', debutto su lunga distanza della band di Kuopio, è pertanto pronto ad entrare nei vostri impianti stereo. Un bel tastierone apre la strumentale intro "Crawling Through the Apocalypse" e poi largo al marciume sonoro propinato dai quattro musicisti finnici in "Alone in the Universe", per un blending doppio malto, tra orrorifico sludge/doom ed una marcescente vena death. Niente di nuovo quindi all'orizzonte ma quanto proposto è comunque ben interpretato con tutti i sacri crismi e orpelli vari del genere. Un impianto di base asfittico fa infatti da contraltare al death doom old school che s'incontra nella terza "Of Guided Missiles and Misguided Men", una traccia ben ritmata, che comunque mi riconduce indietro nel tempo di quasi trent'anni, con quei suoi chitarroni belli profondi, le voci catarrose, un break atmosferico che esploderà anzi tempo, in una vertiginosa e mefitica scarica black. Che diavolo succede? I nostri ci illudono con un certo tipo di sonorità per poi colpirci a tradimento con qualcosa di più violento. E la medesima cosa accade anche nella melmosa "Rise Above the Primate", sludgy fino al midollo almeno fino al minuto 2.50, laddove ci ritroviamo sul dirupo, con vista infinito, e i nostri ci spingono giù con un'altra ritmica serrata e vorticosa che ci farà rotolare fino di sotto. Ancora suoni marci con "An Echo of Blood" e la successiva "Excarnated" che per certi versi, mi ha evocato un che dei primissimi Cathedral miscelato agli Autopsy più compassati. Interessante l'incipit di basso della psichedelica "Nykyhetki on Vain Huomisen Eilinen", accompagnato qui da un cantato pulito (e non solo) in lingua madre che ci accompagnerà attraverso contorti giochini di tastiera e dirompenti sferzate ritmiche fino alla conclusiva "Unworthy of a Grave", che chiude i 33 minuti di questo lavoro, all'insegna di sonorità fangose, pesanti e asfissianti di "neurosiana" memoria, che potrebbero di certo allietarvi la prossima giornata dei morti. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2023)
Voto: 70

https://goatroach.bandcamp.com/album/plagueborn-2

martedì 26 settembre 2023

Chorosia - Stray Dogs

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
È un EP di una mezz'ora importante quella della multinazionale che risponde al nome di Chorosia (il cui moniker sul disco lascia intendere peraltro tutt'altro nome). Fatto sta che 'Stray Dogs' è un lavoro che arriva a due anni dal precedente - il secondo - Lp della band viennese (che include membri provenienti da Lussemburgo, Germania, Bosnia e appunto Austria), anche se l'anno scorso i nostri hanno rilasciato addirittura una Live Session di quattro pezzi. La proposta dei nostri si muove all'interno dei confini di certo post metal/sludge che chiama immediatamente alla mente i Neurosis per l'intelaiatura ritmica e le vocals un po' acide del frontman. Tuttavia la traccia d'apertura, nonchè anche title track, nei suoi oltre 10 minuti, palesa porzioni atmosferiche che si affiancano a sfuriate più brutali, senza perder comunque di vista una buona dose di melodia che si esplica in partiture dai toni mediorientali, che evidenziano quindi una certa ricerca musicale da parte dei nostri. Questo sarà ben evidente negli ultimi due giri di orologio di un brano complesso, ben strutturato e dotato di quella capacità di far collidere come sempre l'ossessività dello sludge con il groove dello stoner. Decisamente più thrash metal oriented è invece "The Shrike (Fire Assault)", costruita su un riffone d'annata su cui si inserisce la voce sporca del vocalist e un drumming non del tutto lineare. Fantastico però il cambio di tempo che porta all'assolo conclusivo che ci consegna una band in cui convive un'anima hard rock combinata con una stoner. "Tintinnabula" è il classico elemento acustico-strumentale che funge da raccordo tra la prima metà del disco e la sua seconda parte che include ancora "Reflections" e "Hands, Switchblades, and Vile Vortices". La prima delle due è un'altro pezzone di poco più di dieci minuti che si apre con atmosfere soffuse, un blando crescendo ritmico corredato da timide voci pulite che amplifica la sua veemenza verso il quarto minuto, irrobustendo il quadro ritmico e al contempo inacidendo le vocals, per completare il tutto con un bel vibrante assolo conclusivo che toglie le castagne dal fuoco dall'elevato rischio di intorpidimento mentale nel quale la band si stava infilando. Chiusura affidata infine a "Hands, Switchblades, and Vile Vortices", traccia decisamente più nervosa, rabbiosa e con una combinazione di riff che si dipana tra sludge, death-doom e sonorità oblique di dubbia natura, che chiudono un disco non troppo facile da assimilare, ma che farà comunque la gioia degli amanti del genere. (Francesco Scarci)

(Grazil Records - 2023)
Voto: 70

https://chorosia.bandcamp.com/album/stray-dogs

mercoledì 9 agosto 2023

The Lumbar Endeavor - You Destroyed All That I Was

#PER CHI AMA: Sludge/Hardcore
L’acidissima band di Portland torna con un nuovo EP (il quarto in questo 2023, a cui aggiungere anche due full length) di quattro pezzi, per raccontarci la loro personalissima lotta interiore. Lo fanno attraverso ‘You Destroyed All That I Was’, un dischetto che sottolinea ancora una volta come i The Lumbar Endeavor siano profondi debitori di un doloroso sludge, stoner, doom multisfaccettato. Il risultato non è affatto male e in pochi minuti si passa dalle sinistre, tetre e angoscianti atmosfere di “An Ancient, Dark Ghost”, corredata dalle caustiche voci del factotum Aaron DC, alle più movimentate atmosfere di “The Stars. The Stripes. The War Drums.”, un brano decisamente nervoso nel suo incedere. Con “I’m Your Lighthouse”, le ritmiche si fanno ancora più tese grazie ad un retaggio punk/hardcore che emerge bello chiaro e potente. Ovviamente, non sto raccontando nulla di nuovo, la creatura del buon Aaron, l’uomo delle quasi 50 band, la conosciamo e apprezziamo da 10 anni. E continuiamo a farlo anche con la più ritmata “Battle-Axe”, il pezzo più compassato del lotto, ma anche quello che preferisco (sarà perché si tratta di una cover dei Deftones), perchè forse più ricercato, soprattutto a livello delle melodie di chitarra che sembrano stamparsi più facilmente nella testa. Ribadisco, nulla di innovativo o originale, come era lecito aspettarsi, ma musica comunque suonata con una genuinità palpabile. (Francesco Scarci)

martedì 8 agosto 2023

Thumos - Musica Universalis

#PER CHI AMA: Instrumental Post Metal
Recensiti da poco con l’infinita raccolta di loro demo, ecco riaffacciarsi i Thumos e il loro angosciante post-metal strumentale, nonostante in questo 2023, abbiano già visto la luce un full length e un altro EP. ‘Musica Universalis’ è il loro ultimo parto, un lavoro breve che potrebbe fare da preludio ad una nuova, ennesima, più lunga e strutturata release che sicuramente, la prolifica band americana starà architettanto. Nel frattempo, ascoltiamoci “Mysterium Cosmographicum”, un pezzo che riflette tutti i sacri crismi del post metal, grazie a chitarroni super distorti, atmosfere accattivanti, melodie non scontate, ma anche accelerazioni furiose che strizzano l’occhiolino al black metal, come già abbiamo più volte sottolineato in occasione di precedenti recensioni. In questo caso, il sound è piuttosto vario, di più facile ascolto e, sebbene continui a trovare l’assenza della voce penalizzante, non posso che godere della proposta dei quattro anche nella successiva “Astronomia Nova”, un pezzo che nella sua brevità, sembra raccontare in musica, le recenti scoperte fatte dal telescopio James Webb. “Harmonices Mundi” continua su binari similari al primo brano, mostrandosi ancor più varia, sofisticata e in taluni frangenti, davvero aggressiva. Insomma, un buon antipastino in vista di qualche nuovo piatto ricco, che sono certo la band statunitense, stia preparando. (Francesco Scarci)

(Snow Wolf Records – 2023)
Voto: 70

https://thumos.bandcamp.com/album/musica-universalis

domenica 6 agosto 2023

The End of Six Thousand Years – S/t

#PER CHI AMA: Sludge/Post-Metal/Crust
Ci hanno messo un po’ per rimettersi in sella i The End of Six Thousand Years. Dopo un silenzio durato 11 anni, fatto salvo per un singolo uscito nel 2020, il quintetto italico formato da membri ed ex di Postvorta, Hierophant e Viscera///, ci spara addosso un EP autointitolato di quattro pezzi. Quattro caustici brani che si muovono nei paraggi melmosi delle loro band originarie. Questo almeno quanto si evince quando a decollare nel mio lettore trovo “Collider”, che parte sludgy al punto giusto, per poi dare un paio di scarburate pesanti, tra accelerazioni alla Ulcerate, rallentamenti di scuola post metal, ripartenze feroci, il tutto condito dalla selvaggia voce dell’ex Postvorta Nicola Donà. La proposta della band è corrosiva quanto basta anche e soprattutto, nei momenti più atmosferici o dissonanti del disco. Si continua a picchiare durissimo con le chitarre funambolicamente “svedesi” di “Endbearer”, un pezzo che vede una certa apertura melodica che finisce per collidere con certo retaggio crust/hardcore dell’ensemble nostrano. Tra continui cambi di tempo, melodie sghembe e vorticose raffiche di chitarra si arriva a “Voidwalker”, un pezzo che è un’altra mazzata nello stomaco, come se i Deathspell Omega suonassero sotto l’influsso malsano del crust, in una poderosa e dirompente avanzata di chitarre imbufalite. In chiusura la cover dei Today is the Day, ossia “The Man Who Loves to Hurt Himself”, in una rilettura del brano della band statunitense, distorta quasi quanto l’originale, a decretare quanto i The End of Six Thosand Years siano oggi incazzati, in forma e tosti più che mai. (Francesco Scarci)

mercoledì 7 giugno 2023

Lethvm - Winterreise

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge
La scena post metal belga sembra godere di ottima salute. Dopo gli Amenra e gli Stake, ecco farsi strada i Lethvm con il terzo album della loro discografia, 'Winterreise'. L'album, consta di sei tracce, e si prefigge di mettere in musica sentimenti quali rabbia, malinconia e solitudine, articolati utilizzando poesie del XIX secolo scritte da Wilhelm Müller e peraltro già musicate da Franz Schubert nel 1827 nel ciclo di composizioni 'Viaggio d'inverno'. Il disco ha un incedere fin dai primi minuti parecchio saturnino, in un'intelaiatura metallica che comunque chiama in causa mostri sacri, Neurosis su tutti, senza tralasciare gli Amenra stessi degli esordi. L'iniziale "Blank" lo certifica appieno con quel suo sludge doom dai tratti quasi ossessivi che per i primi 60 secondi incendiano l'aria, prima di lasciare il posto ad un sound più ritualistico, quasi lisergico, con le vocals di Vincent Dessard, anche in chiave pulita, in un incedere cadenzato a dir poco inquietante e sul finale quasi malvagio, complice il growling nefasto del frontman. La successiva "Pretence" ha un incipit decisamente più etereo, cosa che mi ha evocato peraltro l'esplorazioni musicali dei nostrani At the Soundawn ai tempi di 'Shifting'. La voce del frontman qui tocca apici di pulizia che potrebbero addirittura ricordare Dave Gahan, prima di spostarsi in territori più animaleschi, al pari della musica, che sprofonda in lidi infernali in bilico tra post metal e funeral doom, in una traccia dall'andatura comunque flemmatica, ma al contempo estremamente melodica, che ammicca nel finale, anche ai Cult of Luna. Con "Torrents", la malinconia sembra palesarsi nei giri di chitarra e nei vocalizzi puliti del cantante. Poi spazio al classico scardinante chitarrismo post metal e alle vocals corrosive del bravo Vincent, ma un certo avanguardismo sonoro s'incunea nella matrice sonora dei Lethvm a creare un subbuglio sonico, che terrei più presente in future produzioni. L'asprezza delle ritmiche, accompagnate ad una voce sempre più tagliente (occhio però ai continui inserimenti della componente clean), chiudono un brano davvero particolare. Nella successiva "Carved" torna prepotente l'influsso dei Cult of Luna nella compattezza ritmica, cosi come pure nella splenica componente vocale. Ma la proposta dai Lethvm ha il pregio di offrire un certo vigore emozionale nelle note atmosferiche di un break da brividi, da cui si dipanano successivamente splendide melodie corredate da ispiratissime vocals, in grado di mettere d'accordo chiunque ami i gods svedesi o i conterranei Amenra. Pezzo sublime. Un po' meno dicasi di "Mournful", song che vede fortunamente l'ospitata delle vellutate corde vocali di Elena Lacroix al microfono, in una traccia davvero ostica da digerire, precariamente in bilico tra post e sludge, stemperata appunto dagli eterei vocalizzi della vocalist che mi ha per certi versi evocato i The 3rd and the Mortal degli esordi. La conclusiva "Night", brano da cui è stato peraltro estratto un video visionario, chiude con catartica emozionalità un disco convincente sotto tutti i punti di vista, che lascia intravedere ampi margini di crescita per il terzetto belga, sulla scia di quanto già fatto da Magnus Lindberg e soci. (Francesco Scarci)

(Dunk! Records - 2023)
Voto: 77

https://lethvm.bandcamp.com/album/winterreise 

giovedì 16 marzo 2023

Grava - Weight of a God

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal
Torna l’Aesthetic Death con un’altra delle sue uscite ad effetto. Questa volta l’etichetta britannica è andata a scovare i Grava in Danimarca, un terzetto originario di Copenaghen formatosi nell’anno del lockdown da Covid. Complice verosimilmente quello stato di angoscia generato dall’essere chiusi nelle proprie abitazioni, deve aver portato i tre musicisti a partorire questo angosciante esempio di blackened sludge/post-metal sperimentale di stampo americano (Neurosis docet). Sette i pezzi che sciorinano i nostri per cercare di convincerci della bontà della loro proposta. Si inizia con le fluttuanti melodie di "Waves" che mettono in mostra le peculiarità della band ossia un ipnotico rifferama sludge, vocals che si dimenano tra l'urlato e il growl e un'aura malinconica di scuola Amenra/Cult of Luna che aleggia per questo e i successivi pezzi. Dopo appena tre minuti è il tempo di "Bender" e le atmosfere si fanno ancor più cupe con un muro di chitarre e voci caustiche davvero da incubo, spezzate da frangenti di chitarra più melodici sul finale di un brano che supera di poco i tre minuti e mezzo. Strana la scelta di avere pezzi cosi brevi per un genere spesso contraddistinto invece da lunghe durate. Ma anche le successive "Crusher", "Alight", "Cauldron" e "Appian Way" (quest'ultima stralunata song si colloca addirittura sotto i tre minuti) continuano con questo trend, non solo legato al minutaggio ma anche ad una proposta musicale che si mantiene fedele ai dettami di uno stile che trova qui delle scappatoie in cambi vocali, per la presenza di brevi assoli che accompagnano le dissonanti linee di chitarra. Solo la conclusiva "The Pyre" si discosta non solo in termini di durata dal lotto delle restanti, con oltre otto minuti che condensano quanto ascoltato sin qui ma musicalmente perpetrano, con più break atmosferici, un sound più tormentato per molti più giri d'orologio. Insomma, quello dei Grava è un album complesso e non cosi facile da avvicinare, però potrebbe comunque regalarvi spunti interessanti in un ambito che inizia a scarseggiare per freschezza di idee. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death – 2022)
Voto: 70

https://gravadanois.bandcamp.com/album/weight-of-a-god

venerdì 24 febbraio 2023

Deliverance - Neon Chaos in a Junk​-Sick Dawn

#PER CHI AMA: Black/Sludge
Sei tracce per oltre sessanta minuti di musica, pronti a sostenerle? La proposta del quartetto parigino, al terzo atto con questo ‘Neon Chaos in a Junk​-Sick Dawn’, è un black variegato che si muove tra sfuriate di una violenza inaudita, intermezzi elettronici e parti decisamente al limite dello sludge. Tutto questo è quello in cui vi imbatterete nell’ascolto di questo disco, condito poi dalle graffianti vocals di Pierre Duneau e da una buona e costante dose melodica. Parlavo poco fa di black/sludge, ed è ciò che avrete modo di saggiare già dall’iniziale “Salvation Needs a Gun”, song che parte feroce, veloce, melodica ma che ad un certo punto del suo corso, tirerà la migliore delle inchiodate (termine gergale tipico delle mie parti per identificare una super frenata) per poi proseguire verso un finale tutto in salita, interrotto ahimè troppo prematuramente. Si riparte poi con le stralunate chitarre di “Venereal”, una traccia dal piglio più criptico e sinistro. I pezzi forti del disco mi sembrano tuttavia rappresentati dalle due maratone, affidate ai 18 minuti di “Odyssey” e agli oltre 17 di “Fragments of a Diary from Hell“, che combinate tra loro, costituiscono oltre la metà del disco, in fatto di durata. I contenuti? Molteplici, dal dark rock iniziale di “Odissey”, in cui anche la voce di Pierre assume sembianze pulite, ad una musicalità decisamente più orecchiabile e minimalista, visto un lungo break atmosferico poco prima di metà brano. Poi i nostri, in un percorso quasi orrorifico, aumentano i giri del motore, almeno per quanto concerne la potenza delle chitarra e, infarcendo il tutto di una buona dose di psichedelia, post metal e sludge/doom, sfoderano una prova davvero interessante. Almeno quanto il secondo interminabile capitolo, la lugubre “Fragments of a Diary from Hell“, che per quasi sei minuti tiene banco con quelle sue atmosfere ambient-droniche di pink floydiana memoria, per poi dirottare verso suoni sludgy, responsabili della chiusura del disco. In mezzo invece le più ordinarie (si fa per dire) “Up-Tight” e “Neon Chaos”: la prima nella sua andatura sludge sfoggia dapprima un lisergico break e poi fendenti black; la seconda invece, mostra un cantato quasi robotizzato in un contesto ancora sludge e post metal. Alla fine quella dei Deliverance è una proposta a tratti assai originale, che necessita tuttavia di molteplici ascolti per essere immagazzinata nel migliore dei modi. (Francesco Scarci)

mercoledì 11 gennaio 2023

Die Sünde - Strega

#PER CHI AMA: Post Metal/Hardcore
No, i Die Sünde non sono l'ultima new sensation tedesca, i nostri sono infatti una nuova realtà del nostro paese, di Padova per l'esattezza. Questo è il loro EP di debutto che li vede proporre un sound all'insegna di un post metal/sludge dalle forte tinte crepuscolari. L'unico pezzo incluso nel disco è rappresentato dai 20 minuti abbondanti della title track, "Strega", che si apre con le tiepide percussioni e dove la batteria assume il ruolo cardine, con la chitarra relegata solo in secondo piano. La voce fa la sua comparsa al quarto minuto con una tonalità stridula in uno screaming quasi black. Nonostante questi vocalizzi, la musica si conferma però come un mid tempo guidato dal tremolo picking delle chitarre che disegnano con discrete melodie. Largo spazio poi allo strumentalismo con una lunga parte scevra da isterismi musicali fatti di furia e violenza. Detto che la batteria si conferma costantemente in primissimo piano, un break quasi di mutismo cosmico si palesa verso il minuto 7.30 per segnare qui una sorta di punto di svolta per la band, con la proposta dell'act veneto che si fa ora ben più cattiva. Tuttavia, la musica stenta a decollare se non per una sfuriata post black al minuto 9.30. Forse un po' poco per ascrivere questo disco tra i debutti più memorabili della scena metal nostrana. Una nuova variazione al tema, soprattutto a livello vocale, per l'utilizzo di un cantato post hardcore, lo sentiamo verso l'undicesimo minuto, con la musicalità che si fa altrettanto malinconica. E qui sembra di aver a che fare con una band totalmente differente, peraltro che si lascia apprezzare maggiormente rispetto al più spigoloso lato black ascoltato sin qui. Al dodicesimo minuto (manco fosse una telecronaca di una partita) assistiamo ad una nuova ripartenza, un break chitarristico, una lunga parte strumentale che di certo non ruba l'occhio per originalità. Il disco scivola cosi quasi mestamente lungo la sua conclusione, senza ulteriori spunti degni di nota. Il lavoro alla fine necessita urgentemente di un miglioramento sia a livello musicale che di sognwriting, soprattutto laddove (leggasi nel finale) la band finisce per avventurarsi in territori più disarmonici e particolari. Da riascoltare. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records - 2022)
Voto: 63

https://drownwithinrecords.bandcamp.com/album/strega-2

giovedì 10 novembre 2022

RÝR - Transient

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
La lingua islandese ormai è di grande ispirazione per un fottio di band: dai titoli delle canzoni ai moniker, non ultimi questi berlinesi Rýr (il cui significato sarebbe sterile, scarso o debole). Quello di oggi è un quartetto che giunge con questo 'Transient', al traguardo del secondo album, offrendo un concentrato di post metal strumentale. Quando penso a questo genere poi, mi viene in automatico pensare ai Russian Circle, leader indiscussi di queste sonorità. Diciamo subito che i quattro teutonici se la cavano piuttosto bene, attraverso un'alternanza di chiaroscuri e partiture più tirate, ove inciampare e fermarsi per prendere fiato. Questa è bene o male la chiave di lettura che ci regala sin da subito l'iniziale "Trajectory", quasi nove ostici minuti di suoni ondivaghi, ove criptiche atmosfere seguono le roboanti ritmiche del duo di asce formato da Marius Jung e Lukas, o dove ancora la progressione musicale rende più dinamico un brano, "Derisive", che probabilmente soffrirebbe un po' della mancanza di un vocalist. Tuttavia, i nostri si muovono con una certa disinvoltura in un marasma musicale, dove il rischio di mettere il piede sull'uovo sbagliato porterebbe solo ad una gran frittata. Ma invece i Rýr continuano a giocare su un'altalena ritmica che vi terrà quanto meno incollati fino alla conclusiva "Shattered", passando dalla più corrosiva "Alienated", dove le chitarre tremolanti potrebbero ben collocarsi anche in un album post-black, o la sinistra title track con le due asce a divertirsi nel creare accanto al classico wall of sound, dei giochini più spettrali in tremolo picking e dove a palesarsi più forte che mai, sarà il basso di Kay. Si arriva quindi in coda al disco con la fosca e più doomish "Shattered" che per oltre nove minuti, avrà modo di esibire suoni graffianti, ritmati e oltremodo pesanti, alternati a parti più sognanti di grande eleganza. Insomma un ritorno con i fiocchi quello dei tedeschi Rýr, che potrebbero avere tutte le carte in regola per dare filo da torcere ai maestri di sempre. (Francesco Scarci)

(Golden Antenna - 2022)
Voto: 75

https://ryrpostmetal.bandcamp.com/album/transient 

martedì 8 novembre 2022

Beware of Gods - Upon Whom The Last Light Descends

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal
Chicago, Illinois. Ecco da dove arrivano questi Beware of Gods, misterioso duo dedito ad un sludge/post metal dalle tinte fosche e stralunate. 'Upon Whom the Last Light Descends' è il loro biglietto da visita che ho iniziato ad ascoltare con un certo interesse un paio di mesi orsono e mi porta oggi alla scrittura di questa recensione. Cinque pezzi catartici che si aprono con "Invitation (I Am Named After Death)" ed un sound che lascia spazio a viaggi mentali in preda a sostanze psicotrope e visioni cosmiche che ben potrebbero conciliarsi con l'immagine di copertina del disco. Il sound è sicuramente originale, muovendosi a tratti nel noise, nella psichedelia, nel post metal o nello sludge, come si evince dalla ritmica rallentata della seconda metà del brano. Ma non mi fermerei a queste sole influenze, dato che l'abrasiva voce di The Archetype potrebbe richiamare lo screaming tipico del black, cosi come alcune derive soniche accostano la proposta del duo statunitense a suoni dronici. I vocalizzi del frontman assumono comunque molteplici sembianze, dallo screaming dicevamo dell'opener alle spoken words ma anche un pulito suggestivo ed intrigante. Convincenti, non c'è che dire. Anche se nella seconda "Nightmare in the Dreaming House" si potrebbe cogliere più di un accostamento ai Neurosis, ma la voglia di emergere dalla massa, fa si che i due enigmatici musicisti regalino sonorità astruse, disarmoniche e a tratti caotiche, sortendo un continuo effetto di imprevedibilità, soprattutto quando mi pare che i nostri flirtino con un sound vicino all'alternative dei Deftones, con dei chitarroni comunque frastornanti a fissarsi nelle orecchie. Con "It Sleeps", le sonorità si fanno più sonnecchiose, vuoi forse anche un titolo che richiama il sonno. Ma il sonno in cui ci faranno sprofondare non è certo quello ovattato, ma sembra più qualcosa di inquietante e disturbante, un incubo ad occhi aperti da cui fuggire sarà impresa ardua, anche laddove i nostri sembrano rinunciare a dar fuoco alle polveri e preferendo un versante più atmosferico. Diffidate gente, diffidate, con i Beware of Gods c'è poco per restare sereni e non guardarsi le spalle, la progressione ritmica pur rimanendo bloccata dietro l'angolo, questo pezzo più degli altri vede un approccio ritmico verso gli sperimentalismi dei Terra Tenebrosa o più indietro nel tempo, a riferimenti che ammiccano a Ved Buens Ende e Virus. Ipnotici, angoscianti, malati, il sound dei BoG prosegue in un pezzo apparentemente più affabile e abbordabile, "It Wakes (to Destroy Us)", dove a livello vocale, c'è un'alternanza tra il cantato pulito, lo screaming ed una terza modalità che, non so per quale astruso motivo, mi ha evocato i Soundgarden. Forse sono un visionario, forse inizio a sentire la mancanza di Chris Cornell, però ho percepito una forma primordiale della band di Seattle che sottolinea comunque ancora una volta, un certo ecletismo sonoro da parte dei due artisti. A chiudere questo primo capitolo, ci pensano le asfissianti e lisergiche note di "House of Locusts (Intravenous Sunshine)", che ci inghiottiscono definitivamente nel mondo malato dei Beware of Gods, che in questo loro debutto si sono peraltro ispirati al mito di Azathoth, l'onnipotente "The Blind Idiot God" descritto da HP Lovecraft nelle sue opere, a testimoniare quanto questi due stravaganti personaggi abbiano da raccontare attraverso la loro musica. (Francesco Scarci)

lunedì 24 ottobre 2022

Full of Hell - Aurora Leaking From An Open Wound

#PER CHI AMA: Sludge/Grind
Dai, prendetevi sei minuti e 44", e ascoltatevi anche voi il nuovo 7" dei corrosivi Full of Hell, band statunitense dedita ad una forma sperimentale di estremismo sonoro. Solo tre i pezzi a disposizione per un concentrato bello denso di musica da bersi tutto d'un fiato e per questo, mi aspettavo sonorità più violente da una band che dovrebbe essere portavoce di un power violence furibondo e invece quando "Aurora Leaking" esordisce nel mio stereo, vengo inghiottito da una serie di suoni corposi, avvolgenti, distonici e disarmonici, quasi fossimo avvolti dalle spire di un serpente affetto da epilessia. Ci trovo dello sludge doom, del sano death, un pizzico di noise e post-core, il tutto contrappuntato da sonorità non proprio linearissime o ferali. La proposta si conferma anche nella successiva "Swarming Hornets", una brevissima scheggia sonora che sembra offrire anche qualche ammiccamento e derivazione math/hardcore. Ancora suoni lenti e sinuosi con la terza "Blinding Erasure", ove sottolinerei una volta per tutte, la caustica prova vocale del frontman Dylan Walker e l'utilizzo di un qualche non identificato strumento in sottofondo ad arricchire con derive jazz, la proposta di questa infernale band del Maryland. (Francesco Scarci)

venerdì 30 settembre 2022

Body Void - Burn The Homes Of Those Who Seek To Control Our Bodies

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Nuovo EP per i californiani Body Void. Il trio, originario di San Francisco, rilascia una coppia di pezzi sotto questo lunghissimo titolo, 'Burn the Homes of Those Who Seek to Control Our Bodies' e lo fa, offrendo quello che da sempre i nostri sanno fare meglio, ossia un concentrato claustrofobico di sludge e noise rock. Il tutto è certificato dalle note introduttive della lunga "Burn" dove, tra riffoni a rallentatore e grida disumane, la band di Frisco srotola la propria disagiata forma musicale che verso il terzo minuto dell'opener, si materializza addirittura anche sotto forma di droniche divagazioni da fine del mondo, mentre il latrato vocale di Willow Ryan (in uno stile che francamente non amo) grida tutto la propria disperazione. Il brano prosegue in questo loop infernale fino al suo termine attraverso quella che sembra un'unica nota di chitarra protratta all'infinito. Con "Drown" si comincia invece da una forma più affine al noise miscelato qui ad un rifferama ossessivo tipicamente sludge doom. Ecco, volete avvicinarvi al mondo offuscato dei Body Void e allora, preparatevi ad atmosfere plumbee e angoscianti, lente e decadenti, dove alla luce non sarà permesso minimamente di affacciarvisi. Stagnanti. (Francesco Scarci)

martedì 2 agosto 2022

The Moon Mistress - Silent Voice Inside

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Mi fa un po' specie notare che l'Addicted Label mi ha inviato un album del 2012 (ristampato nel 2020) di una band che nel frattempo ha cambiato anche moniker. Sto parlando dei moscoviti The Moon Distress che dal 2014 si chiamano Dekonstruktor e di cui questo 'Silent Voice Inside', ne rappresenta l'unico Lp della carriera, accanto ad un paio di split e un EP. A parte questo, quanto ascoltato in questa nuova versione di 'Silent Voice Inside', che include peraltro un paio di bonus track rispetto all'originale, il trio ci propina uno stoner doom lento e ossessivo, magnetico nella sua componente vocale, che sin da "Cremation Meditation", la seconda traccia dopo l'intro, colpisce per quel suo incedere lisergico e al contempo pachidermico, ammiccando qua e là ai nostrani Ufomammut, con i testi votati ad una certa forma di occultismo che rendono il tutto alquanto accattivante. Al pari di quel basso che apre la lunga "The Wicker Man", una sfiancante ed ipnotica traccia che ci terrà incollati allo stereo per oltre 10 minuti, tra litaniche vocals e chitarre roboanti che evocano i Black Sabbath degli esordi. "Cease to Exist" ci offre invece un brano dall'incipit dai toni piuttosto vintage, ma quell'aura settantiana direi che circonda un po' tutti i pezzi di questo disco, anche quelli di più recente concepimento, come ""Heavy Sun" e "Mindlock". Diciamo che quello che penalizza il lavoro è forse una registrazione non propriamente all'altezza, cosi come pure brani forse un po' troppo monolitici e privi di verve, come potrebbe essere "Invocation to Hecate", che ci attanaglia con la sua melodica linea sludge doom rock per ben 11.40. Non male, ma se si fosse ridotta la durata qua e là di un disco che sfonda la barriera dei 70 minuti di durata, forse il terzetto ne avrebbe tratto maggior beneficio. A tal proposito, perchè non sottolineare anche i 16 minuti e mezzo della title track che ci danno il definitivo colpo del ko con un rifferama troppo ripetitivo che non fa altro che invogliarmi a skippare la song per mantenere la mia sanità mentale e arrivare al termine di un lungo viaggio nei meandri di un certo doom d'annata, che sicuramente verrà apprezzato dai fan di Ozzy e soci ma anche da chi amato gli esordi dei Cathedral o chi segue gli Electric Wizard. (Francesco Scarci)

(Pestis Insaniae/Addicted Labels - 2012/2020)
Voto: 66

https://themoonmistress.bandcamp.com/album/silent-voice-inside

Dirtpill - Oil Tank Blues

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
'Oil Tank Blues' resta a oggi ancora l'unico full length nella discografia dei russi Dirtpill, nonostante la fondazione dei siberiani risalga addirittura al 2008 e questo lavoro sia datato ormai 2011. Da allora, il terzetto di Krasnoyarsk si è rifatto sentire solo con lo split in compagnia dei Fire to Fields, l'anno seguente. Poi solo silenzio, nonostante Metal Archives li consideri ancora attivi. Parlando di questo cd, francamente non posso spendere proprio belle parole: si tratta di 13 anni tracce, tra cui anche "Johnny Reverb" cover dei Messer Chups, un gruppo sperimentale di San Pietroburgo, dedite ad un punk hardcore di bassa lega. Tredici schegge impazzite che irrompono nel nostro stereo con la graffiante "Mites Doctrine" fino a chiudere con la già citata cover track. In mezzo una poltiglia di suoni, con una produzione peraltro imbarazzante, che guardano anche allo sludge (e penso a "Uxmal" o "Tommy") o al grind ("Parambulator" che vanta anche un frangente doom), che sembrano non essere suonate con il giusto piglio o con il cuore di chi crede realmente in quello che fa. Se state pertanto cercando qualcosa di interessante, mi verrebbe da dirvi di stare a distanza da questo disco. Se invece avete voglia di qualche scarica di adrenalina (tipo la devastante "Newshit", quasi di scuola Nihilist, la creatura precedente agli Entombed), magari qui ci trovate qualcosa per soddisfare i vostri appettiti. Per me sappiate che è un no a braccia incrociate. (Francesco Scarci)

sabato 30 luglio 2022

Keepleer 18 - Vammifiaa

#PER CHI AMA: Sludge/Grind
I Keepleer 18 sono una compagine ucraina dedita ad uno stoner sludge caratterizzato principalmente da una voce alquanto inusuale, quasi in scream. 'Vammifiaa' è il loro primo Lp, uscito originariamente nel 2014 ma riesumato nel 2016 in formato fisico dalla Bad Road Records. Devo ammettere che, seppur la proposta del quartetto di Chernihiv non mi scaldi più di tanto il cuore, qualcosa di intrigante l'ho anche trovato lungo le otto tracce qui incluse, a partire dall'opener "Mirzzaf", song sludgy ma che nel suo interno regala una scheggia grind a cui far da contraltare con una porzione punk rock, un qualcosa che mi ha evocato, giusto per un secondo, i Lawnmower Deth degli esordi. Certo, rimane il problema che la voce di Sergey Senchuk (aka Senya) sia a dir poco odiosa, ma il disco ha comunque qualcosa in serbo che prova per lo meno a differenziarlo dalla miriade di lavori simili che continuano a uscire ogni giorno in US. "Om-Karidaat" si muove ancora su un'architettura musicale analoga, tra frangenti sludge e brevi divagazioni grind. Lo stesso dicasi di tutti i brani successivi che mostrano un canovaccio alquanto simile, tra un rifferama ritmato, a cui dar successivamente libero sfogo con scorribande grind (in "Suuroo" il drumming è comparabile a quello di una contraerei), qualche rallentamento doom (si ascolti "Fliboor" o "Riizofaar") o addirittura qualche squarcio chitarristico (la stessa "Fliboor" o la successiva "Lakkan") che ci condurranno fino alla conclusiva "Zollof", che chiude un lavoro per quanto mi riguarda non troppo entusiasmante ma che necessita di ripetuti ascolti per essere apprezzato integralmente. (Francesco Scarci)

(Bad Road Records - 2016)
Voto: 62

https://keepleer18.bandcamp.com/album/vammifiaa

domenica 8 maggio 2022

Ketamine - 25​.​807²

#PER CHI AMA: Sludgecore, Eyehategod
Avete idea di cosa faccia 25​.​807²? 666.001.249. Che sia un caso che i primi tre numeri siano il numero del diavolo? Mah, ragionateci sopra. Nel frattempo, andiamo a scoprire quello che è stato l'unico lavoro dei californiani Ketamine e di un disco che è stato concepito molto indietro nel tempo (1996, dopo di che la band si è sciolta), con '25​.​807²' a rappresentare il testamento della band americana, rilasciato però solo nel 2017. Che quello che abbiamo tra le mani sia un sound datato, lo si evince dalle note iniziali dell'opener "Chameleon", un brano che sembra identificare in Eyehategod e primi Neurosis, le principale fonti di influenza del quartetto di San Francisco. Suoni sporchi e melmosi quindi, vocals al vetriolo, un rifferama che farà la gioia di chi ama sludge/doom e per chi avrà la voglia e la pazienza di riscoprire un qualcosa che forse 25 anni fa poteva sembrare anche originale ma che, dopo una svalangata di release nel medesimo ambito, lo fanno sembrare ahimè soltanto assai vetusto. Non vorrei sembrare quello che giunge a conclusioni affrettate, però i pezzi sciorinati uno dietro l'altro, non mi hanno entusiasmato più di tanto. "Food Chain" è ridondante nei suoi suoni quanto basta, "Golden Boy" mi evoca i fantasmi di Scott Kelly e compagnia, "Apocrypha" è una ruvida ed ostica scheggia strumentale, mentre "Blood Money" mette a dura prova i nostri sensi con oltre otto minuti di suoni sempre più difficili da digerire (lo stesso dicasi dei nove minuti e mezzo della noisy "Hurricane Head") all'insegna di un doom angosciante e paranoico. "Half Ass" è un pezzo spacca (mezzi) culi mentre "Quitter" ci riporta nei meandri di uno sludge claustrofobico. In chiusura "Kid Fuck", quella che dovrebbe essere l'esclusiva bonus track del cd, ma che appare piuttosto uno scherzo di cattivo gusto, di cui avrei fatto volentieri a meno. Sembra infatti registrata nello scantinato di casa mia con una qualità sonora che dire imbarazzante è quasi farle un complimento. Mah, ai posteri l'ardua sentenza mi sembra il commento conclusivo più appropriato per una release come questa. (Francesco Scarci)

(Bad Road Records - 1996/2017)
Voto: 60

https://badroad.bandcamp.com/album/25-807

lunedì 18 aprile 2022

Slayer - Repentless

#PER CHI AMA: Thrash/Speed
Nonostante gli avvicendamenti significativi (la sostituzione di Lombardo con un oplita che prende il nome di Paul Bostpah; il decesso del chitarrista Jeff Hanneman, si dice, per le complicazioni conseguite al morso di un ragno; un nuovo produttore e infine pure una nuova label), i maniscalchi del chainsaw-metal riuscirono a mettere insieme il consueto crogiolo di apocalisse, disperazione, superominismo ("Inject the system with something new / A social terror to lead the few...") e randellate sul muso transitando con coraggio e disinvoltura dal thrash-con-parecchio-speed-e-un-po'-meno-sludge di "Repentless" al thrash-con-parecchio-sludge-e-un-po'-meno-speed di "When the Stilness Comes". L'obiettivo di quest'ultimo album era dichiaratamente quello di gettarsi dietro le spalle certe recenti ingiustificabili nu-merdate per tuffarsi di nuovo tra le ascelle pelose e discutibilmente nettate appartenenti a orde di patetici veterometalloni tutt'ora piagnucolanti sul vinile di 'Reign in Blood'. Strano che nessuno abbia avvistato Rick Rubin nei paraggi. Molto strano. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 72

https://www.slayer.net/

mercoledì 6 aprile 2022

Crust - Stoic

#PER CHI AMA: Black/Doom/Sludge/Post
Con un moniker del genere che cosa vi aspettavate, dite la verità? La band originaria di Veliky Novgorod ci spara in faccia otto pezzi che dall'iniziale title track giungono alla conclusiva "Desert", attraversando le paludi fangose dello sludge, le inquietanti atmosfere doomish, il tutto senza disdegnare brutali scorribande post black e death. Eccovi presentato in poche righe quanto ritroverete durante l'ascolto di questo terzo lavoro dei russi Crust, intitolato 'Stoic'. Se l'opener è un connubio di un po' tutti i generi sopraccitati, la seconda "Watching Emptiness" ha un piglio decisamente più atmosferico e introspettivo, muovendosi nei paraggi di un death doom emozionale, in grado di richiamare i primi Paradise Lost, attraverso un sound cupo ma costantemente accattivante, nonostante gli oltre dieci minuti di durata (anche se gli ultimi due sono piuttosto inutili). Con "A Blind Man in Darkness" si torna a galoppare alla grande con un riffing più teso, articolato, a tratti anche decisamente più ostico da digerire, sebbene numerosi tentativi volti a rasserenare gli animi, con parti più atmosferiche. Per un ripristino delle funzioni cerebrali, arriva però l'acustica di "Willow Forest", un breve intermezzo in grado di metterci in pace col mondo. Da qui si riparte con la seconda parte del cd e un trittico formato da "Plague", "Darkness Becomes Us" e "Anhedonia" che sembrano restituirci una band più tonica ed ispirata tra le dirompenti e melodiche ritmiche post black della prima, il black dissonante della seconda (uno dei pezzi forti del disco) e il doomish black della terza (un altro brano davvero interessante), che ci accompagnerà fino al finale affidato alla strumentale e più pacata "Desert", un pezzo che per il suo ipnotico impianto ritmico, potrebbe addirittura evocare "Angel" dei Massive Attack. Alla fine 'Stoic' è un disco che lascia qualcosa dentro che mi ha spinto più volte ad un ascolto più attento dei Crust. (Francesco Scarci)

(Addicted Label - 2021)
Voto: 74

https://crustband.bandcamp.com/album/stoic