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lunedì 16 dicembre 2024

Grand Harvest - Till Förruttnelsen

#PER CHI AMA: Black/Death/Doom
Era da un po' che non ci immergevamo in suoni death doom; mi vengono quindi in aiuto gli svedesi Grand Harvest con il loro 12" 'Till Förruttnelsen' e due lunghi pezzi che affrontano il tema della fine del genere umano, argomento sempre più ricorrente nelle liriche degli ultimi album che ho ascoltato di recente, e chissà come mai. Un mondo che ormai sta giocando sul filo del rasoio dell'autodistruzione, offre spunto al quintetto di Malmö per disegnare questi due pezzi che corrono su linee melodiche malinconiche che mi hanno evocato i primi My Dying Bride, ma a differenza della band inglese, mi sembra poter dire che sembra esserci anche una prominente vena blackish nelle note dei nostri, pur mantenendo comunque intatta la coesistenza di death, doom e black stesso, attraverso un uso interessante di linee di chitarra piuttosto pulite, cori maestosi e vocals a cavallo tra screaming e growl. Questo quanto certificato dall'iniziale title track, riproposto comunque anche nella successiva "Consummatum Est (Det är Fullkomnat), che non fa altro che confermare le buone sensazioni che ho avuto nell'ascolto dell'opening track. Il sound si muove sempre su un'intelaiatura death doom mid-tempo, con le vocals qui forse più spinte verso l'harsh. Niente di grave sia chiaro, anzi mostrano molteplici sfumature di una band che sembra avere delle buone potenzialità, da esplorare in un nuovo album più strutturato, che sembra sia al momento in lavorazione. Per ora, ci si accontenta di questo antipasto, in attesa di un piatto ben più corposo. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2024)
Voto: 68
 

giovedì 5 dicembre 2024

Temple of Decay - Anti Deus

#PER CHI AMA: Death/Black
Torna la Godz ov War Productions, e lo fa con tutto il suo carico di odio, affidandolo questa volta ai polacchi Temple of Decay. Trattasi di one-man-band, capitanata da tal Mortt, promotore di un death/black pestilenziale, infettato però anche da note che ammiccano all'hardcore. La tempesta, che assume il nome 'Anti Deus' (secondo Lp per il mastermind), si affida a sei super caustiche song che, dall'iniziale "Strach I Sumienie (Stosy)" fino alla conclusiva ed esoterica "Phallus Dei (Idzie Wojna)", non fanno altro che prenderci a frustate nude e crude sulla schiena, in un vortice infernale che prova ad evocare gli Anaal Nathrakh ma anche i primi Marduk. Il disco è un susseguirsi di ritmiche super tirate che si muovono costantemente in bilico tra rasoiate black e sonorità death, il tutto condito da harsh vocals, qualche tiepido tentativo di rallentare le portentose ritmiche (come accade in "Diabolical Summoning (Sztandary Buntu)" o in "Afirmacja Śmierci") o di aggiungere un pizzico di melodia, atta a diluire le intemperanze diaboliche del polistrumentista polacco ("Apokaliptyczna Furia"). Quello proposto dal buon Mortt resta comunque un lavoro che aggiunge poco ad un genere un po' troppo inflazionato che vede migliaia di band proporsi con sonorità più o meno simili, soprattutto in una scena, quella polacca, che brulica di proposte affini. E quindi che dire, se non suggerire l'ascolto di questo 'Anti Deus' per coloro che prediligono questo genere cosi estremo, che nell'animalesca "Klecha" - peraltro il mio pezzo preferito insieme alla ritualistica-guerrafondaia ultima traccia - arrivano a strizzare l'occhiolino anche agli Impaled Nazarene e ai Batushka. Insomma, 'Anti Deus' è un disco malvagio, un lavoro non per tutti, ma solo per misantropi amanti dell'oscurità e del maligno. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions - 2024)
Voto: 66

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/anti-deus

Ashen Horde - Decayed

#PER CHI AMA: Death/Black
'Decayed' è il nuovo 10" dei californiani Ashen Horde, una band che avevamo già incontrato in occasione del loro album 'Nine Plagues' e che poi non abbiamo mantenuto nei nostri radar. La band di Los Angeles torna con queste tre nuove song a celebrare i 10 anni dal debutto, più la ri-registrazione - niente di clamorosamente differente dall'originale - di "Baited Breath", estratta proprio da 'Sanguinum Vindicta', con la versione in cd che include peraltro ben 12 bonus track, provenienti dagli scarti dei precedenti dischi. Ebbene, le nuove tracce incluse sono un manifesto dell'ostica proposta dell'ensemble a stelle e strisce, essendo infatti promotori di un black death ringhiante che ha poco di originale da proporre. Tra le cose che potrei segnalare, lungo le quattro song in mio possesso, c'è un utilizzo alquanto stravagante del cantato pulito, che si affianca qua e là, a quello più tipicamente stridulo del frontman statunitense. La musica poi, sin dall'iniziale "A Portent Among the Debris" e a seguire con "The Reaping", dicevo, è un concentrato di affilato death black con chitarre un po' sghembe, furiosi blast-beat e qualche apertura progressive - soprattutto in "Euphoric Lament" - che potrebbe evocare gli Enslaved, anche se la band norvegese è di tutt'altra caratura. Ecco che ora mi spiego il motivo per cui non siamo mai stati fan accaniti della band statunitense, onesti mestieranti e poco più. (Francesco Scarci)

giovedì 21 novembre 2024

Persecutory - The Glorious Persecution

#PER CHI AMA: Black Metal
Non ci capita cosi spesso di recensire band provenienti dalla Turchia: quella dei Persecutory dovrebbe essere infatti la seconda recensione che mi appresto a scrivere di una realtà proveniente da quel paese. E allora facciamo un breve preambolo biografico, raccontandovi che il quartetto di oggi è originario di Istanbul, ha già un paio di full length all'attivo oltre a due EP, incluso questo 'The Glorious Persecution'. Il genere proposto poi, è un black death alquanto scolastico, che aggiunge poco o niente a due generi che forse hanno poco altro da aggiungere. I cinque turchi si adeguano quindi alla massa, proponendo tre lunghi pezzi che, dall'iniziale "Infernal Gateways to Watchers", passando attraverso "Ecstatic Demonlords", fino ad arrivare alla conclusiva "The Glorious Persecution", non so quanto potrebbero farvi vibrare i sensi. La prima traccia spiega subito le coordinate sulle quali intendono stare i nostri, ossia una matrice estrema, dotata di un pizzico di melodia, che alterna momenti mid-tempo ad altri più serrati, che sembrano ammiccare a sonorità scandinave di metà anni '90 (e che riassumerei come un mix tra Mayhem, Behemoth e Unanimated, ad un livello più basso, ovviamente). Ecco appunto, un altro tuffo nel passato come centinaia e centinaia, me ne sono passati tra le mani in questi anni. E l'esito si prevede quanto mai scontato sin dalle prime battute. C'è poco infatti da elevare sopra il marasma di band che popolano la scena. I rallentamenti doomish magari contribuiscono a spezzare un ritmo a tratti vertiginoso, le vocals indemoniate del frontman hanno sicuramente una buona presa, cosi come il tremolo picking che si palesa nei momenti più compassati a donare un po' di melodia, cosi come gli epici assalti di chitarra. Alla fine sono tutti elementi, presenti in tutti e tre i brani, che ritroviamo in una marea di uscite discografiche di questo tipo. Se proprio devo individuare un brano preferito direi "Ecstatic Demonlords", dotata di un bel tiro, avvolta di uno splendido alone nero di mefitica malignità che si palesa peraltro in un litanico coro che ne eleva la qualità sopra le altre. Un utilizzo maggiore di questa componente, qualche assolo, qualche parte atmosferica in più e staremo parlando di una release di tutt'altro spessore. (Francesco Scarci)

lunedì 18 novembre 2024

Craft - Terror Propaganda

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Metal
Questo disco è composto da otto brani di ottimo black metal d’ispirazione darkthroniana. Ciò non significa che si tratti di un gruppo clone, significa piuttosto che il gruppo rivisita alla propria maniera, le morbose melodie dell’incommensurabile gruppo norvegese. Buona la produzione, grezza e perfettamente comprensibile. Ottimi i brani: dinamici mid-tempo si alternano a veloci sfuriate. Per quanto riguarda il concept lirirco invece, basterebbe fare caso all’etichetta per cui esce questo disco (originariamente per la Selbstmord Services). Si parla infatti di odio nei confronti del genere umano e di voglia di annientarlo. Si parla di verità. Infine, assai bello l’artwork del booklet (sinceramente underground ed in bianco e nero) e soprattutto l’immagine sul retro del cd; chi emula vince.
 
(Selbstmord Services/Season of Mist Underground Activists - 2002/2018)
Voto: 70
 

martedì 5 novembre 2024

Sordide - Ainsi Finit Le Jour

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Non sono un fan dei Sordide, il loro black hardcore caotico non risuona nelle mie corde, sebbene la loro musicalità sghemba possa richiamare i Deathspell Omega, band a cui sono particolarmente legato. Avevo già recensito il loro precedente 'Les Idées Blanches', sottolineando come la proposta del terzetto originario della Normandia, fosse disarmonica nel suo caustico incedere. Ascoltando poi l'incipit di questo loro quinto lavoro, 'Ainsi Finit Le Jour', non posso che confermare quelle mie parole. I tre musicisti transalpini non fanno altro che minacciare i nostri padiglioni auricolari, sin dall'iniziale "Des Feux Plus Forts" fino alla conclusiva "Tout Est à la Mort", attraverso un complicatissimo viaggio di oltre 53 minuti, in cui la band continuerà a prenderci a scudisciate in faccia, con un sound tiratissimo, feroce, e che alla melodia lascia uno spazio davvero risicatissimo. E quindi, quei 53 minuti appaiono come una montagna insormontabile, un infinito viaggio nelle insane menti di questi loschi figuri, cosi caustici nella loro personale visione musicale. Le chitarre sono abrasive al pari della carta vetrata utilizzata sulla carrozzeria della vostra preziosa automobile, al pari poi delle aspre vocals che contraddistinguono l'intero disco. Nella lunga e velenosa "Nos Cendres et Nos Râles", i nostri provano a rallentare un attimo il ritmo sferzante a cui ci avevano abituato, ma dopo poco, ripartono con una ritmica ipnotica, sferragliante, che entra nel cervello e lo deturpa dall'interno come il peggiore dei virus. L'ensemble prova a cambiare canovaccio nella successiva "Le Cambouis et le Carmin", un lacerante pezzo mid-tempo in bilico tra sludge e black, che tuttavia continua a non emozionarmi, forse per l'eccessiva glacialità di fondo che la musica di questa band riesce a malapena ad emanare. Non trovo emozione, non trovo gioia, non trovo tristezza, ma solo un grande freddo perpetrato da atmosfere oscure, rarefatte e malate ("Sous Vivre") o ancora da vorticosi ritmi post black ("La Poésie du Caniveau") che tuttavia finiscono per non soddisfare il mio palato. Se proprio devo identificare un paio di brani che ho particolarmente apprezzato, direi "Banlieues Rouges", la canzone più breve del lotto, quella che arriva subito al dunque nella sua essenzialità e immediatezza e di contro, "La Beauté du Désastre", invece tra le più lunghe, forse complice il fatto di avere un lungo break centrale, in cui la bestialità della band viene tamponata da sperimentalismi sonori e canori, che esaltano le qualità del trio di Rouen. Discorso analogo infine, per la conclusiva "Tout Est À La Mort", che vede i nostri infilarsi in territori sludgy più compassati e meditabondi, consentondoci quindi di assaporare una musicalità più emozionale e meno impulsiva. Alla fine, 'Ainsi Finit Le Jour' si rivela un album davvero ostico da affrontare, consigliato esclusivamente a chi mastica questo genere di sonorità; gli altri si tengano rigorosamente alla larga. (Francesco Scarci)

martedì 29 ottobre 2024

Esoctrilihum - Döth-Derniálh

#FOR FANS OF: Experimental Black
The French project Esoctrilihum has been, since its inception back in 2016, a relentless force of creativity, pushing the boundaries of extreme metal with a vast palette of influences. Asthâghul’s musical vision has navigated between the frontiers of black and metal, combining both genres with experimental and atmospheric arrangements. This combination varies with each album, achieving a very singular career full of monumental albums which obviously are not for everyone. The length, complexity, and brutality of some albums, may take some time to digest, but the reward is always worth your time. It is important to highlight how active Esoctrilihum has been during these years, releasing albums each year, which is quite impressive taking into account the intricate nature of its music.
 
I was curious to listen to what this French project could offer after the particularly lengthy and complex 'Astral Constellations of the Majickal Zodiac', which was like a musical summary of the previous albums. It was an appropriate moment to push once again the boundaries of its music and unsurprisingly Esoctrilium has made it with the new opus 'Döth-Derniálh'. Don’t get me wrong, there is not a radical change here, as most of the well-known elements used by Asthâghul can be found here. Nevertheless, there is a very interesting and generous use of acoustic guitars, which helps to create some kind of folk horror atmosphere throughout this album. The widespread use of clean vocals, alongside the aforementioned acoustic guitars, make this album a more intimate, mysterious, and dark piece of work. It is also less extreme in comparison to other previous albums, although the rage erupts when you least expect it. The keys also play an interesting role in enhancing the occult-like atmosphere of the album. The first track, entitled "Atüs Liberüs (Black Realms of Prisymiush’tarlh)" is a clear example of it, with these great keys, whose melodies are really hypnotic. The already mentioned acoustic guitars make their first appearance, accompanied by some kind of violin or similar instrument, creating an interesting mixture of sounds. The clean vocals have a great role here, as you will notice throughout the album, although in this track they are particularly omnipresent. As said, there is room for some fierceness in this album although to a far less degree, this track being also a clear portrayal of it. Moments of brutality with some great shrieks and relentless double bass can be found here and there, like for example in the second track, being that section one of my favorites as it masterfully combines the fury with some captivating melodies. The third and fourth tracks explore this heavier side, but still keeping a relevant space for the acoustic sections that define this album. The unique approach of this album diminishes the immediate impact of the compositions and requires more time from the listener to become accustomed to it. However, if you allow yourself to be enveloped by the atmosphere, this album can be an intriguing musical journey.
 
Esoctrilihum continues its highly personal musical exploration with the new opus 'Döth-Dernyálh'. The French project has delved into new territories with a more acoustic approach, while still maintaining its dedication to extreme metal. This album may not be the first one I would recommend from this project, as I personally feel that some moments lack brutality, which could have helped achieve a better balance. Nevertheless, the unfathomable and esoteric atmosphere of 'Döth-Dernyálh' makes it a captivating experience. (Alain González Artola)
 
(I, Voidhanger - 2024)
Score: 80
 

Nereo - Worship Me

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Metal
Ho ascoltato più volte il nastro dei Nereo alla ricerca di qualcosa da salvare ma in tutta sincerità, non ce l’ho fatta. Il suono del combo comasco va e viene nelle prime canzoni ed è di qualità veramente bassa. La chitarra poi, ha una distorsione che la fa sembrare un pezzo di ferro arrugginito; i riffs, con un suono similare, finiscono per sembrare tutti uguali. E la batteria elettronica è mal programmata e più di una volta, terminato un pezzo, si sentono ancora dei colpi piazzati qua e là. Forse la voce non è male ma in un contesto del genere, non può certo salvare l'unico vagito di questa band ormai sciolta. D'altro canto, non ci si può certo nascondere dietro la scusa di un prodotto grezzo, pubblicando materiale per nulla curato.
 
(Self - 1998)
Voto: 40
 

Corpus Christii - Saeculum Domini

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Metal
Qualche mente malata esiste anche nella penisola Iberica e più precisamente in Portogallo, terra del duo che diede vita a questo infernale progetto nel lontano 1998, e di cui 'Saeculum Domini' rappresenta il debutto (ma sono già nove gli album all'attivo per i nostri/ndr). Una drum machine quasi sempre impazzita (l’opener "Flama Tenebrarum" è devastante) e una dose di bassi tali da frantumare le casse dello stereo, fanno da sfondo a un intreccio di synth e chitarre realmente apprezzabile. A volte sono le tastiere a prendere il sopravvento dando un’impronta quasi marziale all’incedere dei pezzi. La voce è semplicemente invasata. Il paragone con i Limbonic Art (non i primissimi) sembra naturale ma i Corpus Christii sono più disposti a sperimentare con l’elettronica e la mia speranza era che intraprendessero questa direzione (ahimè non è andata cosi), diventando ancora più personali e malati.

martedì 22 ottobre 2024

Clandestine Blaze - Night of The Unholy Flames - Repress

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Raw Black
Un artwork scarno e inquietante come solo la Northern Heritage ci ha abituati, ci presenta i Clandestine Blaze. La Finlandia da sempre, culla di gruppi black metal validi e interessanti e i Clandestine Blaze ne sono un esempio. Il loro black è fatto di due riffs per canzone ma veramente oscuri e azzeccati, di strutture semplici e ossessive, di synth che incupiscono ancora di più le atmosfere, se ce ne fosse bisogno. Sono presenti un mid tempo e un pezzo piuttosto lento; le altre canzoni sono tirate ma non all’estremo. La produzione è adeguata, abbastanza potente ma comunque grezza. Ho apprezzato le vocals, cavernose e disturbanti, che si discostano dalle solite timbriche black. Il tutto è racchiuso tra un intro e una traccia molto particolare e agghiacciante. I Clandestine Blaze sono un’entità di riferimento, da ormai 25 anni, nell’odierno panorama black e poco importa se non rispondono alle interviste perché 'Night of the Unholy Flames' contiene già tutte le risposte.

(Northern Heritage - 2000/2024)
Voto: 70

https://www.metal-archives.com/bands/Clandestine_Blaze/988

domenica 20 ottobre 2024

Rot Coven – Nightmares Devour the Waking World: Phase I + Phase II

#PER CHI AMA: Black/Drone/Ambient
L'universo musicale di questa band proveniente dalla Pennsylvania, è fatto di sensazioni cosmiche, costantemente avvolte da un alone sinistro, che disegnano un immenso spazio sonoro, decisamente oscuro e minaccioso, ampio e misterioso. La base di partenza è il noise e l'ambient dronico, sfregiati da lunghe e laceranti digressioni doom, death e black metal, in un infinito viaggio psicologico verso i meandri più oscuri della percezione umana. 'Nightmares Devour the Waking World: Phase I + Phase II' è un disco non di facile approccio e volutamente ostile al pubblico, che si rivela come un alternarsi di umori gelidi che generano suoni contorti, vortici capaci di introdurre chi ascolta, verso universi paralleli assai intriganti. L'amalgama sonora è in perfetta sincronia con un'ispirata vena compositiva, che in questo genere deve far da padrona o si rischia la caduta nell'inascoltabile o nel già sentito, e devo dire che in questa versione estesa dell'album (ricordo che la prima parte, Phase I, era uscita l'anno scorso), l'opera si compie a dovere, e per l'ascoltatore già iniziato a questo genere, la scoperta di questo disco (edito dall'Aesthetic Death), risulterà un'ottima sorpresa. Brani dagli intro apocalittici, colonne sonore noir che rasentano uno stile cinematografico in continua evoluzione, dove l'unico colore che emerge è il nero, ecco come si palesa il disco. La voce è inghiottita dal rumore, il distorto veglia su tutto e fa da padrone nel mood dell'intero lunghissimo lavoro (oltre 80 minuti), proiettando il suono verso lidi estremi di post metal di difficile collocazione ma con retaggi, per certi aspetti classici, che vengono ampliati, appunto, dall'uso di suoni strettamente lisergici e psichedelici, qui riadattati all'umore cupissimo della band. In tal contesto, non si può dimenticare il vistoso lato industrial dei Rot Coven, che è molto radicato nel DNA della band, cosa che, unita al maniacale piacere verso suoni distorti e riverberati, costituisce l'essenza del sound di quest'album. Paesaggi siderali costruiti per mettere a dura prova la resistenza psichica e una forte sensazione di disagio psicologico, sono le armi che vengono utilizzate nei solchi di questi brani apocalittici, accompagnati da un senso di caduta costante e tangibile. Non è di facile approccio, come detto in precedenza, ma questo disco, ascoltato nella totalità dei due album, è veramente un'esperienza da provare, ed è inutile smembrarlo per trovarne pregi o difetti tecnico-stilistici, poiché l'ideale è assimilarlo nella sua interezza, lasciandosi trasportare dalla sua fredda corrente. Buon viaggio nella parte più nascosta e oscura della vostra mente. (Bob Stoner)

sabato 12 ottobre 2024

Kaprogöat - The Sweet Sound Of Apocalypse

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Metal
Quello di quest'oggi rappresenta l’esordio su 7" di un altro progetto musicale proveniente dalla sempre attiva scena veneta. Si tratta di due brani di grezzo black metal sostenuti da una batteria dalla cadenza industriale e frequentemente intramezzati da oscure parti ambientali, noise, bizzarre melodie (che potrebbero benissimo accompagnare delle scene di un film horror) e parti simil Abruptum. La voce, sempre effettata e malata, è quella di 4 (qui con il nome di Hunger) del progetto Nocratai. 'The Sweet Sound of Apocalypse' alla fine è un lavoro consigliatissimo agli amanti della più bizzarra musica oscura. Si è sempre atteso un album, ma a parte tre split cd, se ne sono perse completamente le tracce.

lunedì 7 ottobre 2024

Aorlhac - La Cité des Vents Reissue

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Epic Black
A completamento della 'trilogia dei venti' degli Aorlhac manca a rapporto ancora 'La Cité des Vents', disco che rappresentò il vero esordio sulla lunga distanza per il terzetto francese e che ricordo, far parte della raffinata riedizione (guardate i super curati booklet per coglierne l'eleganza) da parte della Les Acteurs de l'Ombre Productions. Si comincia con la consueta intro strumentale, e un menestrello che mette a servizio della corte la propria chitarra acustica. "Le Bûcher des Cathares" divampa con le sue epiche chitarre a narrare leggende e vicende medievali dell'Occitania, mentre il buon Spellbound alla voce, gracchia come un corvo appollaiato sulla torre di un castello. La proposta, per quanto furibonda sia a tratti, mostra più ampie partiture atmosferiche rispetto al passato. Interessante ma breve, l'intermezzo acustico a metà brano, cosi come il mid-tempo melodico che ne contraddistingue il finale. "Plérion" sembra spiritata, complici le velocità sostenute a cui ci sottopone la band, al pari dell'isterica voce del frontman. Piacevoli comunque le melodie che chiamano in causa i Windir, anche se la band norvegese era di gran lunga migliore dei colleghi francesi. Il disco prosegue su binari similari anche con le successive canzoni, faticando forse a garantire una certa originalità tra un brano e l'altro. Ecco quindi focalizzarmi su "Le Miroir des Péchés", "Sant Flor, la Cité des Vents" e "Les Enfants des Limbes", tutti pezzi che, oltre a mantenere una durata più o meno simile (attorno ai sei minuti), mostrano un'intelaiatura ritmico-strutturale piuttosto omogenea, con grandi cavalcate di chitarra, intermezzi acustici, ripartenze melodiche che evocano la musica classica, e una vocalità che rischia però di divenire il punto di debolezza della band con quel fare troppo gracchiante del suo diabolico frontman. Nemmeno l'uso randomico di un violino coniugato a echi folkish, contribuiscono a 'La Cité des Vents' di fare il proverbiale salto di qualità, rimanendo ancora troppi paradigmi radicati nel passato del black, che fatico a digerire. Sicuramente, l'epicità che ritroviamo in un brano come "Vers les Honneurs" stimola non poco la mia fantasia, ma persistono ancora sbavature e storture che mi fanno storcere la bocca, a partire dai riferimenti vampireschi, a la Cradle of Filth, di "La Comptine du Drac" o alla conclusiva cover dei Taake, "Over Bjoergvin Graater Himmerik IV", che chiude un disco sicuramente meglio strutturato del precedente EP, ma che necessita di un'opera di sgrezzatura ben più importante. Alla fine, la riedizione di 'La Cité des Vents' si conferma un bell'oggetto per inguaribili collezionisti. (Francesco Scarci)

(Those Opposed Records/LADLO Productions - 2010/2024)
Voto: 66

https://ladlo.bandcamp.com/album/la-cit-des-vents-reissue

Aorlhac - A la Crois​é​e des Vents Reissue

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Epic
Mi scuserete se il mio recensire il trittico dei francesi Aorlhac, non abbia rispettato un ordine ben preciso. Ho iniziato dall'ultimo lavoro, 'L'Esprit des Vents', per poi passare al primo EP, 'À la Croisée des Vents', di dieci anni più vecchio, che segnava l'inizio di questo epico viaggio. Un EP di sei pezzi che espone l'allora terzetto di Aurillac a un mondo meno underground rispetto a quello in cui vide la luce il loro demo 'La Chronique des Vents'. Il genere proposto però non sposta di una virgola quando abbiamo detto almeno degli ultimi due cd dei nostri. La proposta della band è infatti affidata a un black dalle vaghe tinte epiche, che non vede momenti di calma, fatto salvo per la breve e atmosferica intro d'apertura. Da lì in poi esploderanno infatti le classiche cavalcate ritmiche che contraddistinguono la band francese, tra zanzarose chitarre di scuola norvegese, grim vocals e melodie che attenuano la furia maligna dei nostri. E cosi, è facile passare dalla sprezzante "La Guillotine est Fort Expéditive", con le sue semplici linee di chitarra e col caustico latrato di Spellbound, a "La Mort Prédite", in cui la melodia di fondo sembra fondamentalmente essere una propaggine del brano precedente, con le sue stilettate malefiche e qui addirittura, un break acustico centrale, a spezzare il ritmo infernale imposto dal terzetto. Con "Le Charroi de Nîmes" sembra di aver a che fare con una band hard rock, almeno nei suoi primi 30 secondi, poi la band si ricompone e riparte da un sound più mid-tempo che però stenta a decollare, se non in un finale decisamente più folkish. Una song parecchio confusa che non lascia troppi punti di riferimento e che rappresenta una sorta di pecora nera nell'economia del disco. Parecchio più oscura invece la successiva "1693-1694: Famine et Anthropophagie", un pezzo che lascia intravedere le potenzialità di una band, qui ancora parecchio acerba. "Aorlhac" segna con il suo black melodico, la conclusione di quello che fu il vecchio EP della band, che al tempo uscì per la Eisiger Mond Productions: il nuovo lavoro, nella sua rinnovata veste grafica, include altri tre brani: "Mémoires d'Alleuze", che era invece incluso nella riedizione dell'EP del 2016 a cura della Those Opposed Records: in termini musicali questo non vede però grandi novità nel genere proposto, se non un tentativo, mal riuscito, di mettere delle clean vocals nei cori del brano. Poi siamo di fronte alla solita proposta che non aggiunge nulla di nuovo o entusiasmante agli Aorlhac: c'è il tentativo di donare più atmosfera in un break temporalesco, ma nulla di davvero memorabile, se non quel finale acustico, quasi in grado di mettere i brividi. "L'Oeil du Choucas" è un breve intermezzo acustico dalle tinte folk, mentre la conclusiva "Les Charognars et la Catin", prova a offrire qualcosa un filo più originale (quasi black'n roll) tra le sue laceranti pieghe ritmiche; nulla di epico, ma apprezzabile comunque il tentativo, soprattutto nello spettacolare assolo conclusivo che riesce finalmente a esaltare la riuscita del brano. Alla fine questa riedizione, a parte la rinnovata veste grafica, non offre grandi sconvolgimenti nella release degli Aorlhac, quindi l'invito ad avvicinarsi a questa release, è rivolto a coloro che non conoscono le gesta della band francese e vogliono raccogliere, in un sol boccone, l'epica trilogia degli Aorlhac. (Francesco Scarci)

(Eisiger Mond Productions/Those Opposed Records/LADLO Productions - 2008/2016/2024)
Voto: 62

https://ladlo.bandcamp.com/album/a-la-crois-e-des-vents-reissue

Aorlhac - L’Esprit des Vents Reissue

#PER CHI AMA: Epic Black
La Les Acteur de l'Ombre Production ripropone la trilogia degli Aorlhac, volta a narrare le storie e le leggende medievali dell'Occitania, in una nuova veste grafica (un elegantissimo digipack A5 con una cover rinnovata, che si incastra alla perfezione con quella degli altri due lavori riproposti - un po' come fecero i Carcass nelle loro riedition), un minimo cambio nell'ordine dei pezzi e pochissimo altro. Noi (anzi il sottoscritto), 'L'Esprit des Vents' l'ha già recensito sei anni fa, e non posso far altro che parafrasare le mie stesse parole del 2018, magari con un orecchio leggermente più allenato alle sonorità dell'act transalpino. Per chi non lo conoscesse, l'album si sviluppa attraverso dieci brani, partendo dall'energica "Aldérica" e terminando con la strumentale "L'Esprit des Vents", presentando un viaggio musicale che sposa un black/thrash in modo epico e combattivo. I momenti di quiete sono davvero pochi tant'è che il disco è caratterizzato da un ritmo frenetico e audace, rispecchiando fieramente le sue radici ancestrali. Durante l'ascolto emergono molteplici influenze, con chiari richiami al metal classico in alcuni assoli (spettacolare quello di "La Révolte des Tuchins"), combinati con influssi provenienti dal Nord Europa. Sebbene il risultato finale non sia estremamente originale, il black metal degli Aorlhac risulta onesto e ben strutturato con melodie accattivanti, come il ritornello folkish di "Infâme Saurimonde", e un'ottima preparazione tecnica, che pone un particolare accento sulla prova del batterista. Le linee di chitarra vichinghe in "Ode à la Croix Cléchée" evocano i primi Einherjer e Windir, andando a sostenere il cantato abrasivo ma piuttosto originale, di Spellbound. "Mandrin, l'Enfant Perdu" si muove tra sonorità black/thrash, in grado di richiamare anche i cechi Master's Hammer e i norvegesi Taake, fino ad arrivare a un evidente rimando agli Iron Maiden verso la conclusione. Tra i miei brani preferiti spicca sicuramente "La Procession des Trépassés", ricca di intense ritmiche e potenti melodie malinconiche. Un ultimo cenno poi lo merita "L'Ora es Venguda," che trasuda sonorità simili ai Primordial. In sintesi, 'L’Esprit des Vents' è un album che saprà entusiasmare gli amanti del black pagano, anche se personalmente, dopo sei anni, non lo definirei un masterpiece. Certo, ora il cd tra le mie mani, sembra un oggetto per collezionisti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2018/2024)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/lesprit-des-vents-reissue

lunedì 23 settembre 2024

Godkiller - Deliverance

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Industrial/Black
Terza release per questa one man band proveniente da Monaco. Dal ’94, anno in cui uscì il primo EP, 'The Rebirth of the Middle Ages', all'uscita di 'Deliverance', sono cambiate molte cose visto che Duke Satanaël ha completamente perso i connotati black epici di un tempo, dedicandosi a un dark oscuro con all’interno molti inserti elettronici. Questo cambiamento avvenne già con il secondo album, 'The End of the World' del ’98, dove vi erano parti elettroniche, non così marcate come qui. La chitarra ha ancora suoni tipicamente metal (quando c’è) e può ricordare i Samael dei bei tempi. Le melodie create sono tutte molto tristi e sofferte, dovute sicuramente all’uso di suoni freddi ed elettronici, usati con cognizione e con una certa ricercatezza, quasi atta a ipnotizzare l’ascoltatore e guidarlo in un mondo buio e angosciante. La voce di Duke è flebile e in linea con il tappeto musicale proposto. Chi ha seguito e apprezzato il nuovo cammino di Godkiller, non potrà che trovare nuova linfa creativa anche in 'Deliverance'.

(Wounded Love Records - 2000)
Voto: 73

https://godkiller.net/

Behemoth - Thelema.6

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Anche per quest'album, i polacchi Behemoth sono rimasti sintonizzati su uno stile fortemente death metal con toni accesi, acuti, per l’impatto, con frequenti, improvvisi cambi di tempo dettati da intrecci complicati e veloci a rallentamenti profondi. Assoli e armonie tragici, aspri in modo amaro. La chitarra e il basso dipingono i brani assai liberamente, con tocchi nervosi o stoppati, a volte accompagnati dalla batteria o più spesso, quest'ultima ne brutalizza l’insieme. Quest'album intricatamente vario, ha un cantato con urla cupe o agghiaccianti, che racchiude alcuni intro e brevi intermezzi elettronici che incupiscono i soventi crescendo, le ritmiche secche e gli innumerevoli percorsi sonori, lenti o furibondi tra svariati contrasti. L’evidente perizia tecnica non abbandona affatto l’impatto e la triste armonia dell’album, essendo peraltro sostenuti da un’ottima registrazione. Inoltre, diversi pezzi ricordano cose ancor più vecchie dei Behemoth, appesantite e più raffinate da uno stile complesso.

(Avantgarde Music/Peaceville - 2000/2021)
Voto: 75

https://www.behemoth.pl/

venerdì 20 settembre 2024

Scarcity – The Promise of Rain

#PER CHI AMA: Noise/Black
L'ultima opera dei newyorkesi Scarcity, è qualcosa che va oltre le mie aspettative. D'altra parte, sarebbe stupido pensare che colui che ha preso in mano le redini del progetto Glenn Branca Ensemble, dopo la scomparsa nel 2018 del suo fondatore, non riflettesse, nella musica della propria band personale proprio gli insegnamenti del grande compositore Glenn Branca. Brandon Randall Mayers è membro del G.B.E. dal 2016, e con i suoi Scarcity, ha voluto proprio sconfinare e travisare le regole del metal, fondendole con l'avanguardia delle sinfonie di Branca. Il disco si apre con "In the Basin of Alkaline Grief", un capolavoro violentissimo di noise metal, no wave e postcore della Grande Mela, un brano spettacolare ed emblematico, quanto punto focale di quest'album, anche per il metodo di registrazione usato qui e in tutto il resto dell'opera (vedi anche "Scorched Vision" e "Undertow"). La scelta stratificata del muro sonoro è assai ricercata con l'effetto prorompente e rumoroso dell'impatto emesso, in realtà, da suoni che non intendono far insensato frastuono ma rumore clinicamente programmato e mirato. E ancora, le chitarre te le trovi puntate in faccia a dismisura, in una sorta di tortura sonica simile a un allarme isterico; la batteria in sottofondo esce da un piano interrato, per mostrare quanto si può elaborare una partitura ritmica in un brano esasperante, senza risultare ripetitiva e banale, con in più, reminiscenze jazz al suo interno. Infine il basso che, come un serpente impazzito, sfugge alle trame del brano, lavorando in una terra di mezzo per far uscire il suo valore reale. Poi, una parziale pausa al terzo minuto (ma non per le chitarre costantemente in fase di allarme) mette in risalto uno screaming che acquista un senso ben lontano dal solito grido in salsa black metal, con un bridge che non passa certo inosservato. Questo disco è strabiliante per effetto sonoro, da ascoltare in cuffia o ad alto volume, incurante del suo status di terrificante manifesto rumoroso, un campo di battaglia dove melodia, distorsione, tecnica, cacofonia e dissonanza, si fondono assieme, come se il pionieristico spirito di Glenn Branca rivivesse tra il caos di 'Evolution Through the Revolution' dei Brutal Truth, l'umore nero degli Swans di 'The Seer', e le cose più underground prodotte dai Sonic Youth, e tanto spirito No New York. Brano dopo brano, ci si innamora di questo sound corrosivo, emotivamente compromesso, che a ogni passaggio vuole esprimere creatività, una creatività estrema, illuminata e viva. Qui tutto è tensione, è un sound parallelo al canone costituito del solito metal estremo, che porta al suo interno lo spirito più duro e sperimentale della Grande Mela. Un'esperienza sonora che lascia grande soddisfazione, raccomandata e tutta da provare. (Bob Stoner)
 
(The Flenser - 2024)
Voto: 85