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giovedì 19 dicembre 2024

Sordes Dominum - Finis Ludus

#PER CHI AMA: Symph Death strumentale
Le release interamente strumentali non mi fanno impazzire, lo sapete, però nel post rock cinematico, sono apprezzabili perché sembra quasi di trovarci di fronte a una colonna sonora, per una certa esasperata ricerca di raffinatezza nei suoni. Ecco, il caso degli statunitensi Sordes Dominum è un filo più complicato visto che la proposta del terzetto di Los Angeles, viaggia invece lungo i binari del death metal, contaminato da aperture sinfoniche, complici le imperiose orchestrazioni che ci ritroviamo in questo lavoro. Quindi, mettiamoci comodi e facciamo quest'altra esperienza sensoriale con quello che è il terzo EP dei californiani. 'Finis Ludus' include quattro tracce che irrompono con la ritmica martellante (quasi djent) di "Ludum Incipit", il cui ripetersi in loop viene fortunatamente smorzato dall'uso delle keys, quando un bel growling avrebbe di sicuro variato la dinamica sonica. E il problema sembra ripetersi anche in "Docebitur Malum" e ovviamente in tutte le altre tracce del dischetto, dove è palese che manchi qualcosa. Per carità, le orchestrazioni, alla stregua dei nostrani Scuorn, sembrano seguire la scena di un film epico e mostrano quindi una certa presa, ma sembrano ancora una volta un riempitivo di un qualcosa di incompleto. Per me il death metal, in qualunque forma esso sia, deve avere una voce, altrimenti una ritmica super tirata o pesante potrebbe anche non necessariamente appartenere a questo genere estremo. E quell'incipit di "Porta Daemonibus", in cui mi sembra di aver udito per un paio di secondi un grugnito, mi regala un sussulto, complice anche la presenza di spoken words che esaltano l'epicità della song, al pari della conclusiva "Ultimum Onus Entis", un filo più sotto tono rispetto alle altre, ma che comunque non fa che confermare la formula offerta dai nostri. In tutta franchezza, mi sento di suggerire l'utilizzo di una voce per le prossime release, a restituire una forma a una musicalità che rischia altresì di suonare decisamente monca. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2024)
Voto: 63
 

lunedì 16 dicembre 2024

Misanthrope - Immortal Misanthrope

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Symph Death
Questo gruppo esiste dal lontano 1988 e io, al tempo di questa recensione, non ne avevo mai sentito parlare! Francesi, i nostri, sono fautori di un buon heavy-death metal, molto tecnico (ascoltare per credere), dove un tappeto tastieristico sempre presente e direi quasi virtuoso, si fonde in tutta la sua melodia con le ottime e potentissime chitarre, con una batteria martellante e tecnica e infine, con la voce grandiosa del leader Philippe "S.A.S de l'Argilière" Courtois. La giusta definizione per il loro suono, a mio parere, potrebbe essere: sympho orchestral music mescolata con i classici riffs heavy-death metal. Questo album è un buon pasto per tutti coloro che ascoltano Children of Bodom, primi Nightwish, Dimmu Borgir, Samael e, aggiungerei anche, i melodicissimi Stratovarious. Da non dimenticare la produzione killer di Nordstrom e J-J Moreac. I Misanthrope sono comunque un gruppo da ascoltare dal vivo (non per niente sono stati partecipi di concerti in compagnia di Angra, Cradle of Filth, Dimmu Borgir e Gamma Ray). Quindi, aspettate il prossimo tour europeo e non mancate!
 
(Holy Records - 2000)
Voto: 70
 

lunedì 9 dicembre 2024

Lord Agheros - Anhedonia

#PER CHI AMA: Symph Death/Black
Fermi tutti, prendete il vostro taccuino e segnatevi il 3 gennaio 2025 come data della nuova uscita dei Lord Agheros. Difficilmente faccio proclami di questo tipo, ma ascoltare 'Anhedonia' in anteprima, è stata una delle più belle sorprese di questo fine 2024 e l'album del polistrumentista siciliano Gerassimos Evangelou, si candida già a essere uno dei top del prossimo anno. Quello della one-man-band italica è da sempre un percorso ambizioso, che noi qui nel Pozzo, abbiamo provato ad accompagnare nella sua evoluzione sonora, recensendo alcune delle sue passate release. Ci siamo persi la precedente 'Koinè', ma per 'Anhedonia' volevamo esserci. E allora, pronti a immergervi nelle atmosfere raffinate di questo lavoro, il cui titolo si riferisce all'incapacità di provare appagamento per le comuni attività quali cibo, sesso e relazioni interpersonali? Il disco, che consta di otto pezzi, si apre con i malinconici vocalizzi di "Lament of the Lost", e un'atmosfera cosi cinematica che pare catapultarci in un kolossal come 'Il Gladiatore', e in una delle inquadrature più famose in cui Massimo Decimo Meridio accarezza le spighe di grano. Questa è l'immagine che mi sono configurato mentre ascoltavo le note iniziali del disco, con la magnetica presenza di una voce femminile in un contesto crescente in cui irromperà il growling potente del frontman. Con una proposta che mi ha evocato i Moonspell più ispirati, i Lord Agheros sprigionano qui la loro maestosa forza, tra roboanti ritmiche e break ambientali affidati a delicate vocals femminili e suoni di carillon. "Harmony of Despair" è uno dei due singoli che hanno anticipato l'uscita del disco e si apre con delicati tocchi di pianoforte e un angelico coro che mette i brividi. A sconquassare l'eterea atmosfera ci pensano le vocals del mastermind, in un'atmosfera che comunque mantiene una forte componente orchestrale, cosa che contraddistinguerà l'intera release. La componente cinematica torna nelle note iniziali di "Eclipse of Hope", che affida all'essenzialità di chitarra e tastiere, il traino di un altro brano da applausi, struggente nella sua vena crepuscolare almeno fino al minuto 2.30 quando deflagrerà la componente vocale a rompere quella delicatezza iniziale che si era instaurata. Da li sembra di sprofondare in un incubo a occhi aperti con una ritmica deragliante che conserva comunque la sua parte sinfonica. "Lost Dreams Ritual" con i suoi cori salmodianti, ha le sembianze di un rituale esoterico, complice anche l'utilizzo di strumenti alternativi, in un incedere tribale che potrebbe evocare un cerimoniale attorno al fuoco, tutte immagini che si parano davanti ai miei occhi durante l'ascolto, un viaggio mistico che trova la sua strada "metallica" solo verso il finale che ci prepara a "Sorrow's Shroud" (il secondo singolo) e a una song decisamente più classica, affidata a un black atmosferico mid-tempo. Niente di trascendentale almeno fino al secondo giro d'orologip quando subentra un break cinematico-avanguardistica, con melodie dal sapore orientale e il brano a instradarsi verso un death dalle forti tinte sinfoniche (chi ha detto Therion?). Il disco si conferma una bomba nella sua alternanza tra parti dal sapore folklorico che si intersecano con altre orchestrali quasi operistiche ("Soul's Descent into the Void") e ancora con il death sinfonico o il black atmosferico norvegese, in un viaggio musicale che ci consente di vedere il mondo in luoghi e periodi storici differenti. A chiudere il disco altri due pezzi: il delicato savoir-faire di "Tears in the Silence", interamente affidata a delle vocals femminili e la conclusiva "Ancient Echoes", un ultimo omaggio alla mediterraneità racchiusa in questo disco, espressa in chiave dark/ambient, a sigillare un piccolo grande gioiello pronto ad aprire in modo entusiastico il 2025. (Francesco Scarci)

lunedì 2 dicembre 2024

Champions of Sorrow - The Night Makes Us

#PER CHI AMA: Symphonic Deathcore
Ultimamente sto notando un'ascesa importante del deathcore dalle tinte sinfoniche. Abbiamo incontrato un paio di band davvero interessanti recentemente (i canadesi Art of Attrition e gli svedesi Cryptic Doom), e oggi ci spostiamo in Finlandia, paese che per questo genere ha dato i natali agli Assemble the Chariots, band che se non conoscete, vi invito ad andare a scoprire. Per quanto riguarda invece i Champions of Sorrow invece, posso dirvi che questo 'The Night Makes Us' rappresenta il loro debutto ufficiale. Un EP di tre pezzi davvero convincenti che mettono insieme sonorità deathcore con la musica sinfonica, per un lavoro che ho adorato sin da subito e che metterà subito d'accordo gli amanti di Fleshgod Apocalypse con Lorna Shore. Complici sicuramente quei melodicissimi tappeti di tastiera che in "The Horde", smorzano la furia distruttiva di un black/death di "dimmu borgiriana" memoria. I vocalizzi super growl poi, una ritmica ribassata, i classici breakdown - orpello ormai immancabile del deathcore - e un'epicità davvero coinvolgente unita a melodie super catchy, mettono sul binario giusto la proposta del duo originario di Helsinki e Uusimaa. A tutto questo aggiungete un buon assolo conclusivo, di sapore heavy classico, ad arricchire quello che sembra essere un succoso antipasto per i nostri. In seconda posizione veniamo travolti dalle orchestrazioni prelibate della title track, le cui atmosfere mi fanno quasi venire la pelle d'oca. Ci pensa poi il rutilante assetto da guerra dell'invasato batterista a inneggiare alla battaglia, ma vengono in soccorso delicati tocchi di pianoforte, parti malinconiche, e ancora splendide melodie a attenuarne i toni. In chiusura, un altro piccolo gioiellino, "Faceless Mirror", ad alimentare la frustrazione del "ne avrei voluto di più", perché i due scandinavi sanno toccare i tasti giusti, portare le argomentazioni più appropriate per coinvolgere anche voi, con il loro ottimo sound, che farà la gioia di tutti gli amanti di sonorità estreme, soprattutto quelli che amano la melodia a servizio della furia metallica. (Francesco Scarci)

lunedì 23 settembre 2024

Cryptic Doom - Lost Souls

#PER CHI AMA: Symph Deathcore
Ultimamente mi sto imbattendo sempre più spesso con band dedite a un deathcore sinfonico. Dopo aver recentemente esplorato le lande canadesi con gli Art of Attrition, eccomi tra le mani un dischetto uscito lo scorso anno, 'Lost Souls' degli svedesi Cryptic Doom. Un EP che deflagra immediatamente con le sonorità bombastiche della sua opening, nonchè title track, che chiarisce immediatamente la direzione stilistica della one man band di Örebro. Che bomba. La tecnica a Xander Adam non manca di certo, nemmeno un buon gusto per le melodie, che si manifesta attraverso ottime orchestrazioni che danno un più ampio respiro a una proposta che, a tratti, rischierebbe di sfociare nel brutal slam. Ma le ottime partiture sinfoniche e l'utilizzo di clean vocals a fare da contraltare a quel brutale growling, riescono a stemperare una furia che sarebbe altresì deleterea per il lavoro. E invece, soprattutto nella seconda "World Decay", il dischetto si apre a una maggior ricerca melodica che si palesa in un'ottima sezione ritmica, infarcita da ottimi giri di chitarra e parti atmosferiche. Certo, quando il factotum scandinavo decide di rallentare i giri del motore, e creare break angoscianti all'insegna di un deathcore nudo e crudo, ecco che cambia tutto e quanto costruito sin qui in termini di accessibilità melodica, sembra andare a farsi benedire. Spaventosa in tal senso la parte iniziale di "Shattered Reality", spinta a velocità folli e vocalizzi mostruosi, ma la ricerca del groove è parte del bagaglio del polistrumentista svedese e la seconda parte del brano, vedrà una maggiore digeribilità del pezzo, complici anche le ottime keys proposte. In chiusura, "Another Dimension" lancia l'ultimo assalto sonoro, tra vorticose linee di chitarra, vocals brutali, una batteria mitragliata e una buona vena catchy, che ci dà un buon motivo per tenere monitorati in futuro questi Cryptic Doom. (Francesco Scarci)

lunedì 9 settembre 2024

Atavistia - Inane Ducam

#PER CHI AMA: Symph Death
La scena canadese è viva e vegeta. Se da un lato, quello orientale, pullulano le gelide band black del Quebec, nell'area della British Columbia, sembrano andare più di moda sonorità sinfoniche. Quest'oggi ci approcciamo agli Atavistia e al loro nuovo EP, 'Inane Ducam', il cui sottotitolo è "I Will Lead into Nothingness". Quattro brani più intro quindi per apprezzare le qualità di una band che ha già comunque rilasciato 3 Lp e un Ep, ma di cui francamente ignoravo l'esistenza. La band di Vancouver esce con un lavoro maturo, che sottolinea l'eccellente perizia tecnica di un quartetto potente, estremamente melodico ed epico, da tenere assolutamente sotto la lente di ingrandimento. Dopo la classica intro atmosferica, ecco rimbombare nel nostro stereo "Timeless Despair", che irrompe a gamba tesa con il suo suono bombastico, sostenuto da una ritmica violenta, pesante ma melodica, frutto di sciabolate chitarristiche, sonore pedate nel culo ad opera di uno spaventoso drummer, diaboliche vocals (growl e scream) e un impianto tastieristico, vero responsabile, insieme a quei minimalistici cori orchestrali, della componente sinfonica del disco. Aggiungiamo poi un assolo con i controcoglioni sparato nella seconda parte del brano e avrete idea di cosa sono in grado di fare questi musicisti con il loro apparato strumentale. Un'altra bella staffilata ci arriva in pieno petto con "Dark Isolation", perfetto per tutti coloro che pensano che ascoltare death sinfonico sia per femminucce. Qui c'è sicuramente una grande dose di melodia, ma per far fronte alla robustezza di un sound che in più di un caso, strizza l'occhiolino ai Dimmu Borgir di 'Puritanical Euphoric Misanthropia', serve comunque una bella armatura. Interessante l'evocativo cantato pulito a metà brano e l'assolo mozzafiato conclusivo che precede l'ultima furibonda cavalcata di un pezzo a dir poco esplosivo. Ma le sorprese non finiscono certo qui: "Unattained Creation" ha un che di vampiresco nella sua parte iniziale, con le parti di tastiera che arrivano come stilettate al petto; ad abbassare la tensione, ci pensano le clean vocals di uno dei due cantanti. Ma non temete, perchè una nuova tempesta di chitarre è pronta ad abbattersi sulle nostre teste, coadiuvato da un basso pulsante e dal martellante bombardamento della batteria, chiamata a un lavoro straordinario. A chiudere questo piccolo gioiellino, il cui voto finale sarà penalizzato dalla sua breve durata, arriva la nervosa "The Void", un pezzo all'insegna di un black/death veemente che potrebbe richiamare i Wintersun e una proposta musicale che potrebbe aver molto da dire in un futuro a breve termine. (Francesco Scarci)

(Self - 2024)
Voto: 75
 

mercoledì 17 luglio 2024

Paradise In Flames - Blindness

#FOR FANS OF: Symph Black Metal
This time we cross the Atlantic Ocean to visit the always interesting Brazilian scene. Paradise In Flames is a band founded 21 years ago. The project has suffered several line-up changes, which may explain the big gap between the different releases. André Lui is the only remaining founding member, but thankfully he keeps the torch of the project alive. The new opus, entitled 'Blindness' even comes with the recent departure of the keyboard player and female singer O.Mortis. Fortunately, her work is present here, so we can still enjoy the full potential of Paradise In Flames.

As mentioned, 'Blindness' is the new effort, and it is definitely a fun album to listen to. Paradise In Flames plays black metal with a great presence of symphonic-style keyboards that make the band sound truly majestic. The production is well-balanced, clean, and gives room for the instruments to shine when needed. This is particularly well-achieved when keyboards appear, as you can still appreciate the guitars and powerful drums. This is the main point to achieve when you mix metal and symphonic elements, and I consider that Paradise In Flames gets the point perfectly well. The compositions themselves are short but very well-done, with abrupt tempo changes that sound natural and not forced. The album consists of eleven tracks, not lasting over forty minutes in total. This opus breathes power and symphonic greatness in each composition, with only a few calmer moments. In general, 'Blindness' is an album where compositions are speedy and very intense. There is no room for boredom, only for a relentless ride. From the actual album opener "Desolate" to the album closer "Angels Devils," this album is a pure beast. The first one, with its epic choir and female vocals combined with the furious riffing and smashing drums, and the latest one, where the band masterfully mixes black metal rage and metal vocals with delicate symphonic elements, show the potential of this new effort.

Tracks like "The Priest" and "Endless Night Battle" have a great room for mid-tempo sections, which is welcome, although they don't lack at all the intensity and energy generously found in this album. Boundless fury comes back with "War Sonata", another powerful composition that breathes energy in every note. The combination of tasteful pianos, different kinds of symphonic arrangements, and the black metal genre is once again exquisite. In particular, the fast section's riffing and drums accompanied by an equally speedy piano are top-notch. The amount and quality of the arrangements are overwhelming and clearly show the great amount of work done by the band.

'Blindness' is definitely a delight for symphonic black metal fans. Its intensity, majesty, and well-composed and produced compositions should garner attention within the scene. The album is a great listen and a pleasant surprise that increases in value with each new listen. (Alain González Artola)


martedì 11 giugno 2024

Voraath - Vol 1: The Hymn of the Hunters

#PER CHI AMA: Death Metal
E finalmente arrivò il giorno. È infatti dal 2021 che sto attendendo l'uscita di questo album, quando sentii per la prima volta su bandcamp, "Siren Head", singolo apripista degli statunitensi Voraath, quintetto del North Carolina che vede nelle sue fila noti personaggi dell'underground estremo americano. Si era creato un certo hype attorno a questa band, che vede come punti di riferimento nel proprio sound, band quali Morbid Angel (la chitarra di Daniel Presnell degli Xael, talvolta sfiora il plagio con quella dei godz di Tampa), e Nocturnus, pionieri del death sci-fi. Potete pertanto immaginare, per chi come me, cresciuto avendo questi punti di riferimento, godere di una miscellanea di questi suoni, resi bombastici dall'inserimento di alcuni sofisticati trick atmosferici, mistici arpeggi ("Waypoint Orion"), funambolici pattern ritmici che si mescolano con arrangiamenti tribali ("Terminus Rift"), suggestive aperture orchestrali, e ancora, numerosi riff stratificati, vocals eteree che si contrappongo a un dualismo vocale che spazia dal growling allo screaming più efferato, e una componente melodica da spavento, sia nelle parti atmosferiche che nei brillanti assoli esibiti dal quintetto di Asheville. Il disco per me è una bomba, ma questo era già chiaro dai tre singoli rilasciati in questi infiniti tre anni passati ad aspettare per poter godere dell'ascolto di questa miracolosa band. Brani come "Dreadborn", che fonde il black sinfonico del Dimmu Borgir, con gli estetismi cibernetici dei The Kovenant, il death orchestrale dei Fleshgod Apocalypse e i virtuosismi intimistici dei Cynic, rendono l'acquisto di questo mirabolante disco una certezza. E dire che non abbiamo ancora ascoltato i pezzi da novanta. Ma presto siamo accontentati: ecco arrivare infatti la rutilante "The Barrens", un inno sublime che celebra Morbid Angel e Septicflesh simultaneamente, tra ipnotiche ritmiche orientaleggianti e vorticose accelerazioni, un break da urlooooooooo (forse sarebbero servite più o) da cui esplodono delle chitarre policrome da puro orgasmo, che elevano questo brano al top del disco e per me uno dei migliori degli ultimi dieci anni. Il distopico concept lirico prosegue con la tiratissima e lugubre atmosfera di "Judas Blood and Vultures", un altro esempio di come si possa fare musica estrema oggi arricchendola con la giusta dose di melodia, in grado di suscitare sensazioni quasi uniche, che forse non sentivo dai tempi del debutto dei Ne Obliviscaris, un'altra band che ha comunque qualche punto di contatto con i Voraath. La devastazione prosegue con l'ultimo dei singoli rilasciati dalla band, "The Leviathans Keep", un altro pezzone che chiama in causa Mike Browning e i suoi epici Nocturnus (peraltro freschi di un nuovo disco nella loro nuova veste AD), ma a differenza dei veterani della Florida, qui compaiono anche le clean vocals. Il disco non concede tregua e anche le malinconiche note di "Dirge Colony" ci regalano altri epici momenti; forse i fan più incalliti del death, si infastidiranno per la minima presenza delle voci femminili che ben si amalgamano in un tessuto ritmico comunque mortifero e spaventoso, ma invito tutti a superare i propri limiti, abbattere le barriere mentali e lasciarvi coinvolgere da un'opera finalmente originale di una band audace, pronta a candidarsi come la vera rivelazione del 2024. Ad avvalorare questa mia opinione, arrivano in supporto gli ultimi tre pezzi: la dinamitarda e scrosciante "The God-Killer Saga", vera killer song sparata a velocità disumane, ma parecchio sorprendente nella sua seconda parte; l'horrorifica ma ispiratissima "Sirenhead", con la voce della gentil donzella a spezzare la brutalità del pezzo e infine, "Pyrrhic" che con le sue melodie criptiche conclude un'opera destinata a diventare un punto di riferimento per le future generazioni. Una pietra miliare? A voi l'ardua sentenza. (Francesco Scarci)

(Exitus Stratagem Records - 2024)
Voto: 90

https://www.facebook.com/Voraath

mercoledì 29 maggio 2024

Trail of Tears - Winds of Disdain

#PER CHI AMA: Symph Death
Toh, chi si rivede? Dopo oltre dieci anni di silenzio in cui la band si era addirittura sciolta, ritornano sulle scene i norvegesi Trial of Tears, band che si era accodata a un genere, il gothic symph death, tanto in voga a fine anni '90, con band del calibro di Tristania, Theatre of Tragedy o primi The Gathering. Parecchi album positivi, fino al canto del cigno, quell''Oscillation' con cui avevano dato addio alla scena. Oggi, i sei scandinavi tornano, dopo qualche cambio di line-up, e sembrano essere più determinati che mai, con un disco bello tosto a livello ritmico, e le chitarre dell'opener "Winds of Disdain", title track dell'album, sembrano dimostrarcelo con un riffing robusto a cavallo tra il thrash e il death metal, l'immancabile vocione di Ronny Thorsen (ex Blood Red Throne), questa volta accompagnato dall'eteree vocals della gentil donzella di turno, la catalana Ailyn, ex Sirenia, e sempre ottime melodie, che trovano conferma anche nella successiva "Take These Tears", il brano più breve dei quattro, ma forse anche quello che meglio si ficca nella testa, complice anche un brillante assolo conclusivo. Si passa poi a "No Colours Left", apparentemente più ruffiana, ma il growling minaccioso del buon Ronny ristabilisce quei toni aspri che abbiamo avuto modo di apprezzare nelle prime due song. Poi ovviamente, come il genere vuole, ecco a far da contraltare la splendida voce da soprano di Ailyn, ma il riffing è bello bastardo (a tratti, al limite del black), con la song che si muove tra continui cambi di tempo che ne rendono l'ascolto piuttosto vario e interessante, con il comparto solistico a farla da padrone ancora una volta, quasi a riportarmi ai fasti di un tempo. Chiaro poi, che non stiamo ascoltando nulla di realmente innovativo, ma la proposta dei rinnovati Trail of Tears si mostra più solida rispetto al più recente passato che si era andato ammorbidendosi pericolosamente. L'ultima traccia di 'Winds of Disdain' è rappresentata da "Blood Red Halo" che prosegue sulla falsariga delle precedenti, con il tipico alternarsi tra growling vocals e gli ammiccanti vocalizzi della cantante catalana, forse qui più presenti che negli altri brani. Insomma, un gradito ritorno, nell'ottica di un disco più lungo e strutturato. Ora sono curioso di sentirli sul full length. (Francesco Scarci)

(The Circle Music - 2024)
Voto: 70

https://www.facebook.com/trailoftearsofficial/

venerdì 17 febbraio 2023

ACOD - Cryptic Curse

#PER CHI AMA: Symph. Death/Black
Non ho fatto in tempo a recensire 'Fourth Reign Over Opacities and Beyond' che mi ritrovo per le mani un nuovo lavoro dei marsigliesi ACOD. Era ottobre 2022 quando recensivo quel disco, eccomi qui oggi a distanza di solo qualche mese a parlarvi di questo EP intitolato ‘Cryptic Curse’. Il nuovo arrivato contiene giusto tre song che sembrano tuttavia richiamare in tutto e per tutto ‘Fourth Reign…’ e dare una certa continuità al percorso intrapreso dai nostri, ossia quel black/death orchestrale che avevo trovato davvero convincente, pur senza rinnegare un passato dalle tinte thrash. Lo si evince dalle roboanti trame ritmiche dell’iniziale "The Hourglass Slave" per poi proseguire con eccellenti risultati anche nelle successive "The Mask of Fate" e nella title track. Oggi, a differenza della precedente recensione però, manca forse per me quell’effetto sorpresa che avevo avuto modo di saggiare all’epoca, ma non posso certo nascondere la bellezza di alcuni assoli, del prestante growling del bravissimo Fred o dell’oscure linee di chitarra che Jérome sciorina nella seconda traccia, tutti elementi che, affiancati ad un’ottima preparazione tecnica, ad un ricercato gusto per le melodie e ad una perfetta registrazione da parte di Tony Lindgren ai Fascination Street Studios, rendono questo breve (17 minuti) capitolo della saga ACOD, di un certo interesse. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 73

https://ladlo.bandcamp.com/album/cryptic-curse

lunedì 23 gennaio 2023

Sarcoptes - Prayers to Oblivion

#FOR FANS OF: Symph Death/Black
Founded in 2008 by Sean Zimmerman and Garrett Garvey, the Californian duo Sarcoptes has always taken its time to release new stuff, as we have enjoyed only two Eps and two full lengths in its 15 years of existence. Luckily, both the EP, and especially, the impressive debut album 'Songs and Dances of Death', were worth of our time. Not being a great fan of thrash metal influenced black metal, the debut effort took me by surprise with its absolutely tasteful mixture of purely black and thrash metal riffs, achieving an excellent merge of both genres. If this wouldn’t be enough, the band introduced symphonic elements through the whole album, not in an astonishing quantity, but very tastefully used and placed, creating a truly majestic album which definitively made me love it.

So, seven years after the aforementioned great debut, and after the quite interesting EP 'Plague Hymns', Sarcoptes returns with its sophomore album 'Prayers to Oblivion'. The second opus is always a crucial moment for every band. It might be the project’s milestone or should start questioning if the project was only a one-day success band. Thankfully, 'Prayers to Oblivion' proves to be the first case and confirms that Sarcoptes is definitely to stay with us, hopefully, for a long time. The previously mentioned EP gave us some clues about Sarcoptes evolution with this new album. If 'Plague Hymns' showed more ferocious and also intricated compositions with an amazing guitar work, 'Prayers to Oblivion' confirms this evolution with a collection of five songs, where there isn’t a single second which could be considered a filler. The more aggressive approach could let me think that the symphonic and epic touches of the first work could be gone or severely decreased, but fortunately this is not the case. Sarcoptes has managed to create and album full of blast-beasts, but without lacking the symphonic and atmospheric arrangements, and seriously elaborated compositions. There is room for straightforward aggression, and as well for truly majestic moments. In that sense, there is a great differentiation between the shorter tracks, "Spanish Flu" and "Tet", and the rest which are way longer. Nevertheless, this doesn’t mean that both short tracks lack of total variety and grandeur. But logically, a track like for example, "Spanish Flu", shows no mercy in terms of speed and pure brutality, where I would like to highlight the drums, which are absolutely smashing, remarkably with the hammering double-bass. As said, the shorter tracks show the most brutal face of Sarcoptes, although they keep the symphonic elements which is something I really appreciate. On the other hand, we have the longer compositions, and seriously, this is where Sarcoptes delivers the goods. As I always say, longer compositions can be risk because you need a certain degree of inspiration if you don’t want to create an unfinishable boresfest. But we don’t have to be worried about it in this magnificent album. From the extraordinary album opener, "The Trenches", Sarcoptes proves the amount of work they have put on this album. The production has been improved, everything sounds cleaner and especially more powerful. The debut’s sound was already very good in my opinion, but 'Prayers to Oblivion' proves that experience is always a key element. The song sounds crushing, and it is especially fast, with the mentioned devastating drums. The riffing is top-notch, excellently executed and varied. Pace wise, this composition reflects what the rest the album will give, relentless speed but never lacking variety in terms of tempo changes where it is needed. Don't expect boring monorhythmic compositions, but severely fast songs with enough changes to keep you absolutely hypnotized. As they did in their debut album, the key arrangements are very tastefully placed, never overshadowing the other instruments, but sounding equally loud, so you can appreciate and enjoy them. The arrangements add the majestic touch I love from this band and also have experienced an evolution or better said, an enrichment, as they sound more varied. Brutality meets epicness, and believe me, it really works. The third track "Dead Silence" follows similar patterns, being equally intense, majestic, and varied with a wonderful final part with all the epic feeling you could imagine. The album closer "Massacre at My Lai", has probably the longest section of all the album with a mid-tempo pace, which gives you some time to breath, but the intensity is increased till the song becomes a total apocalypse. Then, the song reaches its inevitable ending with a much more atmospheric and calmer final act. It’s like the pace you will find in a land devastated land by a hurricane. What an ending.

'Prayers to Oblivion' by Sarcoptes is definitively a tremendous sophomore album, an effort that should place them in the first line of the scene. Its incredibly well achieved mixture of speed, insane brutality, exquisite melodies, and excellent symphonic arrangements, deserves all the praise they should receive. (Alain González Artola)

(Transcending Obscurity Records - 2023)
Score: 90

sabato 8 ottobre 2022

ACOD - Fourth Reign over Opacities and Beyond

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Devo essermi perso qualcosa. Avevo recensito i marsigliesi ACOD nel 2015 in occasione del loro ‘II The Maelstrom’ e li ricordavo con un sound all’insegna del death thrash. Li ritrovo oggi, dopo aver saltato l’ascolto del terzo ‘The Divine Triumph’, e mi ritrovo una band di tutt’altra pasta e genere. Detto che questo ‘Fourth Reign over Opacities and Beyond’ apre con un intro dal piglio sinfonico orchestrale, ma ci poteva stare dopo tutto, quando “Genus Vacuitatis” irrompe nel mio stereo, ecco lo shock, la band non suona più quel monolitico sound tritabudelle in stile Machine Head, ma ora propone un symph black death che potrebbe ammiccare alla proposta pomposa, ma comunque robusta, dei Septicflesh. Ecco si, in questa veste gli ACOD li apprezzo molto di più, soprattutto perchè non dimenticano le loro origini, una bella dose di death metal nelle ritmiche c’è sempre, ma ora decisamente contaminate dalle sinfoniche partiture che compaiono nei pezzi, congiunta con una bella dose di melodia, suoni di archi, la presenza di una voce femminile che rendono il tutto un filo più accessibile, e che francamente preferisco. “The Prophecy of Agony“ si apre con un tono più compassato, ma le chitarra sono pronte ad esplodere in un tappeto ritmico composto, con la voce del frontman Malzareth a richiamare scomodi paragoni con il buon Nergal. In tutta onestà però, devo ammettere che il lavoro mi piace molto, direi che questi sette anni che non ho assolutamente calcolato la band hanno giovato e la progressione è parecchio significativa. Abili anche nell’alternanza vocale tra grim vocals e voci pulite, la band sciorina una dopo l’altro pezzi assai azzeccati, dove l’atmosfera si mette a servizio di un sound potente, a tratti tagliente (“Sulfur Winds Ritual”), ma gonfio di rabbia (grazie ad un riffing di scuola Morbid Angel), traboccante energia e dinamismo sonoro, cosi come pure una sottile vena malinconica, complice un tremolo picking. Forse il pezzo migliore del lotto. Ma il disco rimane pieno di sorprese soprattutto per i cambi di tono o genere: “Nekyia Catharsis“ mostra infatti un carattere più darkeggiante, tanto da richiamarmi i fasti dei finlandesi Throes of Dawn ma pure i Rotting Christ per quelle sue atmosfere più spettrali ed un utilizzo prezioso della chitarra qui votata ad un melo death dal forte piglio orchestrale, cosi come pure un utilizzo costantemente efficace delle voci pulite. Tutto molto positivo, anche l’incipit di “Artes Obscurae” che segue a ruota l’intermezzo occulto di “Infernet’s Path“. Un pezzo decisamente compassato l’inizio del primo con una bella dose di groove, ma quello che sentiamo dopo saranno saette di chitarra, ritmiche possenti ancora di scuola americana, pomposissime tastiere, vorticosi giri delle sei corde, voci gracchianti, echi a Dimmu Borgir e Cradle of Filth per un finale davvero in crescendo. Vogliamo poi citare l'artwork di Paolo Girardi? Lascio giudicare a voi. Io mi devo solo mettere ad ascoltare il disco precedente e capire se mi sono perso qualcosa di significativo. (Francesco Scarci)

Daidalos – The Expedition

#PER CHI AMA: Symph Black
Ebbene, lo ammetto, non avevo la più pallida idea di chi fossero i Daidalos. Non me ne vorrà Tobias Püschner, la sola mente diabolica che si cela dietro questo interessantissimo progetto, devoto ad un black di stampo sinfonico. Io d’altro canto, quando sento parlare di questo genere, ripenso ai fasti portati avanti dai Dimmu Borgir o dai primi ispiratissimi Cradle of Filth, tanto per fare due nomi a caso. Il nostro factotum di oggi, supportato da una serie di ospiti tra cui anche un paio di italiani, Fabio Rossi (I Sorg) asso della sei corde e Francesco Petrelli (Unfaded Illusion) sempre alla chitarra, ci regala una splendida release che vi lascerà piacevolmente sorpresi. Questa infatti la mia reazione di fronte al dirompente attacco della title track che apre ‘The Expedition’. E questo titolo pone inevitabilmente l’accento al tema lirico del disco, ossia la spedizione nell’Artico nel 1845 di due navi (la Erebus e Terror), guidate dal capitano Sir John Franklin, di cui si persero le tracce, insieme ai 129 uomini della sua ciurma, intrappolati tra i ghiacci dell’entroterra canadese. E su questo drammatico racconto, si snodano le fantastiche melodie e orchestrazioni del disco che, con la seconda “Icewind”, sembra quasi voler raffigurare quelle raffiche di vento glaciali che sferzarono i nostri nel loro viaggio. Le ritmiche sono burrascose, solo le tastiere provano a minimizzare la furia delle chitarre cosi anche un cantato che si alterna tra uno screaming chiarissimo e voci pulite e il coro di Noga Rotem, forse un pizzico ruffiano, ad evocare la brava Sarah Jezebel Deva nei primi anni ai Cradle of Filth. Il disco è un susseguirsi di parti atmosferiche, grandiose orchestrazioni e furibonde accelerazioni black death che catalizzano l’attenzione e non poco. “Sails into the Stars” ha un attacco davvero oscuro ma poi le melodie prendono il sopravvento e il pezzo diventa decisamente più accessibile, quasi sognante nel suo break centrale. Non c’è spazio per la noia in queste note, la varietà del disco consente di non distrarsi un attimo e questo alla fine sarà anche il suo punto di forza. Il pezzo nel suo vorticoso incedere ci porta ad un finale corale che ci introduce a “Stormwind”, un’altra tempesta quindi ad attenderci? In realtà, sono tocchi di pianoforte quelli che introducono il brano e dove la voce del frontman, prosegue nella narrazione della storia, accompagnandoci nell’immaginifico che inevitabilmente l’ascoltatore si creerà nel corso del disco. “Married to the Sea” ha un roboante attacco ritmico che sembra sancire l’indissolubile (ma qui dai contorni nefasti) legame tra uomo e mare. Le melodie si confermano azzeccatissime complice l’ottimo lavoro alle tastiere e alle sempre più pompose orchestrazioni (chi ha detto Fleshgod Apocalypse?). Spettrale l’incipit di “The Empress”, tra synth, chitarre e grim vocals, in un brano decisamente più mid-tempo rispetto ai precedenti, anche se certe linee di chitarra mi hanno evocato nuovamente i CoF. “Poem in the Snow” basa invece le proprie liriche sul poema “Once by the Pacific” del poeta americano Robert Frost, che narra come le onde dell’oceano si apprestino a distruggere una spiaggia, evocando visioni oscure della fine di un'era, la fine del mondo, un presagio per il nostro futuro? Epico sicuramente il coro collocato su dei tocchi di pianoforte nella seconda parte del brano anche se alla fine, la sua ridondanza non sembra avere l’effetto desiderato. “Northlight” riesplode con potentissime e melodiche ritmiche, voci black che si alternano a cori epici in una varianza di tempi che va a sublimarsi in una coppia di fantastici assoli che sanciscono quanto interesse meriti questa one-man-band teutonica. Vi segnalo poi che nella versione digitale compare anche una bonus track, “My Melancholy”, che affida il suo iniziale e nostalgico mood al pizzicare di una chitarra acustica e ai tocchi di un piano che andranno poi ad evolvere in un altro brano mid-tempo, dove a mettersi in luce questa volta, sarà un magnifico e malinconico violino che chiude egregiamente un signor album. Consigliatissimi. (Francesco Scarci)

sabato 27 agosto 2022

Em Sinfonia - Intimate Portrait

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Doom
Nati come side project di Brian Griffin, songwriter/chitarrista/produttore dei più famosi Broken Hope, gli Em Sinfonia approdano a questo full length dopo un demo, diventato poi Mcd ('In Mourning Symphony' su Martyr Music Group), molto venduto. Dediti ad un symphonic doom/death metal con, come dicono, una grande varietà di vocals, i nostri sfornano in realtà un album non proprio decente che non ha niente a che fare con l’etichetta appioppata dalla casa discografica. Canzoni deboli, impersonali, che perdono anche dal punto di vista sonoro per la scarsa qualità di registrazione. Chitarre troppo chiuse, orchestrazioni e violini fiacchi, voci poi talmente varie che non si riconoscono più quelle portanti (tra queste le female vocals sono troppo su toni Festival di San Remo). I testi poi trattano sempre gli stessi argomenti triti e ritriti: "Tears Fall Like Rain", "In Erotic Rapture" e cosi via. Gli E.S. non mi hanno colpito per nulla. Pertanto, non saprei proprio a chi consigliarli.

(Martyr Music Group - 2001)
Voto: 50

https://www.metal-archives.com/bands/Em_Sinfonia

sabato 12 febbraio 2022

The Design Abstract - Metemtechnosis

#PER CHI AMA: Melo Symph Death, Scar Symmetry
Di uscite in ambito death sinfonico non ce ne sono poi cosi tante durante l'anno, cosi quando mi capita di ritrovarmi fra le mani un concentrato di death, prog deathcore, symph, il tutto spruzzato di una vena sci-fi, beh sapete cosa c'è, che mi fermo e lo ascolto gran volentieri. Questo è sostanzialmente capitato quando, per puro caso, mi sono ritrovato a visitare il sito dell'Abstrakted Records e questi The Design Abstract. E francamente, è stata una piacevole sorpresa. La band originaria dell'Ontario sciorina nove ottimi brani che dall'iniziale "Digital Dawn" alla conclusiva "Decryptor", mi hanno tenuto incollato ad apprezzarne le melodie. Quindi, se amate come il sottoscritto, band come gli Scar Symmetry o i Fallujah di 'The Flesh Prevails' o ancora Soilwork e Xerath, beh potreste fermarvi anche voi a dare un attento ascolto a 'Metemtechnosis' (secondo capitolo della trilogia 'Technotheism') e lasciarvi assorbire e sedurre dalle melodie dei synth (di ottantiana memoria) che pullulano in questo lavoro, mentre le chitarre si lanciano in giri alquanto ruffiani, adeguatamente supportati da un dose orchestrale di assoluto valore, che troverà ancor più spazio nella successiva "Born of Machines". La voce di Voiicide si muove tra il growling e il pulito (quest'ultima tuttavia è da migliorare), mentre le sei-corde viaggiano veloci ed estremamente melodiche, un vero piacere per le mie orecchie. Non c'è sicuramente un momento di pausa nel flusso ritmico del terzetto canadese, con le asce che corrono veloci anche in "The Hybrid Awakening", mostrando qui peraltro un break atmosferico già dopo 90 secondi, prima di ripartire più in palla che mai, con un'alternanza continua tra clean vocals e un growl davvero convincente. Ma il pezzo è comunque una sorpresa dopo l'altra, con un break pianistico, un bell'assolo e un riffing sempre bello serrato. Se proprio devo trovare un difetto, sta forse nella scarsa pulizia dei suoni, ma è un qualcosa che si può superare tranquillamente visto che la qualità musicale è davvero buona. "Organic Data Fusion" è un pezzo che nella sua progressione mi ha ricordato maggiormente i Fallujah, pur non mostrando la medesima violenza e robustezza della band californiana. Ma qui il lavoro è eccellente con pregevoli assoli che completano forse il brano che più ho gradito in 'Metemtechnosis'. Una bella dose di elettronica unita ad un rifferama compatto infiamma "Metropolis II" che, oltre ad avere una ritmica che richiama un mix tra Meshuggah e Fallujah, ancora una volta è da esaltare per il lavoro in chiave solistica degli axemen, Logan Mayhem e Matt Ngo, che si rincorrono con scale ritmiche e sverniciate per tutto il brano. "Aberration Omega" è un pezzo più breve che evoca maggiormente gli Scar Symmetry, soprattutto a livello vocale. "Upheaval" è un breve strumentale che ci porta a "Sentinels", un'altra song dal forte impatto orchestrale, seppur una durata più contenuta (poco più di tre minuti), che nel suo cuore, mostra un interessante break malinconico che rimarrà impregnato nelle trame del brano. A chiudere ci pensa la già citata "Decryptor" che ha nelle sue corde quell'apparato più compatto tipico del prog deathcore già incontrato qua e là durante l'ascolto del cd, e una serie di ulteriori innovazioni in chiave ritmica che non avevamo scorto sin qui. Alla fine, vorrei ribadire quanto abbia trovato piacevole l'ascolto di 'Metemtechnosis', un lavoro che mi sento di consigliare agli amanti di sonorità heavy melo death infarcite di porzioni orchestrali ed elettroniche. Bravi! (Francesco Scarci)

(Abstrakted Records - 2021)
Voto: 77

https://design.bandcamp.com/album/metemtechnosis

giovedì 13 maggio 2021

The Circle - Metamorphosis

#PER CHI AMA: Symph Black/Death, Ne Obliviscaris
Fermi tutti! No, questa non è una rapina, ma l'invito a focalizzare un attimo la vostra attenzione sul debut EP dei teutonici The Circle. Il duo di Hameln propone quattro tracce atte ad introdurci alla loro proposta musicale che volge lo sguardo all'analisi dell'emozioni più oscure, paura ("Angst"), disperazione ("Verzweiflung"), ira ("Zorn") e salvezza ("Erlösung"). 'Metamorphosis' è un lavoro prezioso che ci permette di conoscere al meglio questi musicisti e comprenderne le potenzialità fin dall'iniziale "Angst", in cui confluiscono suoni death sinfonici, uniti ad una certa vena progressiva. Sembra quasi di ascoltare gli ultimi Triptykon, senza la voce femminile mi raccomando, anzi qui sottolinerei la bravura del frontman Asim Searah, sia nel growling che nel pulito, uniti ad una vena malinconica tipica dei My Dying Bride. Le ambientazioni tastieristiche, la ritmica mid-tempo e le ottime melodie, fanno dell'opener una traccia affascinante, soprattutto nella componente solistica che chiude alla grande il pezzo. Ma il successivo non è da meno, statene certi anzi. In "Verzweiflung" sembra quasi che i nostri prendano una maggior coscienza di se stessi e si lancino in un sound melodico, al tempo stesso disarmonico, con una sfuriata black iniziale a cui fare da contraltare con splendide melodie in stile Children of Bodom, e con il cantato growl sempre compensato dalle ottime clean vocals. Un super break atmosferico spezza il brano in due parti dove nella seconda metà, sembra che i nostri guardino verso orizzonti di meshuggana memoria, il tutto comunque avvolto da una vena teatral-operistica che aumenta il fascino per un disco che ha il solo difetto di durare troppo poco (27 minuti per un EP non sarebbero nemmeno pochi ma visto che Metal Archives lo etichetta invece come full length, diventato troppo pochi). A parte questo, il dischetto prosegue su una eleganza di suoni davvero da leccarsi le dita anche con la terza "Zorn", dove l'utilizzo degli archi sembra quasi emulare i Ne Obliviscaris, forse l'influenza che alla fine potrebbe condensare in poche parole il sound dei The Circle. E francamente per il sottoscritto, fan numero uno della band australiana, nonchè quello che li ha spinti tra le braccia della Code666, questo non può che essere un enorme complimento per i nostri, per cui vedo peraltro ancora grossi margini di miglioramento. Alla fine, i pezzi sono fantastici, ben suonati, ben bilanciati tra ritmiche forsennate e melodie straripanti, con blast beat stemperati dalla forte vena orchestrale che potrebbe scomodare anche qualche paragone con i nostrani Fleshgod Apocalypse. Insomma, non ho certo messo nomi a caso in questa mia valutazione di 'Metamorphosis' e dire che a rapporto manca ancora il quarto capitolo, "Erlösung", un pezzo che miscela la robustezza del death melodico con splendide parti atmosferiche, un'alternanza ed ecletticità vocale davvero notevole da parte del cantante di origini pakistane, ed un gusto per la melodia invidiabile. 'Metamorphosis', il più classico dei buongiorno che si vede dal mattino. (Francesco Scarci)

sabato 30 gennaio 2021

Bogwolf - A Sermon Unto Wolves

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Con una copertina che richiama inequivocabilmente la storia di Romolo e Remo e la lupa, si presentano a noi con questo demo di debutto intitolato 'A Sermon Unto Wolves', gli americani Bogwolf. Giusto tre brani per farci capire un po' di una proposta musicale di cui presto vorrei ascoltare qualcosa di più lungo e strutturato. Si perchè la release del trio originario di Raleigh contiene solamente due brani più una diabolica intro tastieristica, "The Culling". Poi esplode l'inferno, con un black death dalle tinte sinfoniche che deflagra con maestose melodie nelle casse del nostro lettore. È infatti la potente e melodica title track a consegnarci il bigliettino da visita della compagine statunitense, tra suoni bombastici ma violenti, screaming vocals, parti ritmate e altre decisamente più tirate. L'elemento portante della band? Senza ombra di dubbio la tastiera, cosi strategica nel suo saper dosare parti atmosferiche e mitigare quelle più tirate, dove la batteria viene sparata a tutta velocità a scardinare i nostri timpani. Terza traccia affidata a "God Damned American", più deathcore oriented rispetto alla precedente ma con una dose sinfonica sempre ben presente nella sua matrice musicale. Non ci rimane che attendere un debutto più corpulento che ci consegni un minutaggio più elevato per apprezzare le indubbie doti del velenoso terzetto della North Carolina. (Francesco Scarci)

martedì 5 gennaio 2021

Mazikeen - The Solace Of Death

#PER CHI AMA: Black, Emperor
Il nome Mazikeen ho imparato a conoscerlo dalla visione della serie TV 'Lucifer', dove impersonava uno dei demoni a servizio di Lucifero, sebbene l'origine del suo nome sia da ritrovarsi nella DC Comics che la incornicia come una delle figlie di Lilith, la presunta prima donna di Adamo. A parte queste premesse, i Mazikeen sono anche la band di oggi, un quintetto originario di Melbourne che lo scorso anno, ha rilasciato il qui presente debut, intitolato 'The Solace of Death'. L'album include otto tracce di black/death più la bellezza di quattro cover. Ma andiamo con ordine raccontandovi un po' di che pasta sono fatti i nostri, che partono discretamente bene con la title track e una tempesta di sette minuti di black dalle tinte sinfoniche. Nulla di originale sia ben chiaro, però i musicisti sembrano preparati, le melodie piacevoli, anche un pochino ruffiane ma va bene, con tutti gli elementi del classico black anni '90 a disposizione dei nostri. Un tuffo nel passato quindi, sottolineato anche dalla successiva "Apostate" che con i suoi 10 minuti, e insieme agli altri 10 di "Vexation Through the Golden Sun", rappresentano i due brani più lunghi del disco (in un lavoro che comunque sfiora gli 80 minuti!). Anche in queste circostanze, la band si presenta con parti death atmosferiche che si alternano a sfuriate di scuola norvegese (Emperor/Carpathian Forest), con uno strano utilizzo delle vocals (tra screaming e qualcosa di corale). Certo gli originali sono tutt'altra cosa, però i nostri si difendono in un qualche modo, anche se avrei evitato di proporre quasi 21 minuti di musica in soli due pezzi, il rischio di incappare in una certa ridondanza si fa infatti più elevato. Ma i Mazikeen si mettono in gioco, rischiano e non ne escono nemmeno con le ossa rotte sebbene dopo un po' il desiderio di skippare lo avverta anche. I nostri musicisti australiani macinano riff a profusione con velocità sostenute, sempre contraddistinte però da una buona dose di melodia e addirittura da qualche assolo di scuola heavy classica (mi vengono in mente gli Iron Maiden nella seconda song) o addirittura da qualche break acustico che conferma le discrete qualità dei nostri. Per me il disco si poteva fermare alla soglia del quarto brano visto che qualche dolore in più inizia a palesarsi. Inutile infatti la tempesta sonora di "Fractricide" cosi come la più compassata, almeno all'inizio, "Psychotic Reign", un pezzo che francamente alla fine non è nè carne nè pesce, visto l'enorme baccano profuso fino a quando un ottimo assolo dilaga nel caos creato dai nostri; peraltro queste due tracce vedono il guest alla voce di Josh Young degli Astral Winter. Toni spettrali con l'interlocutoria "Harrowing Cessation" e ancora tocchi di piano con "Mors Vincit Omnia", per due brani la cui collocazione è quanto meno discutibile. "Cerulean Last Night" (qui il guest è del vocalist dei The Maledict) chiude il lotto di pezzi dei Mazikeen in modo a dir poco selvaggio. È il turno delle cover: si parte con "Freezing Moon" dei Mahyem e "Night's Blood" dei Dissection. Qui alla voce Nathan Collins dei Somnium Nox che presta i propri latrati a due grandi pezzi del passato, riletti quasi praticamente in un ugual modo rispetto agli originali dai Mazikeen. Poi uno dei miei brani preferiti di sempre, "The Mourning Palace" dei Dimmu Borgir, riproposti qui con una stravagante linea di tastiere che mi lascia un attimo perplesso. A chiudere quest'estenuante disco 'Transilvanian Hunger" dei Darkthrone, riproposta peraltro con la stessa pessima produzione dell'originale per mantenere intatto quel mood primigenio della band di Fenriz e Nocturno Culto. 'The Solace Of Death' è alla fine un disco che non fa dell'originalità il proprio credo, evidenzia ombre e luci (pochine a dire il vero) dei Mazikeen che per fare il salto di qualità, dovranno necessariamente mettere più personalità nel prossimo album. Per ora siamo oltre la sufficienza ma mi aspetto molto di più in futuro. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Iron, Blood and Death Corporation - 2020)
Voto: 65

https://satanath.bandcamp.com/album/sat282-mazikeen-the-solace-of-death-2020

giovedì 12 novembre 2020

Helioss - Devenir Le Soleil

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Dalla Francia, ecco arriva gli Helioss, compagine nata originariamente come one-man-band di Nicolas Muller, ora invece accompagnato da tal DM (un altro di quelli che ha almeno 27 progetti paralleli) e da Mikko Koskinen (dei Proscription) alla batteria. Il connubio di questi tre artisti ha portato al qui presente 'Devenir Le Soleil', un lavoro straordinario di black death sinfonico. Francamente non conoscevo la band e dato che questo è il quinto album, credo che mi andrò a ripescare i precedenti lavori visti i contenuti davvero ragguardevoli di codesto. Forte di una ottima produzione che esalta i suoni bombastici di 'Devenir Le Soleil', il disco è un susseguirsi di bombe di un estremismo metallico fatto di eccellenti orchestrazioni che esaltano un tappeto ritmico davvero dinamico, fatto di cambi di tempo da urlo e riffoni belli violenti. I nove brani si infiammano che è un piacere dall'esplosiva apertura di "...Et Dieu Se Tut", alla successiva "A Wall of Certainty", un pezzo che nella sua parte pianistica mi ha evocato gli austriaci Angizia. Per me godimento puro soprattutto per la capacità di saper variare offrendo una tempesta sonora abbastanza originale (i contatti con i nostrani Fleshgod Apocalypse non sono cosi scontati), dato che nel sound del terzetto non compaiono solo sonorità estreme. Se penso alle linee di chitarra di "The End of the Empire", ci trovo infatti puro heavy metal classico anche se poi la song va a scavare in meandri più oscuri ma altrettanto melodici, lanciandosi poi in cavalcate arrembanti e arabeschi spettacolari. Il disco per me è una bomba, ve lo scrivo e sottoscrivo. Basti ancora dare un ascolto a random alla più tiepida e controllata (almeno all'inizio) "Let the World Forget Me" o alla schizofrenica "Singularity", dove compare il violoncello di Raphaël Verguin (uno che abbiamo già trovato negli In Cauda Venenum o negli Psygnosis) e il violino di Elisabeth Muller. Ma le ospitate non terminano qui, visto che la title track (oltre 24 minuti di durata) vede la comparsata di un elevato numero di ospiti (provenienti da altre band) che si alternano dietro al microfono (ma c'è anche un percussionista ad affiancare Mikko) in una suite davvero da applausi (per cui sarebbe quasi un delitto poterne sviscerare i molteplici dettagli e la ricercatezza dei suoni), in cui poter apprezzare tutte le qualità musicali di questo eterogeneo collettivo di artisti, in un brano che oltre a richiamare in generale i maggiori compositori classici, chiama inevitabilmente in causa anche i Ne Obliviscaris e un vecchio disco dei francesi Kalisia ('Cybion'), in un pezzo incredibile che da solo varrebbe l'acquisto di questo lavoro che si candida a questo punto ad essere nella mia personale top ten del 2020. Complimenti! (Francesco Scarci)

martedì 23 giugno 2020

Visceral Evisceration - Incessant Desire for Palatable Flesh

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Doom
Nonostante il nome Visceral Evisceration accenni a riferimenti grind-splatter gore, questa band austriaca, con il loro unico album, 'Incessant Desire for Palatable Flesh', ci regalarono nel 1994 (remixato e rimasterizzato poi nei primi anni '90) un intrigante connubio grind-death-doom, dalle tinte grigio scure. Testi anatomo-patologici, accompagnano eccellenti e sofisticate linee melodiche di chitarra; le voci si alternano tra il growl e il pulito, e fa la sua prima comparsa in un genere cosi estremo, la voce operistica di un uomo e di un soprano donna. Musica bizzarra, intensa e mai banale che vi saprà sorprendere con le sue continue geniali trovate. La band ahimè si sciolse dopo quest’unico album per riformarsi nel 1995 sotto il nome di As I Lay Dying da non confondere però con gli omonimi metallers statunitensi. Il neo formato combo austriaco rilasciò un promo e poi sparì del tutto dalla faccia della terra. Un vero peccato, perchè suoni del genere in futuro, non se ne sono più risentiti. (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 1994)
Voto: 90

https://www.facebook.com/visceralevisceration/