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giovedì 8 dicembre 2022

Behind Closed Doors - Caged in Helices

#PER CHI AMA: Instrumental Post Metal
È un trio internazionale quello dei Behind Closed Doors (stravagante questo moniker), formato da prodi menestrelli provenienti da Germania, Paesi Bassi e Svezia, che si sono trovati per rilasciare questo affascinante affresco di post metal strumentale. Sapete quanto storca il naso a non avere un cantato eppure questo 'Caged in Helices' riesce a superare egregiamente la prova del fuoco anche senza un vocalist. Questo perchè i nostri non sono certo degli sprovveduti, avendo arricchito la propria proposta metallica di archi (tra cui Ben Mathot degli Ayreon) che vanno a colmare il vuoto lasciato dalla voce. Questo quanto si può ascoltare già nell'iniziale "The Anti Will", che nei suoi otto minuti ne fa proprio di tutti i colori, attraversando un corridoio fatto di post-rock, post-metal, suoni cinematici e ancora math rock, progressive, musica classica e potrei continuare all'infinito, aggiungendo anche soundtrack e djent, con quella granitica chitarra in chiusura, una vera mazzata nei denti. Spettacolo puro. "Kaleidoscope Antlers" riparte da questo potpourri di generi e stili, da un bel chitarrone avvolto dagli archi che potrebbero evocare in un qualche modo i Metallica ai tempi dell'esperimento sinfonico di 'S&M'. Tecnica squisita, eleganza musicale e ricerca per la melodia contraddistinguono questa e le song a seguire, di cui sottolinerei le due maratone affidate a "Black Pyramid" e "Ad Aspera Adastra, But Why And For What?", due pezzoni tra i nove e i dieci minuti che sottolineano, manco ce ne fosse bisogno, le eccelse qualità compositive della band. La prima delle due peraltro sfoggia una linea di basso davvero da urlo che entra nel cervello e da li non ne esce più. Questa poi è la canzone dove forse la componente orchestrale è meno invasiva e il sound decisamente più incisivo, anche se un paio di break atmosferici ne bilanciano l'irruenza ritmica. In "Ad Aspera..." viola, violino e violoncello tornano a far danni, insinuandosi nelle trame sofisticate di una song dal piglio decisamente minaccioso. Peccato per un lunghissimo break centrale che renderà il brano più suscettibile allo "skip". Il pezzo che poi in realtà ho maggiormente apprezzato è "The Essence of Doubt", con quella sua chitarra orientaleggiante e la sua coda djent, ipnotica quanto basta per tenermi agganciato ad un lavoro che, per quanto privo di un cantante, ha tutte le carte in regola per spaccare culi a destra e a manca. (Francesco Scarci)

venerdì 12 agosto 2022

La Reine Seule - Visages

#PER CHI AMA: Neoclassic
Nel 1988 comprai un album della cantautrice italiana Alice, che interpretava arie di Satie, Faurè e Ravel, in una forma molto classica di solo piano, suonato dal maestro Michele Fedrigotti. Era intitolato 'Melodie Passagère' e mi colpì molto per il suo effetto sospeso, malinconico ma arioso pieno di vitalità, ma grigio interiormente, proprio come i colori della sua splendida copertina. La stessa bella sensazione la riprovo oggi nell'ascoltare 'Visages', il nuovo lavoro di Judith Hoorens uscito per la Kapitän Platte, già pianista dei post rockers We Stood Like Kings. Un album adulto, sognante, riflessivo ed onirico simultaneamente, un disco neoclassico di solo piano diviso in otto parti, dove da un'identica cellula musicale di tre sole note, tra minori e maggiori, si sviluppano tutte le varie melodie che compongono l'opera, donando una corposità materiale alla musica, che avvolge e rapisce l'immaginazione costantemente, nota dopo nota. L'effetto sospensivo è ipnotico e mette in mostra le capacità eccelse della pianista belga nel comporre ed eseguire musiche in solitudine di fronte ad un pianoforte, che a volte si copre di malinconiche arie ma che sanno anche dare cristallini tocchi di vitalità, una gioia leggera come un soffio di vento soffice sul viso. In queste otto tracce, La Reine Seule dona vita ad un lavoro magico, gestito come una colonna sonora per un film in bianco e nero di una pellicola retrò, intenso e profondo accompagnato da un artwork di copertina assai affascinante ideato dall'artista Taila Onraedt. Non è facile spiegare come un disco di questa fattura possa entrare nelle grazie di un pubblico esteso, ma credo che basterà un solo ascolto di 'Visages', per farsene una ragione, d'altronde Judith Hoorens, era già deliziosa nei dischi degli We Stood Like Kings fin dall'ottimo 'Berlin 1927', passando per 'Classical Re:Works', dove il post rock incontrava la classica, rivisitandola a suo modo e come fosse cosa di tutti i giorni farlo in quel contesto. La Reine Seule conferma la sua ottima qualità, anche in perfetta solitudine, legata mani e piedi al neoclassicismo di un piano che è impossibile non amare alla follia. Ascolto consigliatissimo. (Bob Stoner)
 

mercoledì 5 novembre 2014

+1476+ – Edgar Allan Poe: A Life Of Hope & Despair

#PER CHI AMA: Soundtracks, Gothic, Neoclassical, Ambient, Ulver
Di questo duo del New England abbiamo avuto già modo di parlare lo scorso anno, in occasione della splendida accoppiata 'Wildwood'/'The Nightlife', che li rivelava come band interessantissima ed estremamente eclettica, ed oggi torniamo ad occuparcene in concomitanza con l’uscita di questo nuovo, particolare lavoro. Per l’occasione i 1476 ci hanno concesso una lunga ed ricchissima intervista (la prima di una, si spera, lunga serie per il Pozzo) in cui ci hanno parlato, tra le altre cose, anche di questo loro nuovo lavoro. Come si intuisce dal titolo, si tratta di musica ispirata alla vita di Edgar Allan Poe, una vera e propria colonna sonora per una mostra dedicata al grande scrittore americano da una galleria d’arte di Salem. Il gruppo si è buttato con entusiasmo nel progetto, prendendo ad ispirazione la vita piú che le opere di Poe. Il risultato sono otto brani, per 44 minuti di musica, per la gran parte strumentali, dalle atmosfere drammatiche e sempre estremamente suggestive. Per lo piú incentrate sul pianoforte, nelle otto composizioni si alternano momenti puramente neoclassici ad altri vicini all’ambient piú sinistro e meno rassicurante in cui fanno la loro comparsa gli archi, chitarre acustiche ma anche droni e beat elettronic. Loro stessi, nell’intervista, arrivano a definire questo lavoro come il risultato di un’accoppiamento tra Chopin e Ulver (!). Si prenda ad esempio l’iniziale "A Circle of Hope & Despair", drammatica e ottocentesca, o la raggelante elettronica di "Extranction Environs". L’unica vera e propria canzone, "A Circle is Eternal", è una fenomenale cavalcata di sette minuti, che mette in mostra la straordinaria capacità dei nostri di costruire crescendo emozionanti, oltre a confermare le doti vocali di Robb Kavjian, mentre per tutto il resto del programma ad incantare è soprattutto la perizia pianistica di Neil DeRosa. Lavoro di sicuro molto particolare e certamente interlocutorio, che serve come succoso antipasto per un nuovo album (pronto al 75%, come ci rivela lo stesso Robb) e che rivela una faccia inedita del combo americano, in grado di affascinare e ammaliare con oscure arti di seduzione. Inafferrabili. (Mauro Catena)

(Seraphim House - 2014)
Voto: 70

http://www.1476cult.com/

martedì 5 marzo 2013

Pensées Nocturnes - Nom D’Une Pipe!

#PER CHI AMA: Avantgarde, Suoni Sperimentali
Ecco un lavoro che stavo aspettando con somma trepidazione, addirittura fremo da ottobre, quando l’etichetta dei nostri mi contattò per farmi sapere dell’uscita dei Pensées Nocturnes. Da allora è stato un costante controllare sul sito dei folli francesi la data d’uscita della nuova release, per capire quando mi sarei dovuto attendere il cd fra le mani, ed eccomi finalmente accontentato. E che la follia ora abbia inizio. Che abbia inizio poi con i deliranti caroselli di “A Mangé le Soleil”, in cui sono palesi i riferimenti all’ex presidente francese Sarkozy e alla sua caduta. Non so darvi ulteriori indicazioni, a livello delle liriche, perché ovviamente il tutto è scritto e cantato in francese (lingua a me ignota). Poi quando la farneticante musica dei nostri, con tanto di trombe e sax impazziti, vocals sofferenti, suoni totalmente disarmonici e ovviamente avanguardistici, prende il sopravvento, si rivela una delizia per i miei padiglioni auricolari, ultimamente un po’ troppo insofferenti. Un po’ burlesque, un po’ folkish, qualche contaminazione balcanica, qualche altra scandinava di scuola Virus, l’imprevedibilità dei suoni transalpini, un allontanamento quasi totale dal black metal (salvo qualche incursione con rabbiose vocals o serrati riff malvagi), il tutto va a coniugarsi in modo stralunato nella seconda traccia, “Le Marionettiste”. Se avevate delle certezze nella vita, mettetele pure da parte, perché i Pensées Nocturnes ve le disintegreranno, solo dopo le prime tre songs, cosi come accaduto al sottoscritto. Non ci capisco davvero più nulla. Dopo un breve interludio, eccolo ancora il delirio più assurdo sulla mia porta: vi presento “Le Berger”, una creatura spaventosa, con delle growling vocals orrorifiche, che su un tappeto musicale davvero sinistro, spaventoso e da brividi, si materializza li, per terrorizzarmi. Il suono di tutti gli strumenti si incanala nella mia mente: il basso disegna inquietanti accordi, le chitarre tessono stranissime ritmiche, mentre la batteria sembra aver assunto un’impostazione quasi jazz, a parte nel conclusivo parossistico finale black, in cui la “dolce” vocina di Vaerohn, sembra essere posseduta da un demone infernale. La proposta della band parigina ha assunto dei connotati che solo lontanamente erano avvisabili dalle precedenti composizioni; qui si va oltre il concetto di musica estrema o in generale metal; è una messa in scena di un’opera teatrale, una conversazione diretta fra gli attori sul palco e il loro incredulo pubblico. C’è ben poco a cui potrei accostare la proposta dell’ensemble transalpino, anche se forse mi vengono in mente le cose più sperimentali dei nostrani Thee Maldoror Kollective, ma in questo caso, la mente dei Pensieri Notturni va ben oltre ogni umana immaginazione. Ecco, questo per dire che, “Nom D’Une Pipe!” non sarà certo un lavoro per tutti, forse neppure per molti, troppo complesso, troppo sperimentale, troppo… un sound che tra l’altro prende le distanze da quello che era la proposta black minimalistica neoclassica dei precedenti lavori. Vaerohn ha superato se stesso, proponendo un disco che avrebbe dovuto suonare metal, ma che in realtà ci offre gran parte della tradizione musicale francese, popolare o operistica che sia, con tanto d’uso di carillon o fisarmoniche, vocals femminili e qualsiasi altra soluzione possibile, atta a catturare l’attenzione del proprio pubblico. Sono stati riscritti i confini della musica estrema, definiti in passato da band quali Ved Buens Ende, Arcturus, Ulver o Fleurety, ma ampliati in generale quelli della musica rock. I Pensées Nocturnes hanno definitivamente scritto un pregiato capitolo da incastonare nel meraviglioso panorama rock; nove impressionanti tracce di musica popolare, che amerete o detesterete, gridando al tradimento più ignobile della storia. Prendere o lasciare, questi sono i Pensées Nocturnes di “Nom D’Une Pipe!”. Io li prendo! (Francesco Scarci)

(Ladlo Productions)
Voto: 90

http://www.pnrecords-music.com/

giovedì 13 dicembre 2012

Lord Agheros - Demiurgo

#PER CHI AMA: Black Ambient dalle tinte folk, primi Ulver, Summoning
Evangelou Gerassimos è colui che si nasconde dietro il monicker Lord Agheros, che ho iniziato a seguire (e recensire su queste stesse pagine) sin dal secondo lavoro “As a Sin”, che avevo indicato essere come uno dei più affascinanti prodotti usciti nel 2008. Dopo più di quattro anni, tra le mie mani sbuca la quarta release dell’artista siciliano, sempre targata My Kingdom Music, e sempre pronta a guidarci nei meandri della cultura mediterranea, enorme fonte di ispirazione per il mastermind siculo. “Demiurgo” è un album ambizioso che muove i suoi passi su un concept, diviso in due parti, che dovrebbero rappresentare le due facce dell’anima, il bene e il male. Queste due anime sono personificate dai figli di Erebo (l’oscurità) e della sorella Nyx (la Notte), divinità della mitologia greca, che sembrano apparentemente differenti, ma in realtà risultano unite da un unico nucleo, l’io. Il Demiurgo (il creatore dell’universo per Platone) è colui il quale può catturare le vibrazioni e trasformarle in musica, modellando il suo universo emozionale a sua immagine e somiglianza. Analizzato quello che è l’interessante background culturale del disco, meglio addentrarsi in quello musicale dove posso mostrare una maggiore competenza. Dopo un breve prologo, ci viene data la possibilità di conoscere da vicino tutti i figli del duo Erebo/Nyx, a cui sono dedicati i titoli delle canzoni. “Eris” (la discordia) mette immediatamente in luce (meglio in ombra in tal caso) la sostanza del lavoro, in grado di coniugare e bilanciare perfettamente, la malvagità di un black metal a tratti primitivo con elementi di epica intensità, parti ambient e copiosi momenti atmosferici. Non mancano neppure i richiami alla musica classica; “Styx” (l’odio) ne è un esempio, grazie a quei soavi tocchi di pianoforte che si alternano a sulfuree cavalcate black, in cui lo screaming ferale di Lord Agheros, ci accompagna nel suo delirante viaggio in 17 capitoli. Non starò qui certo a descrivervi ogni singola traccia, anche se il richiamo intrigante della mitologia svolge ampiamente il suo dovere, spingendomi a documentarmi ulteriormente per conoscere l’origine di “Thanatos” (la morte) in cui il factotum italico canta anche in italiano su un tappeto fatto di ruggenti chitarre, un martellante drumming e rapsodiche tastiere. “Moros” (il destino) ed il suo irresistibile potere in grado di modificare il futuro, mi conquista con le sue ancestrali melodie, che nella mia memoria rievocano i fasti di “Minas Morgul” o “Lugburz” degli austriaci Summoning. “Nemesi“ (la vendetta) nella sua intro ricalca “Kveldsfanger” degli Ulver, cosi com’era successo nel secondo capitolo della saga firmata Lord Agheros. Con “Lyssa” (il furore cieco) iniziano i momenti prettamente ambient dell’album, che si alternano comunque a schegge impazzite di black old school, sempre perfettamente orchestrato da Evangelou e sul cui feroce tappeto di nera lava, riescono a trovare spazio anche soavi vocalizzi femminili. La seconda metà, verosimilmente la parte “buona” del disco (o forse dovrei pensare a quella cattiva ed ingannatrice), vede i pezzi ridursi in fatto di durata dissipando del tutto la spietatezza, e lasciando quasi completamente lo spazio ad un liricismo più etereo, ad una musicalità scevra di violenza e in cui il folklore mediterraneo, emerge forte, dalle note del disco. Lo dicevo all’inizio che “Demiurgo” era un progetto estremamente ambizioso, ed ora che ne sono giunto al termine del suo ascolto, non posso che confermare il fascino ed il mistero che un prodotto del genere riesce ad infondere in chi lo ascolta, ma anche un pizzico di rammarico per non aver preso una maggiore distanza dai gorgheggi e dalle parossistiche galoppate black, che ormai non appartengono più al musicista catanese. Probabilmente si è un po’ giocato sul dualismo dei contenuti lirici del lavoro, e pertanto su quelli musicali e sull’inevitabile scontro bene e male, per non deludere musicalmente i propri fan, accontentare tutti o forse nessuno, non so, a voi la consueta ardua sentenza a giudicare una release che catalizzerà sicuramente il vostro interesse quanto è stato in grado di farlo col mio. Sofisti. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music)
Voto: 75

http://lordagheros.bandcamp.com/music

giovedì 14 giugno 2012

Aquilus - Griseus

#PER CHI AMA: Black Orchestrale, Progressive, Colonne Sonore, Opeth, Morricone
Ne Obliviscaris, Germ, Woods of Desolation ed ora quest’ultimi Aquilus… potremo quasi parlare di New wave of Australian metal, una schiera di band che hanno ricevuto la pesante eredità degli ormai disciolti e fenomenali Alchemist e che portano avanti un discorso di metal assai sofisticato a 360°. Aquilus quindi nelle pagine del Pozzo a soverchiare ogni amante della musica metal, con la loro lunghissima proposta di metal emozionale, che strizza l’occhio al progressive sound degli Opeth, all’ambient di Burzum, alle colonne sonore di Ennio Morricone, senza dimenticare la musica classica dei grandi maestri dell’800. Ragazzi, Aquilus è un progetto che per la sua complessità e per i suoi significati intrinseci, non farà altro che lasciarvi a bocca aperta per le sfumature musicali in grado di emanare, e mi dà enorme gioia vedere come un’altra attenta etichetta italiana abbia potuto fare centro in un modo cosi eclatante. Bravi i ragazzi dell’ATMF Production ad aver assoldato questa one man band che risponde in realtà a Mr. Horace Rosenqvist, uomo dotato di una personalità fuori dal comune, capace di concepire una simile opera d’arte che solo con la prima eccezionale song, “Nihil”, mostra le immense doti a propria disposizione, miscelando un inizio che si barcamena tra sonorità sinfoniche e qualcosa di più estremo, prima di abbandonarsi ad una lunga epica e sontuosa parte orchestrale, da lasciare senza fiato. Sono strabiliato dalla proposta del mastermind australiano, ma la strada per giungere al termine di questa release è lunga e lastricata di splendide sorprese. Ed è cosi che si apre “Loss”, altro brano che fa delle atmosfere sognanti, il suo punto di forza, prima di cedere il passo a parti black sinfoniche, con gracchianti growling vocals, sorrette da ariose e sinuosi parti ambientali, costituite da pianoforte ed eleganti arpeggi. Un po’ più dei Dimmu Borgir più orchestrali, molto vicini alle colonne sonore dei grandi maestri del passato e del presente, più oscuri di entità estrema quali Emperor o Limbonic Art, più strazianti dei gods del death doom, quali My Dying Bride o Saturnus, gli Aquilus sbaragliano in ogni modo la concorrenza, sfoderando una prova a dir poco magistrale, fatta di suadenti melodie, ritmi da brivido, emozioni che a poco a poco scalano i miei sensi fino a raggiungere un’orgasmica vetta, che credevo fino ad oggi irraggiungibile. La successiva “Smokefall” ha tutti gli elementi per evocare il sound degli Opeth e forse nel primo minuto e mezzo, è anche quella che mi convince meno, ma niente paura perché il nostro amico Horace poi, al solito, parte per la tangente e troverà il modo di disorientarci con le sue trovate a dir poco originali. E cosi lentamente si prosegue nell’ascolto di questo lavoro assai camaleontico, che ha il pregio di evolvere brano dopo brano, scaldarmi il cuore, riempirmi di gioia, ma anche tanta malinconia come la struggente “In Lands of Ashes”. Meraviglioso. In Australia deve esserci gran fermento nell’ultimo periodo perché insieme alla Francia rappresenta la nazione che sta sfornando il maggior numero di band interessanti. Con “Latent Thistle” capisco che l’amico “aussie” si trova a proprio agio anche in frangenti più propriamente death metal; certo non pensate di trovarvi chissà che cosa in mano di estremo, tanto è sfuggevole la proposta del bravo Horace, che sguscia come un’anguilla nelle nostre mani, tanto l’eclettismo palesato anche in quest’altra song, come anche nelle successive che via via si susseguono nel corso di un lavoro che stupirà non poco gli addetti ai lavori, ma che mi sento in obbligo di suggerire a tutti gli amanti di sonorità metal, black, prog, death, neo-folk, classic, heavy, thrash, gothic, post o dark che siano… tanto tutto convoglia dentro a questo fantasmagorico lavoro che equiparo senza alcun timore, per classe, idee, originalità e mille altre sfaccettature, all’album d’esordio dei connazionali Ne Obliviscaris. Australia, ultima frontiera per il metal, la fermata è obbligatoria! (Francesco Scarci)

(ATMF)
Voto: 90
 

sabato 12 maggio 2012

Ophelia's Dream - Not a Second Time

#PER CHI AMA: Ethereal, Neoclassic, Dead Can Dance
Per chi ha apprezzato i primi due lavori del gruppo di Dietmar Greulich, il ritorno degli Ophelia's Dream costituisce una gradita sorpresa. Ci avevano lasciati ben cinque anni prima, dopo l'uscita di “Stabat Mater”, per chiudersi in un lungo silenzio spezzato solamente dalla ristampa del primo album, “All Beauty is Sad” (pubblicato in origine per la defunta Hyperium nel lontano 1997), comprendente anche le otto canzoni facenti parte dell'ep. Sentir nuovamente parlare del progetto tedesco, che a suo tempo non riuscì a godere di grande esposizione, almeno qui in Italia, ha risvegliato il ricordo sopito di atmosfere neoclassiche e di aggraziati arrangiamenti ed ha caricato di una certa aspettativa l'attesa dell'uscita del nuovo album. Un ritorno firmato Kalinkaland che ci presenta gli Ophelia's Dream per nulla mutati, sia nella forma sia nella sostanza: ad accompagnare Dietmar troviamo, infatti, ancora Susanne Stierle alle voce e, inoltre, il cambiamento è praticamente minimo da un punto di vista stilistico, tanto che i nuovi brani sembrano non aver affatto risentito della pausa "compositiva" e proseguono in modo genuino e coerente il discorso lasciato in sospeso. In quest'occasione Dietmar ha preferito, tuttavia, non incentrare il proprio lavoro su melodie squisitamente neoclassiche, per arricchire il suono di ricami atmosferici tessuti con arrangiamenti sintetici che hanno il pregio di infondere maggiore pienezza e riverbero emotivo ai brani. Elementi già riconoscibili anche in “All Beauty is Sad”, ma se in quell'album essi costituivano un requisito di contorno, in “Not a Second Time” divengono caratteristica principale e si contrappongono al suono naturale del violino e del violoncello. Le partiture sono enfatiche, cariche di inquietudine e i suoni, colmi di colori dalle tonalità meste, abbracciano armoniosamente la voce garbata di Susanne, che raggiunge vette di fragile eleganza. In alcuni passaggi è riconoscibile un'evidente ispirazione ai Dead Can Dance, ma vi sono momenti nei quali Dietmar cita addirittura sé stesso attraverso il richiamo a melodie da lui già composte o eseguite in passato, come nel caso di “Saltarno”, il cui incipit ricorda inequivocabilmente la sua versione del “Saltarello” apparsa in “All Beauty is Sad”. “Not a Second Time” non si distingue, dunque, per originalità ma ciò non sguarnisce il lavoro della sua bellezza pittoresca e sontuosa che si mantiene intatta nel tempo, anche dopo numerosi ascolti. (Laura Dentico)

(Kalinkaland Records)
Voto: 70

sabato 17 settembre 2011

xARKANEx - Arcane Elitism

#PER CHI AMA: Neoclassic, Ambient, Dark
xARKANEx è il progetto solista di Pantelis, un musicista già noto nell'ambiente neofolk per la sua militanza nel gruppo greco Daemonia Nymphe, il cui album di debutto "The Bacchic Dance of Nymphs" uscì nel 1998 per l'etichetta tedesca Solstitium Records. Mentre i Daemonia Nymphe esplorano il lato più tradizionale della musica ellenica facendo uso di fedeli riproduzioni degli antichi strumenti greci, xARKANEx sembra invece voler seguire un percorso più intimista e meditativo attraverso una cupa dark ambient dalle venature neoclassiche. Nell'animo di Pantelis (che qui si fa chiamare xIkonx) permane comunque sempre vivo l'interesse per il misterioso passato della sua terra d'origine e tale passione risulta più che mai evidente in "Arcane Elitism", un lavoro completamente incentrato sui culti dimenticati della mitologia greca. Non v'è dubbio che come opera concettuale l'album si presenti invitante e che la sobria ed elegante confezione simil-DVD che racchiude il disco faccia subito gola, ma è anche vero che basta qualche minuto d'ascolto perché tutta la pochezza musicale del cd venga smascherata, facendo crollare miseramente ogni entusiasmo iniziale. Inutile andare per il sottile, "Arcane Elitism" è un album che appare deludente sotto molti punti di vista: innanzitutto, tra i diversi momenti di uno stesso brano manca spesso quella soluzione di continuità capace di rendere scorrevole l'ascolto e l'ovvia conseguenza di quest'aspetto è un fastidioso andamento a singhiozzo, un susseguirsi scostante di atmosfere che paiono legare poco l'una con l'altra. Se questa è l'impressione che brani come "Vacchia" e "Dryades of Selene" trasmettono, altri episodi evidenziano invece una maggior coerenza, ma a questo punto sono la disarmante banalità delle partiture e la scarsa ispirazione di xIkonx a lasciare con l'amaro in bocca. Fermo restando che xARKANEx si trova ancora molto distante dalla classe compositiva degli artisti di "scuola" Cold Meat Industry, alcuni punti di riferimento possono comunque ricercarsi tra i Puissance più neoclassici, oppure tra le ambientazioni sinfoniche di The Protagonist (si notino ad esempio i campionamenti d'archi in 'Mesmerism of the Temptresses' Sirens'). Ancora una volta, però, le emozioni che "Arcane Elitism" concede sono veramente poche perché il paragone possa reggere fino in fondo. In sintesi, un lungo sbadiglio di 37 minuti... nient'altro da aggiungere. (Roberto Alba)

(The Fossil Dungeon)
Voto: 45 
 

sabato 20 agosto 2011

Dwelling - Humana

#PER CHI AMA: Folk, Neoclassic, Dead Can Dance, Miranda Sex Garden
I Dwelling nascono nel 1998 come progetto solista di Nuno Roberto e con l'intento di creare musica basata interamente su strumenti acustici, ispirata ai paesaggi costieri dell'Algarve. Col passare del tempo il progetto si arricchisce dell'apporto di altri musicisti e nel 2001 esce un mcd, "Moments", per Equilibrium Music, etichetta personale di Nuno Roberto. La line up del gruppo portoghese in tale lavoro si è estesa a cinque musicisti, grazie all'ingresso in formazione di Catarina Raposo alle voci, Silvia Freitas al violino, Nicholas Ratcliffe alla chitarra e Jaime Ferreira al basso. La natura esclusivamente acustica rimane un segno distintivo nei Dwelling, che nel 2003 pubblicarono "Humana", il primo full length. Nove canzoni vibranti di emozioni dense e struggenti, nelle quali la voce incantevole di Catarina Raposo gioca, intrecciandosi, con le chitarre acustiche e il violino e che si sviluppano in passaggi dal tocco sensibile e appassionato. Sembra essere un tratto tipicamente portoghese l'ardente malinconia che si posa con grazia nelle note di quest'album, soprattutto in "Silêncio Intemporal", "Tecelões da Nova Realidade" e "O Cinzel do Tempo", cantate in lingua madre e, non nascondo, le mie preferite, in quanto sono i momenti più sentiti. Lo spazio di silenzio tra i pezzi è quasi ridotto al minimo, forse a voler trasmettere un senso di dinamica evoluzione che fa di "Humana" un'unica opera in divenire, dove le canzoni hanno senso solo se inserite nel contesto generale, perché singolarmente perderebbero la loro intensità e apparirebbero come un tassello al quale manca il resto della struttura. Degne di menzione anche le altre canzoni che compongono l'album: "The Wheel", "Remember Virtue", "As the Storm Chants", dove la componente neo-classical si sprigiona in tutta la sua leggiadria, "Lingering Stupor", "Chasing the Rainbow's End" e "Reality that Remains", nelle quali si scorgono gradevoli episodi dal sapore folk e tradizionale. Unica pecca è forse da ricercarsi nel fatto che al primo ascolto l'album può risultare un po' troppo uniforme e non immediatamente emozionante, ma sicuramente è un'opera che va scoperta e merita di essere ascoltata con attenzione, solo così si può apprezzarla fin nel profondo della sua anima. "Humana" non è un'opera per tutti, ma solo per chi sa lasciarsi carezzare dal romanticismo degli strumenti classici. (Laura Dentico)

(Equilibrium Music)
Voto: 75