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martedì 6 febbraio 2024

NI - Fol Naïs

#PER CHI AMA: Prog Rock
Per capire una band come i francesi NI, bisogna semplicemente fingere di non capirli e assimilarli così come sono e per quello che ci fanno sentire. Mi spiego meglio. Ho letto in rete recensioni che li mettevano in parallelo col mathcore e le opere diversificate di Mike Patton, e il paragone in minima parte ci può anche stare, ma secondo me l'aria che si respira dalle parti della band transalpina è da ricercare altrove, e trova radici molto più indietro nel passato della musica. Se vi capitasse di ascoltare l'evoluzione de "L'Elefante Bianco" degli Area, nell'album "Crac!" del '75, troverete infatti grosse analogie con alcune delle costruzioni sonore dei NI, poiché questa band ha un legame particolare fin dalle sue prime opere con il progressive rock più folle e libero dagli schemi, e qui non posso non citare un loro precedente geniale lavoro qual era 'Les Insurgés de Romilly', e poco importa se in questo nuovo album, fino al brano "Berdic", sembrano aver ascoltato una volta di troppo i The Dillinger Escape Plan o i Psyopus, per cercare di far presa su di un pubblico più vasto con un suono più carico. Il fatto è che la frenesia, la follia, e alcuni stilemi del rock in opposition, erano già nel DNA di questo gruppo ed è bastata una produzione più scura e pesante, dove si riesce a carpire l'essenza buia di lavori come '777 - the Desanctification' dei Blut Aus Nord (anche se qui non stiamo parlando di black metal), per aprire un nuovo fronte per questo combo di gran valore, composto da musicisti di qualità, che sanno esaltare il potere dei suoni dell'avanguardia, restandone caparbiamente e intelligentemente lontani, per cullarsi una loro completa e intoccabile originalità. Vi si trovano anche tracce di free jazz contorto e schizoide ("Chicot", "Rigoletto"), sulla scia di certe composizioni sentite su 'Blixt' del trio Bill Laswell, Raoul Bjorkenheim e Morgan Agren, e per non farsi mancare nulla, anche una tensione sonora tangibile di band come gli oramai dimenticati ma mitici Jesus Lizard. Nella triade di "Triboulet part 1, 2 e 3" si sente tutto il legame con gli album precedenti con le loro evoluzioni sofisticate ma aperti anche a momenti di atmosfera, che poco si lasciano apparentare con il mathcore o il metal, ritornando a parlare di vero e proprio prog d'avanguardia di casa Zorn. Pur trattandosi di musica rumorosa e distorta, vi trovo anche una bella attitudine nel plasmare la materia prog alla maniera degli Universe Zero, ovviamente con le dovute distanze dal gruppo belga. Mi permetto di dire anche che i NI possono avere un retaggio futurista alla Meshuggah, come citato dal press kit di presentazione del disco, ma a mio avviso non li percepisco assolutamente freddi e chirurgici come i colleghi svedesi anzi, per essere prevalentemente strumentali, suonano caldi, avvolgenti ed espressivi, e mostrano un'aggressività più devota all'arte dell'immaginario astratto che alla rabbia o alla tecnica in sè. Penso si sia capito che questa loro nuova opera è uno dei migliori album del 2023 per il sottoscritto, copertina superba come sempre d'altronde, una grande produzione, musicisti in splendida forma esecutiva e compositiva, un'ottima uscita per la instancabile Dur et Doux, un disco immancabile nella vostra bacheca dell'avanguardia. (Bob Stoner)
 
(Dur et Doux - 2023)
Voto: 80
 

sabato 2 dicembre 2023

Elfman - Common Sky

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Nu Metal
Dall’Austria un gruppo alquanto indefinibile: a volte metal o quasi, a volte rap-nu-metal, in altri momenti propongono arpeggi acustici di vaga provenienza. Indubbiamente buona la produzione quanto inutile, almeno per il sottoscritto, la partecipazione di un DJ per i sampling e rumori elettronici vari. Abbastanza simili ai Fear Factory per l’uso delle chitarre ruvide ma che non dicono molto e inusuali nell'uso della voce. Fino a quando questa viene usata in modo pulito e melodico, risulta espressiva; quando s'insinuano sentori rap (vedi la traccia quattro, "Glory D."), allora fa cadere le braccia e non solo. In questa traccia, gli Elfman creano delle parti che faranno felici i seguaci delle sonorità nu-metal, non chi vuole ascoltare metal. A loro favore tuttavia c’è sicuramente l’originalità, pur essendo fuori dal seminato di qualcosa che si possa chiamare lontanamente metal. Non bastano due chitarre distorte per autodefinirsi metallari, alcune loro parti potrebbero essere infatti suonate in una discoteca e nulla più. Fanno sorridere i loro effetti elettronici e i vari loop di tastiera (vedi la quinta "By Myself"). Chissà se avranno successo. Ma forse nel pop, non certo nel metal: qui c’è già troppa merda. Se alle loro indubbie capacità compositive, unissero un minimo filo conduttore sensato, eviterebbero di unire un Kurt Kobain effettato che canta pop a una base musicale alquanto trendy. Non ho parole né voglia di ascoltarli.

lunedì 27 novembre 2023

Crabe – Visite du Temple Innè

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore/Noise
Poco più di dieci anni di attività e una sterminata collana di uscite per questa band canadese dal suono difficilmente catalogabile, musica eterogenea che guarda a 360° il sottosuolo musicale sotto molti punti di vista. Il duo affronta in quest'ultimo album una nuova sfida, mettendo a dura prova l'ascoltatore che è sommerso da una valanga sonica di idee contrastanti ma efficaci, cosa che ha sempre contraddistinto il progetto Crabe, solo che in questa nuova fatica, l'abilità nel mischiare le carte dei generi, è così pregevole che risulta impossibile rimanere impassibili di fronte a questo prodotto. Partiamo col dire che è musica trasversale e alternativa fino al midollo, che ci si può imbattere nelle escursioni rap dei Beastie Boys, epoca 'Paul's Boutique', quanto al punk intelligente di "Never Mind the Ballots" dei Chumbawamba, messo in parallelo con la forza dei Poison Idea, il grunge indomabile dei Melvins di 'Houdini', una parte di seminali e sotterranee hardcore band come Focused o ancora DNA, e composizioni in uno stile da chansonnier francese con in sottofondo, una certa vena di follia e avanguardia, che rimanda ai Piniol o ai Brice et Sa Pute. Il disco, cantato in lingua madre, viaggia a gonfie vele in un continuo sorprendere: è decisamente interessante come il duo di Montrèal riesca a mantenere le redini del gioco, interagendo con tanti ma soprattutto diversi, generi musicali e stili, senza perdere originalità, energia e smalto. L'album è una lunga compilation, di oltre 40 minuti, che si apre con due brani splendidi, claustrofobici, nervosi, rumorosi, ovvero "Conscience Universelle" e "Leb Doggo" dove appare la bella voce della compositrice Annie-Claude Deschênes come ospite. "Politique Dracula 23", con i suoi impulsi quasi funky e alternative disco, chiude la prima triade di canzoni al fulmicotone, "Je Ne Peux Pas Te Dire Je t'Aime" presenta alla voce un altro ospite, N NAO, per un brano tutto pop e miele, in uno sconcertante stile da canzonetta radiofonica francese, che nel meltin' pot della musica dei Crabe, trova la sua location tranquillamente, prima della folle "Nightmom", che sembra una vecchia radio in cerca della giusta frequenza, passando con naturalezza, dall'avanguardia vagamente zappiana all'hardcore. Il brano "2020" ospita The American Devices, praticamente gli FFF in guerra con il proprio funk da destrutturare a colpi di death metal. "Limp de Quoi" rispolvera gli scratch old school, per sviluppare un brano assai interessante sullo stile dei poco considerati Sweet Lizard Illtet, uniti a certo metal alternativo pesante, intuizione anni '90 per un'ottima song. Evoluzione filmica per un altro splendido brano, "Nos Pères se Meurent", con l'ennesimo ospite, Simone Provencher, che esplora sonorità sinfoniche e post black metal alla Liturgy, sicuramente il brano più interessante e originale del disco. "Pourquoi" è pesante rock alternativo e fantasioso mentre la conclusiva "Personne Proximité", con la voce di Hubert Lenoir, gioca le sue carte tra elettronica, pop moderno e sperimentazioni noise. Cosa dire dopo una carrellata così ampia ed esasperata di generi musicali, se non che i Crabe hanno raggiunto una maturità compositiva di tutto rispetto, restando comunque allacciati alla loro indole di underground band, nella ricerca del suono e nella proposta artistica, alternativi sempre e comunque, come ad esempio, nell'artwork di copertina e nella loro libertà di mescolare suoni e stili diversi, un esempio di come il crossover possa far resistere ed elevare i suoi valori incurante del passare del tempo. Certamente una band dal potenziale enorme se saprà mantenere questa soglia di fantasia compositiva. Ascolto consigliato. (Bob Stoner)

sabato 25 novembre 2023

Aether - S/t

#PER CHI AMA: Jazz/Post Rock
Non è stato certo cosi facile recensire l'album dei milanesi Aether. Nati solo sul finire del 2021, i quattro esperti musicisti sono riusciti ad attirare l'attenzione dell'Overdub Recordings che subito gli ha concesso l'opportunità, con questo album autointitolato, di mettersi in mostra attraverso una non scontata proposta musicale. Forti di pregresse esperienze in ambito jazz - la tesi di laurea del bassista su questo genere ne è la prova, ma vi basti anche ascoltare "Radiance" per carpire immediatamente le forti influenze del genere afro-americano - la band sciorina undici pezzi strumentali che poggiano la propria architettura proprio sul concetto di base di questo sound, ossia l'improvvisazione, la progressione armonica e l'elasticità ritmica proposta in maniera ineguale, scandita da fughe di basso e chitarra e rallentamenti più tenui e sofisticati ("Thin Air") che palesano ulteriori influenze musicale provenienti dal post rock e dal progressive, il tutto permeato di un tocco cinematico che sicuramente non ne guasta l'ascolto, anzi lo integra abilmente. E proprio quello delle colonne sonore potrebbe sembrare il mood offerto da un brano delicato e sensuale (al limite dell'ambient) come può essere "Grey Halo". Decisamente più jazzy la successiva "Pressure" (e più avanti sarà lo stesso anche con la bluesy "Moving Away"), che mette in mostra l'eccellente perizia esecutiva dei nostri, che tuttavia a me scalda meno il cuore perchè finisco quasi per viverla come un puro esercizio di stile. Più convincente, e per questo più vicina alle mie corde, "A Gasp of Wind" offre le luci del palcoscenico dapprima alla chitarra, per poi spostare i riflettori all'insieme degli strumenti che, pur muovendosi in ambienti oscuri, quasi tetri, ne escono forieri di speranza. Sonorità aliene emergono invece dalla più stralunata e dronica "A Yellow Tear in a Blue-Dyed Sky", in cui la scena sembra prendersela esclusivamente il basso di Mr. Grumelli. Ancora sofismi noise drone con "The Shores Of Solinas", mentre con "Crimson Fondant", il quartetto lombardo sembra abbracciare caleidoscopiche sonorità settantiane blues prog rock (il che stride peraltro con la copertina monocromatica del disco), senza tralasciare comunque quella matrice di fondo jazz su cui poggia l'intero disco. Un viaggio sonoro che si chiude con la musicalità catartica di "This Bubble I’m Floating In": questa sigilla un lavoro ambizioso, complesso e affascinante, che necessita tuttavia di una grande predisposizione di testa e animo per poterla ascoltare ma soprattutto capire. Se voi però vi sentirete pronti ad affrontarla, allora gli Aether potranno fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 75

https://aether5.bandcamp.com/album/aether

sabato 4 novembre 2023

Hidden Orchestra - To Dream is to Forget

#PER CHI AMA: Suoni Sperimentali
Sognare è dimenticare? Benvenuti in questo oblio targato Hidden Orchestra, interessantissimo collettivo (o dovrei di,re orchestra?) britannico, guidato dal polistrumentista scozzese Joe Acheson, che affonda le proprie radici musicali nel jazz, IDM, drum & bass, rock, trip hop e musica classica. La prima song di 'To Dream is to Forget', è teutonica, possente, masticata dalle percussioni elettroniche, fuorviante, intersecata a sonorità distopiche connesse tra loro e sfuggenti alle altre tracce. Con "Hammered" disintegriamo un macigno facendolo irraggiare in pillole avvelenate, volatili. Pace convulsa, ossimori corrotti, graffi malcelati. "Little Buddy Move": è una traccia vivida, essenziale, imperlata da sonorità prismatiche. Fugge e rifugge la musica che nostalgica ritorna tra bit arroganti travestiti da ballerine provocanti in preda al reiterare di un loop buio senza luci strobo. E facciamo partire "Skylarks". La traccia parte fredda come il ghiaccio. Vi arriveranno stilettate di stalattiti dritte tra la giugulare e l’anima e finirete per esser preda di un gioco elettronico in cui perderete il vostro protagonista. Ora siete voi il centro del gioco. Copritevi bene se temete l’incendio per assideramento. Copritevi bene perché il vostro Matrix personale dura otto minuti e cinque secondi! Con "Nighfall" siamo nel mezzo dell’album. Inaspettatamente ci addentriamo in una radura fatta di suoni melliflui, di flora e fauna, di tastiere lentamente ascendenti. Il suono diviene circolare. La natura si trasforma in plastica alle pareti. La rete è in agguato per prendervi se mai precipiterete per esservi troppo rilassati. Silenzio. Patos. Monete che cadono sull’acqua. Un sound multidimensionale. Eccola "Scatter". Mi piace come mi piace fare su e giù con la testa ad un concerto intimamente ipnotico. Lasciate fuori di casa la mente. Portatevi solo i vizi per questo ascolto. Non vi dico altro. Vi rovinerei il circolo vizioso. E se non vi basta ora vi mando "Ripple". Soffia un vento del sud. Danzano le gitane intorno al fuoco virtuale, illusorio, poderoso, trepidante, fumante delle illusioni erotiche. Stacco le emozioni con "Broken". Sassi d’oro che vengono macerati in suoni. Ripercussioni in tre quarti. Ripercussioni ancora zingare e delizianti. Corse immobili all’oro che ci scende nella gola semi solido. Questa song corrompe l’anima. Filtra il buio solo se avevamo la luce dentro. Porta così lontano da…vedete voi se riuscite a tornare indietro dalle sabbie mobili a 24 carati. Ed ora benvenuta a "Cage Then Brick". Un minuto e cinquantasette di battiti fuori scala. Percussioni alterate, semicoscienti. Legno che scalda. Sibili di serpenti, cobra che avvolgono le arterie e d’improvviso sfumano. Non l’ho nemmeno assaporata. Come un morso letale. Piove adamantio. "Reverse Learning". Questa traccia inizia oltraggiosa e benevola al contempo. Ritmata quanto basta. Spezzata quanto basta. Avvolgente quanto basta. Sussultante quanto basta. Invece è una trappola per la mente. Esoterica. Pulsante. Accattivante. Egocentrica. E chiudiamo il nostro viaggio virtuoso con il titolo che dà il nome all’album, "To Dream is to Forget". Davvero? Perché? E se fosse? Gli Hidden Orchestra sono coraggiosi. Sfrontati. Enigmatici. Timidamente erotici. Futuristi. Capaci di pura proiezione nella loro arte. Ci lasciano con questo epilogo malinconico, filtrante, con suoni al rallentatore, espliciti, nostalgici, danzanti. E ora ricominciate l’ascolto e capirete la bellissima circolarità dell’album. (Silvia Comencini)

giovedì 5 ottobre 2023

Mysticum - In the Streams of Inferno

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Industrial Black
I Mysticum sono un gruppo norvegese di black-industriale molto particolare, con atmosfere glaciali ed inquietanti (ma auspico che la maggior parte di voi già lo sappia/ndr). La drum-machine in questo 'In the Strems of Inferno' è simile ad un martello pneumatico volutamente ripetitiva e prorompente. La voce black è malvagia però, quasi in sottofondo rispetto alla musica. Nei Mysticum l’uso dei synth e di campionatori è d’importanza rilevante perché è proprio in queste parti dove viene concentrato il suono freddo e industriale. Le otto tracce qui presenti sono un inno al male, ed è inutile addentrarsi nella spiegazione di ogni singola canzone visto che il lavoro è oscuro in ogni suo elemento e privo di cali di tensione. Ascoltatelo quindi in completo silenzio, fatevi rapire dalla follia compositiva. Imperdibile.

(Full Moon Productions/Peaceville Records - 1996/2023)
Voto: 85

https://www.facebook.com/mysticums

martedì 26 settembre 2023

Thierry Arnal - The Occult Sources

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Se anche per voi è tempo di nottate insonni, incubi notturni, angosce che lacerano l'animo, o pensieri che s'instillano e minano pericolosi la vostra già precaria stabilità mentale, beh allora vi suggerirei di posticipare l'ascolto a tempo debito, di questo 'The Occult Sources', opera ambiziosa del musicista francese Thierry Arnal, uno che in passato ha suonato con Fragment., Amantra, Hast & more, rilasciando i suoi lavori peraltro, su etichette tipo Denovali e Avalance, tanto per citarne un paio rilevanti per gli appassionati. Perchè il mio diretto consiglio iniziale di evitare un lavoro di questo tipo? Semplicemente a causa dei contenuti qui presenti, le cui venti scheggie impazzite di questo lavoro, enfatizzerebbero non poco, le emozioni, i sentimenti, le percezioni negative che potreste aver in seno, rischiando di portarvi quasi al delirio mentale. Non era in effetti il momento ideale nemmeno per il sottoscritto di imbarcarsi in una simile avventura o incubo musicale che dir si voglia, attraverso un flusso musicale che abbraccia paralleli mondi fantastici, esoterici, orrorifici, cibernetici e mistici, che non starò certo qui a svelarvi, tanto meno a descrivere traccia per traccia. Vi basti sapere che i segmenti qui inclusi potrebbero evocare i fantasmi di tre lavori di colonne sonore degli Ulver, 'Lyckantropen Themes', 'Svidd Neger' e 'Riverhead', grazie a quella semplicistica ma altrettanto efficace capacità di coniugare ambient, elettronica, drone e immersivi sperimentalismi avanguardistici, totalmente deprivati di una componente vocale, che qui certo avrebbe stonato. Largo allora a campionamenti in loop, strali cinematici, suoni post-atomici, mondi distopici, onde gravitazionali e altri simili suoni del cosmo più profondo, atti per lo più a trasferire un'insana sensazione di desolazione all'ascoltatore inerme. Preparatevi allora con la giusta tuta spaziale, ossigeno a sufficienza per affrontare una camminata di oltre un'ora nello spazio, uno scudo termico che vi scaldi di fronte al gelo emanato da questi suoni glaciali e sintetici e non mi rimane altro che farvi un grosso in bocca al lupo per la missione che vi apprestate ad affrontare durante l'ascolto di 'The Occult Sources', ne avrete certamente bisogno. Speriamo solo non facciate la stessa fine di 'Gravity'.  (Francesco Scarci)

lunedì 25 settembre 2023

Atrocity - Okkult III

#FOR FANS OF: Death Metal
Definitely a strong release by the band, in effect, a boon for the band. Great riffs and the vocal aspect is impeccable. These guys show variations in the genre which makes them quite unique. The vocals compliment the music wholeheartedly. And the mixing/production quality is strong. They’re quite diverse on here. Different styles of vocals throughout. And the riffs are ever-changing. They just seem to fluctuate tremendously.

The variation in tempos and riffs are amazing. They seem to buckle down and get this variation genre wholeheartedly. The drums are hyper vigilant as well. A lot of double bass and furious tempos.

I thought that they did well on the lead guitar aspect as well. Some bands don’t hack it with leads but they seem to hit-home with them. The variants in styles and riffs make this a diverse release. It’s never boring they’re bringing forth music that’s like no other. I love how they’re able to get that sense of fluctuation.

Mind you, this is the first time ever hearing this band. I was quite impressed with how they constructed their music. It’s quite unique and played with vigor. Some odd song titles but the music dominates.

Their guitars seem to resonate with the listener. They’re pretty much all over the place and technical. Everything seemed to be on-point with the music. Totally their own style. I suppose that it’s a known that their style of music shows various genres not just one or two. That’s probably why their genre is listed as “various.” A pure abomination on this one, they hit home with their concepts. It’s totally enjoyable to the musical listener. Follow these guy’s riffs and you’ll be amazed how much the genres they wedge into one of many different ones throughout the release. I’d be a little confused about the song titles but that’s just how they decided to put them together. A band that totally needs more recognition because they deserve it and want them to hang around the metal musical community for a long while. Get this one and you’ll be amazed. A pure abomination! (Death8699)

(Massacre Records - 2023)
Score: 78

https://www.facebook.com/AtrocityOfficial  

martedì 19 settembre 2023

Steamachine - City of Death

#PER CHI AMA: Groove Death/Metalcore
Con un incipit di "pensees nocturnes" memoria, si apre l'album dei polacchi Steamachine, 'City of Death'. Se la title track nonchè traccia d'apertura, ci dice che siamo nei paraggi di un death melodico dai tratti piuttosto compassati, tanto che sembrerebbe addirittura una lunghissima intro tra scanzonati cori, riffing di circensi reminescenze, e vocalizzi growl, la successiva "Show of Death" sembra meglio demarcare i tratti di questo stralunato quartetto. La song infatti, un filo più robusta, ritmata e dinamica della precedente, apre con scoppiettanti e marcati riff pregni di un esorbitante quantitativo di groove e deliziose melodie che trovano in un breve break atmosferico, il punto di ristoro del brano. Voler però catalogare a tutti i costi la proposta dei quattro musicisti originari di Olsztyn, peraltro al loro secondo album in due anni, potrebbe però essere oltremodo oltraggioso, data l'eccelsa capacità di far transitare più generi nella stessa cruna dell'ago, che vanno da sporadiche capatine black al deathcore progressivo e l'esempio più calzante potrebbe essere rappresentato da "Monsterland", senza tralasciare death, dark, prog, metalcore, steampunk, alternative e thrash metal. A proposito di quest'ultimo ecco che "Sinister Reflection" sembra far confluire influssi industriali sopra un rifferama thrash metal oriented, con tanto di voci nu-metal e sonorità parecchio sinistre, cosi come vuole il titolo. Robusta, cattiva, acida nelle sue partiture vocali (sebbene corredata da clean vocals che andrebbero invece riviste) è invece "Acrobats of the Abyss", che tuttavia nel corso dell'ascolto mostra parti sperimentali di synth e keys che si abbineranno ad una costante ricerca di cambi di tempo. La song poi s'interrompe bruscamente per lasciar posto alla più oscura "Journey of Madness", piacevolissima da un punto di vista musicale, ma che lascia intravedere che forse l'elemento debole della band sia la voce, qui lontana dall'essere convincente. Molto meglio invece nella più pazza e schizoide "Toys Factory", che chiude brillantemente con le sue più malinconiche melodie il disco, prima delle tre bonus track "The Book of War" I, II e III, che altro non sono che i tre pezzi inclusi nell'EP uscito a maggio di quest'anno, tre brani che palesano un mood più orrorifico e tenebroso e che nella parte II vede peraltro un fantastico assolo messo in mostra. Gli Steamachine sono una bella band che davvero non conoscevo, she sembra avere qualche punto in comune con i Pyogenesis di 'A Century in the Curse of Time', ma con una maturità e personalità davvero invidiabili. (Francesco Scarci)

domenica 10 settembre 2023

Putrid Flesh - Intox By Human

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Death metal, questo sarebbero i Putrid Flesh. Nulla di più, se non fosse per un background musicale che pesca a piene mani da altri svariati filoni della musica estrema. Incursioni nel black e in strani territori dalle sonorità insane. Ascoltando questo demo del 1999 ho più volte avuto un' impressione di "indefinito", non so spiegare cosa ho provato esattamente, ma credo sia qualcosa di simile alla paura. Paura di quello che questo demo riserva con lo scorrere inesorabile del nastro sulla testina del mio stereo. La qualità delle registrazioni sembra buona, ma il nastro in mio possesso sembra essere danneggiato (il volume sale e scende), quindi non posso giurarci. Molto hanno sperimentato in questo demo, riuscendo a creare qualcosa di veramente nuovo. Se vi piace il suono della "Carne putrida" vi consiglio di ascoltarli. Io continuo a farlo, ma non riesco a trovare la soluzione per capire, e la paura aumenta.

venerdì 25 agosto 2023

Toehider - Quit Forever​?

#PER CHI AMA: Prog Rock
La Bird’s Robe Records è scatenata: una serie di uscite stanno infatti contraddistinguendo sin qui questa stravagante estate 2023. Tornano sulle scene i Toehider, la creatura di Michael Mills, dopo averli recensiti lo scorso anno con ‘I Have Little To No Memory of These Memories’. Digerito appieno quell’ambizioso lavoro, mi appresto ad affrontare il nuov EP del polistrumentista australiano intitolato ‘Quit Foreverer’, che dovrebbe far parte di una serie di ben 12 EP, un esperimento già compiuto a cavallo del 2009/2010. Il mastermind di Melbourne ci spara subito in faccia “Uncle Aqua”, che si toglie di dosso tutte le scorie orchestrali dello scorso anno e ci investe invece con un bel thrash/speed metal anni ’80, dotato di sonorità di “king diamondiana” memoria, un bel riffing (incluso un tagliente assolo) che ben si combina con i vocalizzi dell’artista. Dopo la prima mazzata in faccia, arriva “Every Day I Wake Up in the Morning and I FAIL! FAIL! FAIL” che sembra trasportarci nei paraggi di un garage pop rock, che viene brutalmente (e fortunatamente) spezzato da folli intermezzi di musica estrema che mi tengono incollato nell’ascolto della psicotica proposta dei Toehider. Se non sapessi con chi ho a che fare, credo che avrei skippato il brano dopo i primi sei secondi, e invece l’imprevedibilità è una delle specialità di casa Mills, non stupisca quindi di passare in una frazione di secondo, da musica pop a sonorità apocalittiche nere come la pece. Esaurito l’effetto sorpresa, ci muoviamo verso “Nobody Even Really Liked it in There But Me”, dove la sensazione è di essere catapultati indietro nel tempo di oltre 50 anni, alle origini del prog rock, per un brano che non ha nulla da spartire con quanto ascoltato sin qui. La canzone conclusiva, la title track chiude in modo malinconico il primo EP della serie, sulle note malinconiche di un pianoforte e sull’ispirata voce del frontman che lascia intendere che nei prossimi mesi ne sentiremo davvero delle belle. (Francesco Scarci)

sabato 12 agosto 2023

Doortri – PFAS OFF

#PER CHI AMA: Noise Rock/Jazz
I dischi che inglobano tematiche di rilevanza sociale dovrebbero essere presi in considerazione con un punto di vista più esteso e ad ampio spettro. È il caso del primo full length dei vicentini Doortri, rivolto al dramma dell'esposizione ai PFAS di una fetta di popolazione veneta che conta circa 400.000 persone, e all'area avvelenata dalla Miteni (Mitsubishi/ENI), che ha inquinato le falde acquifere di un territorio che tocca ben tre province venete, e che si può considerare ad oggi, il più grande avvelenamento da materiale di scarto da processi di lavorazione d'Europa, uno scandalo rimasto senza colpevoli e con reati ad oggi impuniti, nonostante anni di processi sulla questione e valanghe di prove di colpevolezza. I Doortri sono un trio guidato dai fiati di Tiziano Pellizzari (sax, clarinetto ed elettronica), un musicista che si contraddistingue per un vellutato tocco jazz, raffinato e cupo, mai troppo ritmico, ne troppo invadente, ma sempre protagonista in modo originale e personale, dotato di quel tipico sound newyorkese, da mettere a braccetto con l'Elliot Sharp del progetto Aggregat Trio, che ingabbia il suono vivace e malinconico delle strade notturne della Grande Mela. Supportato dalle percussioni di Giampaolo Mattiello, il suono che ne emerge è un parto multiforme che assume aspetti più dilatati brano dopo brano. Una vena No wave, da rileggersi in retrospettiva come No New York, s'incontra e scontra con alcune deviazioni rock in opposition, senza nascondere influenze hip hop della prima era, con rap e parlato che ne rimandano il ricordo alle sue forme più scarne. Questo grazie alla presenza di Geoffrey Copplestone, in qualità di vocalist, synth e rumoristica varia, prodotta peraltro da una vecchia radio portatile amplificata, alla perenne ricerca della banda radiofonica perduta. Il lato rumoristico si sposa bene con la verve jazz punk della batteria, più rivolta a tecniche percussive che ad una ritmica reale in senso stretto. Un intruglio di Rip Rig and Panic e le velleità anarchiche di Adam and the Ants, uno che tra punk e mille altre influenze ritmiche, di miscugli se ne intende. E ancora, pensando al mondo rumoroso dell'opera 'Marco Polo' dello stesso Sharp, e aggiungendo la parola avanguardia, il quadro si definisce, con i Doortri che ce la mettono tutta per depistare l'ascoltatore, nota dopo nota. Il brano "Caesar" è un singolo di ottima presentazione, mentre la title track incarna un po' tutte le anime della band. Gli spettri però sono molteplici nella musica dei Doortri e li possiamo sentire e toccare in "Haiku", ipnotica e cupa, o nella rumorosa "Mark E. Beefheart", dove presumo che il riferimento nel titolo ai due noti musicisti, non sia una semplice casualità, bensì una forma di ammirazione. "Deviazione" che fa da ponte tra la prima parte dell'opera e la seconda, mostra pesanti inserti noise su di un lento tappeto ritmico molto cadenzato, una sorta di barcollante jazz ubriaco, in stile marcia funebre. Da questo punto in poi ci si evolve in un'ottica più ricercata ed elaborata, una forma che concilia un volto schizoide con un certo tocco sperimentale che si libera in forme più progressive e sperimentali, come in "No Logo(s)". La conclusiva e lunga suite "Johatsu" riporta un'immagine della band che si allontana ancora di più dal sound standard della band, spostandosi più su vie industrial noise dei primi storici sussulti rumorosi dei Throbbing Gristle, con atmosfere ai confini dell'ambient sperimentale e rumorista. Questo disco, registrato interamente dal vivo e mixato e masterizzato dal guru Elliot Sharp, rientra nella cerchia della Zoar Records, e dimostra la qualità raggiunta dal trio di Orgiano, sebbene, per puro sfizio personale, l'avrei voluto sentire con una produzione più da studio e meno live, soprattutto nelle parti vocali. Una vera repulsione nei confronti delle gabbie musicali, e un sano principio di 'musica libera tutti', spinge quest'opera verso la ricerca più astratta e surreale, rinvigorendo quel parco di band che spendono le loro capacità compositive in forme sonore poco catalogabili e in continua evoluzione. Un disco interessante tra improvvisazione, sperimentazione e ricerca che si eleva dal precedente demo 'Deviazione', incentrato a sua volta sulla devastazione pandemica, ampliandone qui i confini compositivi e la qualità sonora. Un album questo che appassionerà i più curiosi avventurieri del mondo jazz sperimentale, magari sensibilizzando più persone possibili sul grave problema dei PFAS presenti da decenni nelle falde acquifere del Veneto. Attraverso la musica, informare su larga scala per ottenere giustizia per la comunità. Anche questo impegno è parte espressiva della forma d'arte di un musicista. PFAS OFF! (Bob Stoner)

venerdì 11 agosto 2023

Sleepwalker – Skopofoboexoskelett

#PER CHI AMA: Black/Avantgarde
Osaka, Tver e New York: in queste tre città vivono rintanati gli Sleepwalker, elaborando suoni sordidi, sperimentali e malati, attraverso una miscela esplosiva di musica black, post rock, avantgarde e noise, che avevo amato follemente ai tempi di ‘Noč Na Krayu Sveta’. La band torna con quattro nuovi pezzi che in questo ‘Skopofoboexoskelett’ si concentrano sulla nozione di autoriflessione, intuizione e le manifestazioni esteriori e interiori della fobia, mentre si relazionano all'interno di quel loro mondo singolare. In un contesto lirico cosi complesso, c’è da attendersi anche che la band si lanci in folli escursioni in bilico tra black, avantgarde e jazz (complice l’utilizzo del sax), già udibile nella caotica traccia in apertura, “Mirrors Turned Inward”. Con i nostri non si può rimanere mai sereni, c’è da aspettarsi che accada di tutto nell’evolversi impetuoso dei loro suoni, quindi non stupitevi se si passa dal grind/black al free jazz/noise, laddove il confine talvolta può essere estremamente labile. Psicotici non c’è che dire, li adoro per questo, nonostante la loro musica sia qualcosa di davvero complicatissimo da digerire. “Silesian Fur Coat” sembra virare verso suoni più ritualistici, ma si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio e quindi ecco che dopo 90 secondi, la band imbocca strade deviate, dove a mettersi in luce saranno un basso mirabolante, synth estatici, una chitarra prog e un’atmosfera etnica che avvolge tutto il tessuto musicale della band, mentre il vocalist prosegue con il suo screaming evocativo. “The Eagle Flies” è una scheggia impazzita di due minuti e mezzo aperta dal suono di un didgeridoo che evolverà velocemente verso sonorità tribali e ci prepara mentalmente all’ultimo delirio sonico della band, “The Bad Luck That Saved You From Worse Luck”. Un pezzo che si apre con atmosfere di pink floydiana memoria e attraverso un avanguardistico black mid-tempo (interrotto da una breve grandinata grind) sarà in grado di accompagnarci fino alla conclusione di questo splendido lavoro che farà la gioia di chi come me, ama le band in grado di prendersi più di qualche rischio e se ne strafotte altamente di mode o trend musicali. Bravi, non aggiungo altro. (Francesco Scarci)

(Sentient Ruin Laboratories – 2023)
Voto: 80

https://sentientruin.bandcamp.com/album/skopofoboexoskelett

giovedì 10 agosto 2023

Tangled Thoughts of Leaving - Oscillating Forest

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
Ecco, l’hanno rifatto. Sto parlando degli australiani Tangled Thoughts of Leaving che hanno rilasciato un altro album di folle, imprevedibile post metal strumentale, venato di sonorità jazz. Chi pensa che questo genere inizi a stancare, beh si sbaglia di grosso perchè ancora una volta, la band di Perth supera se stessa e ci delizia con un doppio lavoro dal titolo suggestivo, ‘Oscillating Forest’, e da contenuti di altissimo livello che spazziano tranquillamente anche nel versante post rock, nell’ambient, nel prog, nella pura improvvisazione e addirittura nel noise. “Sudden Peril” apre le danze del lavoro e in poco meno di quattro minuti ci mostra il livello di ispirazione odierno della band, ma è con la più claustrofobica e decisamente più lunga (8:28 min) “Ghost Albatross”, che il quartetto australiano inizia col mettersi a nudo tra atmosfere post rock, spaventosi chiaroscuri orrorifici, cambi di tempo improvvisi e (in)frazioni rumoristiche destabilizzanti, che ci fanno capire il genio di questa band davvero multisfaccettata che sa esattamente come scrivere musica di un certo livello, dotata peraltro di un certo impatto emotivo. La cosa si mantiente anche nei quasi 10 minuti della terza “Twin Snakes in the Curvature”, un pezzo che si presenta con un impianto cinematico-sperimentale davvero inquietante a cavallo fra ambient e noise, in grado di annebbiare il cervello come la peggiore delle sostanze psicotrope. Superato questo trip da funghi allucinogeni, la band pensa bene di infarcire il tutto con il pianoforte e a destabilizzarci ancor di più con partiture jazzistiche davvero funamboliche. Non sarà semplice venir fuori interi da questa jam session, un po' come se ci fossimo fatti un tuffo in un frullatore gigante e avessimo lottato contro kiwi, fragole e banane giganti. Abbandonata questa parentesi vegana, vengo risucchiato dai due minuti rumoristici di “Seep Into” che ci accompagna a “Lake Orb Altar” e alle sue derive soniche desolanti, quasi uno scatto del deserto che è emerso dal prosciugamento del lago d’Aral, una visione apocalittica figlia del mondo in cui stiamo vivendo, un mondo che brucia da un lato mentre l'altro viene innondato da acque tumultuose. E questa song brucia, genera emozioni contrastanti, turbamenti interiori, un malessere da cui sarà difficile sfuggire, sebbene la melodia nella sua seconda metà, provi a stemperare l’apocalisse incombente. Ma poi, la ritmica avanza veloce, il basso pulsa come quando il cuore mi esplode nel petto dopo una scalata di una montagna, i giochi di synth diventano ipnotici e le chitarre frastornanti. Ci pensa “Trinket Forest” a ripristinare l’equilibrio con suoni da tempio buddista (o forse giardino zen). Il rumorismo torna sovrano in “Lamprey Strings” e si va mescolare con un’improvvisazione sperimentale davvero da capogiro in grado di rovesciare pensieri, parole ed emozioni. Se avessi scalato l’Everest sarebbe stato decisamente più semplice e invece farsi inghiottire dalle chitarre caustiche di “Bush Wallaby”, con quei suoi giochi di piano e batteria, diventa quasi una delle cose più complicate da affrontare, visto che davanti ci sono altri tre brani per oltre 20 minuti di musica: dal pianoforte impazzito della spettrale “Folded Into”, suonato da un fantasma in un castello maledetto, alle atmosfere da incubo di “The Mantle”, per terminare con la lunghissima (oltre 11 minuti) title track, in grado di darci il definitivo colpo del ko, tra suoni morbosi, deviati e schizofrenici che non pensavate potessero esistere su questa Terra. Semplicemente pericolosi. (Francesco Scarci)

(Bird’s Robe Records/Dunk! Records – 2023)
Voto: 77

https://ttol.bandcamp.com/album/oscillating-forest

mercoledì 9 agosto 2023

Esoctrilihum - Astraal Constellations of the Majickal Zodiac

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
France’s unique project Esoctrilihum is back again with a new release, only a few months after the remarkably solid and intensely atmospheric album 'Funeral'. That opus, along with the previous album 'Saopth’s', have not been released physically yet, that is a pity, as they were both excellent in their own character. In any case, let’s focus on the newest album, a mammoth release entitled 'Astraal Constellations of the Majickal Zodiac', where Asthâghul pushes his own boundaries, particularly in terms of productivity and richness of ideas. It is admirable to see how he is able of releasing albums each year, which are far from being simple or repetitive. Esoctrilihum’s music is demanding and requires a certain degree of attention to fully appreciate it, and this album, clocking around two hours is indeed a challenging, yet worthily task.

'Astraal Constellations of the Majickal Zodiac' doesn’t deviate too much from its predecessors, something which maybe could disappoint a few fans, particularly those who expect a revolutionary step forward. However, it will satisfy most people who enjoy Esoctrilihum’s particular musical vision. This new opus offers a complete palette of Esoctrilihum has done so far. Those who enjoyed masterpieces like 'Eternity of Shaog' or 'Dy’th Requiem for the Serpent Telepath', will surely appreciate this album as it perfectly reflects what we could hear in those previous ones. The more straightforward aggressiveness of 'Consecration of the Spiritüs Flesh' is also portrayed, at least in certain moments. This is due as this album is like a complete musical depiction of what Esoctrilihum did in the last years and a clear example of Asthâghul’s talent. The length of the album may discourage some of you, but I can assure that the quality is worth of your time. The album opener "Arcane Majestrix Noir" is a perfect example of the project’s trademark sound, with a combination of relentless drums, chaotic riffs, and a strong atmospheric touch, thanks to a huge and interesting use of the keys and of other arrangements. Asthâghul’s vocal approach is aggressive as ever, with a combination of vicious high-pitched screams with deep growls. The whole composition is a crazy combination of all these elements, where aggressiveness and experimentation cohabit in a very natural way. The atmospheric touch is even stronger in "Atlas Eeïm", where keyboards play a prominent role with some majestic melodies able to captivate the listener. The slower pace is some sections of this song also help to provide a greater room for this side of Esoctrilihum’s sound. Keyboard lovers will for sure enjoy a track like "Shadow Lupus of Saemons-Tuhr" as it has an absolutely majestic main melody that sticks in your head. This album offers to the listener tons of great key melodies, regardless of how brutal or experimental sounds the song, which is something I truly appreciate.

Nevertheless, if you prefer compositions more inclined to Esoctrilihum’s most visceral way, you won’t find songs raw as the ones you can find in 'Consecration of the Spiritüs Flesh', but don’t worry, as there are plenty of brutal double bass and blast-beasts through the whole work. A song like "AlŭBḁḁlisme" is a nice example of it, with an insanely speedy drum alongside the crazy riffing that Esoctrilihum always delivers. Pace wise, the songs fluctuate in a very natural way between super-fast, mid-tempo and slow parts, a fact that shows how smoothly the songs have been crafted by the French mastermind. Apart from the guitar-bass-drums-keys combo, Esoctrilihum has always used successfully something like a violin (I don’t know if it’s actually the real instrument or something more artificial), and this album is not an exception with some very nice parts, as the ones you can find in "Säth-Oxd, Stellar Basilisk". This song is also another clear example of how a song of this release can change from some melodic and even nice parts to a truly chaotic one in just a second. As soon as you reach the end of this colossal album, it seems that Asthâghul honours the popular expression "hold my beer" with the two gigantic final songs, each one twenty minutes length. Everything you can expect from this project can be found here and it’s a testimony of what Esoctrilihum can offer, what a conclusion for an album.

With 'Astraal Constellations of the Majickal Zodiac' Esoctrilihum shows that the project isn’t running out of ideas and inspiration. This mammoth release is an excellent sonic depiction of experimentation, brutality and atmosphere done with taste and passion. (Alain González Artola)


martedì 8 agosto 2023

Kodiak Empire - The Great Acceleration

#PER CHI AMA: Math Rock/Prog
Gli australiani Kodiak Empire tornano sul luogo del delitto con un nuovo e breve (mezz’ora tonda tonda) quarto album, sotto la super visione della Bird’s Robe Records. ‘The Great Acceleration’, un concept album che affronta i temi della crisi climatica e dell’impatto dell’uomo sull’ambiente, si presenta come un mix di rock progressive, post-rock, ambient, math e sperimentalismi vari. Il disco si caratterizzata sin dall’iniziale “The Difference”, da melodie evocative e influenze che chiamano sicuramente in causa i conterranei The Mars Volta e gli ultimissimi Tesseract, con un fare a tratti un po’ troppo pop per i miei gusti. A far da contraltare a queste sonorità un po’ ruffiane, ci pensano però giri di chitarra ipnotici, che sembrano trarre linfa vitale dal math rock ma qualcosina anche dal djent, cosi come pure quei lunghi e poderosi assoli dall’elevato tasso tecnico, tengono la band di Brisbane ancorata a un rock decisamente robusto. E “Within the Comfort” non fa altro che ribadirlo, con quel suo inizio tumultuoso e super distorto, anche se non appena entra la morbida voce del vocalist, il suono diventa decisamente più mellifluo. Non temete comunque, visto che nel corso del brano ci sarà un’alternanza di tempi, sorretti da ritmiche sostenute, sghembe ed imprevedibili che indirizzano i nostri nuovamente verso lidi math. E questa fondamentalmente sembra essere la forza dei Kodiak Empire, ossia accostare l’irruenza del rock progressivo (che tende talvolta a sfociare nel metal) con il pop. Certo, qualcuno storcerà il naso alla parola pop (me compreso), ma questa è la peculiarità del quintetto australiano. Un pezzo come “Animist” mette in luce un’anima più alternativa, ma la cosa che più mi ha colpito qui è in realtà un drumming estremamente fantasioso coniugato ad un intrigante gioco di atmosfere guidate da un synth dai tratti malinconici. “Maralinga”, complice la sua breve durata, la leggo più come un ponte tra “Animist” e la conclusiva “Marcel”, anche se nei suoi 141 secondi, condensa il lato più sperimentale della band, tra sinuose partiture atmosferiche, turbamenti noise e schitarrate metalliche. In chiusura, la già citata “Marcel” si srotola lungo i suoi quasi nove minuti, attraverso atmosfere suffuse, ammiccamenti pop (complice anche qui il cantato eccessivamente ruffiano del frontman), cambi di tempo bizzarri e gagliarde accelerazioni, peraltro in combinazione con un inatteso growling, che alla fine spariglia completamente le carte in tavola e ti spingono a volerne di più. Invece, il disco si ferma qui, come se voglia ingolosire gli ascoltatori in vista di un nuovo travolgente lavoro dei Kodiak Empire. (Francesco Scarci)

(Bird’s Robe Records – 2023)
Voto: 73