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mercoledì 24 febbraio 2021

Cannibal Corpse - Tomb of the Mutilated

#FOR FANS OF: Brutal Death
Burly Barnes crushes here as does the death metal (witch brutal vocals) dominates this entire release. The riffs are the highlight (to me), being a former guitarist I'm able to absorb what's being played here. I'm surprised that I didn't write about this sooner maybe 30 years plus ago since it's original release. I have nothing but good things to say here. I think that when Barnes's vocals changed on 'The Bleeding' that was it for me regarding liking the band from this era. I thought that Jack Owen was his strongest on 'Butchered At Birth' and here. Not sure what happened to him after that during Corpsegrinder's era. Aside from the fact that he joined Deicide in 2006 or thereabouts.

I don't necessarily like live tracks on albums with exceptions. And from my understanding, Jim Carrey's favorite bands (or what's been talked about in the media is Cannibal Corpse and Napalm Death). I'd have to say that what's so therefore dominating on here are again the riffs. And the bass you can hear throughout. Tempos all over the place but all interrelated. Barnes just soaks it up alongside the music and gives them that utmost gruesomeness. It sounds like he's going to chug that microphone. If they had more stable albums in respect to the music and vocals I think Barnes would've been a longtime member. Him and Six Feet Under are pathetic.

They were one of the most brutal bands back 30 years ago and they're still kicking ass. Though the guitars are way different in turning and currently Corpsegrinder with the band. There's been a lot of debate as to who's the most likeable over the years. I'd say consistently Corpsegrinder has been more solid. But I'm still appreciating Barnes on the first few releases. There's a wide variety as to who you would choose after all this time. I'd say, Corpsegrinder. He's got range that Barnes never seemed to ever have. But on the 2nd and 3rd album, I like him. After that, no more. He's just not diverse enough. But on 'Tomb of the Mutilated' he tears it up!

The mixing/production wasn't the greatest, but I still like the overall sound quality that the band sets forth thereof. There wasn't a track on here that I dislike. They were all strong musical annihilations with the guitars shredding it up. The lyrics we never tackle nor do we want to tackle. It's just gruesome and vile. The music and vocals are what's to focus on. I got this on CD a while back I'm certiain that they're on YouTube. I don't know about Spotify except for the more recent albums. I would tell you to do the band justice and just get the CD. It's worth its weight in gold. There isn't a track on here that's not good. Check it out! (Death8699)


(Metal Blade/Rock Brigade Records - 1992/2019)
Score: 82

https://www.facebook.com/cannibalcorpse

Meer – Playing House

#PER CHI AMA: Rock Orchestrale/Prog Pop Rock
Arriva dalle fredde lande norvegesi questo bel disco pieno di ottime intuizioni e tanta qualità stilistica. Nato come duo nel 2008, il progetto Meer si è evoluto addirittura in ottetto, puntando su di un groove sonoro molto raffinato e particolare che conta tra le sue doti un canto polifonico, strutture pop rock, evoluzioni melodiche nel mondo del folk ed inaspettatamente, una costante compositiva che genera continuamente trame in odor di rock progressivo, attualizzato ai parametri del neo prog di oggi. Siamo di fronte ad una band che non lascia nulla al caso, che si lancia in canzoni ricercate e complesse che contengono il pathos della migliore Tori Amos, quanto la sensualità degli ultimi lavori di Dido, passando per la svolta più intellettuale e attuale dei Leprous di 'Pitfalls' e per il prog più intimo, soft e dalle tinte malinconiche del disco 'Pharos' di Ishahn, senza dimenticare la componente emotiva più indie folk, cara a band come i Mumford & Son con aperture epiche e ariose di certo rock orchestrale nello stile di The Dear Hunter. Il gruppo definisce la propria musica come un mix di rock progressivo sinfonico, orchestrale, melodico, orecchiabile e con molti stimoli energici. Posso affermare serenamente, che mai definizione risulti più azzeccata, sia che al canto si presti la voce femminile o quella maschile, la spinta sonora rimane invariata. Il tono romantico ed epico non manca mai, scaldato da composizioni ricche di sfaccettature, colori e suoni elaborati, gestiti come un'orchestra a suon di rock e con una verve pop, nel senso di orecchiabilità e cantabilità dei brani, da veri esperti compositori. "Picking Up the Pieces" e "Beehive" aprono il disco in maniera magistrale, affidate ad un'ugola alquanto maestosa e travolgente (Johanne Kippersund). L'album prosegue con tre brani interpretati da Knut Kippersund e la trama si sposta in un clima più intimo ma senza cali di qualità, anche se la musica è più moderata e assume tinte più morbide, quasi alt country e corali, soprattutto in "Songs of Us". L'accento scandinavo si sente negli arrangiamenti che mi ricordano certe scuole di pensiero progressive provenienti da quelle zone, per peculiarità e pulizia del suono, freschezza e passione per i risvolti classicheggianti, tra violino, viola e piano, mi rievocano anche un ottimo disco strumentale di avant/prog/folk, che comprai anni fa, dei Between, intitolato 'Silence Beyond Time'. Il brano "You Were a Drum" ne è un esempio, impreziosito da una interpretazione vocale al di sopra delle righe. "Honey" mostra anche una certa vena elettronica che collega il collettivo scandinavo in qualche modo alla forma canzone sintetica ed evoluta di Fever Ray (voce dei The Knife), amalgamata perfettamente al loro stile orchestrale. "Across the Universe" scivola in scioltezza, mentre "She Goes" ha una struttura d'avanguardia, sinfonica e corale di notevole portata ed è forse la canzone più complicata del lotto e senza remore, mostra quanto sia complesso e ambizioso l'habitat musicale di questa splendida band. Una ballata morbida per "Where Do We Go From Here" e una chiusura al limite del cinematografico per "Lay It Down", per un finale esplosivo in pompa magna. Perfetto epilogo per un disco creato ad arte, con gusto e maestria. Il pop come non lo avete mai ascoltato, intelligente, suonato alla perfezione, emozionante ed intenso. Un album da ascoltare assolutamente che vi darà sicuramente delle gradevoli sensazioni. (Bob Stoner)

(Karisma/Dark Essence Records - 2021)
Voto: 78

https://meer.bandcamp.com/album/playing-house

The Pit Tips

Francesco Scarci

Voyage in Solitude - Through The Mist With Courage And Sorrow
Kultika - Capricorn Wolves
Caelestra - Black Widow Nebula

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MetalJ

Bereft of Light - Hoinar
Mormant de Snagov - Death Below Space and Existence
Paragon Collapse - The Dawning

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Death8699

Plague Years - Circle of Darkness
Asphyx - Necroceros
Blessed by Perversion - Remnants of Existence

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Alain González Artola

Sur Austru - Obârșie
Keys of Orthanc - Of the Lineage of Kings
Daius - Ascuns

domenica 21 febbraio 2021

BleakHeart - Dream Griever

#PER CHI AMA: Gothic/Doom, The Third and the Mortal
Quando ho ascoltato la prima volta i BleakHeart ho pensato ad una versione americana dei The Third and the Mortal. Fate partire "Ash Bearer", opening track di questo 'Dream Griever', e capirete esattamente a cosa stia alludendo. Certo, non ci saranno le liriche in norvegese di Kari Rueslåtten che popolavano 'Tears Laid in Earth', opera prima dei norvegesi, però il modo di cantare di Kelly Schilling (peraltro voce anche dei Dreadnought) è a metà strada tra la cantante scandinava e l'altrettanto brava Anneke van Giersbergen, anche se negli acuti la voce si perde un po'. A parte queste sottigliezze, va sottolineato come la proposta musicale del quartetto di Denver nella sua raffinatezza, si muova in bilico tra doom, shoegaze e darkwave e lo faccia sfoderando un'ottima prova collettiva. Non solo la voce della frontwoman in primo piano dunque, ma la capacità di un gruppo di musicisti di creare musica in grado di toccare le corde dell'anima, nonostante un suono non cosi facile da assimilare, complice anche la presenza in formazione di due chitarre a discapito del basso. E anche in questo la band si conferma originale. Dopo gli oltre otto minuti dell'opener, arrivano i quasi otto della seconda "Heed the Haunt", un brano che mette in mostra altre influenze dei nostri, dallo shoegaze al gothic, non rinunciando comunque a livello ritmico alla robustezza delle sei corde, stemperate dalla soave prova di Kelly al microfono. Da manuale comunque le melodie che escono dagli strumenti di questi musicisti, capaci di proporre atmosfere costantemente decadenti senza rinunciare ad una forte componente emozionale. La stessa che si scorge nella tribalità minimalista di "The Visitor", che nuovamente evoca forti rimandi ai The Third and the Mortal degli esordi. L'atmosfera creata dal drumming è cupissima, sferzata dalla sola sofferente voce della cantante. Le chitarre entrano in scena infatti solo dopo oltre quattro minuti contribuendo comunque a rinforzare quella plumbea ambientazione che proseguirà sulla medesima linea di monolitica angoscia fino alla fine di tutti gli otto minuti di durata. "The Dead Moon" prosegue sullo stesso binario stilistico, proponendo un sound sicuramente meno claustrofobico rispetto al pezzo precedente, ma sicuramente più statico rispetto ai primi due brani del disco che tanto mi avevano impressionato positivamente. Il sound dei BlackHeart resta comunque positivo, ma forse più prevedibile per quanto la performance di Kelly a questo punto innalzi la prova collettiva. La chiusura di 'Dream Griever' è affidata proprio alla title track e ad un inizio che evoca "Atupoéma", ancora estratto di quel mitico 'Tears Laid in Earth' citato a inizio recensione. Le atmosfere si confermano pesantissime, ma fortunatamente, trovano il modo di rimodellarsi nel corso del brano, con cambi di tempo che si erano un po' persi invece nella parte centrale del lavoro. Il brano regala comunque sprazzi di classe con una parte intermedia più eterea, di scuola ultimi The Gathering, con l'aggiunta di un pizzico di jazz che aumenta le vibrazioni rilasciate da tale release. 'Dream Griever' è alla fine un buon lavoro con le sue luci, qualche ombra da smussare per cercare di rendere più dinamico un sound che rischia talvolta di incepparsi sul più bello. Le potenzialità sono altissime, punterei sull'aggiunta di un bassista e sulla riduzione di quelle ritmiche pesantissime che alla lunga rischiano di soffocare l'ascolto già di per sè impegnativo di un lavoro da ascoltare e riascoltare nei momenti più bui. (Francesco Scarci)

Voyage in Solitude - Through the Mist with Courage and Sorrow

#PER CHI AMA: Depressive Black, Deafheaven
I Voyage in Solitude sono l'ennesima dimostrazione che il metal non ha confini e si possa suonare a tutte le latitudini e longitudini. Si perchè la one-man-band di oggi è originaria dei Nuovi Territori di Hong Kong e il polistrumentista che si cela dietro al monicker, Derrick Lin, ci propone un black che oscilla tra l'atmosferico e il depressive. Le atmosfere si gustano proprio all'inizio di questo 'Through the Mist with Courage and Sorrow', primo full length della band dopo tre EP e materiale vario, con la lunga apertura strumentale affidata alle magiche melodie di "Veil of Mist". Con la lunga "Dark Mist" la proposta del mastermind hongkonghese inizia a prendere più forma, delineandosi appunto come un depressive black, dalle tinte fosche e cupe, al pari dello screaming del vocalist. La prima parte del pezzo viaggia su coordinate stilistiche davvero atmosferiche, con una linea di chitarra evocativa in quel suo tremolo picking che potrebbe quasi fuorviarci e farci propendere ad un post rock. Il finale vede l'appesantirsi della sezione ritmica senza tuttavia mai trascendere in fatto di velocità, fatto salvo per la furia post-black affidata all'ultimo minuto e mezzo del brano. "Incoming Transmission" ha un preambolo nuovamente ambient, in cui una chitarra acustica s'intreccia con suoni di synth. Ma è solo una sorta di intro ad un pezzo più andante, nel quale l'artista esprime attraverso la malinconia della linea melodica e delle sue harsh vocals, la solitudine, l'impotenza e la frustazione della gente della città in cui vive, dopo un biennio davvero complicato per Hong Kong. E questo dissapore per la società emerge forte e sconsolato dalle note del brano, in cui il musicista ha modo di combinare al black eterei suoni post rock in lunghe fughe strumentali. I pezzi si susseguono, viaggiando peraltro su durate abbastanza consistenti: "Reign", nel suo torbido incedere, sfiora i nove minuti e lo fa combinando chitarre tremolanti con un drumming al limite del post-black, mentre la voce di Derrick, forse troppo nelle retrovie tipico delle produzioni molto underground, distoglie l'attenzione da quelle melodie che inneggiano qui più che altrove ai Deafheaven. Il risultato è davvero buono, forse una produzione più pulita avrebbe giovato ulteriormente, ma siamo agli inizi, quindi mi aspetto grandi cose in futuro da Mr. Lin. Ancora un intro acustico con la dolce (si avete letto bene) "Memories", un pezzo strumentale che potrebbe fare da ponte tra la prima parte e la seconda del cd, in cui lasciar vagare la vostra mente mentre guardate la cover dell'album. Qui è ancora la componente post-rock a dominare, sebbene il drumming nella seconda metà si faccia più convulso e alla fine dirompente. "Despair" prosegue sulla medesima linea tracciata dalle precendenti song: inizio timido, acustico e poi con l'ingresso dello screaming di Derrick, ecco che le chitarre si fanno più "burzumiane". Ma attenzione, perchè questo pezzo riserva una novità proprio a livello vocale con l'utilizzo del pulito in una sorta di coro, a mostrare le enormi potenzialità a disposizione della band asiatica. L'emozionalità che trasuda 'Through the Mist with Courage and Sorrow' va comunque sottolineata come vero punto di forza dell'album che si chiude con "In Between", un pezzo ove è lo shoegaze a dettare legge tra chiaroscuri di chitarra, magnifiche e sognanti melodie, un cupo pessimismo cosmico ed una gran dose di malinconia che mi fanno enormemente apprezzare la sublime proposta dei Voyage in Solitude. Bene cosi! (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 77 

Crypts of Despair - All Light Swallowed

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal
Even though the Lithuanian scene is not one of the most well-known ones, it has always delivered some interesting bands. Personally, I had some previous experience with some black and doom metal bands, but this time is the moment to discover one of those obscure bands that plays a clearly more brutal style. Crypts of Despair is a four-piece founded almost twelve years ago, though the band required almost a decade to release its first effort entitled 'The Stench of the Earth'. This was a self-release with a good quality that made possible that the always prolific underground label Transcending Obscurity Records showed interest in them. So, thankfully we did not have to wait so much time and after three years, Crypts of Despair are going to release its sophomore effort 'All Light Swallowed'.

Crypts of Despair plays death metal with a modern and clearly brutal touch, although it doesn´t reach the level of relentless speed and brutality to be tagged as brutal death metal band. Anyway, the ferocity of its sound is out of discussion. 'All Light Swallowed' has a very strong production, dense and profound, which sounds totally professional and fits the style of the band. Stylistically, as said, this is a pure death metal with a modern touch as the guitars have a distinctive disharmonic touch, that makes them sound more chaotic and smashing. Here we can find two tips of vocals, deep growls combined with more high-pitched ones. Anyhow, the first ones have a greater room, but the combination of both is always an interesting touch of diversity. The album opener "Being-Erased" is a clear example of it, with maybe a greater presence of the screaming vocals in this case. This first opus is one of the fastest of the whole album, albeit it has some nice changes in the tempo, especially in the second half with the inclusion of some mid-tempo and even slower parts. This diversity of pace is a constant touch, even if we can always expect the speedy fury so common in this genre. In any case, Crypts of Despair likes to make a clear contrast between the sections full of blast-beasts and the much slower and heavy parts. We have plenty of examples like the excellent "Anguished Exhale" and "Synergy of Suffering", where the song evolves abruptly from super-fast sections to mid-tempo ones, and in these parts the double-bass sounds absolutely smashing. No one can deny that Crypts of Despair tries to extract all the potential from this formula and they actually do it in the right way, creating songs with an undeniably crushing sound and strength independently of the chosen pace. The album flows between tracks with this aforementioned formula, where the songs, whose structure maybe doesn’t differ that much, achieve a very effective combination of rhythmic changes, making this album a fun listen.

All in all, 'All Light Swallowed' is a super solid death metal album from a band that has done a good step forward in terms of production and refinement in its compositions. A refinement done to achieve a focused brutality, that will satisfy fans of modern death metal done right. (Alain González Artola)


sabato 20 febbraio 2021

Carcolh - The Life and Works of Death

#PER CHI AMA: Epic Doom, Candlemass
Bordeaux, terra di vigne e preziosi vini, lande che fanno pensare ai famosi chateau, i castelli, magari infestati, dove la colonna sonora potrebbe essere benissimo quella servita dai Carcolh e dal loro nuovissimo 'The Life and Works of Death', atto secondo del quintetto transalpino. Sei brani per godere del doom tradizionale dei nostri, miscelato ad una epicità di fondo, come quella che ho percepito in "From Dark Ages They Came", laddove il vocalist inizia a cantare e per un attimo, mi sono sentito proiettato indietro nel tempo, ai Bathory di 'Twilight of the Gods'. Bella sensazione, sebbene il sound dei cinque francesi sia decisamente più statico rispetto al maestro svedese. Ma quando si parla di Svezia, ecco che un'altra band accorre in aiuto per ciò che concerne le influenze della compagine di quest'oggi, ossia i Candlemass. E nella seconda "Works of Death", emergono tutti i richiami alla band di Leif Edling e soci, con una sezione ritmica bella compatta, circolare, con un mood novembrino ed una performance vocale che, seppur avessi maggiormente apprezzato nella opening track, qui si conferma comunque di buon valore. Per non parlare poi della sezione solistica, davvero interessante e godibile nella sua fluida melodia. E l'aura fosca ed autunnale si palesa anche nella ritmica indolente della lunghissima "The Blind Goddess" che vanta uno spettacolare assolo conclusivo, ad altissimo tasso tecnico ma soprattutto emotivo. Più breve e dinamica "When the Embers Light the Way": qui la componente epica si fa più forte nel raddoppio delle chitarre, mentre la voce del frontman si presenta più graffiante. Per non parlare poi della parte centrale, in cui il pezzo si fa più aggressivo in concomitanza con un cantato vicino al growl. E poi via, con un altro spettacolare assolo, una parte cantata e poi voce e chitarra solista ancora a braccetto, per quello che alla fine sarà anche il mio pezzo preferito dell'album. "Aftermath" è un pezzo anomalo nel contesto del disco, vista la vena dark gothic che rimanda ai Fields of the Nephilim, per un brano di sei minuti che suona in realtà più come un lungo bridge per la conclusiva "Sepulchre", un nome un programma. Si perchè per atmosfera lugubre, pesantezza e dilatazione delle chitarre, beh manca poco che ci si avvicini al funeral doom. Non ci sono le voci catacombali del funeral altrimenti, i quasi undici minuti del brano confermerebbero la mia tesi iniziale. Gli unici bagliori di luce si vedono infatti attraverso i soli squarci solistici delle sei corde. Un brano carico di tensione ma a mio avviso non troppo convincente. Alla fine, 'The Life and Works of Death' ha comunque il sapore della vittoria, presentandosi come album maturo e suonato con competenza. Un pizzico di malizia e personalità in più e potremmo sentirne delle belle. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2021)
Voto: 73

giovedì 18 febbraio 2021

Oakmord - We Were Always Alone

#PER CHI AMA: Funeral Doom
La band di oggi è un duo tedesco-finlandese al loro debutto, con questo monicker. Si perchè gli Oakmord includono il batterista Juergen Froehling degli Absent/Minded (già incontrati più volte qui nel Pozzo), peraltro pure ex dei My Shameful, cosi come lo fu Sami Rautio, chitarra, basso e voce della band di oggi. 'We Were Always Alone' è quanto partorito dai due musicisti, un lavoro di quattro pezzi per oltre 30 minuti di tetre sonorità funeral doom. E con un background del genere cosa vi aspettavate? Non ci si stupisca quindi della criptica e deprimente melodia acustica che apre "I Pray to Unforgiving Skies", prima che il rombo di un riffone tonante irrompa nelle casse dello stereo, accompagnato da una voce al vetriolo. Giusto un paio di riff super dilatati, diciamo di un paio di minuti, e poi di nuovo un break acustico. E il gioco ondivago si ripete con un nuovo attacco distorsivo che ci riporta in un altro ipnotico e circolare giro acustico, con le voci a gracchiare in sottofondo. "Dilution of Pain" appare ancor più tormentata e malata nel suo lento incedere ma soprattutto in quel doppio cantato da incubo. Poi a prendere il sopravvento è una parte decisamente ritmata, prima di disturbanti suoni elettronici che ci catapultano nella seconda parte del brano dove le voci da orco tornano a dominare. Ancora un inizio tranquillo, quello proposto da "Deliverance", fatto di suoni lontani, corde pizzicate, landscape desolanti e voci sussurrate. Giusto un lungo e laconico antipasto dronico che ci porta nel fulcro funereo della song, cosi deprimente nella sua solitaria linea di chitarra e in quegli scarni vocalizzi in sottofondo. Insomma, se siete alla ricerca di una emotività sofferta e decadente, qui troverete quanto avete bisogno, confermato peraltro dalle note conclusive di " My Eyes Reflect Only My Death", l'ultimo bagliore di morte che si scorge nelle deprimenti note di questo 'We Were Always Alone'. Un lugubre addio affidato a cupe e sofferte parti atmosferiche che confermano le qualità di un nuovo gruppo affacciatosi nel mondo della musica del destino. (Francesco Scarci)

(Wroth Emitter Productions - 2020)
Voto: 72

https://oakmord.bandcamp.com/album/we-were-always-alone