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lunedì 31 agosto 2015

Stin Scatzor - Industrogression

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Industrial, Ministry, Killing Joke
Grazie all'etichetta polacca Black Flames Records ha visto la luce l'album degli Stin Scatzor, terzo ed ultimo capitolo di una trilogia sulla musica industriale, cui il gruppo belga diede inizio nel 1998 con l'uscita del minicd 'Industronic'. Per chi non avesse grande familiarità con la musica degli Stin Scatzor, vi basti sapere che la mente del progetto, Stefan Bens, vanta una carriera musicale ultra decennale, sviluppatasi attraverso la gavetta dei demotape e legata da un rapporto di stretta amicizia con Johan Van Roy dei Suicide Commando (con il quale Stefan fondò anche il progetto Lescure 13 agli inizi degli anni '90). Ispirato dal suono di band come Front 242 e Klinik, il musicista belga giunge solo nel 2000 alla pubblicazione del primo full-length 'Industrology', un album che mediante l'appoggio della Out of Line riesce subito ad attirare l'attenzione sul progetto Stin Scatzor, descritto dai fan e dalla stampa come uno degli act più aggressivi all'interno del panorama industrial/EBM. Dopo l'approdo alla Black Flames Records, Stefan uscì nuovamente allo scoperto con il terzo lavoro 'Industrogression', album segnato dall'ingresso in formazione del chitarrista Kris Peeters. Le chitarre assumono dunque un ruolo basilare nell'economia dei nuovi pezzi, arricchendo notevolmente l'originaria ossatura elettronica e spostando l'anima compositiva del gruppo sul terreno del "crossover". Per quanto quest'ultimo termine possa apparire desueto, è indubbio che nomi come Ministry, Nine Inch Nails e Killing Joke abbiano rappresentato dei reali punti di riferimento nella coesione dei brani ivi contenuti, i quali si mantengono in bilico tra le incursioni di synth acidi e il robusto sostegno di granitici riff di chitarra. A completare questa proposta musicale dall'identità ibrida, giunge infine la voce abrasiva di Stefan, che nei testi canta rabbiosamente di industrie chimiche, guerre nucleari e di un'umanità al suo capolinea. Tra i brani più indovinati posso certamente segnalare "It Doesn't Matter", il remake di "Vernix Caseosa" e "Morphine", ma non tutto il cd si mantiene sullo stesso livello, evidenziando alcune cadute di tono in episodi dal taglio un po' grossolano come "(I Know) You Dislike Me" e "Sweet Hell". In conclusione un buon lavoro cui vale la pena dare una chance ma, si presti attenzione, nulla di fondamentale. (Roberto Alba)

(Black Flames Records - 2003)
Voto: 65

lunedì 26 gennaio 2015

Milk - Core

#PER CHI AMA: Crossover, System of a Down, Sweet Lizard Illtet, Sparta
Uscito nel 2014 per la label indipendente Esquimaux records, il primo lavoro dei Milk dal breve titolo 'Core', arriva direttamente dalla terra del leggendario eroe William Wallace, la Scozia. Con questo EP di quattro brani, il combo della contea di Ayrshire, tenta di fondere sonorità diametralmente opposte, quali possono essere l'elettronica e il metal, riproponendo la formula che in un tempo ormai remoto, rese grande il crossover. Il problema è che tale formula è stata così abusata in passato che sotto qualsiasi prospettiva la si voglia leggere oggi, il risultato è sempre un sound che sa di già sentito. I nostri quattro bravi musicisti vengono premiati tuttavia da una buona qualità audio e un buon equilibrio tra gli strumenti. Quello che rischia di non farli emergere dalla massa è un gusto musicale alquanto discutibile, che unisce un cantato interessante (a cura di Peter Fleming) che offre sfumature a cavallo tra Tool, Sparta e System of a Down, con un cospicuo uso di elettronica anni '90, l'indie rock dei primi Manic Street Preachers, la composizione tipica dell'air metal anni '80 e chitarre pesanti a la Limp Bizkit (ovviamente niente rap!). Il risultato è un sound indefinito, sterile, con poche frecce al proprio arco seppur sia ben orchestrato e ragionato. Una sorta di suono diviso tra le atmosfere elettro/etno/metal di 'Bitter Potion' dei Thorn, scaricati della loro perversione, i System of a Down più orecchiabili, reminiscenze a la Primal Scream nell'innesto elettronico ed infine rimandi ai Godsmack. La fatica, la volontà e il sudore, vanno comunque riconosciuti ai Milk anche se questo lavoro non rende la dovuta giustizia alle loro idee e alla loro reale personalità. Viste alcune performance live, nei video della band sparsi per il web, direi che possono osare molto di più, che hanno tutte le carte in regola e molta più dinamite da far esplodere in un album! Magari irrobustendo il sound e l'aggressività nelle loro prossime uscite, senza perdere quel tocco alternative che almeno come attitudine li protrae verso le intuizioni stravaganti dei mitici Sweet Lizard Illtet, con i loro ritmi dance e quelle buone chitarre rumorose. Manca un pizzico di consistenza in più ma la direzione è quella buona se la si saprà rendere geniale! Premiato l'impegno e rimandati con tanta curiosità per le uscite future! (Bob Stoner)

(Esquimaux Records - 2014)
Voto: 65

martedì 25 novembre 2014

Dot Legacy – S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Crossover, Mars Volta 
D’accordo, è vero, le etichette non mi piacciono, sono riduttive e tutto il resto, ma a volte sono tanto comode... già, perchè diventa davvero difficile riuscire a descrivere a parole quello che fanno i Dot Legacy, quando sarebbe molto piú semplice dargli un ascolto, peraltro consigliatissimo. Formatisi nel 2009, questi 4 francesini giungono oggi al loro esordio con questo cd verde confezionato in un elegante digipack che spiazza fin dall’immagine di copertina. Ci si immagina di essere immersi in atmosfere brumose e notturne e invece si viene catturati da un suono mutante che si muove sinuoso tra i generi, come una carpa sotto il pelo dell’acqua, rimandando ad ogni movimento riflessi dalle sfumature diverse. Per comodità, potremmo fare un parallelo con i Mars Volta: laddove la band degli ex At The Drive In partiva da una solida base post-hardcore per le loro digressioni prog-funk-free, i Dot Legacy fanno qualcosa di simile innestando su un impianto stoner massicce dosi di acid-funk e non solo. Basta prendere l’opening track "Kennedy", per rimanere spiazzati dai furiosi e repentini cambi di atmosfera tra ritmi spezzati e riffoni dal groove trascinante. Si continua con la funambolica e tortuosa "Think of a Name", o le linee melodiche peculiari di "Days of The Weak", che cresce ascolto dopo ascolto, ma le sorprese più grosse arrivano con lo spettacolare crossover di "Pyramid", dove si fondono parti rap alla Beastie Boys con esplosioni strumentali ultragroovy, o con il Santana ipercinetico di "Rumbera", che muta in un lento stoner inframezzato da sferzate di un argano acidissimo. I due brani piú lunghi, "Gorilla Train Station" e "Weirdos Of The Night" sono più tranquilli e lenti ma non per questo lineari o monotoni, il primo più classicamente stoner, il secondo guarda quasi all’hard-prog anni '70. In un certo senso i Dot Legacy tengono alta la bandiera della gloriosa tradizione crossover europea di band quali gli olandesi Urban Dance Squad o i connazionali FFF. I ragazzi sanno suonare, non c’è dubbio, e riescono sempre a infilare qualcosa di inaspettato in tutti i brani: tempi dispari, cori spiazzanti, tastiere sinuose e divagazioni jazz-rock. Non si fanno mancare nemmeno la delicata "3 am", posta in chiusura di un esordio interessantissimo ed ambizioso. Date le premesse ardite, non era facile riuscire a centrare l’obiettivo di confezionare un disco coerente, piacevole, spiazzante senza risultare pasticciato e sfilacciato, ma i Dot Legacy ci sono riusciti. Missione compiuta. (Mauro Catena)

(Setalight Records - 2014)
Voto: 75

domenica 9 novembre 2014

Deportivo Lb - Gigante

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover, Linea77
I Deportivo Lb vanno subito premiati per essersi autodefiniti brutal-pop, magari per la goliardia o giusto per rompere le palle a chi classifica ogni cosa. La band nasce così nel Piacentino nel 2003 e unisce cinque prestanti ragazzotti con la passione per i riff potenti e pestati. 'Gigante' esce nel lontano 2008 e raccoglie il lavoro fatto dalla band in cinque anni di attività, ben tredici brani per un totale di sessanta minuti. L'album è sorprendente, nel senso che unisce sonorità alla RATM, Linea 77 e altre influenze in maniera molto semplice e armoniosa, potenza come piovesse e suoni un po' nostalgici, almeno per chi ha superato i trenta'anni come il sottoscritto. In certi passaggi si sentono anche venature dei vecchi Timoria, tipo quando la band, in "Il Macaco Julian" inizia in maniera ipnotica, sostenuta da gran chitarre che schiacciano ed elargiscono pressione sonora. Il brano è arrangiato con attenzione, anche nella parte ritmica dove la batteria scalpita a dovere e il basso si fa sentire nei punti giusti e sostiene la struttura per tutti i sei minuti abbondanti. Il cantato (in italiano) è un mix di growl e cori che arrichiscono al brano. Forse i cori andavano studiati un po' meglio, solo per il fatto che il livello generale è buono e quindi può sbilanciare. Pregevole il break a tre quarti della canzone, l'assolo lento di chitarra è ricco di riverbero e delay che concede al suono di aprirsi e spaziare, dando respiro a chi è al di là degli altoparlanti. Poi il finale si ingrossa nuovamente, a ricordare di che pasta sono fatti i Deportivo Lb. "Lo Specchio" mostra il lato più psichedelico della band, con un'intro di basso irriconoscibile e riff dal sapore orientale. Pochi minuti per mostrare che la band si destreggia bene anche con pezzi meno cattivi e più riflessivi. "Il Pellegrino Luis" ci illude di essere una ballad, ma l'illusione dura solo un minuto e poi la devastazione dei nostri si abbatte come un gigante iracondo. Riff claustrofobici e ritmica ansiogena che lascia spazio poi ad un break limpido e cristallino, che cresce fino alla conclusione del pezzo. 'Gigante' è un buon album, probabilmente se fosse stato spinto bene e seguito meglio in alcuni fasi di produzione avrebbe dato risultati ben diversi. A questo punto resta da vedere se la band è ancora attiva e se ha intenzione di bissare questo cd, magari stavolta il vento soffierà a loro favore. La generazione che non ce l'aveva è cresciuta, forse in meglio. (Michele Montanari)

sabato 8 novembre 2014

Cross Examination - Dawn of the Dude

#FOR FANS OF: Thrash/Crossover
Thought the thrash revival was over? Well, you're right. Metal is now so diverse that there really is no governing genre at any time. But thrash metal, ruler of the mid/late eighties, enjoyed a welcoming comeback in the mid 00s. However successful or obscure thrash became - its bastard-child, crossover, pioneered by the likes of S.O.D, Suicidal Tendencies and D.R.I, never really went anywhere. It just gradually became more violent, frenzied, and humorous. This is music for those who truly do not give a fuck - and Missouri's Cross Examination epitomize that characteristic in hilarious fashion. These thrasher's debut full-length "Menace II Sobriety" was a furious, yet surprisingly contained, piece of crossover madness, with memorable riffs and clear song-structures. But if their new EP "Dawn of the Dude" is any sign of things to come...then prepare to rip some fucking wallpaper. The riffs have been diluted by a messier production which boosts the volume of the cymbals and the bass. It's VERY sloppy in comparison to previous releases, which provides the perfect atmosphere for this 13-minute mayhemic monster. Fortunately, Kegmaster's vocals have become even more frantic and hysterical - making him the star of the whole affair. Any crossover fan should reap much joy from hearing him shout "WHAT! THE! FUUUUCK?!" in "Opposite Day". Plenty of samples and spoken-word sections make this a self-aware and charming EP which is guaranteed to plant a smile on the most hardened metalhead. The musings of opener "Wake Up Call", the rhythmic gang-shouts of "Hail To The Jeef", and the sheer chaos of "Ritual Snackrifice" contrast wonderfully with full-blown thrash flings like "The Bluntacolypse" and the groovier title-track, resulting in a schizophrenic, yet endearing, chunk of insanity. Considering its brevity, Cross Examination manage to cram a decent amount of variety into "Dawn of the Dude”, as well as the consistency to remain stylistically loyal to the crossover psychopaths they clearly worship. Highly recommended. (Larry Best)

(Organized Crime - 2014)
Score: 80

martedì 10 giugno 2014

Mosca nella Palude - Ultrafuck

#PER CHI AMA: Crossover, Korn, Faith No More, System of a Down
Nonostante il roboante lancio della loro cartella stampa (”i Faith no More che vanno a fare una passeggiata nella giungla con Beastie Boys e John Zorn e tornano sconvolti...”) lasci presagire qualcosa di diverso – e forse un tantino piú originale – i binari su cui si muove il trio toscano in questo esordio, sembrerebbe essere piuttosto il buon vecchio crossover anni '90 a stelle e strisce: brani brevi e perlopiú schizofrenici, schegge impazzite che riprendono il discorso portato avanti anni fa da Korn e System of a Down, senza inventare nulla di nuovo ma non senza una buona personalità, tanta energia e in definitiva una notevole credibilità. I Mosca nella Palude sembra si prendano poco sul serio, per via di un’ironia di fondo che ben si esemplifica nei titoli dei brani ("Madafuga", "Fac Alabama", "Beastie Toys", tra gli altri) e in un’attitudine giocosa che, ad un ascolto distratto, potrebbe portare a bollarli come niente piú che dei simpatici cazzoni. Cosa che sarebbe molto sbagliata, dato che i tre ci sanno indubbiamente fare. L’opener "Madafuga" è la piú pattoniana della scaletta, con quel chorus che sembra venire direttamente da 'King for a Day'. "Rex Idiotorum" introduce percussioni tribali che caratterizzeranno un po’ tutto l’album e contrappone ad una prima parte tutta convulsioni, una seconda potente e melodica. Se qualche episodio forse non è ancora perfettamente a fuoco, prediligendo l’effetto sorpresa a tutti i costi a discapito della costruzione del brano ("Revolution"), altrove i tre dimostrano di avere molte cose da dire, come nel tribalismo schizoide di "Aaayeee" o nelle sorprendenti chitarre sguaiate di "Afghan", oppure ancora nella splendida, conclusiva, "Smith Wesson", riminescente di certe atmosfere a la System of a Down. A spezzare la tensione epilettica dell’album ci pensano un paio di brani acustici molto interessanti, come il paludoso blues "Fac Alabama" o l’inafferrabile "Marzo" che disegna paesaggi e melodie cari ai Porno for Pyros di Perry Farrell. Rimane da dire della voce versatile e camaleontica di Giovanni Belcari, mente del progetto, il cui timbro ricorda in piú di un passaggio quello di Billy Corgan. Lavoro in definitiva interessante, estremamente energico e ricco di entusiasmo. Attesi alla prova dal vivo e a nuovi sviluppi futuri. (Mauro Catena)

(Santa Valvola Records - 2013)
Voto: 70

domenica 9 febbraio 2014

Pryapisme - Rococo Holocaust

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Crossover, Steve Vai, Mr Bungle, Mike Patton, John Zorn, Boredoms
Togliere la voce di Mike Patton da tutti i suoi progetti strampalati, paralleli ai Faith no More, mantenendone le idee musicali, aggiungere un tocco di Bubblegum music, un soffio di techno commerciale, una dose di schizoide noise metal, tanto spirito progressive, uno spesso strato di jazz e fusion, una gogliardia di memoria Zappiana, del buon funk, l'estro dei Naked City e la follia di Zorn. Tutto questo non basta per descrivere il progetto degenerato in follia di questa band transalpina al secondo album autoprodotto. Così ci troviamo di fronte raffiche di metal violentissime che si scaricano su tessuti rubati al Vangelis più spaziali, i Mr. Bungle che fanno il verso all'album 'Torture Garden' in versione acid jazz e Plastic Bertrand che simula i Sigh, i Supertramp che suona alla Die Apokalyptischen Reiter, gli Hatefield and the North che flirtano con gli Hawkind e Pigface, Chick Corea che sta con un piede sugli Alboth! e l'altro sui Boredoms con caroselli da oscuri luna park e follie alla Steve Vai corredati da allucinazioni di casa Soft Machine. Non riuscite a capirne il senso? Noi pensiamo invece che ci sia, ovvero, toccare i confini del crossover più impensabile, quello più imprevedibile ed improbabile! Un altissimo grado di preparazione, un'elevazione astronomica del virtuosismo rivolto all'eccesso, tirato all'inverosimile, drogato di maniacale esasperazione musicale e voglioso di spostare il confine delle proprie capacità sempre più avanti. Un combo di musicisti con l'anima persa nel totally free, assurdi per tecnica ed esecuzione che ci impone una benevola, tortuosa e contorta strada musicale che si snoda in dieci tracce per un'infinità di generi, come se una radio impazzita cambiasse canale e mixasse generi diversi ogni cinque secondi. L'album completamente strumentale non ha una linea coerente, è un viaggio nella mente e nei pensieri di un folle che drammaticamente non riesce più a riordinare le idee. Il disco è estremo sotto ogni punto di vista, non di facile presa, per un pubblico vaccinato e ricercatore di sfide. Buonissima l'attitudine progressiva della band. L'unica pecca del cd è che l'anima d'avanguardia e fusion prevale sulle parti più dure che non incalzano la necessaria violenza del metal più duro... ma non preoccupatevi con una performance così esagerata potrete permettervi di impazzire dimenticando per un momento il lato violento della faccenda! (Bob Stoner)

(Self - 2010)
Voto: 75

http://www.facebook.com/pryapisme

domenica 8 dicembre 2013

Nihilosaur - Death is the Border that Evil Cannot Cross

#PER CHI AMA: Psych Sludge
I polacchi Nihilosaur al loro terzo album licenziato via Demons of Entertainment Records, centrano solo in parte l'obiettivo di dare vita ad un capolavoro. Quest'album dal lungo titolo è un esempio di magistrale e modernissimo metal estremo dalle mille sfaccettature, dove sludge, death, black, noise, heavy e psichedelia pesante si fondono in un tempio di suoni catturati divinamente in un calderone metallico da far invidia a band assai più famose. La registrazione è ottima per quanto concerne la musica e la grafica strizza l'occhio al trend più modernista, con un digital art futurista molto attraente. L'impatto è potentissimo di memoria Godsmack, anche se poi i nostri ricordano gli Agrypnie, i Gojira per la vena più industriale e cupa, gli In Vain per maestosità e i Deathspell Omega per stratificazione del suono. I Nihilosaur si riveleranno godibilissimi, accessibilissimi pur restando senza compromessi commerciali, insomma una vera chicca. Questa chicca però ha un lato negativo che compromette l'intero lavoro e il suo risultato, la voce. Una voce che sarebbe anche bella e con buone qualità, maligna e aggressiva, dotata... ma inspiegabilmente viene sovente messa a dir poco in secondo piano. Lasciata in disparte (stranamente le voci campionate e robotiche sono al giusto volume!) come se non servisse, così, quando allunghiamo le orecchie cercandola in mezzo al bel magma sonoro, si denota che le canzoni sarebbero magnifiche e che tutto sarebbe perfetto con questa collocata al posto giusto. Ma ciò non avviene e per assurdo ci si deve accontentare di qualche barlume di luce vocale che non ci appaga affatto. Rammaricati per l'obiettivo mancato e consci che questa band dal primo lavoro ad ora ha fatto progressi notevoli, ci ritiriamo in una mancata felicità. Noi volevamo solo udire al meglio il narratore di queste storie che parlano della morte, di quella linea che il male non può superare, ma invece non ne siamo stati in grado. Album splendido maltrattato nella voce. (Bob Stoner)

(Demons of Entertainment Records - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/nihilosaur

sabato 17 agosto 2013

Prassein Aloga – Midas Touch

#PER CHI AMA: Heavy/Crossover, Iron Maiden, Sons of Selina, System of a Down
Ultimo album datato dicembre 2011, distribuito via digitale da Heart of Steel per questa band greca nata nel 1995, che ha goduto di buoni riscontri in patria poiché, ad eccezione di questo "Midas Touch", l'ensemble ellenico ha sempre usato la lingua madre per esprimersi. Proprio l'uso a sorpresa della lingua inglese ha dato nuovo slancio e verve a questa formazione molto interessante nonché l'aumento della qualità maggiorato dall'apporto in ben due brani della prestazione vocale di Paul Di Anno, mai dimenticato primo vocalist degli Iron Maiden. Tornando al contenuto del disco dobbiamo ammettere che è straripante di idee, intersecazioni di generi e modi di intendere il rock e il metal a 360 gradi. Troviamo il classic metal dei primi Iron Maiden mischiato a forme psichedeliche vicine agli indimenticatbili Warrior Soul, riff granitici di scuola primi Lamb of God oppure schegge di nu metal a ricordare certe cose dei System of a Down. A volte i nostri ricordano l'hard rock o il thrash più sanguigno, il prog metal più classico con piccoli episodi per così dire pop di lusso, con tastiere in buona evidenza, assoli e riff di carattere e una buona sezione ritmica, ma la differenza reale sta nella versatilità della bellissima voce del cantante Angello che varia continuamente e alla fine dona un tocco di moderno alternative metal anche ai brani più statici. In questo disco la varietà sonora è così vasta che a stento si trovano delle sbavature, considerando poi la fantasia e la costante seppur complessa o variegata orecchiabilità dei brani (qualcosa fa ricorda anche i grandi Sons of Selina, mitica prog rock band underground di fine anni '90), tale che potremo definire questo album un piccolo gioiellino da avere assolutamente... In questo cd ci sono brani per tutti i gusti metallici, in tutte le salse, dall'heavy al crossover senza scardinare l'istrionica e camaleontica originalità della band. I Prassein Aloga ci donano questo lavoro mettendo in mostra tutte le loro doti compositive ed esecutive in quattordici brani da ascoltare tutti d'un fiato senza mai sapere cosa aspettarsi dal brano che segue. Immaginate di ascoltare i 35007 dell'omonimo album suonare una cover degli Iron Maiden tratta dal loro primo disco e avrete un'idea della prima traccia reale, dopo l'intro di questo "Midas Touch" e se non bastasse per capirli, potremo passare direttamente alla tredicesima e quattordicesima traccia, una ballata e uno strumentale con piano straziante e assolo di rarefatta floydiana memoria con altre mille venature seventies sparse qua e là... Un disco per menti aperte e cervelli che elaborano e macinano musica rock e metal a tutto campo senza limite alcuno ed epoca. Una grande prova di maturità, un cd da ascoltare, una band da seguire!(Bob Stoner)

lunedì 25 marzo 2013

Öxxö Xööx - Rëvëürt

#PER CHI AMA: Death Sinfonico, Progressive, Misanthrope, Devin Townsend
Questo è un album eccellente. Fine. Spero di essere stato abbastanza chiaro e diretto, e auspico che voi abbiate colto fin da subito il mio più schietto suggerimento. Gli Öxxö Xööx sono una band, un trio (o forse un duo, ma probabilmente lo potrei anche considerare come un progetto solista, ma ancora non mi è chiaro), formato da Laurent Lunoir, che si occupa un po' di tutto (voce, strumenti, visuals), Laure Le prunenec, responsabile delle backing vocals, del piano e delle chitarre in sede live; infine Igorrr, che segue il programming. "Rëvëürt" rappresenta il debut cd di questa schizoide ed imprevedibile band transalpina, che non fa altro che confermare lo stato di grazia di cui, da alcuni anni, il paese dei nostri cugini, gode. Vi domanderete a questo punto perché tutto questo entusiasmo da parte mia: fondamentalmente perché la musica contenuta in "Rëvëürt" (che sta per "rivolta del cuore") è fresca, originale ma soprattutto vibrante: "Agorth" apre le danze con il suo incedere sintetico (complice un’esplosiva drum machine), oscuro, sinfonico ed epico, senza dimenticarci anche le parole avanguardistico, cibernetico, progressivo e sperimentale. Insomma provate ad immaginare una sorta di ipotetico ibrido tra Misanthrope, Fear Factory e Devin Townsend, che ne dite, potrebbe interessarvi? A me parecchio. Il lavoro del combo transalpino coglie subito nel segno e se non fosse per quell'eccessivo, quasi esagerato (e penalizzante alla fine) uso del sintetico battito, forse staremo parlando di un vero e proprio capolavoro, che al popolo metallaro è quasi passato del tutto inosservato. Quindi a me l'onore di dar valore a una band di ottimi musicisti, che ispirandosi alla delirante follia del genietto canadese di cui sopra, rilascia queste nove splendide tracce, in cui si amalgamo alla perfezione tutti quegli aggettivi citati qualche riga più in su, aggiungendo poi per ciascuna delle tracce, altre splendide etichette: "Terea" è una song dal forte sapore barocco, dove ampio uso è lasciato al piano e alla vena orchestrale, con le vocals del bravo Laurent, raramente a scadere nel trito e ritrito growling, ma anzi assumono toni dark-operistici, mescolandosi alla perfezione con l'incedere esplosivo dei suoi suoni. Gli Öxxö Xööx pare stiano narrando storie di scandali alla corte francese nel 1600,con le atmosfere che si caricano di dense nubi oscure. "Ama" nel suo criptico avanzare, assume un’intensità che si avvicina a quella dei nostrani Ecnephias (anche a livello delle vocals), con un sound velato di quello spirito gotico che tanto piace a Mancan e soci. L'opera, perché alla fine di opera si tratta, mette in scena i quasi tredici tragici minuti di "Ctenophora": song avvolta da un feeling oscuro e malinconico che palesa anche le influenze doom dell’ensemble francese. Non aspettatevi una conclamata omogeneità di fondo nella musica dei nostri; anche qui si parte spesso in un modo e poi nel corso della riproduzione, il tutto evolve, dirigendosi verso il teatro dell'assurdo, verso i suoni dell'assurdo, verso l'assurdo... la musica che esce dalle casse del mio stereo somiglia in realtà a quella di una spinetta rinascimentale, inserita ovviamente in un moderno contesto d'avanguardia che trasuda drammaticità ed epicità da ogni suo poro e che alla fine denota una spiccata personalità di questi individui che non hanno nulla da perdere... Non so se quello degli Öxxö Xööx sia metal o musica sinfonica, sicuramente la violenza del drumming o la rabbia infusa dal cantato potrebbero indurmi a catalogarla come tale, ma il feeling che si respira, quello che mi cattura e alla fine quanto mi rimane nelle orecchie e nella testa è in realtà la musica che mi sarei aspettato di udire da musicisti di corte se fossi vissuto 4-500 anni fa. Peccato solo che all’epoca, la drum machine fosse solo delirante immaginazione. Spettacolo. (Francesco Scarci)


(Apathia Records)

lunedì 11 febbraio 2013

Cidodici - Freedom Rebellion

#PER CHI AMA: Thrash, Nu metal, Crossover, Korn
Il buon Franz mi fa arrivare sulla scrivania (ormai troppo caotica) questo “Freedom Rebellion” dei bergamaschi Cidodici. Prima mi cade l’occhio sulla cover, poi però è l’adesivo con lo strillo che annuncia la presenza di Manuel Merigo (sì, è quello degli In.Si.Dia., come non li conoscete?! Rimediate subito) a incuriosirmi. Pronti, via, il disco è già lì che mi gira sul lettore; io ricevo in cambio una bella botta nei miei timpani (e anche nelle palle). I nostri attingono a un giacimento di energia e la incanalano in un prodotto che corre fluido, in cui le tracce si susseguono coerenti per struttura e atmosfere. Un album che prende spunto dal thrash, a cui sono aggiunte buone dosi di sound nu metal (tipo Korn, Machine Head e, negli inserti elettronici, Fear Factory) e qualche inserzione melodica. Il tutto è amalgamato poi in maniera abbastanza originale. Le chitarre ben suonate e gli assoli sono le cose che più risaltano e mi piacciono. Bella la prova del cantante: non ha sbavature particolari e si adatta anche a registri diversi. Ho molto apprezzato il potente e continuo lavoro del batterista; defilata e nascosta la parte di basso. Una paio di pecche si possono trovare nell’eccessiva lunghezza dell’album e nel non aver osato maggiormente su un songwriting più diversificato. Molto azzeccata la presenza di artisti ospiti: arricchiscono e danno un bel tocco al piatto. Già nell’intro melodico suona il primo, Carmelo Pipitone, chitarrista dei Marta Sui Tubi. Quindi troviamo gli assoli di Aldo Lonobile (Death SS) e Dario Beretta (Drakkar) in “A Life To Learn”, un episodio tra i più riusciti del platter. Segnalo il brano cantato in italiano “Gli Occhi Degli Altri”; l’ho trovato apprezzabile, ma anche meno quadrato rispetto agli altri (come dite? Vi pare di sentire i Linea 77? Anche a me). La band si merita una stretta di mano vigorosa per aver fatto una cover metal di “Impressioni di Settembre” (quella della Premiata Forneria Marconi), anche se non mi ha convinto del tutto l’averla mescolata ad un vecchio pezzo degli In.Si.Dia.. Certo non era una cosa facile gestire una canzone di quel tipo, ma loro ci hanno provato. Bravi Cidodici, mi permetto di consigliargli di puntare di su un prodotto ancora più personale e magari dalla durata minore. (Alberto Merlotti)

(Buil2kill Records)
Voto: 70

http://www.cidodici.net/

lunedì 28 gennaio 2013

Endless Coma - Rising Rage


#PER CHI AMA: Suoni crossover/Nu Metal/Industrial
Nata da un progetto anglo/italiano di Nick Franz (bassista e compositore) e Dark Priest (voce) nel 2010, la band ha pubblicato subito un EP dal titolo omonimo; nel frattempo, nel corso del 2012 sono state eseguiti alcune riassestamenti nella line-up, includendo Sal (chitarra) e Blond (batteria) facendo uscire il primo full-lenght. L’intro “Prelude to the End” è costituito principalmente da voce e suoni campionati, in modo da preparare l’ascoltatore ad un viaggio non propriamente piacevole. “Mind Battle” ha un sound veloce e cadenzato, sottolineato da un largo uso di tastiere e batteria; il basso si sente soprattutto nel ritornello, accompagnato anche da qualche growl, creando un effetto molto industrial. “I Don’t Have a Name” e “D.N.A. (Destroy New Angels)” si possono definire come le tracce più industriali di tutto l’album (a tratti la voce ricorda vagamente quella di Rob Zombie), quella che ti porta ad esaltarti e a scatenarti. “Disease” continua con quella vena cattiva che finora sta contrassegnando il mio ascolto, fatta di growl, suoni campionati e tanta batteria. Con “Golden Chains” e “Mental Prison” le cose cambiano: il ritmo tende a rallentare lasciando fuoriuscire la vena più malinconica degli Endless Coma. Degno di nota è l’assolo di chitarra, perfettamente incastonato in questo contesto mesto e rassegnato. “No Faith” e “Pure Ego” riprendono il filone proposto dalle prime tracce, con un’esplosione di perfidia e suoni pesanti, portando tutto il lavoro fatto finora a un livello molto alto di qualità. “Evil Man” e “My Dear Satan” tendono più verso il ramo progressive, con lunghi assoli di chitarra, ottime ritmiche e una batteria dirompente: la vena inquieta dell’ensemble emerge nuovamente, rischiando di abbassare un poco il livello toccato in precedenza. Qui l’unica cosa che si salva sono gli inserti growl e qualche connubio di chitarra graffiante con una batteria costantemente ritmata. “Pain” ha una successione non molto veloce, ma ben strutturata e travolgente: peccato per la scelta di cantare con una tonalità roca, perché mette in secondo piano l’anima industrial del complesso. In “You’re my God” cambia nuovamente il ritmo: all’inizio e alla fine sembra più unplugged con voce, chitarra e batteria tenute a freno, ma nel corso della traccia il tutto si anima un po’. Questo può essere definito il punto più basso di tutto il lavoro. “The Last Minute” è l’ultimo pezzo ed anche il più lungo. Contraddistinto da un sound più tedioso e flemmatico per i primi 4 minuti, il resto della canzone non è altro che una parte sussurrata e distorta, di cui non si capisce nemmeno una parola: potrebbero sembrare messaggi subliminali o una voce lontana che agita i sogni. Un long-playing con luci ed ombre ma che comunque alla fine risulta ben fatto, che entusiasma e carica: consiglio vivamente di tenerli d’occhio, perché se queste sono le basi, il prossimo sarà (auspico) ancora meglio. (Samantha Pigozzo)

(Buil2kill Records)
Voto: 70

https://www.facebook.com/EndlessComa

giovedì 24 gennaio 2013

Erase - May I Sin?

#PER CHI AMA: Metalcore/Crossover
Ecco un bella sorpresa per gli amanti del metalcore, specialmente per quelli che lo vedono di buon occhio anche con delle contaminazioni. Il quartetto alessandrino Erase si forma nel 2008, pubblica un primo EP nel 2009 e, dopo un bel po’ di esibizioni live, torna in studio per registrare “May I Sin?”, loro primo ufficiale LP. Cosa ci troviamo dentro? Dieci canzoni principalmente metalcore che, come anticipato, sono valorizzate da innesti di altri generi, il crossover in particolare. Nel complesso il lavoro è abbastanza originale, di piacevole ascolto ma aggressivo e tirato in maniera consona al genere. Tale aggressività sonora si trova già nella open track “Ashes and Sinners”,e si mantiene costantemente per tutto il disco. Le parti melodiche presenti in alcune tracce, per esempio nell’orecchiabile “Another Day”, sono una buona vetrina per poter mostrare la malleabilità vocale del cantante. Mi pare a suo agio in queste sezioni pulite come in quelle più urlate. Ho trovato interessante la parte delle chitarra in “Ripper Inside”, si nota particolarmente la mano educata del chitarrista Dave. Cito “Lover” tra le migliori: ritmo e stacchi sono notevoli. Sempre in linea e precisa la parte ritmica, se ne può notare la bontà durante tutte le track. Gli Erase mi hanno soddisfatto e mi han lasciato quella smania serpeggiante di sentire cosa combineranno nel futuro. Dimenticavo, vorrei rispondere alla domanda che la ragazza ammiccante della copertina mi/ci pone: “May I Sin?” Risposta: “Con quegli occhi, per me, puoi fare quello che vuoi!”. (Alberto Merlotti)

(Buil2kill Records)
Voto: 75

http://www.eraseband.net/

sabato 25 agosto 2012

Vampillia - Rule the World/Deathtiny Land

#PER CHI AMA: Metal a 360°
Quando ci si imbatte in opere di questo calibro, bisogna togliersi il cappello e inchinarsi, non ci sono parole per spiegare tanta genialità in un unico cd dalla durata di 25 minuti con 24 brani tra cui il più lungo dura 3 minuti e 11 secondi!!! I Vampillia vengono da Osaka e sono stravaganti come tante band che vengono da quelle parti (vedi Dir En Grey o Malice Mizer). Sono un collettivo di 11 elementi tra cui tre cantanti, violino, piano , un dj, un combo metal etc... Loro si definiscono una “Brutal Orchestra” e vi spiegherò il perché brano per brano. L'album è come un concept e si divide in due tracce che danno il titolo al cd, anche se in realtà le tracce sono 24 all'interno del dischetto e tutte insieme ci raccontano di un uomo che ha l'ambizioso sogno di dominare il mondo per mettere in pratiche le sue folli e poco convenzionali intenzioni. Si apre il sipario e troviamo subito due suite per violino e piano che ci devastano di tristezza; anche la terza traccia si apre sulle note di archi, violino e pianoforte ma come per incanto in sottofondo un caos calibrato crea il panico con una doppia cassa velocissima e una chitarra super thrash che si colloca su vocalizzi lirici di voce femminile e growl violenti e folli ci percuotono per la bellezza in neanche due minuti. La quarta traccia calca ancora la mano e sulle note disperate di un violino vagamente gitano ecco porsi un pianoforte da film muto anni '30, ancora lirica e growl animaleschi e un tiro in sottofondo che ricorda i Die Apokalyptischen Reiter in salsa noir. La quinta traccia è più lunga della prima e dura 1 minuto e 57 secondi e qui tutto come nella prima traccia, solo che le partiture si complicano e si sposano con una scrittura da musica classica, maestosa e potente con finale corale che ricorda vagamente le arie epiche di Verdi. Il sesto brano ha il ritmo di una polka e unisce la follia dei Boredoms con il sound di Uz Jsme Doma (storica band di rock in opposition dalla repubblica ceca), il tutto in soli 15 secondi. In 16 secondi riescono a fondere follia canora da camera con il miglior brutal intellettuale. Nel minuto e quindici successivo evocano la tristezza dei My Dying Bride, magistralmente cantata con voce spudoratamente clonata al miglior Tom Waits e poi cori lirici, e voci sghembe e via di pesante metal sinfonico e claustrofobico per un finale epico. La prima metà della traccia nove potrebbe essere un esperimento degli ultimi Death in June e poi tanto violino così si entra nella track10 che mescola gli strani ritmi post rock dei June of '44 con gli Alboth più taglienti e sperimentali con innesti di lirica, voce sussurrata alla Marylin Manson, growl e screaming devastanti. La track 11 cambia i toni, mostrando una piega doom subito tradita dalla track 12 che tramuta i Vampillia in una costola dei mitici Naked City del grande John Zorn in soli 20 secondi. La tredicesima traccia dura 4 secondi! E chiude la precedente! Traccia 14 e 15: un piano ricco di pathos per un totale di 1 minuto e 85 secondi. La track 16 mostra ancora il fantasma gotico dei My Dying Bride e ci introduce al brano più lungo della compilation, ovvero 3:08 di tristissima, estrema sperimentazione in chiave metal che riprende il tema d'inizio album. Con la track 18 si entra in un'atmosfera surreale, tagliata da un'assurda virata in stile ska ala Specials, per concludere in pompa magna teatrale. Inizio metallico per il diciannovesimo pezzo ma in stile decadente, devastante e cabarettistico in puro stile Vampillia. Una maratona. Siamo al ventesimo brano che in 22 secondi ci frusta il cervello con un metal psicotico da sballo. Il 21 continua la follia mentre il ventiduesimo sembra una cover di qualche colonna sonora di quei film russi di una volta... Penultimo e ultimo brano, qui la follia imperversa a dirotto; siamo a metà strada tra certa new wave di fine anni '70 e le deviazioni canore della migliore Nina Haghen. Non posso aggiungere altro: so che i Vampillia non hanno un contratto e solo questo lavoro è uscito per la Code666 e che nel frattempo hanno registrato un nuovo split/cd con i Nadja. Ci sono tantissimi gruppi al mondo ma quando si trova un lavoro così ci si ferma a pensare se non valga la pena almeno per una volta essere veramente pazzi!!! Un album da 110 e lode!!! (Bob Stoner)

(Code 666)
Voto: 110

http://www.vampillia.com/

sabato 2 giugno 2012

Onelegman - The Crack

#PER CHI AMA: Crossover, Nu, Korn, System of a Down
Gli italiani, anche se con una gamba sola, lo fanno meglio. Il rock. Non è propriamente rock lo stile di questa band di Reggio Emilia, infatti tanto per citare il loro sito, “The Crack” è un disco che osa. Su questo sono abbastanza d'accordo, nel senso che ognuna delle sue 9 tracce vuole sondare un differente genere, dal crossover al nu metal, passando per il prog e toccando pure il southern rock. Non voglio stare qua a discutere se è una scelta formidabile oppure una mancanza di identità, sta di fatto che comunque il cd ha un bel tiro e mette sul piatto tutte le buone qualità dei Onelegman. La voce effettata stile Korn forse è l'unica scelta opinabile solo perché porta al facile paragone, ma l'ottimo lavoro mostra l' elevata tecnica della band e la voglia di voler sperimentare, anche se certi canoni devono essere mantenuti. Iniziamo la carrellata dei pezzi presenti in questo "The Crack". “See That Truth” apre il cd con dei bei riffoni southern e la parte ritmica ben bilanciata, tosta al punto giusto per dare l' idea di una cavalcata sfrenata attraverso il profondo sud mentre l’Indian sotto il culo borbotta sorniona. “Dream On” utilizza un sound prog che apre con una ritmica tribale per cambiare completamente pagina e assaporare un altro riflesso di “The Crack”. Ottimo pezzo anche questo. Passiamo poi al thrash nudo e crudo di “Black Lamb” che mi ha lanciato in un cardiopalma che non ricordavo da tempo. La batteria sprigiona tutta la sua cattiveria e tecnica in un colpo solo, dando alla luce un brano che dà molto filo da torcere ai grandi del genere. Concludo con “Vortex” che risulta sicuramente l'esperimento più azzardato dell'album, infatti mescola sonorità balcaniche al thrash-metal. Per carità, l'into sembra presa da “St. Anger” dei Metallica, ma l'alternanza con riff alla Bregovic rende il tutto assai sperimentale e godibile. Bravi questi Uomo-con-una-gamba-sola, l'esperienza e la professionalità si sente tutta e meritano una bella pacca sulla spalla e una birra offerta al banco dal sottoscritto. Respect. (Michele Montanari)

(Buil2kill Records)
Voto: 85

http://www.onelegman.com/

martedì 22 maggio 2012

Kubark - Ulysses

#PER CHI AMA: Alternative, Isis, Tool, Lingua
Ricorderò questo 2012 come una delle primavera più calde, musicalmente parlando, perché il quantitativo di ottime cose uscite in questo periodo, si arricchisce di un nuovo gioiello, tra l’altro ancora una volta proveniente dal “Bel Paese”, segno che la crescita musicale nel nostro paese, sta procedendo alla grande. Cosi, dopo l’eccezionale prova dei Sunpocrisy, ecco arrivare una new sensation da Piacenza. Kubark. Curioso affidare il proprio moniker ad un manuale sulle tecniche di interrogatorio per cosi dire pesanti, rivolto ai funzionari e agli agenti della CIA; intrigante anche la cover del cd, cosi come pure le fotografie urbane in bianco e nero, interne al booklet. Insomma un lavoro che si rivela fin troppo intelligente già dal suo packaging esterno. Per non parlare poi di quello che è salvato sui quei magici solchi di questo disco argentato. Kubark, li ricordo ancora una volta. Magnetici. Poetici. Una band che farà la gioia di chi ama sonorità alternative, post, psichedeliche, sludge, crossover o stoner che siano. Questo è un Ep che mi ha fatto vibrare le gambe sin dalla prima nota uscita dagli strumenti di questi ragazzi. “Letdown”, una canzone post rock, assai breve, cupa, che mette in evidenza immediatamente le doti canore del vocalist dell’ensemble emiliano e che si chiude con dei suoni malsani ed altri che sembrano richiamare gli echi extraterrestri del film “Contact”. Poi sulle chiacchiere di due “frivole” ragazze, ecco sprigionarsi il sound dei nostri che oltre a richiamare inevitabilmente gli A Perfect Circle, un altro nome salta fuori dalla mia testa, gli svedesi Lingua, mio vecchio grande amore. Sarà forse per questo che ho adorato immediatamente i Kubark. Italiani, ricordiamolo e andiamone fieri. “Ainsoph” è un brano meraviglioso che si dipana tra scorribande rock, oscure distorsioni di basso, malinconici tocchi di chitarra e ancora quella suadente voce di Andrea. Quante suggestioni nell’ascolto di quest’album si incanalano nella mia testa. Lisergico il finale. Fumosa invece la terza “Love & Preach Hate”: ho quasi la percezione di entrare in un qualche torbido locale di Amsterdam, dove belle donnine danzano attorno ad un palo di lap dance e chiedono un po’ di quattrini per donare un po’ del loro amore. Malati. Inquieti. Forse mi sento un po’ come questi ragazzi ed è per questo che li adoro già. Anche un po’ rozzi comunque, non temete, la band non si fa certo pregare quando c’è da essere un po’ più pesanti. O più delicati e sognanti, come sul finire della terza song, dove sono echi alla The Ocean ad emergere. Un bel basso apre la title track, una traccia dal forte flavour post rock, a dir poco disarmante, che sa come conquistarmi, sedurmi, spezzarmi il cuore e poi gettarmi via, come il più classico dei kleenex. A chiudere questo Ep della buona durata di 30 minuti, ci pensa la bella dolce “Vixi”, che chiude un cd che ha la giusta carica e quelle brillanti intuizioni dalla sua parte, per poter dare a questa ottima band la forza di conquistare anche le vostre piccole anime dannate… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 85
 

mercoledì 22 febbraio 2012

Chupacabras - Inciviltà

#PER CHI AMA: Crossover, Thrashcore, Sick of it All, System of a Down
I liguri Chupacabras hanno deciso di farci sapere cosa ne pensano dei nostri tempi: non ne sono particolarmente contenti. Almeno è questo che ho capito dopo il primo ascolto del disco. Visto il bello schiaffo sonoro ai miei timpani, direi di averci preso. Un lavoro adrenalinico, diretto, aggressivo, con una cattiveria piacevole e con una certa denuncia sociale. Undici tracce che sembrano frustate, le cui poche parti melodiche non ne riducono l’assalto sonoro. La musicalità è tipicamente crossover/thrashcore: riffoni roboanti, schitarrate poderose e corrosive, ritmica incalzante, suoni energici e pesanti. La voce ruvida del cantante completa alla grande il tutto. Ah, complimenti perché l’interpretazione in italiano (la nostra lingua non si presta molto a questo genere musicale, dicono...) funziona bene: i testi e il cantato si sposano come raramente mi sia capitato di sentire. Certo, alcuni passaggi non risultano subito chiari fin dal primo ascolto, colpa un po’ dell’urlato e delle velocità tipiche del genere; tuttavia se ci fate attenzione apprezzerete il loro sforzo anche a livello dei testi. Tra le song, da notare “Incubo Catodico” e “Affuoco” per le chitarre particolarmente ispirate al thrash. Più indisciplinate “God Of War” e “Maschere”, forse sono anche quelle che si fanno ricordare di più. Carino il gioco di richiamo tra la guerreggiante “Rabbia”, e la radiofonica ed eterea “Rabbia Vol. II”. È vero: questo contrasto non è immediato (a me è sfuggito ad un primo ascolto), ma una volta notato mi ha convinto appieno. Le altre canzoni non si discostano, l’insieme è coerente e continuo. Stavo per dimenticare una piccola sorpresa del CD. I nostri hanno inserito una frase di Roberto Giacobbo, tratto da “Voyager”, che parla del mitico (rullo di tamburi)... chupacabras! “Inciviltà” non verrà ricordato come molto innovativo, tuttavia c’è abbastanza personalità, bravura e carattere da far passare in secondo piano le ispirazioni presenti. Bravi. (Alberto Merlotti)

(SG Records)
Voto 75