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domenica 17 gennaio 2016

Pil & Bue - Forget The Past, Let's Worry About The Future

#PER CHI AMA: Indie Rock, The Mars Volta, Deftones
I Pil & Bue (in norvegese significa “arco e frecce”) sono un duo norvegese, formatosi nel 2013 e composto da Aleksander Kostopoulos (batteria e percussioni) e Petter Carlsen (voce, chitarra baritona). Il loro sound è energico e multisfaccettato. 'Forget The Past, Let's Worry About The Future' rappresenta il loro secondo lavoro che uscirà a giorni, dopo l'esordio 'Push Start Button (Level 1)' che vide la luce nel 2014. Il disco apre con “No is the Answer” e una bella rullata di batteria, accompagnata poi da un ruffiano giro di chitarra e un ritmo lanciato, con la voce di Pil che ricorda quella dei Deftones o dei 30 Seconds to Mars. Il brano è energico e piacevole all'ascolto, ideale per dare la carica la mattina appena svegliati. Bue, il batterista, mostra grande capacità tecnica cambiando spesso ritmo. Si prosegue con “Shakkakakka”, traccia caratterizzata da un delizioso riff di basso, che viene raggiunto dalle percussioni: il sound non si discosta da quello del pezzo precedente, aggiungendo forse un po' più di rabbia a livello vocale. Suoni metallici e industriali fuoriescono da “Fire”, dove compare anche una chitarra baritona: il risultato sembra uscito da un disco dei Deftones, corredata da uno screaming sulla tosta matrice ritmica, e con qualche inserto delicato in cui la voce diviene nostalgicamente melodica. Impossibile collocare il duo in un preciso genere, in quanto il sound è ricchissimo di sfumature, il che prova la grande abilità di questi due giovani norvegesi. “Nevermind” si distacca leggermente dalle prime tre song, risultando più soft pur senza mai abbandonare la vena energica che contraddistingue il marchio di fabbrica dei Pil & Bue. “Fear Flee Freeze Fight” dimostra la fluidità con cui questa coppia artistica compone proponendo un sound in continua evoluzione che mantiene l'attenzione a livelli elevati senza mai risultare noiosa o ripetitiva. In questo brano azzardo anche una certa similitudine con i White Stripes, specialmente nelle parti di cantato più acute. Ma si tratta solo di un attimo, i nostri tornano infatti a ricalcare la matrice sonora iniziale. Con “Afterlife” si giunge al termine dell'ascolto, ma non senza tentare nuove sperimentazioni: le percussioni sono quasi unplugged, mentre la chitarra gioca con delay ed echo. Dopo i primi 2:30 le carte in tavola cambiano e la sei corde ci delizia con tutte le sue sfumature. Altrettanto fa la batteria, ove si possono chiaramente sentire piatti e grancassa. Tutta la canzone ha un'aura malinconica, quel pizzico necessario a garantire il sogno ad occhi aperti. Nonostante il duo venga da Oslo e si possa associare quella terra con il freddo, la musica dei nostri si dimostra al contrario calda, coinvolgente e mai banale: la mente è sempre all'erta, mentre le orecchie sono deliziate dalle continue novità. 'Forget The Past, Let's Worry About The Future' merita davvero più di un ascolto, perché dotato di cosi tante sfumature da richiedere una continua esplorazione. (Samantha Pigozzo)

(Indie Recordings - 2016)
Voto: 75

venerdì 25 dicembre 2015

Witchsorrow - No Light, Only Fire

#PER CHI AMA: Doom Metal
'No Light, Only Fire' è l'ultimo lavoro dei doomster britannici Witchsorrow, in circolazione dal 2005 e con all'attivo già tre full-length, un EP e una demo risalente al 2008. Nel loro decimo anniversario, pubblicano quest'album che si apre con "There is No Light Only Fire“, song dalle sonorità oscure ma con un vocalist dalla voce pulita: non v'è infatti traccia di growl, anzi sembrerebbe quasi una canzone adatta a una sorta di karaoke metal (se mai qualcuno volesse ispirazione, consiglio quest'album). La stessa atmosfera all'insegna del puro doom, prosegue in “Made of the Void” e in “Negative Utopia”, con la differenza che in quest'ultima song la disperazione traspira minuto dopo minuto fino a portare all'esasperazione dei sensi. Dalla metà in poi del brano qualcosa cambia: ci si ridesta, la chitarra e la batteria vengono liberate per un breve lasso di tempo e un barlume di luce si intravede nell'oscurità più fitta. Restando sempre su questa riva, troviamo “The Martyr”: l'inizio è grave, scandente ogni secondo con il drumming che si agglomera alle chitarre a lutto (sarebbe un'ottima marcia funebre alternativa). Qui la rabbia traspare nei diversi cambi di tonalità vocale, che diventa addirittura roca. Poco dopo metà brano, il ritmo cambia e vira, avvicinandosi a un punk-rock: grida, ritmica cadenzata e assoli di chitarra rendono il tutto perfetto per l'headbanging (grazie anche al tono vocale del cantante Necroskull). Come in ogni lavoro che si rispetti, c'è sempre un giro di boa (o un piccolo cambio in corsa, se vogliamo definirlo in tal modo) ed è scandito da “To the Gallows”, le cui sonorità sono decisamente metal puro, con la voce sempre assestate ad un livello acuto, e fiumi di dirompente potenza, energia e rabbia che fuoriescono dalle casse dello stereo. “Disaster Reality” comincia in punta di piedi, una nota ogni due secondi fuoriesce dalla chitarra, per poi essere supportata brevemente dal binomio batteria-basso. Il risultato che ne esce è come un'onda: prima piccola, poi enorme, piccola e poi una sorta di tsunami, con uno spettro di pura angoscia che aleggia per tutto il brano. “Four Candles” è totalmente strumentale e acustica, un piccolo intermezzo curioso. Il disco si chiude con un piccolo salto nel passato: “De Mysteriis Doom Sabbathas”, già apparsa nell'omonimo EP uscito nel 2013 su cassetta in edizione limitata (ne sono uscite solo 150 copie). Strumentale per i primi 4 minuti, segue la falsariga di “The Martyr”, offrendo un assolo meraviglioso verso l'ottavo minuto che dà carica e potenza e coincide con la parte migliore del pezzo. La chiusura poi riprende il mood dell'apertura e le sonorità oscure tornano alla ribalta per collegarsi al primo brano. Buon lavoro questo 'No Light, Only Fire', ma mi sento di dare un unico consiglio: provare ad usare il growl nel prossimo lavoro, se non come voce principale almeno nei cori. (Samantha Pigozzo)

(Candlelight Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/witchsorrowdoom/

domenica 8 novembre 2015

The Damned – Fiendish Shadows

#PER CHI AMA: British Gothic/Punk
Ecco la band che mi permette di fare un viaggio nel tempo! UK, anni '70, culla del punk. Non a caso, i The Damned assieme ai Sex Pistols e ai Clash formano il cosiddetto “sconsacrato triumvirato del punk britannico” (fonte: wikipedia), formatisi nel 1976, scioltisi poco dopo, riformatisi nuovamente con altri membri, insomma, una band viva e che continua a produrre musica anche dopo 40 anni. Mi trovo tra le mani l'album live 'Fiendish Shadows', uscito nel 1997 e da poco riproposto dalla Westworld Recordings. Dico live, anche se non è del tutto corretto, perché sembrerebbe più un album uscito da una jam session in un club piuttosto che su un palco davanti ad un'orda impazzita di persone. Posso azzardare a suddividere l'opera in tre parti: quella punk pura della metà anni '70, quella un po' più tendente al moderno, e quella un po' più rockabilly. La prima parte si può sentire in canzoni come “Stranger on the Town”, “There'll Come a Day”, “I Had too Much to Dream Last Night”, “Gun Fury, “Love Song”, “Disco Man” e “New Rose”, primo vero singolo datato 1976: non a caso, sono stati supporter dei Sex Pistols. Tutte queste sono in vero stile Oi! (per i profani street punk), sebbene uscite in diversi momenti della carriera della band. La parte più "moderna" si trova nelle note di “Grimly Fiendish, in “Is it a Dream” o anche in “Street of Dreams”: in tutte e tre le song, le tastiere sono ben presenti, i cori all'unisono, con un orecchio comunque orientato alle vecchie sonorità (ma il tutto mantenuto ad un livello più basso). In questo modo, si può addirittura carpire come le varie decadi abbiano modificato leggermente il sound dei The Damned. Addirittura in “Street of Dreams” ci si spinge alle porte del synyh-rock. Parlavo anche del rockabilly: è il caso di “Wait for the Blackout” e “Smash it up”. Nella prima il ritmo è leggero, e può essere tranquillamente ballato in un club mentre si canta; la seconda è malinconica all'inizio, ma poi si riprende e si carica, grazie anche all'incitazione del pubblico, ricordando fortemente i Clash. Degna di menzione è la chicca “Lust for Life”, si, esattamente la cover della canzone di Iggy Pop, suonata magistralmente a mio avviso, anche se la voce è molto differente, ma l'intonazione, la passione e la concentrazione messe al suo interno, non fanno rimpiangere di certo l'Iguana. Come tutte le belle avventure, anche questa ha una fine: è proprio a seguito di applausi e grida di approvazione, che la serata alternativa si chiude e dà appuntamento alla prossima band. (Samantha Pigozzo)

(Westworld Recordings - 2015/1997)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/The-Damned/10644147851

venerdì 27 febbraio 2015

Amederia - Unheard Prayers

#PER CHI AMA: Gothic/Dark/Doom 
Vi chiedete chi siano gli Amederia? Eccomi a voi per parlarvi di questa band tartara, i cui componenti sono originari del Tatarstan, una repubblica autonoma della federazione Russa locata ad 800 km da Mosca. Con questo 'Unheard Prayers', i nostri sono al loro secondo full-lenght, dopo il primo uscito nell'anno della loro formazione, il 2006. L’apertura dell’album è strumentale e affidata alle note di “Eden” delicata e remissiva aria composta da note d’un pianoforte garbato. Cambiamo registro. Are you ready to go? Questa la carica di “Who We Are”, che perfora i timpani con un growl prolungato emesso da Galeev Damir, che si mescola alla sottile, sensibile voce di Gulnaz Bagirova. Nel brano si alternano growl, sussurri parlati, riff maestosi. “Si aprì il carillon, una ballerina girò e tutto d’un tratto la stanza si rabbuiò…”. Sono proprio le note di un carillon ad introdurre “Loneliness in Heaven”. Questa melodia pesa sul cuore. La musica ed il testo sono impeccabili. Le doti canore dei due protagonisti del pezzo trasudano soggezione e brividi. La chitarra scorsa da Danila Pereladov non scherza, contribuendo all’oblio ansioso, che trasmette questo brano. L’intro di “Dance of Two Swans” è percorso dalle mani di Konstantine Dolgin che scrivono note armoniose sulle sue tastiere. Questo pezzo accantona il growl, in favore delle due voci che s’intersecano in un unisono sognante. Veniamo a “Forbiden Love”. Ora possiamo abbandonarci alle capacità del batterista, Ilnur Gafarov, che non ci dà tregua con un battere e poi levare, ora ritmato, ora lento, sempre agganciato al sottofondo di un leit motive proposto dal bassista Andrey Dolgih. È la volta di “Angel Fall”, che sembra un prolungamento della terza traccia, la ripetitività è in agguato. Ciò che da identità propria ai due pezzi, è l’alternanza dei diversi stili. Prima un dark/doom, poi la parte lirico/sinfonica, che lascia nuovamente spazio al dark/doom. Dopo questo tripudio di suoni e sensazioni voliamo verso la chiusura dell’album. Prima con “Togheter”, che alleggerisce la mente dandole in pasto linfa. Questa love ballad si compone di una suonata di pianoforte struggente, in stile Kivimetsän Druidi. Ne consiglio l’ascolto, dopo aver creato intorno a voi un silenzio assoluto. La fine di questo lavoro, coincide con “Sunset”. E sembra la chiusura di un cerchio, identico a come è iniziato. L’aria che ne traspira è mesta, ma con un barlume in un cuor logoro. L’album nella sua pienezza tecnica ed emozionale risulta un viaggio, che non appesantisce e non annoia mai l’anima. (Samantha Pigozzo)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 75

lunedì 26 gennaio 2015

Talvienkeli - Blooming

#PER CHI AMA: Symphonic Metal, Nightwish 
Ma che sorpresa! Ho tra le mani l'EP di debutto dei Talvienkeli, lo inserisco nel lettore, chiudo gli occhi e inizio a sentire le prime note. La prima cosa che spazia nei miei pensieri è l'avvertire quell'aria finlandese che evocano le sue note, come nelle canzoni dei Nightwish. Apro il booklet e i nomi sono francesi: è questa la cosa inaspettata, una band Lionese che richiama le atmosfere magiche proprie della Finlandia. 'Blooming' è il primo lavoro di un ensemble nato solamente nel 2012, ma che racchiude tutta la grazia e la spigolosità di cui si veste il symphonic progressive metal. L'EP si apre con "Tormented" dall'inizio soave e magico, che riesce a catapultarmi in un'altra dimensione di note metal, scoccate da tastiera e batteria. Le voci si alternano come nel cartone la "Bella e la Bestia", con la parte femminile mezzo soprano e la parte maschile baritono mescolato al growl. Non a caso, la parte soprano è accompagnata dalle note di pianoforte, mentre la parte più estrema è accompagnata dalla batteria, più ruvida e selvaggia. Si nota subito quanto questa composizione sia adattata anche all'orchestra (di cui parlerò più avanti): parti leggiadre composte da archi e organo si alternano infatti a parti più oscure e minacciose composte da chitarre e batteria, alternandosi spesso e contrapponendosi come il bene verso il male. La parte finale accentua il senso di angoscia fino a trasformarsi in totale liberazione con un grido aggraziato. Qualcosa di diverso accade in "Giant" che ammicca carica e furiosa, riuscendo a sottolineare l’avvenenza della voce di Camille Borrelly, accompagnata da quella riservata di Sandre Corneloup, mantenuta un poco più in ombra. Sullo sfondo, mentre la chitarra ripete un riff molto energico che va a fondersi con la batteria, le tastiere costituiscono la matrice sonora dei nostri. Lasciate pure andare la ragione, perché è impossibile non seguirne il ritmo incalzante. Prima citavo i Nightwish: la traccia tributo al loro sound è "The Tricked and the Trickster" dove le tastiere sono preponderanti, gli acuti e le parti growl si mescolano alla perfezione e nella parte finale, la voce di Camille sembra quasi il grido d'aiuto di una fanciulla imprigionata, sentita solo dal suo galante carceriere demoniaco. "Crossfade" è l'ultima traccia che riporta in modo velato il leitmotiv appena passato, rallentandone l'andatura e concedendo più spazio alla ritmica. In questo pezzo si possono sentire le due voci all'unisono, che diventano così una unica e completa. Il ritornello principale (Why can't you see your life sounds empty? Wake up, wake up, wake up and live... now it's time), infonde una bella carica adrenalinica. L'EP si chiude con la versione orchestrale di "Tormented" ed è la chiusura di un cerchio perfetto fatto di occhi chiusi e della miriade di sensazioni di cui solo la musica è capace di dare. Consiglio più ascolti per cogliere la bellezza e le molteplici sfumature che 'Blooming' ha da offrire. Potrei scrivere intere pagine su tutte le impressioni che ho avuto ascoltando questo disco, ma mi fermo qui e chiudo semplicemente con un "Parbleu! Magnifique!". (Samantha Pigozzo)

(Self - 2014) 
Voto: 85 

martedì 16 settembre 2014

Geminy - The Prophecy

#PER CHI AMA: Heavy Power, Labyrinth 
Primo lavoro per i genovesi Geminy, in attività dal 2006, che dopo due demo (uno del 2007 - 'The Hidden Door' - e uno del 2010 - 'The King of Gorm') approdano sul mercato con questo 'The Prophecy'. Concept album per i nostri incentrato su un mondo ambientato nel medioevo, con re, foreste, spiriti malvagi, prigionieri, templi e profezie. Il disco, uscito nel dicembre 2012, si apre con la strumentale "Into the Prophecy", dove si può da subito notare l'impronta power-progressive data dalla band. Già con la seconda traccia, "Nordic Sea", si può osservare l'affinità con un'altra band power melodic italiana: i Labyrinth. Il cantato in inglese, con la voce di Francesco Filippone, pulita e tendente all'acuto, bilancia un sound che altrimenti diventerebbe pesante da ascoltare. "Trinity Necklace" ha un'anima più orientata al versante folk, con qualche sprazzo dal ritmo intensificato, ma che poi rientra sui soliti binari, rasentando però il già sentito. Piccola gemma musicale dell'opera è "Abyss" brano “vestito” di una certa cupezza grazie al dualismo pianoforte/chitarre che ne prolungano le note con lunghi assoli. La sveglia arriva con "Empty Streets", puro power con inserti di pianoforte. Arriviamo alla melodia di "Mind Control" dopo una serie di interludi strumentali e mi sale all'orecchio un po' di aria fresca: si cambia musica, con le keys che imitano un carillon e un velato alone di mistero e paura mi avvinghia l'anima, ma purtroppo è una sensazione che dura poco. Poi ancora qualche assolo di chitarra, acuti vocali e quanto già finora s'era sentito. Quest'album vanta due ospiti d'eccezione: Roberto Tiranti dei Labyrinth/Mangala Vallis, vocalist principale della canzone "My Fellow Prisoner", song basata più su un tappeto tastieristico che sulle chitarre. Il secondo ospite è Tommy Talamanca dei Sadist/The Famili, di cui non si può non notare la sua impronta death in "Evil Eye", traccia che riflette la sana grinta del musicista ligure. Con la title track si giunge alla fine del disco, ma non prima di spezzarla in quattro parti (dura 11 minuti), che variano dalle note meste di pianoforte a quelle power, vero trademark dei nostri, per poi tornare a chiudere il tutto con un prolisso assolo di chitarra e note di piano. In conclusione: 'The Prophecy' è il primo lavoro ancora acerbo dei nostrani Geminy, per cui mi sento di dare il mio consiglio personale: aggiungere un po' di sano growl alle vocals, il che renderebbe il tutto più vario e interessante da ascoltare. (Samantha Pigozzo)

(Nadir Music - 2012) 
Voto: 60 

lunedì 21 luglio 2014

Splatters - Fear of the Park

#PER CHI AMA: Horror Rock
Oi! Oi! Oi! Queste sono le prime tre parole che mi sono saltate alla testa ascoltando l'album di esordio di questa band lombarda, formatasi nel 2011 e con un demo di 5 canzoni all'attivo. L'ensemble è formato da Drow come voce e seconda chitarra, Alex Damned alla chitarra e cori, Mr. Sprinkle al basso e Paul Destroyer alla batteria. Di loro però parla la musica: come si può già intuire dal titolo, è un gioco di parole che riprende il famosissimo disco degli Iron Maiden, e quella piccola sensazione di disagio che si prova entrando in un luna park (magari scancanato e semi abbandonato): la si sente meravigliosamente nella “Intro”. Pronti per un giro sul rollercoaster? Ottimo, perché ”Killer Clown” è la colonna sonora adatta, così scattante, incisiva e rimembrante il sound più punk/hardcore, con la voce roca e urlata, oltre a dei cori che risulterebbero migliori tenendo le braccia alzate e agitate per aria. Non che ”Welcome to Zombieland” sia tanto diversa, ma qui la differenza è nella sonorità meno spedita e più profonda: giusta proprio per il tunnel degli orrori, o degli specchi. Il ritornello è difficile da non cantare, magari agitandosi per la stanza... Questo potrebbe essere l'incipit adatto per la terza traccia ”Here Come the Monsters”, magari rincorrenti questi audaci (o sconsiderati?) visitatori del luna park in declino, formati magari dagli storici freakshow: la batteria, grazie anche alle note di chitarra ripetute in rapida successione, ricordano facilmente le gambe che scappano e il rumore dei piedi sulla terra, in fuga da questi fenomeni da baraccone. Come se volessero collegarsi al precedente brano, ”Die in a Leather Jacket” sembrerebbe quasi voler ricordare "Die With Your Boots On" degli Iron. ”Hope” si distacca dalla melodia ascoltata finora: addirittura ricorda Alice Cooper con la sua strafamosa “Poison”, anche se gli Splatters si limitano a modificarne il tempo e renderlo più spedito e battuto, mantenendo un profilo più hardcore. “Why Do They Always Die in This Way?” inizia con note di pianoforte, chitarra elettrica e voce grave, ma chiara e limpida. Lasciato trascorrere il minuto (e mezzo) di calma, si torna alla carica con un bel incitamento musicale “Run! Faster than You Can Run!” cantato urlando, mentre la batteria non lascia un attimo di tregua. Ma i peccatori vanno in paradiso? E perché no, con la vertiginosa ed energica “Sinner in Heaven” sembra che possano accedervi, magari con qualche pedata nel fondoschiena, come il motivo lascia intendere... Probabilmente “My Lucky 13” potrebbe essere un plauso, o ringraziamento, a Jason Voorhees per la grande fortuna che ha portato questo infausto numero, o semplicemente un richiamo ad uno dei B-Movie che hanno scandito i grandiosi anni '80. Tornando al nostro luna park infestato, quando i malcapitati si trovano nel labirinto di specchi ritrovano “Minotaury”, da cui è difficile scappare. Si sa che ogni cosa arriva ad una fine: ed è così anche per questo primo lavoro degli Splatters, un viaggio psicotico in un parco divertimenti malefico e invaso da diverse creature. “Dark Way” è la traccia conclusiva, suonata al pianoforte e cantata alla stregua dell'incipit di “Why do...”. Ovviamente le ultime note del piano riprendono quelle dell'intro, creando una specie di vortice da cui è difficile uscire... non puoi scappare dagli incubi. In chiusura, quest'album mi ha letteralmente entusiasmato e ispirato, trovandolo geniale e folle al tempo stesso. Una richiesta: aggiornate il profilo myspace, se volete tenerlo come sito ufficiale; troppo scarno per i miei gusti. (Samantha Pigozzo)

(Atomic Stuff - 2012)
Voto: 80

domenica 8 dicembre 2013

Vadikan - Hydrargyrun

#PER CHI AMA: Gothic metal, Nightwish
Album di debutto per questa giovane female fronted band russa, che all’attivo ha due demo (uno uscito nel 2008 e uno nel 2010). Tutti i testi sono cantati in russo, ma nel booklet fortunatamente c’è la traduzione a fronte, grazie alla quale è stato possibile scrivere la recensione. Il sound si avvicina al melodic gothic metal, ma con una vena più soft come ci sarà modo di accorgersene più avanti nell’ascolto. Si parte dolcemente con "Break the Templates" che ricorda i Nightwish, più oscuri. La voce femminile ha una nota più lineare e quasi funebre, che il cantato in russo marca ancora di più. Si sente anche una parte growl, ma si sposta dal secondo piano all’appena percettibile. Il ritmo cambia dal flemmatico all'allegro, con una chiusura netta; è così che "A Kiss Across the Eyes" parte, rallentando però durante il suo incedere. La voce tende ad essere appena poco più acuta, sicuramente più viva rispetto al brano precedente. Le chitarre sono perlopiù melodiche e ritmiche, mai troppo preponderanti sulla batteria. Altro discorso con "Chestnut Candles": cupa, grave. Addirittura la vocalist sembra sul punto di cantare una litania funebre, cosa che mi mette un po’ i brividi. Questa sensazione si ripresenterà anche nella canzone "Autumn Again" (che è anche ciò che ho pensato guardando fuori dalla finestra e vedendo la nebbia abbracciare gli alberi che perdono le foglie), ma con la tendenza ad essere più acustica e suadente. Lasciandoci alle spalle queste sensazioni, ci si ridesta con "Eyes of the Muse". Come accennato in precedenza, la vena soft si può sentire in questo brano, tendente più ad un rock melodico che non ad un metal vero e proprio. Preludio alla vena più metal nella title track "Hydrargyrun", la chitarra è messa in primo piano, mentre la batteria in sottofondo scandisce imperterrita il ritmo. La ciliegina sulla torta arriva però con la traccia migliore di quest’opera: "I Remembered You. Finalmente i nsotri tirano fuori le unghie e il motivo cambia in qualcosa di più accattivante. Degna di nota è la batteria che apre il brano, mentre la voce soave non disdegna di sottolineare le parti più romantiche di tutta l’opera. E via di headbanging. Nel battesimo del fuoco non può mancare una composizione totalmente strumentale come "Suspense": già il nome funge da biglietto da visita, essendo inquietante per certi tratti e sperimentale per altri. Curiosa e molto piacevole. La nota stonata si ha con la bonus track "Wicked Love": ripetitiva, fiacca, al limite della noia. Fortunatamente ha influito poco sull’opinione di questa prima fatica, che globalmente si può definire come deliziosa e interessante. Certo, come ogni prima uscita si sente molto il “freno tirato” per tastare i gusti del mercato, ma qualcosa mi dice che già al secondo cd ci sarà un maggiore coinvolgimento. (Samantha Pigozzo)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 65

http://vadikan.org/

giovedì 12 settembre 2013

Noumeno - Trapped

#PER CHI AMA: Heavy metal strumentale
Tarda mattinata di una giornata semi-coperta, fresca quanto basta, pronta per ascoltare un po' di metal di qualsiasi tipo. Mi trovo tra le mani il cd dei romani Noumeno, guardo la copertina e penso “mica male questo terzo occhio minaccioso verde brillante”; metto il cd dentro il lettore e premo play. La prima traccia, "24", si apre con un bel riff di chitarra e un rullare di batteria (trovo qualche assonanza con gli Iron Maiden) dal ritmo sempre più serrato e furioso, ideale per i fanatici dell'headbanging, che passano da un semplice assolo ad una prova collettiva di brano strumentale, con risultati veramente buoni, se non eccelsi. "Jason Becker Tribute", come dice il titolo, è un tributo ad uno dei più famosi chitarristi heavy (Cacophony con Marty Friedman, David Lee Roth), bloccato dalla SLA, ma che perpetua nel comporre brani e sfornare cd. In questo brano la chitarra viene portata agli estremi: dal tempo veloce a quello più lento, passando per il mezzo: veramente notevole. "Panda Song" ha un ritmo veloce ma non troppo, trasuda malinconia e potenza, specialmente nell'assolo di batteria, ma per il resto rimane sull'allegro andante, senza essere invadente. In "Visionary Schizophrenia" i nostrani Noumeno si avvalgono della presenza del tastierista Vitalij Kuprij (ex Artension): si arriva a rasentare il ritmo furioso e cardiopalmico, senza esagerare. "Without Fear Without Pain" si apre con note molto dolci, proprio per lasciarci respirare dopo la furia del brano precedente: qui la chitarra diventa malinconica e la batteria le fa eco; dolce e tranquillo non significa però noioso o ripetitivo... difatti la peculiarità di questo album è che le canzoni non si ripetono mai. Comunque brano più sul versante prog rock che metal. "A Sense of Agony" invece parte subito spedito, veloce, cattivo ed energico: sebbene il ritmo cambi in continuazione, il risultato è sorprendente per la capacità di saltare da un accordo all'altro senza apparente fatica. "Mind Labyrinth" invece è più introversa, più cupa, ma fondamentalmente più agitata degli altri brani: si direbbe quasi il picco di massima di questo album. In "Anger in Vain" troviamo l'apporto di un altro grande shredder italiano, Francesco Fareri: il suo assolo risulta più un vortice che ti risucchia, facendoti perdere per un attimo tutto il resto attorno. Una gran bella sorpresa che arricchisce le già eccelse chitarre. Con "Psychotic Syndrome" l'album si chiude con un sound deciso, accattivante e veloce, portato all'estremo fino alla cessazione immediata: con esso finisce anche il cd. Una fine così, però, è incompleta: ci vorrebbe qualche strascico musicale, magari note di chitarra o tastiera, tanto per lasciare un'impronta più profonda anche nella chiusura. Danilo, Fabrizio, Emanuele ed Emiliano sono riusciti a trovare un punto d'incontro, creando brani frizzanti, energici e anche malinconici. Questo album lo vedrei bene come qualche colonna sonora di qualche videogame di corse. Di sicuro è una band da tenere d'occhio: mai prima d'ora mi era capitato di ascoltare un album totalmente strumentale, ma devo ammettere che hanno veramente un grande potenziale e una tecnica spettacolare. Al prossimo lavoro, allora! (Samantha Pigozzo)


(UK Division Records - 2010)
Voto: 75

https://www.facebook.com/NoumenoOfficial

domenica 1 settembre 2013

Anthologies - Alpha

#PER CHI AMA: Gothic Doom, Paradise Lost
Formatisi nel 2008 a Novara per mano di Alessandro Schumperlin e Silvia Gadina, gli Anthologies producono finalmente dopo quattro anni il loro primo album, tendente ae sonorità gothic con una spruzzata di doom metal (anziché restare ancorati alla loro passione per il folk metal). In così poco tempo hanno già raggiunto 600 contatti su facebook e sono stati chiamati, come supporting act, dalle maggiori band di folk metal internazionale come Finntroll, Alestrom ed Eluveite. Si parte con “Baba Yaga” graffiante ed incisiva, con un’aura oscura che permane durante tutto il brano e prosegue in “My Card”, più trasformista a seconda delle diverse influenze che impattano sul gruppo (vedasi Type O Negative, Paradise Lost, Opeth, Moonspell e tanti altri). La vena più “sperimentale”, se così si può definire, la si trova in “No Brain”: qui si passa dal death (ma solo a causa del growling) al doom, attraverso note folk, rendendo il tutto un curioso ed apprezzabile brano. “Betray Me” invece viene investito da un'aria più thrash oriented, dove le chitarre sono lasciate completamente libere di percorrere tutta la scala musicale; situazione opposta invece per “One of these Days”, così soffocante ed opprimente grazie anche ad una batteria rallentata e alle corde suonate in modo da ottenere note basse e gravi. Giusto per rinfrancare un po’ lo spirito, l’eterea e soave “Leaves in the Fog” placa gli animi, grazie anche al tamburello e alla chitarra classica. Si chiude il tutto con la cover degli Rose, Rovine e Amanti, "Paura del Demonio”, anima folk riletta in chiave doom acustico che chiude questa prima fatica dell'ensemble tutto italiano, composto, oltre ai sopraccitati Alessandro Schumperlin e Silvia Gadina, anche da Fabrizio Amampane, Samuele Marchi ed Andrea Ferrari. Devo ammettere che questo quintetto colpisce dritto al cuore, rivelandosi alla fine una sorpresa piacevole, forse un po’ ruvida e grezza, ma dal forte potenziale. Non ci resta che tenerli d’occhio, in attesa che esca un nuovo lavoro. (Samantha Pigozzo)

mercoledì 14 agosto 2013

Picatrix - Quaestio Prima

#PER CHI AMA: Ambient elettronica downtempo
Difficile introdurre quest’artista, poiché avvolto dalla nebbia del mistero. L’unica cosa che si può narrare, è che pare quest’opera sia scritta e composta da Luigi Seviroli (autore, tra l’altro, di alcune musiche per fiction italiane e del film su Dylan Dog), ma non è chiaro se sia proprio lui sotto pseudonimo. Altra chicca, è l’intervento all’interno del booklet del famoso scrittore Valerio Evangelisti (ricordiamo “Il Ciclo di Eymerich”, e la trilogia di Nostradamus), che loda questa breve composizione di 5 tracce. Tutta l’opera, ormai datata 2005, catapulta l’ascoltatore in un limbo che evoca immagini di vita medievale, con sterminati campi e villaggi fatti di capanne sotto il castello, aiutati anche da note di cornamusa sintetizzate (presente in tutte le operette), oltre che a momenti di suspense in “Zohar et Metatron”. Note allegrette si possono sentire in “The Inquisitor” che con la cornamusa quasi crea un’atmosfera giocosa. Tutt’altra ambientazione viene creata in “From Hell”: cupa, inquietante, drammatica. 10 minuti angosciosi, che lasciano l’ascoltatore in sospeso ma che riportano alla perfezione la parte più nera e tenebrosa del medioevo, piena di fantasmi e ignoranza. Si chiude così quest’ambiguo album, perfettamente mimetizzato nella nebbia più fitta e che, nonostante i numerosi ascolti, risulterà veramente impenetrabile da comprendere. Di sicuro è perfetto per qualche serie televisiva in costume, o come sottofondo musicale per leggere. (Samantha Pigozzo)

giovedì 8 agosto 2013

The House of Usher - Radio Cornwall

#PER CHI AMA: Dark Gothic Rock, The Cure, Joy Division
Ricevo questo doppio cd, ormai datato 2005 ove troneggia l'immagine di un re con tanto di barba e corona, come da tradizione medievale: inserisco il cd nel lettore e chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare dal gothic rock teutonico. "Wherever the Storm May Drop Us" inizia con suoni distorti, per arrivare poi ad una voce che ricorda i Joy Division e i Cure; tutta la canzone è caratterizzata da un'atmosfera cupa, scura, quasi pesante, un goth-rock pulito e piacevole, tranquillo e non impegnativo. "More than Average" si presenta con una voce più acuta pur mantenendo una atmosfera dark: gli strumenti in primo piano sono il sintetizatore e la batteria, mentre in secondo piano vi sono anche chitarra e batteria. Questo brano si avvale anche della collaborazione di una voce femminile per i cori. "A Dead Man's Hand" inizia con spari, elicotteri e urla lasciando poi il posto ad un brano grintoso, cattivo, potente, più dark rispetto ai precendenti ma di grande impatto. "Hide and Seek" è già più calma, con un largo uso di chitarra-batteria e una voce semi-grave, matura. Un brano che accompagna facilmente i pensieri, senza infastidirli, terminando con note di pianoforte e tastiere. "Will You Know Me" ricalca lo stesso ritmo, cambiando solo la velocità: questo brano è un po' più veloce, ma senza risultare troppo duro, insomma rimane sempre nell'ambito rock, senza mai nemmeno timidamente fare capolino nel reparto metal. La sorpresa di questa traccia è la voce femminile che canta in francese, molto dolce e gradevole. "For Better for Worse" è ancora più cupa, degna della migliore tradizione “joy divisiana”: malinconica, funesta, deprimente, persino profonda. Siamo giunti a metà album e ci si presenta la title track, "Radio Cornwall": appena percettibile c'è l'inno americano all'inizio, mentre la canzone risulta bella carica. "The Floor She Walked Upon" ha un tono più solenne e accattivante: personalmente lo reputo uno dei brani migliori di questo album, proprio per la vita che contiene. Il brano sembra essere uscito dai primi anni '90, grazie soprattutto all'uso di tastiere e suoni campionati. "It Doesn't Matter" si mette in luce per uno stampo più industrial e un ritmo più dinamico mentre "Throwing Stones at the Wind" ha un'impronta più allegra: sembra quasi che la band voglia spogliarsi del velo mesto che li circonda, per lasciare spazio ad un sentimento più positivo: quel che ci voleva dopo un album colmo di oscurità. Con "Le morte d'Arthur" arriviamo così alla fine del cd: chitarra e batteria acustiche, voce lugubre, tono solenne e voce femminile, sono gli elementi che caratterizzano il brano, quasi a voler sottolineare la tristezza che la morte porta. Solo verso la fine il ritmo si fa più incalzante, si desta dalla malinconia e riprende la forza trovata nel brano precedente. Come detto all'inizio, quest'opera si avvale di due cd, di cui il secondo contiene sia la già citata “A Dead Man's Hand”, che altre 4 canzoni composte negli anni precedenti, più orientate a suoni di stampo epico/medievale. Non è stato così semplice recensire l'album, causa brani che di base si assomigliano tutti, e che dopo un po' inducono noia nell'ascoltatore. Necessita comunque di essere sentito più e più volte, perché solo in questo modo si capteranno le diverse sfumature. Consigliato a chi ama il dark-rock dei Cure o dei Joy Division. (Samantha Pigozzo)

(Equinoxe Records)
Voto: 60

http://www.the-house-of-usher.de/

domenica 4 agosto 2013

Via Sacra - The Road

#PER CHI AMA: Heavy Metal, Iron Maiden
Primo lavoro per la neonata band portoghese, uscito nell'autunno 2012. Geniale è il packing: in cartone, per prendere il cd basta sfilare e aprire un'aletta rotonda (riportante i colori della copertina). In questo modo si evita di rovinare la custodia e occupa minor spazio rispetto alla stessa in plastica. Unica pecca è l'assenza del booklet (ma per vedere le loro facce basta andare sulla loro pagina myspace). "Jimmy's Life" inizia con un giro di chitarra in stile anni '80: la prima cosa che mi salta in mente circa la voce del cantante è "ma sembra Bruce Dickinson!". Tutta la song, assieme anche a "No Lies", segue il filone dell'hard rock energico e veloce, con qualche assolo di chitarra che ti porta direttamente nell'air guitar. "Lost World" e "Black Angel" sono già più rallentate, melodiche, ma il vigore rimane tale e quale: ciò che è aumenta invece è il pathos. Decisamente da cantare a tutta voce. "Souls of Fire" ha un riff iniziale di basso squisito, a cui fanno seguito chitarra e tastiere vigorose e morbide al tempo stesso. Più si procede con l'ascolto, più mi carico di energia positiva: questa è magia! . "Storm in your Soul" e "Never Come Back Home" sono brani più introversi dove il vocalist porta la voce ai due estremi: nella prima tocca il livello più alto, sottolineando la fortissima somiglianza con il buon vecchio Bruce, mentre nella seconda rasenta tonalità più gravi. Brani intrisi di una forza interiore coriacea che lasciano il segno. "Baby Baby" dal ritmo incalzante, ricorda vagamente i Kiss, specialmente negli acuti del corista, oltre che nel largo uso delle tastiere. "Secret Garden" è la mia traccia preferita: note campionate aprono e caratterizzano questo pezzo, rendendolo più cupo e tetro. Estroso! Con "The End of the Road" si arriva alla fine: chitarra aulica all'inizio, per tornare alla risolutezza di base di questo ensemble. Per chiudere, dico che questo è l'album hard rock che più preferisco: non trovo un termine adatto per esprimere la grandezza di questo lavoro. Per me può anche essere definito capolavoro. Bravi!!! (Samantha Pigozzo)

(Ethereal Sound Works)
Voto: 85

https://www.facebook.com/viasacraband

giovedì 1 agosto 2013

Aeternal Seprium - Against Oblivion's Shade

#PER CHI AMA: Heavy Power, Iron Maiden, Domine
Formatisi nel lontano 1999 a Contado del Seprio (Varese) con il nome Black Shadows, nel corso degli anni i nostri hanno modificato la line-up, mantenendo 3 dei membri fondatori (Leonardo Filace, Matteo Tommasini e Santo Talarico) e accogliendo, 3 anni dopo, il cantante Stefano Silvestrini. Nel 2007 l'act lombardo registra il primo demo, ”A Whisper From Shadows” con il nome Aeternal Seprium, nel frattempo entra un secondo chitarrista arrivando alla formazione odierna. Nel 2009 esce un altro demo ”The Divine Breath of Our Land”, e nel 2011 finalmente esce il primo e vero album, che mi accingo ad esplorare. Si parte con ”The Man Among Two Worlds” e “Vanaglory” di chiaro stampo "iron-maidiano”: vigorosa, ritmata, cantata con tutta l'energia che si ha in corpo. I testi sono sia in inglese che in italiano. Degni di nota sono gli acuti, più e meno prolungati, che conferiscono, in una, una nota di heavy metal più puro; nella seconda, è da ricordare il lungo e magistrale assolo di chitarra verso il terzo minuto. “Sailing Like the Gods of the Sea” si avvicina più al thrash, ma senza mai dimenticare l'influenza di Bruce Dickinson & soci: a volte la portanza vocale è talmente ricca e ingente, che mette la pelle d'oca a sentirla. “Soliloquy of the Sentenced” placa gli animi e diventa più modulata, epica: la batteria suonata con furore, le chitarre accordate più basse offrono toni smorzati che rendono una sensazione più composta. “In Sign of Brenno” a tratti ricorda i primi Metallica, ma sono più che altro piccoli lampi, anziché una vera e propria ispirazione. “Victimula's Stone” si avvale di un bel chorus che dà un maggiore impatto e un'aria più dinamica al tutto. “Solstice of Burning Souls”, alle prime note, sembrerebbe indirizzata verso una melodia più morbida, ma dopo quasi un minuto tutto torna come sempre. Da evidenziare soprattutto la preponderanza della chitarra messa a frutto: fa venire la pelle d'oca. Dicevamo delle parti cantate in italiano: è il caso di “L'Eresiarca”, ballad scritta e cantata nella lingua tricolore. Oserei pure ricordare un che di Marlene Kuntz in questa cantica proprio per il suo stile vocale. Piccole venature medievali si possono cogliere nel corpo di “The Oak and the Cross” e “Under the Flag of Seprium”, un omaggio alla loro terra natia. Si chiude questo mistico viaggio in terre e mondi lontani, pieni di battaglie e cavalieri: una pubblicazione prorompente e vigorosa che ti carica e ti porta ad affrontare meglio una lunga giornata nel segno del metal. (Samantha Pigozzo)

sabato 4 maggio 2013

The Owl Of Minerva - Bright Things Turn Gray

#PER CHI AMA: Alternative Rock, A Perfect Circle, Katatonia
Promo cd di questo quartetto originario di Padova, composto da Nicola 'Mel' Coinn (chitarre, voce, produzione), Stefano 'Cocis' Pagura (chitarre), Francesco 'Checco' Forin (batteria) e Simone 'Carra' Carraro (basso). Formatisi nel 2008, alla fine di quell'anno pubblicano già un primo EP, ”Willow”. Durante le registrazioni del primo full lenght, nel 2012 rilasciano questo demo composto da 4 canzoni: un assaggio di ciò che verrà nell'autunno del 2013. Si parte con la title track, ”Bright Things Turn Gray”: l'incipit ricalca fedelmente l’alternative rock americano (più precisamente vengono influenzati dal sound degli A Perfect Circle e Tool): più si prosegue con l'ascolto, più le influenze dei due gods statunitensi emergono assai forti, tanto quasi da scambiare alcuni passaggi del demo per loro pezzi. L'atmosfera che ne nasce risulta quindi surreale e calda. ”Bag of Stones” si avvicina più al sound dei Deftones, piena di ritmo, carica e ricca di chitarre e batteria all'unisono, deliziando le orecchie e mettendomi alla ricerca dei testi per poter cantare nei ritornelli. ”Your City by the Snow” tende ad essere più calma, unplugged: si fa un largo uso della chitarra classica e le percussioni vengono appena sfiorate, lasciando grande spazio ai piatti e alle tastiere, eccellentemente suonate da Simone Noventa. Il complesso che traspare in questa traccia sono i primi Smashing Pumpkins, quelli di ”Siamese Dreams” per intenderci e, seppur a tratti, un po' David Bowie. Con ”Crown of Gold” si giunge alla fine del cd: si torna alle atmosfere a la Deftones, più melodici e malinconici per la prima metà, mentre la seconda diventa più furiosa con un connubio chitarre-batteria-basso sguinzagliato e portato ai massimi livelli. Sebbene questo sia solo un demo, ha tutte le carte in regola per diventare un LP superbo, ricco di diverse sonorità, ritmi e tanta voglia di sperimentare. Speriamo esca presto quest'opera. Forza tosi! (Samantha Pigozzo)

domenica 28 aprile 2013

Aut Mori - Pervaja Sleza Oseni

#PER CHI AMA: Death Doom Gothic, Draconian
Primo lavoro per questo relativamente nuovo gruppo: formatisi infatti nel 2009 in Russia, la band è composta da Alexey Chernyshov e Stepan Sorokin alle chitarre, Maria Sorokina alle tastiere (e anche unica voce femminile) e Evgeniy Chepur alla voce. Tra le loro maggiori influenze si possono contare i Draconian e gli Auto-de-Fe, dalla quale band la maggior parte dei componenti provengono. Scritto e cantato totalmente in russo, le atmosfere espresse, si affacciano sul gothic doom metal, con il solito trito e ritrito connubio voce soave – growl (insomma la bella e la bestia) e tante tante tastiere che enfatizzano la malinconia e la parte più introversa dell'ensemble. L’alternanza di melodia e ritmi doom rendono il lavoro interessante da un punto di vista di attenzione, ma diventano poi ripetitivi ad ogni brano, con il risultato di risultare pesanti all’ascolto e definitivamente noiosi alla lunga. Le vocals maschili non mettono i brividi, anzi: appaiono flebili, seppur profonde; probabilmente la causa è anche l'utilizzo della lingua russa, che tende ad essere molto consonantica e poco musicale. Da sottolineare la presenza di Jerry Torstensson dei Draconian alla batteria (e responsabile anche delle registrazioni) e di tal Olof Göthlin al violino. Difficile dare un giudizio completamente positivo, a meno che non siate ragazzine che giocano ad essere dark sbandierandolo ai quattro venti, e particolarmente attratte dai ruoli di “la bella e la bestia” nelle band metal. Almeno i Nightwish avevano Tarja Turunen che metteva alla prova le sue grandi capacità liriche e trasmetteva passione; qui purtroppo non ve n’è traccia.(Samantha Pigozzo)

(Badmoodman Music)
Voto: 55

https://www.facebook.com/autmoriband

sabato 30 marzo 2013

In-sight - From the Depths

#PER CHI AMA: Swedish Metal ricco di groove, In Flames, Trivium
Nati nel 1996 come una "Swedish metalcore band", i nostri hanno subito diversi cambi di line-up fino ad arrivare a quella odierna, con la partecipazione femminile di Emanuela. L'"Intro" si apre soave, con note di pianoforte: è dopo poco meno di un minuto che attacca una potente rullata, con l'avvio di "Mind the Light", dove compare la delicata ma al contempo energica voce di Emanuela. Il growl di Andrea si contrappone egregiamente a quello della fanciulla, creando una sorta di emulo dei Nightwish (ma senza orchestra) o dei nostrani Lacuna Coil. "Winding Coil" ha un ritmo ben delineato e scandito, che ti porta a muoverti come in preda ad un raptus. "Frost Hate" ricalca bene o male il ritmo di cui sopra, ma con inserti di assoli di chitarra alternati alla grancassa egregiamente suonata. "Insight", a giudicare dal titolo, parrebbe una canzone introversa all'inizio: ma bastano pochi secondi che l'energia esplode e il ritornello inizia già ad entrare nella testa, rimanendoci per un lungo lasso di tempo e portandomi a canticchiarla spesso. "Parasite" riprende l'intro di "Mind the Light", ma la parte femminile viene spinta quasi all'estremo del timbro, sembrando ancora più grintosa: cosa più semplice quando motivata dal growl e dal ritmo cardiopalmico. Una delle canzoni migliori dell'album, a mio parere. Con "Rary" si tocca la parte più melodica (ma non melensa), dove l'unica voce, per la prima metà della composizione, è quella della fanciulla, ma senza perdere quella vigorosa parte di batteria. Dicevo per metà, visto che nella seconda si libera la bestia dando sfogo alla vena death: la si potrebbe definire una canzone alla "Dr. Jeckyll and Mr. Hyde", visto che si conclude con tutta la delicatezza possibile. Arriviamo quasi alla fine di questo primo lavoro con "For the Sake of the Show", dove l'inclinazione brutal squarcia il cielo già rannuvolato, per colpire come un fulmine per tutta la durata del pezzo. Growl puro, batteria berserk e l'animalismo che pervade il corpo, facendo venire la pelle d'oca da tanta bravura. Con "Informulation" giungiamo alla fine: la ricetta è bene o male sempre quella, ma ogni motivo si differenzia dall'altro per la capacità di giocare sul tono di voce e modificarlo a piacimento, rendendolo interessante e piacevole. Di certo non hanno nulla da invidiare alle altre band con una voce femminile all'interno, ma nemmeno allo Swedish metalcore per la parte death: di sicuro sono da tenere d'occhio, perché se sfornano un LP come questo, i prossimi non possono che essere migliori.(Samantha Pigozzo)

(Logic(il)logic)
Voto: 70

http://www.insightband.net/

domenica 17 marzo 2013

Soul Storm - No Way Out

#PER CHI AMA: Melodic Progressive Rock
Formatisi in quel di Vicenza, i Soul Storm possono essere indicati come progressive rock. Questa descrizione però è incompleta, in quanto, nel loro primo EP “No Way Out”, si possono sentire (come presentato anche sul loro sito ufficiale) anche note di hard rock, pop, pop rock e progressive metal. Nell’attesa che esca un nuovo lavoro previsto per quest'anno, mi accingo ad esplorare il colorato mondo di questo ensemble conterraneo. L’album si apre con “Wrong Way Pt1”, dove la voce chiara e vibrante sovrasta rullate energiche di batteria e tastiere portate al loro apice. Già da qui si possono intuire gli svariati generi musicali menzionati poco sopra, che alternano molte sfumature del rock (prima il progressive, poi il melodic e anche una vena AoR) rendendo l’ascolto sorprendente. “Son of Hycarus” ricorda immediatamente gli Europe: chitarre sguinzagliate, cantato al livello più alto e tanto, tanto campionatore. La batteria, sebbene in secondo piano, riesce a ritagliarsi il suo spazio; il risultato è un sound dinamico, ricco e classico al tempo stesso. Si arriva a metà album con “Last Dusk”, che sembra essere più melodica e pacata, ma dopo qualche secondo il ritmo si libera e diventa più deciso, avvicinandosi velocemente alla loro vena più progressive. La batteria viene enfatizzata e accompagnata dalla chitarra elettrica, facendo muovere la testa con movimenti ben delineati. “Vitruvian Man” segue la cadenza ascoltata nella traccia precedente, con velocità e sollecitudine; brano prettamente strumentale, in cui si possono sentire tutti i componenti della band dar libero sfogo ai propri strumenti, quasi come se si fossero riuniti per una semplice jam session di riscaldamento, anziché per la registrazione dell’album. “Her Taste” si indirizza verso l’hard rock, ma mostrando sempre un marcato tocco melodico. Con “Wrong Way Pt2” si arriva alla fine di questo primo lavoro: malinconica, con un tono di voce più grave (ma senza rinunciare a spingere la voce verso le tonalità più acute) e ritmo ridotto, fino a sfumare nelle note di tastiera. Ora non resta che aspettare l’uscita del secondo album e vedere quale sarà il risultato. Per ora discreto. (Samantha Pigozzo)

lunedì 28 gennaio 2013

Endless Coma - Rising Rage


#PER CHI AMA: Suoni crossover/Nu Metal/Industrial
Nata da un progetto anglo/italiano di Nick Franz (bassista e compositore) e Dark Priest (voce) nel 2010, la band ha pubblicato subito un EP dal titolo omonimo; nel frattempo, nel corso del 2012 sono state eseguiti alcune riassestamenti nella line-up, includendo Sal (chitarra) e Blond (batteria) facendo uscire il primo full-lenght. L’intro “Prelude to the End” è costituito principalmente da voce e suoni campionati, in modo da preparare l’ascoltatore ad un viaggio non propriamente piacevole. “Mind Battle” ha un sound veloce e cadenzato, sottolineato da un largo uso di tastiere e batteria; il basso si sente soprattutto nel ritornello, accompagnato anche da qualche growl, creando un effetto molto industrial. “I Don’t Have a Name” e “D.N.A. (Destroy New Angels)” si possono definire come le tracce più industriali di tutto l’album (a tratti la voce ricorda vagamente quella di Rob Zombie), quella che ti porta ad esaltarti e a scatenarti. “Disease” continua con quella vena cattiva che finora sta contrassegnando il mio ascolto, fatta di growl, suoni campionati e tanta batteria. Con “Golden Chains” e “Mental Prison” le cose cambiano: il ritmo tende a rallentare lasciando fuoriuscire la vena più malinconica degli Endless Coma. Degno di nota è l’assolo di chitarra, perfettamente incastonato in questo contesto mesto e rassegnato. “No Faith” e “Pure Ego” riprendono il filone proposto dalle prime tracce, con un’esplosione di perfidia e suoni pesanti, portando tutto il lavoro fatto finora a un livello molto alto di qualità. “Evil Man” e “My Dear Satan” tendono più verso il ramo progressive, con lunghi assoli di chitarra, ottime ritmiche e una batteria dirompente: la vena inquieta dell’ensemble emerge nuovamente, rischiando di abbassare un poco il livello toccato in precedenza. Qui l’unica cosa che si salva sono gli inserti growl e qualche connubio di chitarra graffiante con una batteria costantemente ritmata. “Pain” ha una successione non molto veloce, ma ben strutturata e travolgente: peccato per la scelta di cantare con una tonalità roca, perché mette in secondo piano l’anima industrial del complesso. In “You’re my God” cambia nuovamente il ritmo: all’inizio e alla fine sembra più unplugged con voce, chitarra e batteria tenute a freno, ma nel corso della traccia il tutto si anima un po’. Questo può essere definito il punto più basso di tutto il lavoro. “The Last Minute” è l’ultimo pezzo ed anche il più lungo. Contraddistinto da un sound più tedioso e flemmatico per i primi 4 minuti, il resto della canzone non è altro che una parte sussurrata e distorta, di cui non si capisce nemmeno una parola: potrebbero sembrare messaggi subliminali o una voce lontana che agita i sogni. Un long-playing con luci ed ombre ma che comunque alla fine risulta ben fatto, che entusiasma e carica: consiglio vivamente di tenerli d’occhio, perché se queste sono le basi, il prossimo sarà (auspico) ancora meglio. (Samantha Pigozzo)

(Buil2kill Records)
Voto: 70

https://www.facebook.com/EndlessComa

martedì 15 gennaio 2013

Emmeleya - Opium Vision

#PER CHI AMA: Progressive Death
Mi accingo a parlare di una band teutonica, il cui sound si distacca dal solito industrial metal: infatti, come asserisce l’act germanico, la proposta è un progressive metal con “un catalogo di musica multidimensionale, deliziosi arrangiamenti vocali, un song writing particolare, tastiere ben applicate e una notabile presenza di contenuti death metal” (tratto dal loro sito ufficiale). Viene spiegato anche il significato del nome: trattasi di una parola greca per intendere grazia o armonia, ma è anche il nome di una danza nelle tragedie greche. Ultimo appunto prima di iniziare a parlare dell'album: sono stati anche open act di band quali Korpiklaani, Volbeat e Geist. La prima traccia, “My Equal”, si apre subito brutale, senza alcun intro: dopo la prima strofa emergono le tastiere con un semplice accordo, ma che riesce a fondersi facilmente con il growl rude e graffiante. Degno di nota è il gioco di stili che si possono sentire in questo brano: dal death più cattivo al prog più ispirato, a rendere il tutto interessante e ingegnoso. Dalla metà in poi è tutto un connubio di chitarre e batteria che ricordano vagamente i Porcupine Tree, specialmente nei lunghi silenzi cantati. Solo dopo 3 minuti di totale ispirazione, un urlo squarcia il cielo portando la traccia a finire nella più totale cattiveria. “23.57.31” al contrario della precedente, inizia pulita per poi mutare nella parte death andante, a braccetto con assoli di tastiere: un ritmo serrato e pesante si alterna a parti prog e più delicate, risultando molto sperimentale e mai banale. Più ascolto il disco, e più mi rendo conto del potenziale “bomba” che questo ensemble presenta: un'energia immensa e ben esposta, senza cadere nel pesante. “Ornamental Mind” inizia con la parte growl, ma si alterna spesso al cantato pulito. In sottofondo la batteria non smette un attimo di far sentire la sua presenza, mentre si può notare anche un piccolo duetto verso metà traccia. Nonostante il filo conduttore sia lo stesso in tutte le canzoni, ognuna presenta qualche piccola sorpresa, sia nelle tastiere che nelle chitarre o batteria: per esempio, in questo brano, c'è un piccolo gioco di dita sulla tastiera dando un'aura più gentile e delicata. “Shatter the Streaks” all'inizio presenta il solito connubio batteria-chitarra, ma suonati in maniera più ritmata e profonda. Le tastiere creano un sottofondo continuativo, mentre un volteggio di chitarre e batteria, danno un effetto che pare un vortice: scelto apposta per le tematiche religiose leggermente velate. Molto piacevole è la parte pizzicata sulle tastiere, seguita a ruota dalla chitarra ritmica e dalla batteria. Con “Never Red” si arriva all'ultimo brano del disco, solenne e potente: le note di tastiera sono per lo più acute, con l’alternanza tra cantato pulito e growl, e con la testa che inizia a ciondolare avanti e indietro. Nel mezzo della canzone si trova il cuore pulsante del prog, che aiuta tanto a rilassare la mente e concentrarsi su tutto quanto fatto finora. Sembrerebbe quasi che gli Emmeleya vogliano terminare dolcemente, invece a 3 minuti dalla fine, i toni iniziano ad accendersi, aumentando il pathos e portando l'ascoltatore in uno stato di difesa, pronto per sferrare la botta death. Botta che non arriva subito, ma dopo un buon minuto e mezzo, quando già ci si era abituati alla calma. E con le chitarre portate al massimo, si chiude l’album anche se perlomeno viene affidata ad una chiusura sfumata, a differenza dell'inizio duro e diretto. Il cd, uscito a gennaio 2012, è una vera e propria perla: mai uguale, mai scontato e mai noioso. Anzi, il voler unire due generi molto diversi tra loro, li ha condotti a pubblicare un disco di tutto rispetto. Altamente consigliato per chi vuole qualcosa di nuovo e particolare. (Samantha Pigozzo)

(Self)
Voto: 75

http://www.emmeleya.com/