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martedì 25 aprile 2023

Drakon - П​р​о​б​у​ж​д​е​н​и​е (Awakening)

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Mi fa piacere poter constatare che nonostante gli strascichi della guerra, arrivino nella mia cassetta della posta, ancora cd dalla Russia. Sapete come la penso, per me la musica non ha confini, non ha colori, nè bandiere. Quindi il mio giudizio sui Drakon e sul loro lavoro ‘П​р​о​б​у​ж​д​е​н​и​е’ (‘Awakening’ in inglese) è libero da ogni forma di pregiudizio. Concentriamoci quindi su quello che è a tutti gli effetti il disco di debutto del duo di Chelyabinsk (che conta anche tre EP all’attivo) e su sonorità che sin dall’iniziale “Closedness of Forest Darkness” mi hanno evocato i fasti degli Emperor. Ecco, avrete già inquadrato la musica dei nostri che peraltro includono in formazione anche il vocalist Demether Grail, un vagabondo del metal che abbiamo già incontrato nei Lunae Ortus, negli Shallow Rivers, negli Skylord e negli Arcanorum Astrum, giusto per citare le esperienze più significative. Tornando alla musica, il disco include sette song che sono fondamentalmente un inno al black metal old fashion di metà anni ’90, “sporcato” di una leggera vena melodica che rende sicuramente di più facile approccio l’ascolto di questo disco. Infatti anche la seconda “In the Gloomy Feuding” (userò i titoli in inglese forniti dalla band per facilitarne la memorizzazione) parte sparata alla velocità della luce, con ritmiche vertiginose, chitarre in tremolo picking e le classiche screaming vocals, come andava di moda negli anni d’oro del black norvegese, per poi trovare un delizioso break centrale che ne attutisce toni e velocità. L’incipit di “Lunar Path” è cupo e successivamente frastornante a livello ritmico, con una batteria che sferra colpi alla stregua di una mitragliatrice M60 e con la voce del frontman, che esce come proiettili da quello strumento infernale. Fortunatamente, un break atmosferico rende l’aria appena più respirabile, ma ben presto la band ripartirà da ritmi infuocati e acidi vocalizzi. Ecco, diciamo niente di nuovo dal fronte orientale. La proposta dei Drakon va ad appiattire una scena sempre più povera di proposte originali, anche se vorrei sottolineare che quella dei due musicisti russi non è assolutamente una prova da bocciare. Anzi, qualcosa di buono si sente, soprattutto nella più compassata e melodica “In the Murk of Night”, ma il messaggio che deve passare chiaro qui, è che non c’è una sola nota in questo disco che possa dirsi dotato di una certa personalità. Per quanto mi riguarda, i Drakon hanno preso il testimone da alcune realtà norvegesi di 30 anni fa e stanno provando semplicemente a portarne avanti il verbo con risultati accettabili. Un paio di menzioni prima di chiudere vanno all’acuminatissimo riffing di “Above All” e all’epica robustezza di “Ode to North”, quest’ultimo forse l’episodio meglio riuscito di ‘Awakening’, che vanta peraltro un notevole assolo a cura di tal Pavel Sochev, personaggio esterno alla band, cosi come il bassista Vadim Basov e il batterista Vyacheslav Popov. Per concludere, ‘Awakening’ è un lavoro indicato a chi ha amato il black norvegese e ancor oggi insegue i fasti di un genere che sembra non essere più in grado di uscire dalle sabbie mobili della propria storia. (Francesco Scarci)

(Soundage Productions – 2022)
Voto: 64

https://drakonblackmetal.bandcamp.com/album/-

sabato 9 febbraio 2019

Lunae Ortus - White-Night-Wropt

#PER CHI AMA: Symph Black, Carach Angren, Cradle of Filth
Sembra che il black sinfonico stia tornando in auge come un tempo, interessante però vedere come la nuova ondata di band non provenga da quella che una volta era considerata la Mecca della musica estrema, ossia la Scandinavia, ma la new wave è ora principalmente di estrazione mittle-europea o di origine russo/ucraino. I Lunae Ortus arrivano appunto dalla Russia e, pur essendosi formati nel 2005, approdano solo nel 2018 con il loro album di debutto, il qui presente 'White-Night-Wropt', proponendo un black sinfonico come i grandi del passato hanno saputo fare, e penso a Dimmu Borgir e Cradle of Filth. Nove i pezzi a disposizione del terzetto di San Pietroburgo, che vede tra le proprie fila membri, ex e turnisti di Grailight, Skylord e Arcanorum Astrum. Infilandosi sulla scia dei nostrani Fleshgod Apocalypse, sebbene quest'ultimi più inclini ad una vena death sinfonica, meglio ancora degli olandesi Carach Angren, i Lunae Ortus hanno modo di offrire la loro personale visione del metallo sinfonico, affrontando in questo lavoro, l'assedio di Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale che durò 2 anni e 5 mesi e rappresentò una delle più cocenti sconfitte nella guerra lampo di Adolf Hitler. A corredo di questo tema arriva il sound dei nostri, ribattezzato per l'occasione "Imperial Symphonic Black Metal", termine che ci sta alla grande per delineare la struttura imponente di cui è intriso il sound della band, caratterizzato da un'importante matrice sinfonica sorretta da splendide tastiere. E cosi nascono le song di questo disco, l'opener "The Woesome Famine", ove tra ritmiche mid-tempo e tenui screaming vocals, trovano spazio le maestose orchestrazioni di Sergey Bakhvalov. Le atmosfere orrorifiche di "Poltavian Battle" ricordano per certi versi le cose più gotiche di Dani Filth e compagni, con quelle notevoli galoppate che evocano fantasmi lontani e che scomodano altri paragoni con i nostrani Theatres des Vampires per feeling evocato, anche se i più importanti punti di contatto ci dicono che i tre russi devono aver amato alla follia 'Enthrone Darkness Triumphant" dei Dimmu Borgir, chi del resto non l'ha fatto? E allora meglio lasciarsi assorbire dalle funamboliche ritmiche di "Bronze Horseman", sempre cariche di melodie e di frequenti cambi di tempo. Più ritmata invece "Toward the Dawn", con quelle orchestrazioni cosi sature da richiamare un altro disco dei Dimmu Borgir, 'Puritanical Euphoric Misanthropia'; qui semmai da sottolineare è la presenza della più classica delle cantanti liriche, per un pezzo che sembra ammiccare anche a Therion e Arcturus, soprattutto per il lavoro al piano. Non sono certo degli sprovveduti i Lunae Ortis, ma questo era chiaro vista la lunga militanza nell'underground, comunque resta apprezzabile il lavoro dal mood electro-cibernetico di "Unquiet Souls Under Water", quasi a voler offrire variazioni ad un tema che rischierebbe di divenire troppo scontato. La song scivola via tra portentose accelerazioni di scuola Children of Bodom e melodie ruffiane, non un male. La cosa prosegue sulla falsariga anche nelle successive song (da sottolineare però la presenza di clean vocals in "New World of Light"), fino all'ottava, "Charlatan's Dance", ove accanto al classico sound dei nostri, va in scena un inusuale fuori programma dalle tinte humppa-folk (di scuola Finntroll). A chiudere il disco in modo egregio, arriva anche "Forests of Rebirth", forse la mia traccia preferita, quella che sicuramente è più vicina al metal classico e sembra essersi scrollata del tutto l'approccio, talvolta fin troppo pomposo, del symph black dei Lunae Ortus. In definitiva, 'White-Night-Wropt' è un album più che discreto, che se fosse uscito vent'anni fa, avrebbe sicuramente riscosso il successo che oggi faticherà maggiormente ad ottenere. (Francesco Scarci)

(Soundage Productions - 2018)
Voto: 75

https://lunaeortus.bandcamp.com/album/white-night-wropt