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sabato 29 aprile 2023

Les Dunes - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
Come evolvono a volte le cose. La Norvegia, patria natia del black metal, ora è fucina infinita di talenti che si muovono in un sottobosco brulicante di eleganti sonorità post, prog e symph rock che ci hanno permesso ultimamente di perlustrare in lungo e in largo il territorio scandinavo. Oggi mi fermo a Haugesund, piccolo paesino nella contea di Rogaland, luogo da cui provengono questi Les Dunes. Anche qui, che cambiamento: una volta s’incensava la lingua degli antenati vichinghi, oggi si utilizza addirittura la lingua di altre nazioni. I Les Dunes non sono poi gli ultimi arrivati, visto che tra le proprie fila, inglobano membri di The Low Frequency in Stereo, Lumen Drones, Helldorado, Undergrunnen e Action & Tension & Space, che in questo album autointitolato, sciorinano otto pezzi strumentali condensanti post rock dai tratti dilatati, malinconici e meditabondi, che potrebbero evocare le sonorità intimiste di act quali Explosions in the Sky o addirittura Sigur Rós, laddove il trio si lancia in partiture più ambient (“Keisarholi”). Un approccio cosi tranquillo, che sfiora lo slowcore degli anni ’90, fatto di chitarre in tremolo picking, melodie soffuse (“Spectral Lanes”) e suoni minimalisti, ha però pregi e tanti difetti: nei primi collocherei una sana voglia di abbandonarsi ad un mondo sognante, tra i difetti, il fatto che dopo sole quattro canzoni non ne posso davvero più di andar oltre, inducendomi a slittare la finalizzazione della mia recensione il giorno seguente. L’effetto però si è rivelato il medesimo, con quello stesso desiderio di skippare al brano successivo e poi ancora avanti, perché dopo un po’, l’ascolto diventa dilaniante, noioso (“Zosima”), nonostante la band sia comunque composta da ottimi musicisti. Il fatto che rimane è che dopo un po’ non se ne può più, sebbene qualche buon spunto sia anche riscontrabile nel disco, ma forse qui più che altrove, l’assenza di un vocalist si fa sentire più che mai. In definitiva, ‘Les Dunes’ è un disco che mi sento di consigliare a chi non può proprio fare a meno della dose quotidiana di post rock strumentale, tutti gli altri si astengano se non vogliono ritrovarsi con un cappio al collo dopo pochi minuti. (Francesco Scarci)

(Kapitän Platte – 2023)
Voto: 60

https://lesdunes.bandcamp.com/album/les-dunes

lunedì 3 aprile 2023

Fargo - Geli

#PER CHI AMA: Post Metal, Russian Circle
Quattro lunghissime tracce strumentali per i teutonici Fargo e il loro post-rock/metal sognante, reso ancor più suggestivo dall'idea di affidare i titoli dei brani ai nomi di alcun città tedesche (esperimento già fatto in occasione dei primi due EP). E allora, ecco che il nostro tour di 'Geli' (nickname dato a Angelika Zwarg, madre di due cari amici della band, che fu una insegnante d'arte e pittrice che morì nel 2018 dopo una lunga malattia) parte da "Dresden", affascinante città della Sassonia che sorge sulle sponde del fiume Elba, e da qui si snoda lungo i suoi nove minuti, attraverso sonorità dapprima delicate, e poi decisamente più dirompenti, laddove il rifferama si fa più pesante e contestualmente, si palesano, come unica eccezione, anche le strazianti vocals del frontman. Poi, a braccetto bello veder andare chitarra, basso e batteria, con ampie porzioni strumentali ad accompagnarci in quei landscape sonico-atmosferici, sorretti da un ispirato tremolo picking. La seconda tappa fa sosta in Baviera a "Regensburg", sul bel Danubio blu. Sarà la componente poetica legata a quella del fiume più famoso d'Europa a renderla anche più morbida? Una morbidezza che durerà comunque giusto il tempo di un paio di giri di orologio per lasciare poi spazio ancora ad esplosioni chitarristiche, interrotte comunque da parti più atmosferiche, e nel finale decisamente malinconiche. Peccato solo che qui non si palesi quella lacerante voce che avevamo potuto apprezzare nell'opener, avrebbe fatto giusto comodo per spezzare la monoliticità del riff portante, sorretto peraltro da un drumming che sembra scandire il tempo come le lancette di un orologio. Terzo stop nella capitale, "Berlin", la traccia più lunga con i suoi quasi 10 minuti. Un incipit che mi ha evocato la colonna sonora di "Inception", la splendida "Time" di Hans Zimmer, una scalata lenta e sensuale che per oltre tre minuti sembra quasi rassicurarci con le sue melodie, per poi ringhiare grazie all'ardore delle sue chitarre. Ma il nostro collettivo, che si avvale peraltro anche di un paio di guest star, è abile nell'alternanza di tempi, grazie e soprattutto alla prova magistrale del batterista dietro alle pelli. La band ci porterà con ottime idee fino all'ultima sosta del loro tour, a "Pforzheim", città che in tutta franchezza non conoscevo, ma che nelle sue note racchiude a mio avviso il meglio di questo disco, essendo cosi ricca di pathos, forza e intensità, pur includendo un sample di due minuti di un discorso di Winston Churchill contro le ideologie omicide, il medesimo però che abbiamo già sentito nel 1984 in "Aces High" degli Iron Maiden. Suggestivo ma forse un po' troppo abusato. Nonostante qualche piccola sbavatura comunque, 'Geli' rappresenta un ottimo debutto su lunga distanza per i nostri, sebbene io proverei a puntare maggiormente sulla presenza di un vocalist come parte integrante del collettivo. (Francesco Scarci)

(Kapitän Platte - 2023)
Voto: 74
 

venerdì 12 agosto 2022

La Reine Seule - Visages

#PER CHI AMA: Neoclassic
Nel 1988 comprai un album della cantautrice italiana Alice, che interpretava arie di Satie, Faurè e Ravel, in una forma molto classica di solo piano, suonato dal maestro Michele Fedrigotti. Era intitolato 'Melodie Passagère' e mi colpì molto per il suo effetto sospeso, malinconico ma arioso pieno di vitalità, ma grigio interiormente, proprio come i colori della sua splendida copertina. La stessa bella sensazione la riprovo oggi nell'ascoltare 'Visages', il nuovo lavoro di Judith Hoorens uscito per la Kapitän Platte, già pianista dei post rockers We Stood Like Kings. Un album adulto, sognante, riflessivo ed onirico simultaneamente, un disco neoclassico di solo piano diviso in otto parti, dove da un'identica cellula musicale di tre sole note, tra minori e maggiori, si sviluppano tutte le varie melodie che compongono l'opera, donando una corposità materiale alla musica, che avvolge e rapisce l'immaginazione costantemente, nota dopo nota. L'effetto sospensivo è ipnotico e mette in mostra le capacità eccelse della pianista belga nel comporre ed eseguire musiche in solitudine di fronte ad un pianoforte, che a volte si copre di malinconiche arie ma che sanno anche dare cristallini tocchi di vitalità, una gioia leggera come un soffio di vento soffice sul viso. In queste otto tracce, La Reine Seule dona vita ad un lavoro magico, gestito come una colonna sonora per un film in bianco e nero di una pellicola retrò, intenso e profondo accompagnato da un artwork di copertina assai affascinante ideato dall'artista Taila Onraedt. Non è facile spiegare come un disco di questa fattura possa entrare nelle grazie di un pubblico esteso, ma credo che basterà un solo ascolto di 'Visages', per farsene una ragione, d'altronde Judith Hoorens, era già deliziosa nei dischi degli We Stood Like Kings fin dall'ottimo 'Berlin 1927', passando per 'Classical Re:Works', dove il post rock incontrava la classica, rivisitandola a suo modo e come fosse cosa di tutti i giorni farlo in quel contesto. La Reine Seule conferma la sua ottima qualità, anche in perfetta solitudine, legata mani e piedi al neoclassicismo di un piano che è impossibile non amare alla follia. Ascolto consigliatissimo. (Bob Stoner)
 

mercoledì 6 aprile 2022

Soonago - Fathom

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
Quando c'è di mezzo la Kapitän Platte, di solito c'è da aspettarsi qualcosa fuori dagli schemi. Anche questa volta l'etichetta teutonica ci porta in casa propria ad ascoltare questo nuovo album dei Soonago, intitolato 'Fathom', attraverso quattro pezzi piuttosto lunghi. Ci imbarchiamo in questa avventura, premendo il tasto play del lettore cd, per poi sprofondare nelle melodie metalliche di "Evac", un brano potente, decisamente melodico, ahimè strumentale e dotato di un forte retaggio post rock nel suo scheletro musicale. E su quelle architetture raffinate, sorrette peraltro da onirici break atmosferici, i nostri impongono le loro devastanti (ma sempre accattivanti) linee ritmiche che troveranno il massimo sfogo in un dirompente finale. Le cose si fanno ancora più interessanti con "Besa", una song che corre via veloce (si fa per dire, visti i suoi 13 minuti) tra alti e sonanti vortici ritmici, cambi di tempo, rallentamenti vari, flussi emozionali grondanti vagonate di malinconia, complice una sezione d'archi che si prende tutta la scena dopo cinque minuti e prosegue vibrante fino al termine del pezzo, in una girandola di emozioni, ideale per il mio stato d'animo di oggi. Cala la notte, arrivano le lenti e sensuali melodie di "Apophenia", morbide come una carezza rassicurante sul viso rigato da lacrime di dolore. Quel dolore che sembra cedere il posto ad un più epico inno di gioia che esploderà nel corso di una traccia comunque inquieta, come quella stessa inquietudine che alberga nella mia anima. È il disco che dovevo ascoltare oggi, non ci sono più dubbi, nemmeno quando nelle casse irrompe la title track e quelle sue più stralunate melodie che sembrano aver a che fare molto meno con quanto ascoltato sin qui. Ero certo che in un modo o nell'altro i Soonago mi avrebbero colpito con un fare diverso, fuori dai soliti canoni del post rock e questa traccia rappresenta la dimostrazione più lampante di un disco che non sarà l'emblema dell'originalità, ma che certamente lascia ascoltarsi per la sua eleganza, potenza, emotività, a cui aggiungerei anche la presenza di un certo Magnus Lindberg (Cult Of Luna) dietro alla consolle. Ben fatto! (Francesco Scarci)

(Kapitän Platte - 2022)
Voto: 75

https://soonago.bandcamp.com/

domenica 2 gennaio 2022

Orsak:Oslo - Skimmer / Vemod

#PER CHI AMA: Post/Kraut Rock
'Skimmer' e 'Vemod' sono due EP usciti rispettivamente in formato digitale a giugno 2020 e a dicembre 2021. La label tedesca Kapitän Platte ha pensato bene di prendere i due dischetti e schiaffarli su supporto fisico (vinile e cd) e darceli in pasto. Noi eravamo rimasti al loro album omonimo nel 2019 e quindi aspettavamo con un certo interesse una nuova uscita del quartetto norvegese-svedese, dato il positivissimo feedback sul precedente lavoro. Eccoci dunque accontentati con sei pezzi che propongono il classico sound post rock strumentale della band scandinava, sempre e comunque a cavallo con certa psichedelia e il kraut rock. A differenza del mio buon vecchio collega però, che osannava in un certo senso il sound dei nostri, io in tutta franchezza, non mi sento di dire che la proposta dei quattro musicisti sia cosi imprescindibile. Di album di questo genere, per quanto questo sia davvero ben suonato, ne sento e recensisco a bizzeffe, basti pensare a tutta la produzione Bird's Robe Records. Gli Orsak:Oslo alla fine non inventano nulla di nuovo, ci prendono per mano con il loro sound riflessivo ("Passage"), rilassante ("Skimmer"), estremamente atmosferico tra l'acustico e il graffiante ("Cloudburst"), l'ipnotico ("Vemod"), il pulsante ("Mod America", tra l'altro il mio brano preferito) e ancora quella proposta a metà strada tra post punk e post rock, guidato sempre da un'ispiratissima chitarra che per tutto il disco si prende la scena. 'Skimmer / Vemod' alla fine ci consegna una mezz'ora abbondante di suoni piacevoli, ma che non mi sento cosi propenso a rubare con gli occhi. (Francesco Scarci)

venerdì 22 maggio 2020

Meanwhile Project Ltd - Marseille

#PER CHI AMA: Alternative/Indie Rock
Sono passati alcuni anni dal precedente album del duo tedesco, molti live set ed esperienze umane che hanno portato i Meanwhile Project Ltd ad una maturazione più che compiuta, una sorta di rinascita artistica con numerosi spunti musicali presi in prestito da molteplici fonti sonore, tante idee per composizioni creative e colorate. Tanta è la qualità espressa in questa manciata di canzoni dai mille volti, raccolte assieme da un unico comune denominatore, l'indie rock in tutte le sue forme. A dire il vero, dentro questa scatola musicale ci troviamo di tutto, dall'alt country di "Marseille", che dona il titolo anche all'album, all'indie rock alla Deus del singolo "Selina", sorretto da atmosfere acide e luccicanti, e un sound imprevedibile e suggestivo, ai confini temporali con gli anni '70, capitanato da una malinconica marcetta di memoria doorsiana, e ancora che dire della splendida "Idols Shaking Hands". Lo spettacolo continua con "Insect Boy" che rincorre le romantiche e tempestose teorie canore del miglior Neil Young mixate ad una vena psichedelica astratta in puro stile Mercury Rev (incredibile la somiglianza vocale con Donahue e Young in questo brano). "Lost on Demand" ed "Emigrant" toccano il lato sentimentale ove sale in cattedra una certa ammirazione per il folk, complesso e raffinato, del miglior Nick Drake, con quell'arrangiamento fiabesco che esalta il lavoro in sottofondo fatto dagli ospiti/amici della Subway Jazz Orchestra che da questo punto del disco diventano veramente indispensabili al sound dei nostri. Il sax sospeso di "Tired Boy" e l'ombra del dark jazz di "Golden Sunrise" esaltano il suono e lo espandono in profondità ed espressività portandolo fuori dal tempo, costruendo una forma canzone originalissima e poco accostabile ad altre realtà. "Seventyheight" è un cortocircuito notturno che con le sue arie, ricorda le atmosfere rarefatte, delle composizioni dei Fleet Foxes, mentre la conclusiva "Ghost With a Toy" ci avvia alla fine del viaggio, rimarcando quel tocco di malinconia eterea che avvolge l'intero album. La premiata ditta Marcus Adam & Marcell Birreck ha sfornato un gioiellino tutto da ascoltare, valorizzato da un suono avvolgente, raffinato, un disco ragionato e ispirato, suonato, cantato e composto con grande maestria. Un grande disco di indie rock e finalmente, possiamo dire che il pop è diventato adulto. Ottimo lavoro! (Bob Stoner)

martedì 14 gennaio 2020

Action & Tension & Space - Explosive Meditations

#PER CHI AMA: Psych Rock
Tre pezzi per quaranta minuti di musica strumentale, quella dei norvegesi Action & Tension & Space. Moniker particolare, ma anche la musica di questo 'Explosive Meditations' non scherza affatto in peculiarità. Lo dimostra subito l'opener "Peruvian Dream", libera ad abbandonarsi nella più pura improvvisazione tra un drumming tribale, tocchi di mellotron e organo, con una fumosa atmosfera da lounge bar, e a sguazzarci in mezzo troviamo delle sorprendenti chitarre rock che fluttuano nell'etere fantasioso di questi quattro musicisti che inglobano tra le proprie fila membri di Soft Ride, The Low Frequency In Stereo, Ape Club, Electric Eye e Lumen Drones. La loro militanza in queste realtà particolari si materializza in questo trittico di song altamente fulminate che ricordano i Pink Floyd più deliranti e sperimentali, ma anche le divagazioni frastornate e lisergiche dei The Doors. La band ci tiene a far sapere che il disco è stato registrato sull'isola di Karmöy durante una due giorni di pioggia pesante e burrasca che in un qualche modo deve aver influenzato gli umori del disco, conferendogli una maggiore dinamicità. E io non posso far altro che apprezzare e godermi i meditabondi impulsi sonici della band che si gioca la carta dell'onirino nella successiva e un po' strampalata "Mørke Skyer Over Sildabyen", fino ad arrivare alla conclusiva "Destroyer of All Worlds", gli ultimi venti minuti scarsi di una release senza alcun dubbio coraggiosa, che ha ancora modo di soggiogarci attraverso il sound cosmico, dronico, ambient, a tratti anche fumantino, di una band che vi invito caldamente ad assaporare in tutte le sue peculiari venature sonore che potrebbero evocare addirittura i Motorpsycho di un ventennio fa. Consigliatissimi. (Francesco Scarci)

mercoledì 23 ottobre 2019

Halma - The Ground

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale
Se avete bisogno di rilassarvi e ricaricare le batterie, non c'è niente di meglio che affossarvi in una bella poltrona comoda, un po' di penombra ed un volume dello stereo non troppo elevato, lasciando fluire nel vostro corpo e mente, le note di questo nuovo capitolo dei teutonici Halma. 'The Ground' è il titolo del loro settimo album, se non vado errato, con il quartetto di Amburgo a prenderci per mano e farci fare un giro nel loro sottosuolo. Mentre me ne stavo spaparanzato ad ascoltare il cd però, le immagini che mi si compongono nella mente sono più quelle di un giro notturno per una luminosissima città sconosciuta; fuori dall'auto il caos, ma io dentro mi ritrovo ovattato in anomali suoni, costituiti da timidi bassi e flebili percussioni, come quelle che potete assaporare durante l'ascolto di "Advanced Construction" o "Peak Everything", le prime due song di 'The Ground'. Per quanto i quattro musicisti ci propongano una forma strumentale di post rock, sappiate che l'ascolto del cd non è propriamente dei più semplici. Potrete ritrovare infatti divagazioni noise, proprio come accade nella seconda parte di "Peak Everything", oppure lisergiche partiture psyck rock, perennemente guidate da quel basso che sembra essere lo strumento portante degli Halma, e che nel corso ritroveremo tonante a tratti, tipo quando sostiene la linea di chitarra di "CK and Why?", più sciamanico nel suo incedere nella seconda parte dello stesso brano, che per certi versi mi ha evocato un che dei The Doors. Il disco prosegue su queste coordinate anche con le successive "It Could All Be Different", song asfittica ed eccessivamente ridondante per i miei gusti, in quel suo nebuloso incedere. Troppo spazio infatti viene concesso al basso e dopo il un po' il rischio di annoiarsi è dietro l'angolo, invece quando è la chitarra a prendersi la scena, le cose si fanno più interessanti. Detto che in un simile contesto, una voce ci stava verosimilmente come il pane a destabilizzare un sound talvolta troppo monolitico, il cd prosegue con la malinconica e riverberata verve di "Keep it in the Ground", dove ancora l'abuso del basso finisce per abbassare il mio indice di gradimento verso la band. Ed è un peccato perchè i presupposti iniziali erano più che positivi, perchè va bene rilassarsi, ma qui il rischio è di piombare in un sonno pesante. (Francesco Scarci)

lunedì 20 maggio 2019

Orsak:Oslo - S/t

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock, Mogwai
Il post rock è un genere ormai inflazionato e vanta una produzione di band e dischi vicina alla saturazione. Tuttavia fa sempre piacere sentire una band che interpreta il genere in modo personale e originale, come nel caso di questo disco dei Orsak:Oslo, una lavoro che ricorda gli Earth ma anche gli Alcest e i Mogwai con una tendenza all’oscurità e alla meditazione. Sono paesaggi i pezzi di questo disco che si susseguono come in un lento viaggio percorso a piedi, con calma, senza la fretta di arrivare da qualche parte ma solo con la volontà di viaggiare e di scoprire nuovi luoghi. I pezzi scorrono con intensità tracciando scenari fiabeschi a tratti, e a tratti inesorabili e maestosi. Seppur il disco sia strumentale, la soddisfazione delle nostre orecchie così come l’attenzione mentale, è completamente catturata dai sentieri lunghi e impervi che questi ragazzi hanno costruito per noi. Si percepisce distintamente che non si tratta di una prima prova e che tra i musicisti ci sia un’alchimia particolare, un equilibrio unico in cui ognuno riesce a dare esattamente il contributo che serve alla musica, nulla di più, nulla di meno. Tra tutte le tracce spicca la cadenzata "Sleepwalker", decisamente la mia preferita del disco, che con i suoi gravi tonfi di chitarra e la sua ritmica mi fa sentire come se stessi partecipando ad una seduta di meditazione profonda, in mezzo ad incensi e candele, al cospetto dell’immagine del divino così severa nella suo palesarsi a chi l’ha invocata, e così piena allo stesso tempo di risposte e di domande, una contemplazione intensa e purificatrice. La seguente "Crying For Sleep" invece presenta degli spunti più trionfali, quasi celebrativi con i suoi ambienti rarefatti e i suoi arpeggi sbilenchi sembrano delle foglie di una foresta infinita che si muovono all’unisono sui rami di alberi millenari che mai saranno toccati da mano umana. Orsak:Oslo è un bell’intreccio d'improvvisazione e di composizione con degli sprazzi di psichedelia e blues ben amalgamati tra loro con grande maestria e con forte personalità. Davvero un ottimo disco, consigliato a tutti gli amanti del post rock e in generale a tutti quelli a cui piace perdersi nei pensieri, fissare il tramonto o guardare le nuvole che sornione passano e continuamente cambiano forma. (Matteo Baldi)

mercoledì 15 maggio 2019

From Another Mother - ATATOA

#PER CHI AMA: Math Rock/Punk
Al giorno d’oggi l’offerta musicale è talmente ampia e ramificata che si fatica a tenere il passo delle nuove proposte: inutile dire che le produzioni di formazioni affermate provenienti da scene “storiche” catalizzano l’attenzione di pubblico e critica, forti della maggior visibilità guadagnata nel corso degli anni. Tutto questo ha un prezzo: molto promettente materiale di realtà dell’underground non riceve la meritata attenzione, così come il lavoro di artisti provenienti da scene ancora lontane dalla luce dei riflettori. Ho pensato a questo quando mi sono imbattuto in 'ATATOA', seconda fatica dei croati From Another Mother, eclettico terzetto in azione dal 2013 che promuove una sorta di fusione tra math rock cerebrale alla Dillinger Escape Plane, sfuriate punk-rock e passaggi più orecchiabili: una gran bella miscela che richiede non poca abilità per essere concepita e amalgamata. La ricetta concentrata in queste nove tracce è ricca di sfumature e sicuramente interessante (per quanto un po’ acerba), tuttavia le informazioni presenti in rete sulla band sono davvero scarse e risulta quindi difficile farsi un’idea su ciò che ha portato alla genesi dell’opera: lasciamo dunque parlare la loro musica. La prima traccia “May” ci fornisce subito una chiara indicazione di come si svilupperà l’album: partenza leggera e accattivante, caratterizzata dal cantato scanzonato e dalla chitarra pulita, che dopo meno di un minuto lascia bruscamente spazio ad un esplosivo ritmo serrato a supporto di un travolgente assolo di chitarra e voci urlate. Il repentino alternarsi di parti melodiche e riff furiosi sembra essere il marchio di fabbrica del gruppo e viene ripreso anche in “First Things First” e “Song Number 9”, dove possiamo apprezzare l’abilità dei tre musicisti nel destreggiarsi tra i cambi di tempo e le irrequiete dinamiche che costituiscono l’ossatura di 'ATATOA'. Decisamente più atmosferiche e sognanti sono invece “Supernova” e “Walnut”, brani che risaltano grazie alle forti influenze post-rock e che richiamano i britannici And So I Watch You From Afar, ma nemmeno in questi i From Another Mother lesinano nello spingere sull’acceleratore, lanciandosi in tumultuosi crescendo rumoristici quasi shoegaze. “I Will Atone” e Slightly Wrong” si distinguono invece per le divagazioni jazzy e gli elaborati giri di basso, mentre in coda troviamo “Keep Your Head” e “Baited”, i brani più diretti e pesanti del mazzo, i quali meglio esprimono l’anima “heavy” della band senza per questo cadere nel banale. 'ATATOA' è un album che incanala l’entusiasmo del gruppo e trasmette per tutta la sua durata emozioni estremamente positive, riuscendo a coinvolgere l’ascoltatore e rendendo l’ascolto piacevole e leggero, malgrado i repentini cambi di tempo e le nervose strutture delle canzoni. Se da un lato la tecnica nell’esecuzione e la ricercatezza degli arrangiamenti non sono in discussione, va detto però che i pezzi, per quanto validi, si sviluppano in modo troppo eterogeneo, suscitando spesso la sensazione di ascoltare la registrazione di una divertente jam session. Nel complesso il lavoro sembra mancare di un’idea di insieme e fatica a trasmettere un concetto unitario, disperdendo molte ottime idee in un’impetuosa ricerca di varietà stilistica. I From Another Mother giocano tutte le loro carte sulla creatività sregolata, dando liberamente sfogo ad ogni idea e confezionando un disco energico e diretto; la band, invece di puntare con decisione verso percorsi più ambiziosi per valorizzare il proprio notevole bagaglio tecnico, sembra volersi accostare più ai rassicuranti filoni punk e alternative rock, ma per una giovane realtà dell’est europeo, ancora alla ricerca di un posto al sole, probabilmente va bene così. (Shadowofthesun)

(Kapitan Platte - 2019)

mercoledì 13 giugno 2018

Monophona - Girls on Bikes Boys Who Sing

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock/Trip Hop, Portishead
Il quarto album dei Massive Attack lussemburghesi propone una indietronica concettuale, politica e sensibilmente consapevole ("Here After") a tratti indissolubilmente folkeggiante ("The Benefit of the Doubt"), o rocchettara ("Folsom Prison Blues") o ancora cheerleader-parecchio-carina-ma-altrettanto-strafatta-like alla Warpaint ("Lada"), altrimenti collocabile tra il terzo e il quarto album di Björk (non tutto l'album, eh, ma almeno l'opener "Courage" e "Hospitals for Freedom"). Interessanti gli episodi più off, vale a dire l'angrr-triphop di "Tick of a Clock" e la funktoplasmatica "We'll Be Alright" in chiusura, fervida di vocine ultraterrene. Ma a voi, però, sarà per la intensa valenza iconica, sarà che ormai siete diventati un manipolo di vecchi coglioni pseudometallari delle mie ghiandole rinsecchite, a voi, dicevo, vi salta soprattutto all'orecchio la profusione bristoliana di rumorettini off stage: il mescolio di un cocktail in "The Benefit of the Doubt", una lattina stappata in "Courage", il fruscio di vinili nella portishosissima "I Will Be Wrong". Roba che avete già sentito un migliaio di milioni di volte, brontolerete infine. Ma sottovoce. (Alberto Calorosi)