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sabato 27 febbraio 2021

Les Chants de Nihil - Le Tyran et l'Esthète

#PER CHI AMA: Symph Black
Mentre i Les Chants de Nihil tagliano il traguardo del quinto album, io me li trovo davanti per la prima volta in vita, che vergogna. Autofustigatomi per benino per le mie mancanze, mi metto all'ascolto di questo 'Le Tyran et l'Esthète'. Il disco, promosso dall'ormai omnipresente Les Acteurs De L’Ombre Productions, ci propone un interessante concentrato di black dalle tinte sinfonico-folkloriche che si dipanano dalle scorribande sonore della seconda "Entropie des Conquêtes Éphémères" che segue a ruota la strumentale "Ouverture". Il suono dei nostri non è cosi semplice da digerire per quanto l'approccio sinfonico ne dovrebbe invece agevolare l'ascolto, ma le elucubranti orchestrazioni unite a funambolici giri di chitarra e vocals che si manifestano sia in versione harsh che in un cantato più pomposo (direi grandeur), rendono l'ascolto non proprio cosi immediato. A questo aggiungete vorticose linee ritmiche in cui basso, batteria e chitarra sembrano in realtà cavalli imbizzarriti alla guida di una carrozza totalmente fuori controllo (la mia immagine di "Ma Doctrine, Ta Vanité"). E il parallelismo vocale tra scream efferati e cori maestosi, il tutto rigorosamente cantato in francese, con un suono che non resce a star fermo nemmeno un attimo e che qui in chiude addirittura in un rallentamento doom, non agevolano certo l'assimilazione della proposta dei quattro musicisti proveniente dalla Bretagna, dal piccolo paesino di Pléri. E quell'appendice doom in chiusura della terza traccia serviva ad introdurre la gloomy (adoro questo termine ad indicare la cupezza di un suono) "L'Adoration de la Terre", un pezzo che inizia in modo alquanto rallentato prima di deragliare in una serie di ambientazioni che variano tra il sinfonico, l'avantgarde, il progressive e ovviamente il black, in una sorta di rivisitazione della musica di Stravinsky, con il tutto comunque corredato da una più che discreta dose di imprevedibilità che rende il disco decisamente poco scontato. "Danse des Mort-nés", più lineare delle precedenti, mi ha evocato un che dei conterranei Misanthrope. Interessante ma non avvincente come quanto ascoltato sino ad ora, colpa forse di una linea di chitarra troppo più vicina allo zanzaroso black norvegese piuttosto che al maestoso sound delle prime tracce. Con la title track spazio al marziale drumming di Sistre prima che le voraci e schizoidi linee di chitarra prendano il sopravvento in un turbinio sonoro (per lo più di stampo militaresco) che vedrà esibire anche uno splendido assolo che non avevo ancora fin qui assaporato e che rappresenta la classica ciliegina sulla torta. "Ode Aux Résignés" esibisce una malinconica melodia iniziale in un brano dai tratti più compassati che comunque nella sua seconda metà, non rinuncerà all'ebbrezza dei ritmi infernali delle sue chitarre. "Lubie Hystérie" ha ancora forza dirompente per investirci con il tremolo picking, con i nostri che non si esimono nemmeno qui in cervellotici giri di chitarra che ci danno il colpo del definitivo KO. Ma non siamo ancora alla fine visto che sarà "Sabordage du Songeur - Final" a porre fine alle ostilità. Il brano è l'ultima scheggia impazzita di un disco sicuramente suonato a livelli disumani sia di tecnica che di velocità esecutiva, per un album intensamente bombastico e moderno che comunque non rinuncia agli echi di un passato glorioso nè ad un modernismo presente. Un lavoro, 'Le Tyran et l'Esthète' che necessita comunque di grande pazienza per poter essere assimilato. (Francesco Scarci)

venerdì 26 febbraio 2021

Shame on Youth! - Human Obsolescence

#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Spaccano di brutto questi Shame On Youth!, quartetto originario di Bolzano che mette il punto esclamativo non solo alla fine del proprio monicker ma anche della propria performance sonora. 'Human Obsolesence' è il loro debut a cinque anni dalla loro fondazione, un disco che miscela alla grande punk hardcore con il garage rock, il tutto certificato già dall'opener "Got No Choice" che irrompe in tutta la sua frenesia punk rock senza rinunciare a bordate stoner e che prosegue anche nelle ritmiche fortificate della successiva "The Show Must Go Wrong". Contraddistinta da una bella carica di groove nei suoi giri fuzzati di chitarra e nelle elucubrazioni del basso, si presenta anche con quei chorus che invitano a lanciarsi in un pogo infernale. Le due asce non si sono certo dimenticati di come si facciano gli assoli, brevi, efficaci nel loro stamparsi nel cervello e dal classico taglio heavy rock. "Seed" ha un intro poco rassicurante, per poi lanciarsi in una cavalcata tesa ed incazzata che invoglia solo un headbanging frenetico, di quelli che ti aggiustano la cervicale, a meno che non ve la rompiate prima durante una danza ipercinetica. Ma la traccia rallenta pure, s'incunea in versanti dark, per poi ripartire di slancio ancor più rabbiosa negli ultimi 45 secondi dove i nostri vi faranno vedere i sorci verdi. E si prosegue sulla falsariga anche nella successiva "Mr. Crasher", più lineare e meno convincente a mio avviso, quasi che l'effetto sorpresa si sia esaurito con la precedente 'Seed'. E allora avanti con più curiosità per ascoltare "A Bunch of Crap (I Don't Care About)" e sperare di essersi sbagliati. Nel suo chorus iniziale mi ricorda un coretto di un vecchio disco dei Rostok Vampires, poi la canzone ha un piglio più old style che sembra depotenziare quella verve micidiale dei primi pezzi. Il basso velenoso di Matteo Cova apre "Uniform", un pezzo quasi hardcore, dotato di una pesantissima linea di chitarra che unita a quel cantato rabbioso opera di tre ugole, la rendono forse il brano più efferato del platter. "Fluke of Faith" è un breve inno al punk, cosi come "Premium 9,99", punk rock'n roll sufficiente per farci fare gli ultimi salti prima della conclusione affidata a "Demons are Right". La song, all'insegna di un ruvido garage rock, ci regala gli ultimi imprevedibili giri di orologio di 'Human Obsolesence', un buon biglietto da visita dei nostri italici portatori di vergogna. (Francesco Scarci)

Vestindien - Null

#PER CHI AMA: Black/Epic, Isengard
Dalle lande norvegesi ecco arrivare i Vestindien con il loro debut su lunga distanza, ben nove anni dopo l'EP che li vede debuttare, 'We Are the Lords of Hellfire, and We Bring You​.​.​.​Fire'. Il quartetto di Bergen, una città che ne ha viste di belle per quel che concerne la scena black metal negli anni '90, propone un black che prende drasticamente le distanze dal punk/hardcore degli esordi. 'Null' parte in sordina, con le note strumentali e assai malinconiche dell'opener "Mot Dag", che mi danno un'idea del tutto estranea a quello che sentiremo da "Beerenberg" in poi. Si perchè dal black atmosferico della traccia d'apertura si passa ad un sound più old school che evoca nella sua linea di chitarra il mefistofelico duo Venom/Bathory, mentre la voce irrompe prima in falsetto (King Diamond docet) per poi farsi più screamish. E nella parte finale, il black si miscela al thrash per una chiusura più robusta. "Meldrøye" mi dà una visione più epica dei norvegesi, quasi i nostri rendano tributo agli Isengard del buon Fenriz, con un sound decisamente più ritmato ma anche estremamente più melodico e venato di quel piglio folklorico che contraddistinse il mitico 'Vinterskugge'. Con la title track, le melodie si fanno più dark e al contempo ipnotiche, complice dei synth vintage che potevano stare tranquillamente nella colonna sonora di 'Twin Peaks'. Il sound è cupissimo, complice quel basso che detta i tempi in sottofondo ma che oscura totalmente tutti gli altri strumenti, mentre la voce del frontman Torjus Slettsnok eccheggia nel sua cantato il buon Quorthon. Da brividi. Quelli che non ho sentito invece nella più lineare "Ormegard", una traccia in cui forse emerge il retaggio hardcore dei nostri, ma che nel finale palesa invece ancora forti ancoraggi con il folklore nordico. Meglio la successiva "Ned", un mix tra black, viking e folk che la rendono davvero gradevole e danzereccia. Con la conclusiva "Øst for Sol", i suoni si fanno più compassati, e per quanto la song ammicchi ai Bathory più foschi, la traccia non mi coinvolge fino in fondo. Alla fine 'Null' è un album con un paio di hit davvero azzeccate ("Meldrøye" e "Null"), che lascierebbe presagire grandi potenzialità per il futuro, fatto salvo che non si debba attendere altri dieci anni. (Francesco Scarci)

(Dark Essence Records - 2021)
Voto: 73

https://vestindien.bandcamp.com/album/null

Sabaton - The Great War

#FOR FANS OF: Power Metal, Falconer
I was impressed from the beginning in first hearing this band and their power metal onslaught in 'The Great War'. I am not doubtful at all to give this a perfect score. The vocals and aura to the band makes this album invigorating. They really know how to hit home with some great and original power metal. The guitars were awesome and the synthesizers make the album that much of a "happier" sound. They really lift up the spirits here and the leads are with precision, carefully orchestrated. I would venture to say that this one is a top release in the year it was released (2019).

This album has a tinge of Falconer-like sounds to them. And the lead guitars are simply amazing! This is an all-out great power metal addition to the metal community. The vocals and synthesizers are a little overpowering but it doesn't make this any lesser in rating it. I thought that this would be not what I expected, but I was surprised in a good way. It's one release to turn on if you don't want to hear something brutal, it's the actual opposite of that. They are like I say "happy" metal they are invigorating. I like the fact that they do change things up on here it's not always in your face vocals and synthesizers.

I felt that the sound quality was really good! Between the music, the vocals and the production, it's a release that just nails it from start to finish! They don't disappoint. It might be under 40 minutes, but that doesn't take away from being a great release. Some of our MONUMENTS are only 30 minutes. So just be aware of this and hold on tight to it because it's mind blowing. The intensity and the overall sound quality is superior. These guys know how to tear it up in the lead department, too! The whole album has the listener keying into it and finding it amazing! It truly IS a MONUMENT.

If you're still reluctant about purchasing this release check it out on YouTube or Spotify. Then you'll get a feel for the band. If power metal isn't your "thing", then hold off. But if you want something invigorating and upbeat, you'll like this. It gave me pause at first then I slowly got into it and enjoy it from start to finish. It's just a lot of positive vibes here and the musicianship is phenomenal, I felt that the vocals were invigorating, absolutely! And the sound of this album is so positive. It really is something that can lift up your spirit if you're feeling distraught. Get it today or at least check it out! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2019)
Score: 85

https://www.sabaton.net/

Impalement - The Impalement

#FOR FANS OF: Black/Death
This is a somewhat raw death/black metal onslaught by these two newer musicians that demonstrate superiority upright with this album! The guttural vocals and brutal guitar riffs summon the antichrist with this abomination. Definitely dark and dreary a debut that scolds the righteous reigning in darkness. The music is outright depressing and the riffs quite original. Don't expect anything but your utmost darkening disturbance with this album. They know how to utter chaos and despair especially in this pandemic. The music here is a pandemic itself, with it's moments of fast guitar mixed with despondent chokehold.

I would have to say that upon repeated listens to, 'The Impalement' is one of the darkest releases I've heard from this year. Not Vader, not anyone else these guys show bleakness in it's path to destruction. The double bass kicking, the tremolo picking guitar riffs and the production sound is all ever disparaging. Weird they're just a 2-piece. But they sure as hell know how to bludgeoning destroy your eardrums. They really show that even with a debut that they have a long career ahead of them. With the originality and brutality, Impalement knows how to get every last bit of utmost dreariness out there.

The vocals mixed with the guitar causes desperation and depressing after effects. There's no dropping these guys, they're in for the long haul. Somewhat like Darkthrone but more brutal and the mixture of both death/black metal combined making them unique. There are some songs that are filled with hatred and others more of a groove laden guitar work. But overall they show you how they destroy your speakers with sounds like never before. A shit-ton of tremolo picking and double bass. Not something to listen to on a dark, depressing day. The can overindulge you with depression.

Maybe check Spotify or YouTube for songs. I supported the band by buying the CD. You won't hear much more darkness that this one here especially on a debut. The guitar solos need a little work but the rhythms are wholly original and death-defying. You'll get it all here, one monument of noise destruction. These guys demonstrate hatred here and blasphemy. Show them that you can appreciate their efforts especially the frontman by getting this one on CD. They need more support and more people listening to their musicianship. It definitely slays galore! (Death8699)


giovedì 25 febbraio 2021

Seasurfer - Zombies

#PER CHI AMA: Dream Pop/DarkWave
“SOS” non è una mia richiesta d'aiuto ma l’incipit di 'Zombies', atto terzo del progetto tedesco Seasurfer, che racconta l’urgenza scomposta tra ruggente post punk e darkwave, tra rabbia e pensieri, tra graffio e cura. L'opener dell'ensemble di Amburgo, ribalta il senso comune perchè il graffio diventa la cura e la cura sublima. Si sposta la torcia dalle rocce acuminate di un sound electro noise invadente, a quell’acqua che racconta che una grotta non è stagna. Parte un vibrato, un ritmo synth pop di anni passati (gli indimenticabili ottanta) ed una danza metallica che stride sul ferro dell’ascolto da fare scintille più di una saldatrice. È lei la voce calda e pulsante di "Too Wild". Avanziamo a quadrato come in battaglia, quando parte "Zombies". Siete pronti per una via tortuosa, contorta e adamantina? Una voce d’angelo che custodisce l’inferno. Un sollievo apparente che vi farà viaggiare tra gironi danteschi e paradiso. Il lavoro partorito da Dirk Knight è una strada lunghissima, articolata, introspettiva. Mi perdonerete se lascio in etere alcune tracce, ma prima debbo sostare in "Tears & Happiness", leggera come un filo invisibile che lega i sensi ai polsi, volubile come la golosità per chi ha fame. Veniamo a "Chemical Reaction". Balliamo con la mente ammaliata dalla voluttà della voce sensuale di Apolonia che fino alla traccia 16 si dividerà il ruolo con Mr Knight, per poi lasciare il posto a Elena Alice Fossi dei nostrani Kirlian Camera, per le rimanenti otto del secondo cd, 'The Dreampop Days'. Se volete mandare on air un ambient spinto, la breve “Devils Walk” farà per voi. In apparenza luci impazzite di un rave di emozioni. In verità un limbo, un purgatorio che lavora per un orgasmo paradisiaco in musica. Batte la bacchetta sull’altra bacchetta del batterista. Battono i bassi. Percuote lo stile di questa band. E mentre mi faccio strada nel silenzio dell’attesa, mando su come uno shuttle "Pretend". Questa traccia vi farà vorticare nell’iperspazio. Vi tatuerà l’ascolto nei timpani, lasciandovi sospesi per un po’ tra la Terra e Marte. Vita e guerra. L’ascolto continua elettrizzando le mie sensazioni quando parte la strumentale "Heaven". Ci ammortizzo la giornata. Ci faccio un giro dentro. E quando esco, mi accordo di aver vissuto un momento catartico che ha spezzato la mia quotidianità e composto l’ispirazione con la sua eterea synth wave. Non perdete la strada che vi porta in questo regno di Oz. La strada è lunghissima. E siamo solo alla traccia 15 di 24. "Dead in the Garden". Ripenso ascoltando ai Depeche Mode, ma anche alle più recenti performance degli Ulver. Quella contrattura di musica lontana che si allenta in un eco blu scuro. Il brano parte anni '90 per continuare ridondante senza forma e sostanza. Se volete un loop, questo vi piacerà. Ancora, ancora senza tregua, i Seasurfer ci fanno cambiare scenario. “Blue Days”. Cambia l'interprete vocale, non cambia il risultato. Dovrei essere descrittiva ma qui sono rapita da questa voce femminile. Dolce, malinconica, sensualissima. Me la godo e basta. Sappiamo che per ogni piacere, il karma ci manda indietro un dolore. Il mio karma è veloce e sintetico. Quando "Killing Tears of Joy" va on air, mi spezza l’anima. Mi fa sanguinare il cuore con la sua toccante malinconia. Mi porta ad un sentire senza barriere. Complimenti alla band per saper come scoprire le ferite e curarle al contempo. Leggera, delicata, anzi direi vellutata, è invece "Shine". Un balsamo di oscuro dream pop che ci prepara a "Fairies in Twilight". Il balsamo diventa mani sulla schiena, un intercalare fisico attraverso la musica che passa dalla mente al coccige. Un vello di suoni sintetici, quasi impossibile da descrivere, come solo la musica può fare. Sappiamo che ogni gioco vale la candela. Quest'album inizialmente mi sembrava una vetta invalicabile con le sue 24 song. Ora arrivata quasi alla vetta, voglio chiudere la mia personale scalata con "Fear in the Woods" (mancherebbero infatti ancora due brani a rapporto). Ma questo per me sarebbe un degno epilogo. Ad ogni fuoco corrisponde un ghiacciaio. Alla pace la paura. Quest'album mi ha fatto vivere battiti e morte apparente. L’azzardo e la bellezza. Molto, molto bene i Seasurfer. È infatti cosi che mi piace viaggiare al limite delle emozioni. (Silvia Comencini)

Swans - The Burning World

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Shoegaze/Darkwave
Una manciata di esangui lamento-tristerie dark-pop squisitamente anni '80 ("Well, I awoke this morning in the blackest night / and a million stars were aching in the sullen sky" cantato in "The River That Runs With Love Won't Run Dry", epperdincibacco) intrise di un generico pessimismo licantropico ("God Damn the Sun"), rattristanti violini ("Let It Come Down", per esempio, ma in verità ovunque nell'album) e svenevoli orchestrazioni (ancora "God Damn the Sun"), collocabili tra i Fields of the Nephilim con l'insonnia ("Jane Mary, Cry One Tear"), i The Jesus & Mary Chain con la camicia fuori dai pantaloni ("Saved") e un Nick Cave che assiste alla replica televisiva della finale di Telemike (tutto il resto del disco). Ascoltate questo (ormai introvabile) album stimolati dalla curiosità di sentire Michael Gira, stiamo parlando di "quel" Michael Gira, tristoallegramente lalleggiare canzonette pop-dark alla Bob Geldof pre-irish-era con tanto di vocione new-romantico alla Colin Vearncombe (giusto per dirne uno davvero sfigato, pace all'animaccia sua). Quello stesso M-G che successivamente si vergognerà di questo disco più o meno quanto Lenny Kravitz della foto con Clemente Mastella, al punto da disconoscerlo e affibbiarne interamente le colpe al produttore Bill Laswell, stimato jazzista e, appunto, produttore. La verità, però, sta altrove. Per esempio nella ahimè prodromica cover di "Love Will Tear Us Apart", pubblicata pochi mesi addietro e per niente prodotta da Laswell. Tecnicamente, si chiama sindrome post-traumatica da tasche piene. (Alberto Calorosi)

(Uni Records - 1989)
Voto: 60

https://www.facebook.com/SwansOfficial

mercoledì 24 febbraio 2021

Cannibal Corpse - Tomb of the Mutilated

#FOR FANS OF: Brutal Death
Burly Barnes crushes here as does the death metal (witch brutal vocals) dominates this entire release. The riffs are the highlight (to me), being a former guitarist I'm able to absorb what's being played here. I'm surprised that I didn't write about this sooner maybe 30 years plus ago since it's original release. I have nothing but good things to say here. I think that when Barnes's vocals changed on 'The Bleeding' that was it for me regarding liking the band from this era. I thought that Jack Owen was his strongest on 'Butchered At Birth' and here. Not sure what happened to him after that during Corpsegrinder's era. Aside from the fact that he joined Deicide in 2006 or thereabouts.

I don't necessarily like live tracks on albums with exceptions. And from my understanding, Jim Carrey's favorite bands (or what's been talked about in the media is Cannibal Corpse and Napalm Death). I'd have to say that what's so therefore dominating on here are again the riffs. And the bass you can hear throughout. Tempos all over the place but all interrelated. Barnes just soaks it up alongside the music and gives them that utmost gruesomeness. It sounds like he's going to chug that microphone. If they had more stable albums in respect to the music and vocals I think Barnes would've been a longtime member. Him and Six Feet Under are pathetic.

They were one of the most brutal bands back 30 years ago and they're still kicking ass. Though the guitars are way different in turning and currently Corpsegrinder with the band. There's been a lot of debate as to who's the most likeable over the years. I'd say consistently Corpsegrinder has been more solid. But I'm still appreciating Barnes on the first few releases. There's a wide variety as to who you would choose after all this time. I'd say, Corpsegrinder. He's got range that Barnes never seemed to ever have. But on the 2nd and 3rd album, I like him. After that, no more. He's just not diverse enough. But on 'Tomb of the Mutilated' he tears it up!

The mixing/production wasn't the greatest, but I still like the overall sound quality that the band sets forth thereof. There wasn't a track on here that I dislike. They were all strong musical annihilations with the guitars shredding it up. The lyrics we never tackle nor do we want to tackle. It's just gruesome and vile. The music and vocals are what's to focus on. I got this on CD a while back I'm certiain that they're on YouTube. I don't know about Spotify except for the more recent albums. I would tell you to do the band justice and just get the CD. It's worth its weight in gold. There isn't a track on here that's not good. Check it out! (Death8699)


(Metal Blade/Rock Brigade Records - 1992/2019)
Score: 82

https://www.facebook.com/cannibalcorpse

Meer – Playing House

#PER CHI AMA: Rock Orchestrale/Prog Pop Rock
Arriva dalle fredde lande norvegesi questo bel disco pieno di ottime intuizioni e tanta qualità stilistica. Nato come duo nel 2008, il progetto Meer si è evoluto addirittura in ottetto, puntando su di un groove sonoro molto raffinato e particolare che conta tra le sue doti un canto polifonico, strutture pop rock, evoluzioni melodiche nel mondo del folk ed inaspettatamente, una costante compositiva che genera continuamente trame in odor di rock progressivo, attualizzato ai parametri del neo prog di oggi. Siamo di fronte ad una band che non lascia nulla al caso, che si lancia in canzoni ricercate e complesse che contengono il pathos della migliore Tori Amos, quanto la sensualità degli ultimi lavori di Dido, passando per la svolta più intellettuale e attuale dei Leprous di 'Pitfalls' e per il prog più intimo, soft e dalle tinte malinconiche del disco 'Pharos' di Ishahn, senza dimenticare la componente emotiva più indie folk, cara a band come i Mumford & Son con aperture epiche e ariose di certo rock orchestrale nello stile di The Dear Hunter. Il gruppo definisce la propria musica come un mix di rock progressivo sinfonico, orchestrale, melodico, orecchiabile e con molti stimoli energici. Posso affermare serenamente, che mai definizione risulti più azzeccata, sia che al canto si presti la voce femminile o quella maschile, la spinta sonora rimane invariata. Il tono romantico ed epico non manca mai, scaldato da composizioni ricche di sfaccettature, colori e suoni elaborati, gestiti come un'orchestra a suon di rock e con una verve pop, nel senso di orecchiabilità e cantabilità dei brani, da veri esperti compositori. "Picking Up the Pieces" e "Beehive" aprono il disco in maniera magistrale, affidate ad un'ugola alquanto maestosa e travolgente (Johanne Kippersund). L'album prosegue con tre brani interpretati da Knut Kippersund e la trama si sposta in un clima più intimo ma senza cali di qualità, anche se la musica è più moderata e assume tinte più morbide, quasi alt country e corali, soprattutto in "Songs of Us". L'accento scandinavo si sente negli arrangiamenti che mi ricordano certe scuole di pensiero progressive provenienti da quelle zone, per peculiarità e pulizia del suono, freschezza e passione per i risvolti classicheggianti, tra violino, viola e piano, mi rievocano anche un ottimo disco strumentale di avant/prog/folk, che comprai anni fa, dei Between, intitolato 'Silence Beyond Time'. Il brano "You Were a Drum" ne è un esempio, impreziosito da una interpretazione vocale al di sopra delle righe. "Honey" mostra anche una certa vena elettronica che collega il collettivo scandinavo in qualche modo alla forma canzone sintetica ed evoluta di Fever Ray (voce dei The Knife), amalgamata perfettamente al loro stile orchestrale. "Across the Universe" scivola in scioltezza, mentre "She Goes" ha una struttura d'avanguardia, sinfonica e corale di notevole portata ed è forse la canzone più complicata del lotto e senza remore, mostra quanto sia complesso e ambizioso l'habitat musicale di questa splendida band. Una ballata morbida per "Where Do We Go From Here" e una chiusura al limite del cinematografico per "Lay It Down", per un finale esplosivo in pompa magna. Perfetto epilogo per un disco creato ad arte, con gusto e maestria. Il pop come non lo avete mai ascoltato, intelligente, suonato alla perfezione, emozionante ed intenso. Un album da ascoltare assolutamente che vi darà sicuramente delle gradevoli sensazioni. (Bob Stoner)

(Karisma/Dark Essence Records - 2021)
Voto: 78

https://meer.bandcamp.com/album/playing-house