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sabato 10 settembre 2011

Cult of Vampyrism - Fenomelogia

#PER CHI AMA: Black Doom Esoterico
La fenomenologia è una disciplina fondata da Edmund Husserl (1859 - 1938), che ha avuto una profonda influenza sull'Esistenzialismo in Germania e Francia, ma anche sulle scienze cognitive odierne e nella filosofia analitica. “Fenomelogia” è anche il titolo del debut album del giovane progetto Cult of Vampyrism, che vede fondere le idee musicali drone-doom di Trismegisto con quelle della violista Kerres, in un lavoro che “utilizza metaforicamente l’immagine del vampirismo inteso come oppressione, asfissia, abuso che il mondo moderno opera giorno dopo giorno, ora dopo ora sugli esseri umani”, cosi come citato nel flyer informativo della band. E quale modo migliore di promulgare questa asfissia con un prodotto che fa del soffocante doom la sua voce? Aperto dai suoni quanto mai occulti di “On the Edge of the Abyss”, si prosegue con le sonorità doom-esoteriche di “My Deamon”. La terza traccia vede la band presentarsi con sonorità un po’ più classiche, con un musicalità che fa del death-doom mid tempo il suo punto di forza, da contraltare a delle arsh vocals malefiche. Forse un po’ troppo penalizzati da una produzione non certo all’altezza, i Cult of Vampyrism, provano a sollevarsi dalla massa con qualche inserto dal vago richiamo horror come i vecchi Goblin insegnano. Certo non siamo di fronte a nulla di originale o quanto mai trascendentale, ma di questi tempi come ben sapete, è ormai cosa assai rara, tuttavia, un pizzico di originalità nelle sette tracce è avvertibile, con questa coacervo di stili, un death black doom fuso da rituali oscuri, terrificanti, angoscianti, come accade palesemente nell’inquietante “The Gift”. Caratteristica di fondo di questo album è una certa ridondanza nelle soluzioni musicali a mo’ di litania, che forse hanno lo scopo di accentuare ancor maggiormente l’effetto infernale di questa release, ma che d’altro canto può avere il difetto di rendere di difficile approccio l’ascolto di un cd monolitico come questo. Interessante per gli innesti di viola anche “The Chant of the Owl”, anche se ancora manca quel pizzico di dinamicità in più per rendere il risultato finale appetibile a una fetta più allargata di pubblico. Magari questo non sarà l’intento finale di Trismegisto e compagni, relegando i Cult of Vampyrism a semplice progetto underground, tuttavia con qualche piccolo accorgimento addizionale, un po’ più gente potrebbe avvicinarsi al teatrino horrorifico di questa neonata band italica. Ultime note per “The Prisoner” dove alla voce compare Lord Lokhraed dei francesi Nocturnal Depression e per “XVII Februarius MDC”, giorno in cui Giordano Bruno fu messo al rogo per le sua presunta eresia, song che suggella il desiderio dei nostri di mettere in scena la loro musica con un coro di voci che condanna a morte il frate domenicano, in una atmosfera dai connotati totalmente drone. Per pochi, decisamente non per tutti… (Francesco Scarci)

(Mercy Despise)
Voto: 70
 

Ankhagram - Where Are You Now

#PER CHI AMA: Funeral Death Doom, Shape of Despair
Russia, Russia, prepotentemente Russia, a conferma che da quelle parti c’è una scena fiorente più che mai, con una serie di etichette che puntano senza timore su giovani band, molto spesso di grande valore. Ecco arrivare quindi da quelle lande misteriose un “nuovo” (questo è il loro quarto cd) act a sorprendermi, con un sound oscuro, morboso, avvinghiante e malato. Sarà il gelo dell’inverno di Ekaterinburg, ma la one man band guidata da Dead, si conferma molto ispirata nelle 6 lunghe tracce, con un funeral death doom, che ricalca gli insegnamenti di Shape of Despair in testa, ma che poi “sporca” i propri suoni con aperture melodiche quasi shoegaze, a dimostrare l’intelligenza maturata dalla band nei suoi sei anni di esistenza. Tenebrosa la opening track, con i suoi undici minuti spaccati che si chiudono con un lungo assolo di piano, che apre anche la successiva “The Mistress” capace di generare prolungati brividi lungo la mia schiena con quel suo incedere quanto mai suadente, mantenendosi costantemente ancorato alle sonorità estreme solo grazie alla voce growling di Dead. Ho come l’impressione che se solo cambiasse registro vocale, la proposta degli Ankhagram potrebbe aprirsi a masse notevoli di pubblico; questo non sta a significare che la proposta del gruppo russo sia commerciale, ma vi garantisco che non si può non rimanere folgorati dai suoni messi in scena dal buon Dead, capace di coniugare suoni deprimenti ma allo stesso tempo ariosi, freschi, malinconici, emozionanti e potrei aggiungere altri mille aggettivi per cercare di farvi capire che non ci si deve per forza soffermare sull’etichetta funeral o death perché questo è un lavoro di cui mi sento di poter consigliarne un ascolto a tutti, a tutti quelli che hanno voglia di aprire i propri confini mentali, a chi ha voglia di emozionarsi, a chi come me avrebbe il desiderio di abbandonarsi in un sonno senza fine, la cui colonna sonora potrebbe certamente essere quella degli Arkhagram. Quando ancora sono immerso nei fumi inebrianti di “The Mistress”, parte “Trees of Feelings” con i sui dieci minuti e passa di musica per lo più strumentale, come se Dead avesse carpito il mio desiderio di sentirlo meno vomitare in quel microfono, e avesse realizzato che forse un sussurro può essere molto meglio che un growling profondo. La formula non cambia anche con le seguenti “Shade You” e “K.O.D.”, dove le parti atmosferiche costituiscono buona parte dei loro 18 minuti complessivi e dove le tastiere acquisiscono un ruolo di assoluta rilevanza nell’economia dei brani. Citazione conclusiva per l’ultima “Kids”, cover dei (per me sconosciuti) MGMT, ma che comunque ben si amalgama con la proposta degli Ankhagram, band che da oggi in poi inizierò a seguire con estrema dedizione e curiosità, in attesa di scoprire se il prossimo album possa realmente essere quel capolavoro che ipotizzo possa celarsi nella mente di Dead. Meritevoli della vostra attenzione! (Francesco Scarci)

(Silent Time Noise Records) 
Voto: 80
 

Bloodwork - The Final End Principle

# PER CHI ASCOLTA: Death/Thrash, Soilwork, Hatesphere
E anche la Germania può sfoderare la propria band capace di miscelare il death/thrash con l’hardcore e le melodie heavy metal: signori e signore vi presento i Bloodwork, act più famoso per la sua partecipazione ai grandi tour estivi come Wacken Open Air 2008 e Summerbreeze Festival, che per la propria proposta musicale, di certo non delle più originali. Eh si perché il quintetto di Paderborn, ci propina 13 brani di un moderno death melodico, sulla scia dei vari Soilwork, Killswitch Engage o Scar Symmetry, che potrebbe essere tranquillamente recensito utilizzando poche parole e abbastanza scontate, senza per questo disdegnare la musica dei nostri. Il sound come detto, si avvicina molto a quello tipico death/thrash svedese, con i chitarroni che macinano riffs su riffs e con le vocals che si alternano tra il growl e il pulito, quest’ultimo molto molto ruffiano (a tratti fastidioso). Completano il quadro di “The Final End Principle”, aperture melodiche che richiamano l’heavy classico (Iron Maiden per capirci) dei primi anni ’80, ottimi assoli che denotano un’eccellente preparazione tecnica dei nostri e comunque uno spiccato gusto per la melodia. Per quanto sia stato indicato da più parti come uno dei dischi rivelazione del 2009, o come migliore band emergente, sinceramente non me la sento di decantare una band che di originale ha ben poco nel proprio DNA. Per carità sono bravi, preparati e piacevoli da ascoltare, ma niente di più, alla fine è il solito disco già sentito in migliaia di salse differenti… (Francesco Scarci)

(Dockyard1)
Voto: 70

venerdì 9 settembre 2011

Helheim - Heiðindómr ok Mótgangr

#PER CHI AMA: Black Metal, Pagan, Enslaved, Helrunar
Talvolta sono sufficienti le primissime battute per riconoscere un album di valore. Un sound trascinante e ben prodotto, una voce decisa, stacchi melodici indovinati, repentini cambi di registro che aiutano ad un evolversi mai scontato dei brani. Questi sono gli elementi che affiorano già dopo pochi minuti dall’ascolto di "Heiðindómr ok Mótgangr", che per i norvegesi Helheim rappresenta l’ammirevole approdo al settimo lavoro in studio, dopo un lungo tragitto musicale intrapreso nel 1995 e da sempre solcato seguendo rotte poco più che underground. Gli Helheim rimangono fedeli alla propria linea, perciò non si ravvisano sterzate stilistiche di alcuna sorta, tuttavia l’album possiede una freschezza che la produzione passata non aveva ancora conosciuto, ma che ad onor del vero si riusciva già ad intuire nell’ep anticipatore “Åsgårds Fall”, risalente al 2010. "Heiðindómr ok Mótgangr" parla di un risveglio pagano i cui antichi clangori riecheggiano nella nostra moderna società come un richiamo alla fierezza e all’onore, parla di un rifiuto verso ciò che è imposizione e omologazione ed il messaggio viene convogliato attraverso un suono più che mai battagliero. Se è vero che l’immaginario degli Helheim ha sempre ricondotto agli scenari della mitologia nordica, il termine “vichingo” non è comunque dei più appropriati per ben descrivere il reale contenuto musicale di quest’ultima fatica. I quattro norvegesi navigano invece sulle torbide acque del black metal ed è piuttosto la varietà delle soluzioni strumentali che aggiunge imponenza e solennità all’intero assieme. L’uso ad esempio dei timpani e del corno francese è un tocco di autentica originalità che non trova paragoni in nessun’altra band del calderone “epico”. I differenti registri vocali di V'ganðr e H'grimnir non fanno poi che intensificare il pathos di ogni brano, passando da momenti rabbiosi a delle parti di recitato più magniloquenti, il tutto rigorosamente cantato in lingua madre, come imponeva la tradizione black norvegese nella prima metà degli anni ‘90. A chiudere il cerchio le partiture soliste del nuovo chitarrista Noralf, la cui melodia si ispira ad un heavy-metal di chiara derivazione classica. Tra le perle di questo lavoro va sicuramente citata “Dualitet Og Ulver”, che risulta senza dubbio il brano più accattivante dell’intero lotto e che vede la partecipazione di Ulvhedin Høst dei Taake alle parti vocali, ma è d’obbligo fare menzione anche di “Viten Og Mot (Stolthet)”, monumentale nel suo incedere pesante e cadenzato. “Nauðr” ed “Element” si contraddistinguono infine per una vena compositiva ricca di contrasti, tra brutalità e atmosfere dall’ampio respiro melodico, che assieme disegnano paesaggi musicali affascinanti ed in continuo movimento. (Roberto Alba)

(Dark Essence Records)
Voto: 85

mercoledì 7 settembre 2011

All I Could Bleed - Burying the Past

#PER CHI AMA: Black Symph, Cyber Death, Modern Metal
“Essere o non essere, questo è il problema”… Questo il monologo di Amleto nell’opera omonima di Shakespeare, da cui deriva anche il mio di dilemma “mi piace o non mi piace questo cd”. Eh si perché questo lavoro fin dalle sue prime note, mi ha gettato addosso tale dubbio profondo. “Burying the Past“ si apre infatti in modo alquanto scontato con un death melodico, moderno, che strizza l’occhiolino ai famosi colleghi finlandesi, onnipresenti Children of Bodom, lasciandomi alquanto perplesso per la pochezza di idee proposte: chitarrine non troppo pesanti in “Private Hell”, abbondanza di tastiere, voci in versione screaming, mah, il tutto non mi convince poi tanto, anche se un break posto a metà brano mi fa rizzare immediatamente le orecchie e riacquisire l’interesse verso un cd che si stava dirigendo dritto dritto verso la stroncatura feroce. Non saremo di fronte a dei fenomeni o a dei geni della musica, ma i nostri amici russi lentamente sanno come prendermi e alla fine a conquistarmi. La title track finalmente irrompe nel mio stereo con delle chitarre un po’ più solide e potenti, con le keys a sostenere in modo poderoso il sound dei nostri, che inizia a prender una propria fisionomia, staccandosi dalla proposta dei Bodom e incanalandosi verso sonorità più votate al modern metal, con melodie intelligenti, intermezzi al limite del techno death, valanghe di inserti tastieristici a strizzare l’occhio anche ad un certo cyber metal; buoni i solos. Le keyboards aprono “Plague” e ancora una volta mi pongo il dubbio se il cd di questi All I Could Bleed in fondo riesce a conquistarmi oppure è solo un fuoco di paglia: non saprei, sono dibattuto, perché la song alterna momenti pallosi, triti e ritriti con altre aperture che denotano una certa personalità, ancora in stato embrionale per carità, ma quel solo di basso impazzito nel mezzo della canzone (ad opera di Ivan Stroev), quasi un tributo ai Death, mi fa sussultare dalla sedia, anche se poi il quartetto di Chelyabinsk, guidato dalle vocals malvagie della bellissima Psycheya, si mette ad inseguire improbabili percorsi black sinfonici, che compariranno anche più in là in altre tracce dell'album. Forse le idee non sono ancora ben chiare e lo si capisce con la successiva “Under the Moon”, dove compaiono clean vocals maschili su un improbabile tappeto heavy-folk, che nuovamente mi mette in crisi, ben presto superata dalla ripresa dei ritmi, mai troppo esasperati a livello di velocità, del quartetto russo. Insomma di carne al fuoco in queste nove tracce devo ammettere che ce n’è davvero molta, in quanto l’act est europeo non ha ancora ben deciso che genere musicale suonare, tuttavia, alla fine ad una conclusione sono giunto… il cd mi piace! Dategli un ascolto anche voi, meritano una chance! (Francesco Scarci)

(Darknagar Records)
Voto:65

martedì 6 settembre 2011

Algol - Gorgonus Aura

#PER CHI AMA: Black, primi Bathory, Emperor
Nel 2001 l'italiana Twelfth Planet fece uscire una serie di album interessanti, tra questi il primo full-length degli americani Algol, black metal combo di Millersburg che, dopo i due demo "Enshroud Us In Darkness" e "Forgotten Paths", debuttò con l'album "Gorgonus Aura". Il black suonato dal quintetto statunitense è caratterizzato da un mood particolarmente selvaggio che ricorda i primi Bathory, ma la violenza non è l'unica protagonista di questo "Gorgonus Aura" e i momenti più tirati vengono alternati a brevi stacchi di chitarra acustica e da tastiere mai troppo invadenti. Le keyboards non giocano un ruolo dominante ma completano in modo sapiente ogni brano, conferendogli un'atmosfera che definirei notturna. Colpiscono nel segno anche i guitar-solos di Dalkiel e Mictian, che aiutano a mediare con la melodia la barbaria di "Abscond" e "Murmurous Screams Of Repugnance". Alquanto tediosi invece gli undici minuti strumentali di "Exodus", che rischiano di far perdere l'interesse nell'ascolto... un intermezzo più breve avrebbe sicuramente giovato al risultato finale. (Roberto Alba)

(Twelfth Planet)
Voto: 65

Dead Return - Scars of Time

#PER CHI AMA: Hardcore/Metalcore
Il primo week end di settembre è perfetto per cominciare l’accolto di questo full lenght (il primo) dei 5 ragazzi di Bolzano: la intro è in perfetto mood con il primo assaggio di pioggia autunnale, un tuono, uno scroscio di pioggia fanno da sottofondo infatti al riff di apertura dell’album, accompagnato da un delicato giro di pianoforte. Subito dopo il quintetto apre le danze con un pezzo hardcore-punk al fulmicotone, corredato da una bella voce potente, molto metal, con un bel bridge e con cori in controcanto; il ritmo è incalzante e la canzone molto coinvolgente, mediamente lunga ma molto varia con passaggi per lo più metalcore, per poi tornare a bomba su velocità hardcore, stupenda la chiusura con un ritornello tutto da cantare. "Awakening", "Like a Snake" e "Devil’s Embrace" sono un bel trittico dove i nostri mettono in mostra tutto il loro repertorio: sfuriate hardcore ("Devil’s Embrace"), riffoni metal ("Like a Snake") e un gusto per i ritornelli in coro (su tutte "Awakening"): da brividi il “one reality” sul finire di "Devil Embrace": senza che te ne accorgi ti ritrovi a cantarlo con loro a squarciagola con buona pace dei vicini di casa. Con "Salvation" (e "A Last Good Bye"), le sonorità si fanno più intime e a tratti melodiche e il ritonello “this is my serenade/you are the one for me” forse ci fa capire il perché… Ma niente paura, "Lust for Blood" rimette tutto a posto ridandoci i suoni e le velocità che (speriamo per loro) renderanno famosi i Dead Return. "Engraved", la traccia che chiude l’album prima della struggente outro, è la più metal di tutto il lavoro, forse presagio di dove ci porteranno i ragazzi di Bolzano con il loro prossimo album. Nel complesso si tratta di un bel disco, una trentina di minuti da farsi tutti in un fiato, ben registrato, con suoni puliti che esaltano le abilità del gruppo. Nonostante con il loro genere sia facile finire in tormentose ripetizioni, il quintetto bolzanino confeziona un album energico e straripante, non per niente sono finiti al Rock Im Ring (non il rock am ring) del 2009, kermesse bolzanina che ha visto i Soulfly come gruppo di punta! In attesa di un loro futuro lavoro (sarebbe ora son passati due anni da questo "Scars of Time"), il mio voto conferma la bontà dell'ensemble! (Matteo del Fiacco)

(Graves Records)
Voto: 75 
 

PFH - Cronologica

#PER CHI AMA: Thrash/Nu Metal, Sepultura, Korn, Pyogenesis
Avevamo i Sepultura in casa e non ce ne siamo mai accorti, che peccato. Ah no, mi sbaglio e dire che dall’iniziale “Useless”, mi sembrava di avere fra le mani uno dei dischi della band brasiliana, del periodo in cui militavano i mitici fratelli Cavalera (periodo post “Arise”). I PFH (Painful Happiness) sono un quartetto abbastanza interessante proveniente da Padova, che di sicuro farà la gioia di chi ama il death thrash contaminato da suoni Nu Metal. Sette tracce più “Outro”, in grado di divertirci non poco con quel suo sound groovegiante, rabbioso quanto basta, ma comunque sempre ricco di melodia. La band patavina dimostra di saperci fare, anche se un po’ troppo spesso emergono forti le influenze del combo carioca, comunque niente paura, accanto al death di stampo sudamericano si collocano momenti più atmosferici o più orientati verso sonorità moderne mathcore, o altri più ragionati, dove la voce growl di Nico va a cantare in stile pulito con esiti niente male, a dire il vero. Si, mi piacciono questi ragazzi, perché sebbene non inventino nulla di nuovo, sono abili nel creare un sound che, pur pescando a piene mani dai nomi di grosso calibro della scena mondiale, riescono comunque a conferire all’intero prodotto una certa personalità. Le mie canzoni preferite? La “korniana” “Beat” e la quinta traccia omonima, che ricorda qualcosa degli ormai dimenticati Pyogenesis era “Twinaleblood”. Con una maggiore cura nei più piccoli dettagli, mi aspetto un futuro positivo per l’act italico. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 70
 

lunedì 5 settembre 2011

Amia Venera Landscape - The Long Procession - English

#FOR FANS OF: Math, Post-Hardcore, Isis, Neurosis, The Ocean
I thought the fire crackers of the new year’s Eve had reached their peak on the midnight of 1rst January 2011, but instead here I am, with a new CD in my stereo, to let myself be run down by the crackling mixture of post-hardcore, sludge and ambient of the very italian (and I say this with great pride) Amia Venera Landscape, a real lighting bolt in the calm sky of this beginning of this year. After the excellent test of the At the Soundawn, another amazing italian band is getting ready to compete head-high with the masters of the genre, if not to overcome them. I was impressed from the very beggining listening to this " Lunga Processione", primarily, by the very good quality of sounds, powerful, full-bodied, enveloping, that had me immediately conquered. How can I not mention the graphics, quite minimalist, but very intriguing, of the booklet, filled with lyrics and beautiful pictures. And then the music, which is after all the most important thing: I mentioned the fact that they play mostly post-hardcore, but let us not limit ourselves lightly by this label or by the stereotype that the word hardcore can raise, because inside the notes of "The Long Procession" is hidden poetry, anger, fury and unexpected tenderness, intrigue and mystery, all played with extreme passion, intelligence and unpredictability. The Venetian sextet opens the dance with the volcanic "Empire", condensed hardcore fierceness mixed with dark environments. I immediately remain thrilled in front of such great class and already I can not wait to hear the next song. "A New Aurora" is a wonderful song which, besides the ever present component of the brutal and scathing combo of Belluno, arises a breathtaking alternation of rhythms, stop'n go, post-rock atmospheres, with the voices (a growling angry and clean, with vocals of Klimt 1918 style) that cross each other,surround and play in an ascending climax that will reach its perfection at the end of more than 7 minutes of exciting and overwhelming music of this Amia Venera Landscape release, which I have already included among the best albums of 2010. A punch in the face suddenly knocks me down, but in reality it is "My Hands Will Burn First", then peace: I feel dizzy, my ears are buzzing, a hissing roaring penetrates my brain, but it is only the stunning gait of "Ascending", which perhaps has its defect in being a little too verbose. Other moments of sedating peace with"Glances (Part I)" (I would have avoided putting two purely ambient pieces one after the other) and here we have the second part of "Glances" exploding, where they are confirmed as a band of absolute value and technique, exquisite refinement and without doubt of great innovation and experimentation. Incorporated with the speed of light to the dictates of the genre (the band was founded in 2007) from the sacred monsters Cult of Luna, The Ocean and Dillinger Escape Plan, the Amia Venera Landscape has undertaken their own way with their own distinct and strong personality and that now the have released this explosive work. Let us not neglect to comment on the almost 14 minutes of "Marasmus", the most complex, articulated and particular song of these 10, enclosed in this gem. A relaxed beginning, strongly ambient, then thunderous explosion of guitars (there are 3 in formation) followed by fragments of melancholic post-rock, and then suddenly unleashed in my stereo speakers, crazy splinters of math to "disturb" my brain as only Dillinger know how to do. There is no trace of vocals in this schizoid song but it is better like this, you can enjoy it all in one breath and the long duration in minutes disappears in the blink of an eye. Not even a moment to enjoy a little peace and "Nicholas" erupts with its 8 minutes and goes to prove that the band is at ease in dealing with long lasting songs, denoting once again a maturity worthy of veterans. "Infinite Sunset Of The Sleepless Man" gives us time to recharge the batteries before the final "The Traitors' March" that confirms to me that a new Italian reality is ready and able to demolish the world with their sound, this new years. Majestic work! (Francesco Scarci - Translation by Sofia Lazani)

(Self)
Rate: 90

Aneurysm - Archaic Life Form - English

FOR FANS OF: Cyber Thrash, Fear Factory
"Sink or swim" must have thought the Aneurysm, one of the most underrated and unfortunate band in the history of our local metal, after having wrapped this new third work of theirs, where they have combined it this time really big. No, do not be afraid; do not take the negative connotation that usually this statement may have, but instead take it as very positive."Archaic Life Form" represents in fact a great leap forward compared to the previous "Shades", which was not actually a bad album, but that still showed some gaps in the composing key by the Venetian combo. With this new release instead, by the Kreative Klan Records, the quintet from Verona displays a brilliant effort, developing their music on a concept album set in a futuristic world where humans became extinct and the machines have populated the planet, cloning men to study their origins, but when the weakness of the feelings is discovered, the project is aborted. Of course I have summarized the content drastically, but I can assure you that the texts are revealed very interesting, as well as the musical proposal of the rest. Their sound rests upon a constant techno thrash basis until the initial "The Clear Obscure," which opens with a flattening rhythm, only to be interrupted by Gianmaria Carneri’s vocals. The production is surely bombastic, which is absolutely necessary to make it more enjoyable to listen to samples of various inputs, capable of making the final result very attractive and varied. The song results therefore as a mixture of aggression, strong doses of melody, a high technical level and a lot of cyber metal contrasts. If I were to make a comparison, I would say that Nevermore meets Anacrusis, playing in the Fear Factory style, not that bad, is it? Let's go further with "The Missing Element", where first of all let’s give an applause for the voice of Gianmaria, improved enormously in respect with the past, with a personal voice timbre, while the music is a stream of vibrant emotions characterized by the constant duality between power and melody . "Agent One" shows them play in a more cyber / industrial key with a number of confounding factors in the background really capable of transporting our mind in this imaginary world of the future, while the rhythm section beats like a maniac and axes unsheathe ruthless killer riffs. Intriguing, aggressive and creative, I like a lot this new appearance of the Aneurysm and the subsequent "Last Farewell" (which appear among other reminiscences of school Meshuggah) and "Angel" (a very melancholic song, opening with nostalgic touches of piano and Gianmaria's voice can only reminds us of the good Serj Tankian) continue to amaze me for their sophisticated and intelligent personality. The sound of a siren announces "Anomaly" and here the echoes of music take us back initially to The Kovenant , but then the band retakes their personal path stuffing the song with "anomalies", ie the effect of the disc jumping like it was filthy, enough to make me double-check if the dust has settled on the polished surface of the CD, but it is only a joke played by the ensemble to force my mind to repeat all these strange loops. Next in turn is the "Postulates" a song that travels in between thrashcore reminiscences and the cybernetic sound that characterizes Aneurysm of 2011.Closing the CD are the "The Great System" and "Progeneration / Deactivation", which ratify the incredible level of technical and compositional maturity reached in this new release. Not embracing this work would be a heinous crime, so go ahead and make it your own. The surprise of 2011? I hope so, in the meantime, good luck! (Francesco Scarci - Translation by Sofia Lazani)

(Kreative Klan Records)
Rate: 85

giovedì 1 settembre 2011

Chthonic - Takasago Army

#PER CHI AMA: Extreme Melodic Metal, Folk, Epic, Whispered, Children of Bodom
Da più parti massacrati o addirittura additati come cloni dei Cradle of Filth o Dimmu Borgir, io, come sempre, decido di andare contro corrente ed evidenziare pregi e difetti della band proveniente da Taiwan, che con questo “Takasago Army” giunge all’ammirevole traguardo del sesto album e direi che il risultato finale è davvero buono. 10 tracce che si aprono con la classica intro tastieristica, “The Island” (dove fa la sua comparsa anche il classico violino a 2 corde, l’ehru), e poi il quintetto dagli occhi a mandorla, ci apre al loro mondo musicale fatto di un impianto di musica estrema (né black, né death a mio avviso), condito da atmosfere orientali, poste su arrembanti cavalcate heavy metal, in grado di regalarci momenti di grande piacere e relax per le nostre menti, già frustrate dal rientro dalle vacanze. Lo scorso anno mi trovai a recensire nello stesso periodo i finlandesi Whispered e devo ammettere che le somiglianze tra le due band sono tangibili, con entrambi gli ensemble che cercano di miscelare sonorità tipiche delle colonne sonore dei film ambientati nella terra del “Sol Levante” (“L’Ultimo Samurai” o “L’Impero del Sole”), con un sound che ammicca palesemente a quanto proposto dai Children of Bodom, con un esito tuttavia molto più soddisfacente della ormai decadente ex-super band finnica. Anche in questo cd, le tematiche riprendono il filo conduttore dei due precedenti lavori, con la narrazione di quanto accadde durante la Seconda Guerra Mondiale, ossia dell’appoggio dei volontari dell’isola di Taiwan dato all’esercito giapponese contro la Cina. Certo, come al solito non è sempre tutto oro quel che luccica, alcuni passaggi evidentemente non brillano per originalità, o in alcuni tratti il sound della band è appiattito banalmente dalle soluzioni prevedibili che il genere obbligatoriamente impone. Quello che continua a stupire tuttavia è la forza di una band, che pur vivendo agli estremi confini dal mondo occidentale, continua a farsi largo in Europa, con lavori di grande spessore, pur mantenendo inalterata la propria identità “epico-folkloristica” che da sempre contraddistingue l’act mandarino. Sono felice che i nostri siano ritornati e che si siano potuti riconfermare con un sound caratterizzante; basta ora sistemare un pochino quella stridula voce da cane castrato (o in stile Dani Filth) conferendone una più matura e i Chthonic saranno pronti al grande salto. Scommettiamo? (Francesco Scarci)

(Spinefarm Records)
Voto: 75
 

Tristania - Rubicon

#PER CHI AMA: Gothic, Alternative
Che dire, ricevere il nuovo album dei Tristania direttamente dalle mani del Franz mi ha acceso la libido non poco. Premessa, "Widow's Weeds", "Beyond the Veil" e "World of Glass" sono i tre album dei Tristania che ho ascoltato con piacere quando il Gothic mi prendeva particolarmente. I successivi "Ashes" ed "Illumination" li considero "non classificati", quindi immaginate la mia ansia nell'inserire questo "Rubicon" e ascoltarlo... Poteva essere il loro riscatto! Infatti, poteva... Tralasciando storia e passato dei Tristania su cui non mi soffermo, apriamo quindi una discussione su questa ultima release. L'arrivo della nuova vocalist sarda, Mariangela Demurtas, alza il livello estetico della band ma non porta un gran giovamento alla qualità. Con questo non dico che canti male ma di voci femminili valide ce ne sono una marea, ma per distinguersi dalla massa bisogna sempre avere quel qualcosa che gli altri non hanno. E lì non è che si può fare tanto, o c'è o non c'è. Generalmente la voce è abbastanza carica di effetti, quindi è difficile capire se le doti siano tutte naturali oppure no. Nel contesto è tuttavia azzeccata. Comunque, parliamo delle canzoni. Abbiamo undici tracce tutte molto veloci, ben bilanciate tra chitarre distorte e acustiche, uso di cori e seconda voce maschile. L'aria che si coglie ascoltando l' album non è quella della ricerca di novità a tutti i costi, sembra che i musicisti si siano messi a fare del loro meglio in sala prove e ne sia uscito un discreto prodotto. Certo, quando ti firmi Tristania, i vecchi fan sospirano pensando a certe canzoni. In "The Passing" ho apprezzato il fraseggio di violino, non i classici archi sintetizzati ma un buon vecchio violino struggente, come quelli dei suonatori di strada. Valevole, forse perchè il concept richiama i Within Temptation e vecchi Nightwish, come altre tracce. "Illumination", l'ultima traccia di Rubicon è l'unica ballata del lavoro ma manca di sostanza perchè nessun strumento crea una linea melodica meritevole di tale definizione. Quattro note e alternanze di suoni puliti e distorti possono andare per un gruppo di livello inferiore ma non è questo il caso. Sarà che il Gothic non lo ascolto più, ma forse è proprio perchè non trovo più gruppi che lo suonano bene, sta di fatto che tolgo questo cd dal lettore e vado verso nuovi orizzonti, alla ricerca del suono perfetto... (Michele Montanari)

(Napalm Records)
Voto: 55

mercoledì 31 agosto 2011

On a Bridge of Dust - Facing The Opposite

#PER CHI AMA: Alternative, Post Rock, Rock, Progressive
Recensire una band italiana mi mette sempre di buon umore e se il lavoro è pure di buona fattura, la giornata non potrà che essere positiva. Il nostro quartetto veronese esce con questo "Facing the Opposite" andando a scrivere un capitolo interessante per quanto riguarda l'alternative rock/progressive metal di casa nostra. Certo, percorrendo le nove tracce si sentono le forti influenze "Tooliane", ma i passaggi melodici azzeccati e una tecnica da manuale fanno apprezzare non poco questo ottimo album. La qualità di registrazione e la pre-post produzione sono a livello professionale, lo stesso dicasi per gli arrangiamenti che non saranno mai imprevedibili e geniali, ma danno continuità alla composizione. Il cd si apre con "Recurring Fault" che dopo un breve riff di chitarra come intro, incalza subito unendo una linea di basso potente e una batteria solida che creano insieme buon all' unisono. "Reckoning" ha un inizio epico, incentrato sulla batteria e chitarre più aperte e distese, ma i riff che contraddistinguono i Bridge arrivano subito, intrecciando una stretta maglia che imprigiona la mente e porta a dondolare la testa a ritmo. Bella veramente e personalmente la considero la main title dell'album. Avevo già apprezzato "Barren Moor" nel precedente EP, ma ancora di più in questa nuova registrazione la malinconia della traccia si fa vivere fine in fondo. Forse il pezzo più strumentale dell'intero album. L'album si chiude con "Outcast" che ha uno dei pochi main riff puliti di questa release, il che crea un'atmosfera psichedelica e post rock, alla Explosions in the Sky. Ma il marchio di fabbrica dei riff incalzanti arriva come sempre e basso/batteria accompagnano degnamente il tutto, anche se potrebbero rubare tranquillamente la scena per quanto sono ben studiati. Come già detto, la qualità di registrazione è ottima, ma in particolare sulle chitarre è stato fatto un lavoro certosino. Posso immaginare le ore passate a trovare i giusti settaggi ma ne è valsa la pena, sentire dei distorti così realistici e caldi è una goduria per le mie orecchie intasate da tanti suoni freddi e sterili degli ultimi tempi. Ovviamente basso, batteria e voce non sono stati trascurati, rimangono nella media (alta). Se devo fare un appunto ai Bridge, riguarda la voce. Sicuramente il cantante non ha doti che fanno strappare i capelli ma conoscendo forse i suoi limiti, fa un uso attento della stessa, senza mai esagerare e soprattutto si fonde perfettamente con l' idea di fondo di tutti i pezzi. Se poi la scelta di suonare la chitarra e cantare allo stesso tempo è stata fatta per non introdurre un altro elemento alla formazione, approvo (e capisco) in pieno la scelta dei Bridge. Difficile creare una sintonia così perfetta e riuscire a mantenerla. Bravi, complimenti agli On a Bridge of Dust che si lasciano apprezzare molto anche dal vivo, mantenendo sempre un atteggiamento umile e disponibile. Ce ne fossero... (Michele Montanari)

(Self)
Voto: 80
 

Endthisday - Sleeping Beneath the Ashes of Creation

#PER CHI AMA: Thrash, Metalcore, Heaven Shall Burn, Caliban
Caricato l’album su iTunes, vengo investito dalla violenza disarmante di questi 5 ragazzi di Milwaukee che, cattivi e determinati, alzano un muro di suono dai tratti thrash, per “tirare il fiato” piazzano qualche bel bridge di puro metalcore, con il cantato che si alterna tra uno screaming da far sanguinare le corde vocali e qualche profondo growl, supportato da un controcanto nello stesso stile, basti ascoltare le canzoni "Lily White and Blood Red" o "Cursed Be the Blessed". Le prime 2 tracce sono benzina sul fuoco per gli amanti dei gruppi che non concedono nulla al melodico e fedeli al metallo più bruciante, il quintetto rallenta verso il terzo pezzo, dove si comincia a vedere una piccola variante melodica con una chitarra più dolce, che viene spazzata via immediatamente dallo screaming del vocalist che riporta i tempi a velocità supersoniche, per poi chiudere con un campionamento che sembra condurci verso un riposo dopo questa scarica di sana violenza, ma il brano successivo non perdona e si ricomincia laddove ci eravamo lasciati poco prima: la quarta canzone è il climax di tutto l’album dove tutto viene portato all’estremo, la song più complessa dove i nsotri concedono ancora un'alternanza di thrash superveloce ad un bridge solenne e potente con tanto di campionatura di sottofondo e con una finta fine di canzone e ripresa delle ostilità…quasi illudendoci che il martellamento possa aver fine per riprendere con rinnovata ferocia. A questo punto i nostri eroi si concedono il meritato riposo con un interludio più di riempimento che di grande significato, ma che serve a loro per rifiatare e all’ascoltatore per raffreddare timpani e i muscoli già indolenziti del collo. Ma non c’è tregua, la mattanza riprende più veloce che mai con un altro pezzo abbondantemente sopra i 6 minuti, dalla costruzione simile alla quarta traccia. Gli ultimi due brani, prima della chiusura non si discostano da quanto fatto sentire finora e scorrono via abbastanza anonimi senza lasciare nulla se non un senso di distruzione totale. L’album si chiude con una traccia strumentale interessante, un breve motivo melodico di scuola “svedese” prima di staccare il plug e accarezzare le orecchie dell’ascoltatore con un arpeggio delicato ed emozionante. I ragazzi ci sanno fare nulla da dire, tecnici grintosi e integerrimi nel loro sound, senza voler strizzare l’occhio a correnti mainstream, ma è dall’ultima traccia che avrebbero dovuto rielaborare il loro sound, introducendo maggiori variazioni nelle canzoni, osare di più e possibilmente accorciare i tempi…peccato si siano sciolti…La loro grande sfortuna potrebbe essere stata quella di essere capitati nel mezzo dell’esplosione del genere in questione (2001-2002) e anche se suonato con grande intensità, l’album ha la pecca di rimanere un po’ troppo anonimo. (Matteo Del Fiacco)

(Lifeforce Records)
Voto: 60