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mercoledì 11 maggio 2016

Funeral - In Fields Of Pestilent Grief

REISSUE:
#PER CHI AMA: Death/Doom
Ho avuto il piacere di ascoltare una recente ristampa di 'In Fields Of Pestilent Grief', album del noto gruppo norvegese Funeral, risalente all'anno 2001. Si tratta del secondo full-length per i nordici veterani del doom metal, che negli anni hanno spaziato e sperimentato all'interno di diversi generi, perseguendo differenti strade stilistiche nel corso della loro carriera. Il disco in questione, appartiene alla fase doom melodica della band, che si era già assestata con il debut 'Tragedies'. La peculiarità di questo periodo è la presenza dietro al microfono di una voce femminile, Hanne Hukkelberg, che senza dubbio contribuisce enormemente a forgiare lo stile caratteristico dei Funeral. Voci acute e spettrali apportano infatti quel giusto tocco gotico al doom pesante dei norvegesi, che tuttavia mantiene anche ricchi passaggi e linee vocali (quasi) melodiche. Il muro sonoro creato da chitarre e basso pesantemente distorti pare infatti impenetrabile, salvo poi aprirsi in fraseggi e passaggi in cui aleggiano melodie taglienti, come nello stacco chitarristico dell'opener “Yeld To Me”, o addirittura sezioni acustiche e pulite. Fanno la loro comparsa persino degli intermezzi strumentali (la title-track e la chiusura "Epilogue"), completamente pianistico il primo, mentre nell'atto conclusivo si articolano orchestrazioni tastieristiche, che terminano l'opera con una leggera sfumatura, in un'atmosfera da brivido. Le ritmiche vengono mantenute lentissime ed inesorabili e il loro incedere straziante è ciò che origina la mesta atmosfera di decadimento e tristezza che pervade l'intero album. Questo trascinarsi di cupe emozioni è acuito anche dalle vocals acutissime e tetre, che sovrastano l'energia e la potenza dell'impianto “Funeraliano”: queste rappresentano il tocco finale, la ciliegina su quest'ottimo lavoro compositivo. Nonostante la monoliticità del genere esplicata attraverso tempi estremamente lenti possa indurre a una certa ripetitività, le notevoli abilità compositive della band fanno si che ciò non accada. Anche nelle situazioni che possono sembrare più monotone e scarne, si avverte come i Funeral riescano a garantire fantasia e varietà ad ogni passaggio, pure con estrema semplicità. Ricche variazioni sul tema sono apportate da molteplici elementi, dalle orchestrazioni cupe delle tastiere, dagli assoli melodici di chitarra, o dai fraseggi mistici ripetuti fino allo sfinimento, senza tuttavia mai annoiare. Basti ascoltare “The Stings I Carry“, in cui il tema chitarristico viene instancabilmente trascinato dall'inizio alla fine, come l'eco di un perpetuo lamento. Altro pezzo notevole è “When Lights Will Dawn” che ci dimostra appieno quanto appena detto: il suo tema onnipresente seguito dai chorus e dagli acuti della Hukkelberg, le ritmiche inesorabili, gli assoli conclusivi e quella costante atmosfera quasi epica, sospesa a metà, contribuiscono a donare una sensazione di ascensione dall'oscurità opprimente. Si tratta del brano più lungo del disco e sicuramente anche del più impegnativo e riuscito dal lato musicale-compositivo. Un brano un po' diverso dagli altri è invece la nona traccia, “Vile Are The Pains”. La definisco differente perché è l'unica dell'album a non essere cantata dalla brava Hanne, ma è eseguita interamente dal tastierista Ottersen. Al termine di questa special edition, si trovano due tracce bonus, altro non sono che le vecchie demo version dei pezzi “When Lights Will Dawn” e “The Stings I Carry”, anch'essi cantati da voce maschile in una versione alternativa davvero pregevole. Penso non serva aggiungere altro per descrivere un disco del genere, che sicuramente ha rappresentato un capitolo estremamente significativo nella storia dei Funeral, band simbolo per tutta la scena doom da vent'anni e più a questa parte. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

giovedì 14 aprile 2016

Fallen - S/t

#PER CHI AMA: Funeral Doom
I Fallen sono norvegesi e suonano funeral doom fin dal lontano 1996; hanno prodotto un demo e un album nel 2004 dal titolo 'A Tragedy's Better End'. Nel 2015 hanno pubblicato una raccolta per la Solitude Productions, riproponendo il vecchio lavoro arricchito da una splendida cover di "Persephone - A Gathering of Flowers" dei Dead Can Dance e di un altro brano fantastico dal titolo "Drink Deep My Wounds". In assoluto questa compilation è un lavoro stupendo, ricercato, che colpisce profondamente, un geniale colosso sonoro, romantico, malinconico ed ipnotico, un album che nessun appassionato del genere deve farsi mancare, un lavoro da rispolverare in pompa magna. Niente di nuovo sia ben chiaro ma semplicemente un mastodontico capolavoro di ottanta minuti dove il trio scandinavo non lascia superstiti, tra folate di vento gelido, ritmi al rallentatore, riff strazianti, morenti, decadenti, una qualità sonora egregia ed aperture pianistiche in pieno spirito classico ("The Funeral" è a dir poco fantastica e magnificamente inserita nell'album), puntuali come non mai nell'infliggere il colpo di grazia allo stato d'animo di chi ascolta. L'evocativa voce baritonale di Kjetil Ottersen è il perfetto Caronte della situazione, a traghettarci nell'Ade cavalcando le lente e drammatiche litanie della band, in un infinito inferno della psiche, spingendo al massimo la crescita artistica del gruppo e in generale di un genere tanto affascinante quanto di nicchia. Tornando a "Drink Deep My Wounds" la eleggo a mia song preferita, un capolavoro gotico, di tristezza profonda e imperiale che supera il confine del mondo metal accostandosi più all'opera teatrale, alle colonne sonore, alle opere maestose ed epiche di certa imponente musica classica e lirica. I quindici minuti circa di questa canzone sono il condensato della musica dei Fallen, una band che punta all'oscurità e che vuol lasciare parlare solo la propria musica, piena di risvolti sonori inaspettati ma sempre coerenti al genere ma al tempo stesso rivitalizzanti e suonati in modo inusuale. Con un artwork lodevole, 'A Tragedy's Better End' si conferma uno tra gli album più apocalittici ed interessanti degli ultimi anni, in cui i Fallen sono riusciti a valorizzare il modo di intendere il rock, emulando in modo egregio i grandi miti del genere, trovando però una propria inconfondibile, potente e distinta personalità. La mia massima ammirazione per la band che è riuscita a comporre un'opera simile, immortale, infinita e a oggi ancora stupenda nonostante il tempo passato. (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 90

sabato 9 aprile 2016

Soijl - Endless Elysian Fields

#FOR FANS OF: Death/Doom, Officium Triste, Red Moon Architect, Et Moriemur
After several years of inactivity, Swedish doom/death project Soijl brings about a rather simplistic and minimalist approach to the genre that’s certainly quite decent enough in it’s approach. Revolving around a simple swirling guitar-and-keyboard heavy framework here, this gives off a series of lethargic-to-slow paced efforts built around those swirling riffing patterns and haunting melodic keyboard work as the drumming keeping the pace behind it all dominate the album overall to the extent of forsaking everything else. Even with this minimal approach here, there’s a rather intriguing dynamic throughout here in that this type of astrological-styled minimalism manages to come off entirely enjoyable and convincing with the plodding rhythms and making for a much more celestial-flavored aspect on display than would otherwise be the case here. It’s still pretty slow-going and lumbers along at a sluggish pace, though it’s still somewhat energetic at times when it gets going. It’s just not often enough here due to the slower pace. The opening title track takes a strong lilting riff around plodding paces filled with celestial patterns that work nicely along through the slower rhythms churning along to the simplistic and minimalist environments throughout the final half for a solid opening here. ‘Dying Kinship’ offers swirling riff-work thumping along with the celestial melodic patterns against the minimalist atmosphere that plods along throughout as it changes into a more lively and engaging epic celestial melodies into the finale for another solid effort overall. ‘Swan Song’ features a light series of swirling celestial rhythms and simple drumming as the haunting rhythms throughout here bring along plenty of plodding beats with the swirling riff-work leading into bigger chugging patterns in the final half for a decent enough track. ‘The Formation of a Black Nightsky’ immediately takes the celestial swirling patterns along the sluggish chugging with plenty of tight patterns leading along through the scorching riff-work coming along through the mid-tempo riffing in the final half for an enjoyable and impressive highlight. ‘Drifter, Trickster’ takes an extended, long-winded series of swirling riffing and plodding tempos accompanied by the rather tight drumming bringing along the driving riff-work leading the celestial patterns through a series of tight swirling patterns through the finale for a fine if slightly long-winded effort. ‘The Cosmic Cold’ features a strong swirling series of riffing with plodding rhythms augmented by the occasional mid-tempo gallop and urgent chugging riffing off-set against the celestial swirling rhythms throughout the final half for another strong and enjoyable effort. Finally, ‘The Shattering’ takes swirling rhythms and plodding rhythms bringing along the slower pace here with the different engaging melodic patterns keeping the tight, flowing celestial arrangements keeping the tight patterns and swirling rhythms in line through the finale for an overall decent lasting impression. It’s good enough to be enjoyable though it comes off a tad too long. (Don Anelli)

(Solitude Productions - 2015)
Score: 80

mercoledì 30 marzo 2016

Autumnia - Two Faces of Autumn

REISSUE:
#PER CHI AMA: Death/Doom
La Solitude Productions ha festeggiato nel 2015 i suoi primi dieci anni di esistenza e per regalo ai suoi devoti si è incaricata di ristampare tutta una serie di album che erano finiti nel cassetto delle rarità e che avrebbero meritato più visibilità e fortuna al momento del loro lancio. È il caso degli ucraini Autumnia che, come i compagni di scuderia, gli ottimi Fallen, si sono organizzati per riesumare i primi due album fatti uscire tra il 2004 e il 2006, in un doppio elegante digipack, ben curato nella sua grafica intrigante, intitolato 'Two Faces of Autumn'. La band, che nel frattempo ha fatto uscire anche un full length nel 2009, con quest'opera intende mostrare al mondo il proprio progresso artistico, mettendo a nudo un sound fin dalle sue origini, dark oriented e gothic metal, come potrete evincere dall'ascolto del primo cd dal titolo 'In Loneliness of Two Souls', per passare poi ai brani di 'By the Candless Obsequial', contenuti nel secondo dischetto, più arioso e aperto a nuove influenze, sempre impregnate comunque di glamour gotico ma più fantasioso e profondo come concezione e costruzione, con quel tocco malato che non passa mai di moda e crea sempre un'atmosfera apprezzabile in stile primissimi Crematory, Moonspell, Anathema e My Dying Bride. La voce cambia spesso registro e le aperture sempre più interessanti, tendono la mano a un doom atmosferico dai risvolti epici e funerei. Ovviamente bisogna tenere bene a mente che si parla di musica con circa un decennio di vita alle spalle quindi, anche se suonati benissimo all'epoca, questi due album portano i segni del tempo e certe soluzioni sembrano ormai obsolete e scontate, anche se indubbiamente ancora di buon valore. Entrambe le release si ascoltano volentieri, stracolme di tristezza e senso di decadenza, musica dai risvolti drammatici, lungo la cui infinita durata, sembra possa perfino produrre una buona dose di sperimentazione, soprattutto nel cantato, che in parte emula i francesi S.U.P. ma qui riproposto sempre in un'ottica prettamente ed esageratamente doom metal. "Bitterness of Loss" è il brano alla fine che tocca la vetta artistica più alta ed anche il mio preferito, con un ampio ed epico incedere intriso di cupa desolazione e dotata di un cantato teatrale, vario ed espressivo a dir poco straordinario. Ottima ristampa per ritrovare un altro pezzo di storia del doom metal più underground, dimenticata nelle stanze dei ricordi passati. Buon tetro divertimento. (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 215)
Voto: 70

venerdì 25 marzo 2016

Ennui - Falsvs Anno Domini

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Esoteric
Bene, ora posso confermare che ascoltare doom metal è un'arte e non una moda, il funeral doom è una filosofia e album come questo lo rendono credibile e condivisibile con un gran numero di palati fini e persone che considerano la musica un grande mezzo di divulgazione di idee e libertà. Gli Ennui sono georgiani e suonano funeral doom, intriso nel lisergico suono della psichedelia, cosparso di sentori black metal dai tratti avanguardistici. Le chitarre sono taglienti, l'incedere del disco è sinistro e oscuro, tutti i brani sono enormi e colmi di pathos ancestrale e luciferino, una sorta di Avalon buio e deprimente, rifugio per anime perdute ma coscienti, che esiste in un mondo di dignità, onestà e umanità aldilà di quello che tv, giornali, politici e potenti di turno, ci vogliono far credere. Da sottolineare immediatamente la prova esagerata dei due chitarristi, Serge Shengelia e David Unsaved, che donano un sound all'intero lavoro di assoluta qualità. Un suono corposo, acido, tagliente e gelido, potente, arricchito di lunghi tappeti di tastiere epiche e di una batteria ossessiva (Daniel Neagoc basso, batteria ed anche dietro al banco mixer), ultra tecnica, dal taglio molto black metal che divaga spesso in tempi atipici per il genere, creando un effetto contrasto con la musica, astratto e variegato, un tantino troppo black forse ma di sicuro interesse artistico. Bello l'artwork e tutta la lista di collaborazioni importanti che vanta membri di Esoteric, Evoken, Colosseum, Comatose Vigil. Uscito per la Solitude Productions nel 2015, 'Falsvs Anno Domini' è un lavoro carico d'infinito, fatto da persone molto preparate e puntigliose, musicisti innamorati del genere, compositori d'alto rango. Ottanta minuti circa di musica urticante, riflessiva e penetrante, un cd saturo di suoni metal estremizzati e devoti al doom più oltranzista. Per finire, le composizioni personalissime e intelligenti, non annoiano l'ascoltatore e lo accompagnano intense in un lungo viaggio emotivo ed estremo per cui come esempio segnalo il terzo brano in scaletta, "The Stones of the Timeless", che mette in risalto una band con tante cose da dire e ancora molte idee in cantiere per il futuro. Una bella prova di carattere e come viene descritto nella pagina bandcamp della band... "È come uno sputo in faccia a tutti i disgregatori miserabili e falsi pretendenti che guidano il nostro mondo verso il collasso". Adorabili, taglienti, pericolosi. (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 90

sabato 19 marzo 2016

Womb - Deception Through Your Lies

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi My Dying Bride, Saturnus
Se mi sembrava strano che il funeral doom imperversasse in Brasile con gli HellLight, altrettanto strano mi suona che gli andalusi Womb si facciano portavoce di un death doom atmosferico. Diavolo, in quelle terre dove il sole splende alto nel cielo, che bisogno c'è di deprimersi con atmosfere di siffatta decadenza. Supportati dalla onnipresente Solitude Productions (sempre più in simbiosi con la Hypnotic Dirge Records), questo quartetto, tra le cui fila militano membri o ex di Winterstorm e Shattered Sigh, si abbandona ad un acerbo concentrato di sonorità doom che poco hanno da aggiungere a quanto già affolla la scena oggigiorno. Non posso negare che le melodie di "Echoes of Our Scars" non siano gradevoli, però trovo che la produzione scarna e scarsa, ne penalizzi non poco il risultato finale. Ovviamente, gli ingredienti del genere ci sono tutti: riff lenti e ossessivi, atmosfere cupe e apocalittiche, qualche accelerazione di matrice death e infine le immancabili funeste voci growl, che rappresentano il secondo punto di debolezza (forse ancor più grave della produzione) di questo 'Deception Through Your Lies' per cui lo relegano ad album per soli amanti del circuito funeral doom underground. Insomma, qui c'è spazio per crescere, non basta prendere i soliti punti di riferimento, Saturnus o i primi My Dying Bride, tanto per citarne un paio che ho percepito nella malinconica "March", per confezionare un album che possa puntare a chissà quali traguardi. 'Deception Through Your Lies' è sicuramente un lavoro onesto che però poco di innovativo ha da dire. Una maggiore cura nei dettagli a livello dei suoni con un vocalist un po' meno "cavernicolo" e qualcosa di meglio sarebbe sicuramente emerso dalle note di queste cinque tracce. Per ora rimandati, ma non perdete la fiducia mi raccomando. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions/Hypnotic Dirge Records - 2015)
Voto: 55

https://hypnoticdirgerecords.bandcamp.com/album/deception-through-your-lies

venerdì 11 marzo 2016

HellLight - Journey Through Endless Storms

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Gli HellLight fanno parte di quella limitata schiera di band che qui nel Pozzo dei Dannati abbiamo visto nascere, crescere e divenire punto di riferimento per altre band dedite al funeral doom. Fa sempre un certo effetto sapere che l'oscuro quartetto (oggi rimasto in realtà un trio) arrivi dalla terra delle splendide spiagge e dei fenomeni del calcio, il Brasile, considerato il mortifero genere proposto. 'Journey Through Endless Storms' riprende là dove aveva lasciato 'No God Above, No Devil Below', ossia con i suoi ritmi lenti e ossessivi, carichi di cupa disperazione. Otto le tracce a disposizione per rievocare, attaverso ben ottanta estenuanti minuti, tetri presagi di oscura e lacerante decadenza. Già dall'iniziale titletrack, il terzetto di São Paulo ci delizia con marziali funebri melodie celebranti il rito della morte, sulle cui note si incrociano il growling e le clean vocals di Fabio de Paula, nonchè la delicata voce di una gentile ospite, Claudia o Ghisi (presente anche nella finale "End of Pain"). Le influenze per i nostri rimangono le stesse di sempre, con in testa i soliti Skepticism, Evoken e Thergothon, che presto verranno spodestati nel loro ruolo di punto di riferimento, proprio dagli HellLight. La musica si muove lenta e disperata come era lecito attendersi, rievocando nei momenti più incredibilmente malinconici, anche lo spettro dei Saturnus, come nel caso del lungo assolo conclusivo di "Dive in the Dark", song che peraltro vede la presenza di un altro ospite al violoncello. La pioggia continua a cadere tra un pezzo e l'altro, a testimoniare quel senso di pessimismo cosmico e profonda tristezza che intride l'album in toto. Tutti i pezzi sono ben bilanciati tra affannose chitarre profonde, e suadenti note di pianoforte. "Distant Light That Fades", nel suo nostalgico flusso sonico, mi ha richiamato addirittura la splendida e deprimente "Sear Me MCMXCIII" dei My Dying Bride dell'impareggiabile 'Turn Loose the Swans': seppur privo del violino, le emozioni strazianti che ho percepito erano molto simili a quelle della "Sposa Morente". Gli HellLight ci consegnano un nuovo capitolo della loro storia, confermandosi ancora una volta una band di eccellenza priva di macchie o passi falsi nella propria discografia, un ensemble che merita tutta la nostra stima. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 80

domenica 28 febbraio 2016

Orphans of Dusk - Revenant

#PER CHI AMA: Death/Gothic/Doom, Type O Negative, My Dying Bride
Australia e Nuova Zelanda non sono dopo tutto cosi lontane, cosi come non lo sono Canada e Russia. In un mondo in cui le distanze siderali sono azzerate dall'esistenza di internet, non c'è da stupirsi se gli Orphans of Dusk siano un terzetto formato da personaggi della scena di Sydney (Australia appunto) e di Dunedin, sconosciuta località confinata all'estremo sud della Nuova Zelanda. Altrettanto vale per le etichette che hanno messo le mani in cooperazione su questo act oceanico: la canadese Hypnotic Dirge Records e la russa Solitude Productions. Originariamente uscito in solo formato digitale nel 2014, 'Revenant' ha pertanto modo di farsi vedere più vicino al mondo grazie all'intervento delle due case discografiche, dimostrando che la scelta fatta è stata assai arguta. Quattro i pezzi a disposizione del trio, che in questo primo EP, ha modo di citare nelle proprie composizioni, i primi My Dying Bride e i Paradise Lost, grazie alla vena death gothic doom che ammanta l'intero lavoro e in secondo luogo, e qui sta il forte interesse per i nostri, anche i Type O Negative per l'uso delle vocals baritonali da parte di Chris G (membro dei Mesmur), molto vicine a quelle del compianto Peter Steel (ma anche al vocalist dei Crash Test Dummies), nonchè anche per un certo uso delle tastiere che richiamano i primi lavori, più doom oriented, della band di Brooklyn (ascoltate "August Price" e capirete cosa intendo). La musica si muove comunque tra gli anfratti del doom più atmosferico e decadente, con le keys che sprigionano una certa sacralità per quella loro affinità con l'organo da chiesa, forte soprattutto in "Starless". "Nibelheim", la terza, è forse la traccia più ostica a cui avvicinarsi, laddove le asperità del death in stile Bolt Thrower trovano pace in un gothic ammaliante in grado di placare l'istintiva brutalità espressa nella prima metà del brano e donare una certa vena di originalità alla proposta dell'ensemble oceanico. Chiude l'EP "Beneath the Cover of Night", un mellifluo brano di oltre otto minuti in cui a farla da padrone sono quasi esclusivamente le vocals di Chris (in formato growl e gotico) e i synth di James, sorretti comunque da una buona base ritmica. Se il buongiorno si vede dal mattino, mi aspetto grandi cose nell'immediato futuro da questo terzetto. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records/Solitude Productions - 2015)
Voto: 70

https://orphansofdusk.bandcamp.com/album/revenant

sabato 14 novembre 2015

Obsidian Sea - Dreams, Illusions, Obsessions

#PER CHI AMA: Dark/Doom/Psych
La Bulgaria, Sofia di preciso, è la città natale degli Obsidian Sea, tre musicisti che si sono incontrati nel 2009 per dare vita ad un progetto interessante, ma soprattutto divenuto in poco tempo conosciuto e fondamentale per la scena doom/psych rock bulgara. La band ha lanciato il debut album nel 2012, lavoro che ha riscosso buoni feedback dalla critica, ma anche dai fan, locali e non (se non lo avete già fatto, trovate la recensione tra le pagine del blog). In poco tempo il trio ha calcato i palchi di importanti festival, trovandosi gomito a gomito con icone del calibro di Ufomammut, 1000Mods e tanti altri. Questo ha permesso alla band di maturare in fretta ed ora ci riprovano con 'Dreams, Illusions, Obsessions', album prodotto dall'instancabile Solitude Productions. Il doom degli Obsidian Sea è classico, quello degli Electric Wizard per capirci, quindi non preoccupatevi, non vi strapperete i capelli gridando al sacrilegio perchè una band doom ha osato contaminare il sacro genere. Ritmiche lente, chitarre con accordature che raggiungono le basse frequenze dell'inferno e quant'altro. In realtà la band non sfutta i classici muri di chitarre, ma preferisce riff e assoli più blues e psichedelici, lasciando più spazio agli altri strumenti e alla linea vocale. Le atmosfere sono oscure e richiamano antichi rituali, tra sabba ed evocazione di mostri provenienti da altre dimensioni. La scelta dei suoni e del mix è di tipo vintage, quindi suoni caldi e avvolgenti, pochi fronzoli e tanto groove. "The Trial of Herostratus" apre le danze con una middle tempo classica nella struttura e negli arrangiamenti, ma di cui si coglie subito la qualità e l'essenza della band bulgara. La voce è carica di riverbero come vuole lo stile, sembra quasi provenire dall'oltretomba pur regalando una piacevole atmosfera e lasciando comunque il cantato, di facile interpretazione, ad uno stile vintage. Nonostante la ritmica sia relativamente lenta, batterista e bassista si prodigano a intrecciare diverse trame arricchendo così la canzone e rendendone più gradevole l'ascolto. Il riffing poi non è cosi invasivo, ma si fonde perfettamente al resto degli strumenti e grazie a riff convincenti e diversi cambi di tempo e assoli, arriva a forgiare un brano ben fatto. Accelerazioni, rallentamenti e quant'altro dimostrano la capacità artistica e tecnica non trascurabile del trio di Sofia. "Confession" ci porta nelle profondità psichedeliche delle mente umana, dove sogno, illusioni e ossessioni attanagliano la mente umana incatenandola ad un livello di realtà che rende ciechi e ci allontana dalla verità assoluta. Nei sei minuti abbondanti, si assaporano con gusto tutte le sfumature provenienti dai vari strumenti e in un impianto hi-fi di buona fattura, è puro godimento per i timpani. La traccia si sviluppa in modo costante per tutta la durata e la band ha spazio a sufficienza per esprimersi al meglio, come il chitarrista che si lancia in assoli e riff davvero orecchiabili. Perfino il tanto bistrattato basso riesce ad avere il suo momento di gloria, anche se in effetti, fa un gran lavoro lungo l'intero album. La chiusura è in fade out, una scelta che non reputo quasi mai positiva perchè sembra dettata dalla pigrizia, ma conoscendo la band deduco che si tratti di un'opzione puramente stilistica. Altro pezzo degno di nota è "Somnambulism", oscuro e sensuale come un'ombra che danza scalza, alzando la polvere dal suolo e si mescola al sudore. Liquidi lisergici scorrono nelle vene e fumi densi offuscano la vista, ma aprono il terzo occhio che proietta sul vuoto infinito. La bravura degli Obsidian Sea sta proprio nel saper creare atmosfere che abbracciano l'ascoltatore disposto a socchiudere gli occhi e lasciarsi andare a stati mentali paralleli. Musica solida quella degli Obsidian Sea; se cercate un buon album ricco di doom e rock psichedelico, allora 'Dreams, Illusions, Obsessions' è ciò che fa per voi. Se invece cercate qualcosa di anche lontanamente originale e innovativo, volgete il vostro sguardo altrove. (Michele Montanari)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/ObsidianSeaDoom/

venerdì 16 ottobre 2015

Sorrowful - In the Rainfall

#FOR FANS OF: Doom/Death Metal, Vastum, Apocryphal, early Anathema
Managing to employ an old-school sound in today’s metal scene isn’t exactly a rare feat, what with the retro-Death and Thrash acts sprouting up seemingly by the minute, yet doing that and emerging as a competent force in your chosen genre is a fine feat indeed, and this Mexican-by-way-of-Sweden twosome is a stellar and oftentimes accomplished mixture of early Death Metal and old-school Doom. While the pace throughout is decidedly Doom, full of heavy, churning, agonizingly slow riffs sprawling from the darkness, the fact that they’re full of chugging grooves, tightly-wounded twisting rhythms and come packed with growling vocals gives this a truer Death Metal attitude which is remarkably addictive throughout here with this one really generating quite a vast amount of good will here in these rhythms. They manage to keep this one with a firm balance between the slow, plodding paces and a generally faster, more up-tempo drive here that still manages to come off coherently and flows logically together, but the greatest strength here is undoubtedly the type of cavernous, monolith production that makes this sound so much heavier and more dynamic. Though there’s some hit-or-miss tempos and riffing on display here, for a debut that’s a little more forgivable and is certainly drowned out by the more impressive elements featured here otherwise. Intro ‘The Last Journey’ gets this going with some nice swirling riff-work and plodding tempos that make for quite a stellar atmosphere here that takes a really dark, brooding ambience to the proceedings with the more Death Metal riffing spread throughout the final half for a solid start here. ‘Nothingness’ offers up more churning Death Metal riffs than the preceding track, but the crushing pace and heavy, thumping back-end here keeps this blistering pace in check before exploding into a frenzied up-tempo assault that makes this a fine highlight offering. Likewise, ‘Gray People’ follows up nicely with a strong opening riff and some solid drum-work that drops off the pace quite nicely here with the deep churning riffing offering up some solid heaviness though they drag this out somewhat with some dragging tempos in the later half that keeps this from being as fun as the earlier tracks. ‘Oceans of Darkness’ certainly does the slow, churning pace much better with a striking series of melodic leads, finely-tuned rhythms and much more enjoyable mid-tempo crunch that keeps this one rolling along nicely for another strong highlight offering. It’s back-to-back highlights as ‘Utopian Existence’ offers the most explosive straight-forward Death Metal styled opening as the charging tempos and pounding drumming throughout the second half offer forth the least Doom influence on the whole album as the stylistically darker rhythms here appeal greatly in another strong effort. ‘Frozen Sun’ comes lurching back into the Doom mold with a series of churning rhythms and plodding tempos while still offering the occasional blast of mid-tempo charging yet remains more rooted in those sprawling, heavy riffs which make this one of the better straight-forward Doom tracks. Both ‘The Machine of Desolation’ and ‘The Flight of Mind’ keep those churning rhythms in fine form as the blasting drumming and heavy-handed riffing make for strong impressions here with the melodic leads counter the up-tempo grooves quite nicely and making for overall enjoyable offerings. Finale ‘Eager of Death’ brings back the soaring, melodic tempos here with some rather fine churning riffs and droning rhythms that are played off quite nicely here in bringing a melancholy vibe that wasn’t really present before-hand and causes that to stick out here while still offering a fine ending note. Overall there’s some good points here that should help them out as they continue along. (Don Anelli)

(Solitude Productions - 2015)
Score: 85

domenica 11 ottobre 2015

Evoke Thy Lords – Boys! Raise Giant Mushrooms in Your Cellar!

#PER CHI AMA: Stoner/Sludge/Doom/Psych
Terzo lavoro per il quintetto siberiano, e successore di quel 'Drunken Tales' che nel 2013 ne aveva sancito la svolta stilistica da un death piuttosto convenzionale a uno stoner-doom dalle forti componenti psichedeliche, accentuate dalla presenza in formazione di un flauto traverso. Come si può facilmente evincere dal titolo dell’abum e dall’artwork, in questo nuovo album gli Evoke Thy Lords hanno intenzione di proseguire su quella strada, accentuando le componenti lisergiche del loro suono. Nel 2013 concludevo la mia recensione di 'Drunken Tales' mettendo in guardia su un possibile appiattimento del suono una volta esauritosi l’effetto sorpresa dovuto allo straniamento dato dall’accostamento di mondi musicali apparentemente distanti, ma il pericolo è, per il momento, scongiurato. Questo 'Boys!' (non vi dispiacerà se abbrevio il titolo chilometrico) rappresenta anzi un’ulteriore evoluzione della formula, in cui la compenetrazione tra la componente doom e quella psichedelica si fa piú profonda e meno naif. Il disco mette in fila sette lunghe tracce in cui l’equilibrio tra gli elementi è sapientemente dosato. I riffoni ultra-ribassati e rallentati, accompagnati da growl vocals gutturali, ben si incastrano con le dilatazioni space rock in cui fa capolino, qua e là, una voce femminile a fare da contraltare melodico. Secondo me, un deciso passo avanti rispetto al predecessore, che oggi appare acerbo in confronto. Qui c’è una visione piú chiara ed è aumentata anche la consapevolezza nei propri mezzi e della direzione da seguire. Brani migliori? Difficile scegliere. Direi però che “I Want to Sleep” e “Human Thoughts as a Weapon” riescono a sintetizzare alla perfezione la proposta dei russi, tra desert rock e doom metal. Ottimo lavoro, in grado di piacere tanto ai doomster piú cruenti quanto agli amanti dello space rock di matrice stoner. (Mauro Catena)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 75

giovedì 8 ottobre 2015

Dryom - 2

#PER CHI AMA: Funeral doom
Bisogna ammettere che il funeral doom ha un fascino eccezionale, riesce a paralizzare ogni momento di ascolto rendendolo immediatamente eterno, divinizzando quel senso di caduta profonda, portando il nostro spazio/tempo in una dimensione astratta e riflessiva, tagliata in due tra romanticismo e malinconia, muovendosi in modo sinuoso, costantemente nell'ombra, permettendoci infine di esplorare parti buie e meritevoli, oppure malate e dannose per il nostro subconscio inesplorato. Il funeral doom lo si ama o lo si odia. Tutta questa poetica come preambolo alla presentazione di uno stupendo album uscito nell'anno del signore 2015, per la Solitude Prod. che conferma l'elevata qualità di produzione della label russa. Questa misteriosa one man band riafferma la presenza nel mondo del doom, di una scintillante scena russa in grado di soddisfare anche i palati più fini riguardo al genere. Pari a tante proposte conterranee, questo artista di nome Dryom (in cirillico Дрём) sale in cattedra e ci offre un magistrale affresco funerario, dai tratti esasperati e decadenti, pesantissimi, contraddistinti da brani di lunga durata, tastiere infinite e una voce sepolcrale ai confini della realtà umana, che alla fine risulterà essere la vera protagonista di tutti i pezzi. Dissonanze, suoni atipici e perfino l'utilizzo di un marranzanu, tipico strumento a bocca del sud Italia, a cui si aggiungono una batteria drammatica, ossessiva, una chitarra distorta e tagliente come una frusta su brani che non si ripetono mai, una propensione verso il suono metal sinfonico assai spinta che fa da comune denominatore a tutte le quattro estenuanti tracce del disco, che coprono un totale di circa sessanta minuti di puro oblio cosmico. L'artwork di copertina è stupendo, con il suo paesaggio post atomico invernale. Ma ciò che mi preme risottolineare è la magnifica voce gutturale del frontman: spettrale, emarginata, malata, che domina un suono in cui più volte ho rischiato di smarrirmi, nel godere di quel senso di vuoto persistente che esso trasuda, e in cui la presenza di luce carica di speranza è relegata a pochi attimi, disseminati tra una composizione e l'altra. Mai una caduta nel plagio, mai una pecca, qui l'originalità è ottenuta scavando nell'anima. Un album da ascoltare con il fiato sospeso! Una vera perla nera! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 90

sabato 3 ottobre 2015

Doomed - Wrath Monolith

#PER CHI AMA: Death/Doom
A Gennaio avevo recensito 'Our Ruin Silhouettes': l'instancabile sassone Pierre Laube, mastermind dei Doomed torna prontamente con un nuovo album pregno di sonorità doom/death metal. Se non conoscete il personaggio, Doomed è un progetto solista dove Pierre si occupa di scrivere i pezzi, suonarli ed arrangiarli, facendosi supportare da fidati compagni solo per le esibizioni live. 'Wrath Monolith' contiene sei tracce per un totale di cinquanta minuti ed è arrivato tra le mie mani in versione semplificata per gli addetti ai lavori, quindi non posso dire granché sul packaging. La grafica della copertina riprende gli album precedenti, con l'utilizzo del colore verde pallido e del nero con rappresentazioni stilizzate di demoni e paesaggi onirici con richiami alle religioni. Questo per dire che Doomed non si fa coinvolgere dalla frivolezza che spesso attanaglia il mondo della musica, ma vuole comunque trasmettere i sui pensieri e gli stati d'animo più profondi e ossessivi. Come anticipa il titolo, l'album vuole essere come un monolito, costruito e innalzato in onore dell'ira, il sentimento che probabilmente ha inspirato Doomed per la scrittura di questi sei brani. Il primo pezzo che ci accoglie dopo l'inserimento del cd nel lettore è "Paradoxon", una breve intro malinconica di pianoforte che lascia subito lo spazio per l'attacco pesante e lentissimo degli altri strumenti. Le protagoniste musicali sono le chitarre, distorte e ribassate per fare da tappeto sonoro ai brani e poi l'onnipresente chitarra solista che, come un navigato cantastorie, conduce l'ascoltatore attraverso le melodie che si intrecciano durante i dodici minuti abbondanti della canzone. Ottimi gli arrangiamenti che sanno tramutare le melodie tenebrose in riff meno ossessivi e che lasciano intravedere una luce in fondo al tunnel. A metà brano c'è un break che di fatto sancisce la rottura con la precedente parte, una sorta di atto secondo, dove la voce duetta tra sé e sé a suon di growl. La batteria si inserisce sempre in maniera impeccabile, utilizzando spesso una grancassa ossessiva aumentando il senso di oppressione che imperversa per tutta la traccia. Un brano che fa da biglietto da visita e mette subito a tacere qualunque dubbio sull'ipotesi che l'artista abbia voluto introdurre qualche novità rispetto ai precedenti lavori. "The Triumph - Spit" apre con il verso di un corvo che come uno psicopompo annuncia l'entrata dell'immaginario carrarmato devastante che stritolerà qualsiasi cosa con i suoi cingoli infernali. I riff di chitarra sono in pure stile death e sono semplicemente sopraffini, inoltre la leggera linea di tastiere arricchisce il brano con atmosfere eteree. La voce conduce, cosi come negli altri brani, con un fare iracondo e senza l'ombra di una qualsiasi pietà per l'oscena umanità che si dimena come zombie sulla superficie della terra. Un lontano coro si inserisce nel brano e poi altri intrecci si susseguono, sempre con massimo armonia e cura per l'attento ascoltatore che cercherà di cogliere le diverse sfumature inserite dal musicista. "I'm Climbing" è l'ultima tracce dell'album e conferma quanto detto precedentemente sulla composizione musicale. Il brano richiama le sonorità dei vecchi Katatonia e Pierre dà libero sfogo al suo cantato potente e autoritario, una sorta di oratore del nuovo millennio che cattura l'ascoltatore e lo incatena davanti a sé fino alla fine. Dopo circa tre minuti il brano muta completamente grazie all'assolo di chitarra che sembra arrivare da una dimensione lontana e che lascia spazio ad un vecchio pianoforte malinconico che chiude il cd facendo calare il sipario. In generale la composizione dei brani è sempre molto complessa, arrangiata in modo ineccepibile e il tutto è coronato da una cura chirurgica dei suoni. L'esperienza dei Doomed è palese grazie a lavori sempre di qualità, un doom mai banale che viene portato ad un livello altissimo e che può avvicinare anche le orecchie meno abituate a queste sonorità. L'inserimento di tastiere, linee vocali prog, suoni ambient e quant'altro alleggeriscono alcuni passaggi che sono oggettivamente sostenibili per un tempo limitato senza cadere nella depressione più nera. 'Wrath Monolith' raccoglie sei brani raccontati ed eseguiti attraverso diversi stati d'animo, con piglio epico da un musicista che merita di essere annoverato tra i più meritevoli degli anni duemila. (Michele Montanari)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/doomedband

venerdì 25 settembre 2015

Mare Infinitum - Alien Monolith God

#FOR FANS OF: Atmospheric Doom/Death Metal, Morgion, Shape of Despair
As has become quite common-place recently, Russia has spewed forth an impressive collection of Doom/Death Metal bands that offer sprawling, majestic paces mixed with melody and aggression, and much like those bands this three-piece effort offers a crushing display of that style on this second full-length. The whole idea here is glacial-slow paces, built around thudding bass-lines and plodding, simple drumming with a fine mix of churning, low-end guitar riffing compiling some of the heaviest rhythms possible at such a finite tempo to produce a fine Doom/Death Metal base while the rather pleasing addition of clean vocals and celestial keyboards provide this with some rather pleasing atmospheres, and the whole affair is effectively dripping with a kind of quality one expects from the recent explosion of Russian acts attempting similar styles. In fact, the pace and vibe here borders on Funeral Doom Metal at times in terms of tempo but still keeps this one more firmly rooted in the Death Metal realms which is quite enjoyable at times even if responsible for making this a little slower than would be expected from such a genre, and as a whole the album is quite enjoyable. Opening track ‘The Nightmare Corpse – City of R’lyeh’ turns from light lilting guitars to a steady mid-paced crunch and follows through nicely as the mix of cleans and harsh growls compliment the raging tune nicely as this kicks off the album in fine fashion. ‘Prosthetic Consciousness’ also follows suit with a similar opening style that again turns into a simplistic, plodding series of crushingly heavy rhythms and plenty of stylish patterns that do keep the atmosphere going while never quite doing much of anything to get the pace going as this is just too slow and plodding to mean much of anything here against the other tracks. The epic title track is another massively slow-burning effort filled with plodding tempos and a series of fine celestial-inspired keyboards coursing through the middling pace as the heaviness is substituted very nicely for melody instead as the massive arrangements move into a light, relaxing celestial journey that makes for quite a moving experience here, and while it could’ve been trimmed up a bit still ranks as one of the highlights. ‘Beholding the Unseen Chapter 2’ attempts to change that up with a more pronounced and explosive series of truer Doom/Death Metal stylings with a rather discernible emphasis on a heavy rhythm and rather bombastic series of keyboards amidst the thumping riffs that make for another strong highlight offering. Lastly, ‘The Sun That Harasses My Solitude’ offers a strong, lilting piano intro with atmospheric keyboards through the plodding, celestial tempos crashing along with the Doom rhythms and a grandiose, majestic finale that makes for a great conclusion here. They do this style quite well, and are certainly enjoyable enough overall even if they can do with some shortening up from time-to-time. (Don Anelli)

(Solitude Productions - 2015)
Score: 80

domenica 20 settembre 2015

Luna – On the Other Side of Life

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Gothic
Risuona come un presagio plumbeo il nuovo album della one man band ucraina Luna. Uscito per la Solitude Prod. in questo 2015, il disco mostra tutta la sua devozione alla musica del destino, con tastiere epiche ed immortali, una cadenza lenta ed esplosioni dal suono metallico, granitiche e possenti. Le uniche due lunghe tracce che compongono l'album sono monolitiche e solenni, in puro stile Skepticism anche se Luna tende a mantenere sempre un legame viscerale con certe sonorità death e gothic molto radicate nella sua costruzione. L'album è di pregevole fattura, sale di intensità continuamente e si inserisce bene nella media dei lavori inerenti al doom/ funeral/ambient metal, che richiedono una preparazione tecnica elevata e una certa sensibilità compositiva al di sopra della norma per non creare lavori ripetitivi e noiosi. Con un artwork pregevole ed insolito ricavato dalle opere di Munch e Demort, la mente dei Luna, intende ritagliarsi uno spazio nel tempio del doom che conta, offrendo un prodotto dalle atmosfere surreali, oscure, ampie e drammatiche, un flusso continuo di energia grigia che esalta ed estranea l'ascoltatore portandolo in un mondo desolato atto ad indurlo ad una riflessione infinita. Due tracce affascinanti, intense, dove il secondo brano, che dona anche il titolo all'album, spicca per la sua inusuale vena decadente e romantica, piena di speranza. Una composizione sinfonica più che perfetta, 33 minuti di malinconica melodia dove l'autore sarà in grado di amplificare la sua anima gotica ed eterea, sacrificando leggermente il lato più doom del sound, senza perdere la caratteristica tensione, avvicinando infine la propria proposta ad una imperiale colonna sonora dall'evoluzione progressiva. Album da ascoltare tutto d'un fiato e in completa solitudine! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 75

sabato 19 settembre 2015

Septic Mind - Rab

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Avantgarde
C'è qualcosa di indescrivibile in questo terzo album assai inspirato dei russi Septic Mind. Un universo di sfumature oscure che toccano un'infinità di generi che si trasformano in magia sonora traccia dopo traccia. Una sonorità fredda che potrebbe simulare i mitici Fields of the Nephilim, viene riplasmata con influenze d'avanguardia inaspettate tipo Spherical Unit Provided, venature dark/black metal, inserti d'elettronica minimale e altre diavolerie varie, improbabili chitarre acustiche dal lontano sapore di folk e rumoristica varia. Ad estrarli definitivamente dal calderone funeral metal, è un'attitudine glam esuberante ben radicata nel duo, che rende il loro suono esageratamente attraente, una qualità che non tutte le band odierne possono vantare. Il suono del duo di Tver è tipicamente derivato dal doom metal ma caratterizzato da una vena molto dark che sembra uscire dalle migliori band death rock con un velo 80's di tutto rispetto, con riverberi esagerati di batteria, tappeti di tastiera incantati, chitarre taglienti e voci cavernicole intriganti, sensuali, perverse e dal fascino luciferino, una sorta di Ex-VoTo in salsa Incantation. Le tracce sono variegate e ben prodotte (la mia preferita è la lunga "Na Poroge Peremen" che chiude il disco con un sound sperimentale, psichedelico spiazzante, decisamente originale), piene di escursioni e rimandi sonori a più entità del passato tra cui Swartalf, Atrocity, Rapture, e con una certa propensione ai Shape of Dispair che fa da legame su tutto. 'Rab' (in cirillico 'Раб') è alla fine un album ostile, ottimo per ascoltatori amanti della ricerca sonora, chicca per estimatori della sperimentazione tra generi e del funeral doom più contaminato e ricercato, quello che non si presta ad omologazioni e di difficile catalogazione, per quei suoi connotati progressive e d'avanguardia. Quattro lunghi brani licenziati sul finire del 2014 via Solitude Prod. che innalzano ulteriormente il valore delle sempre più ricercate uscite dell'etichetta russa. Una band notevole! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/SepticMind

mercoledì 29 luglio 2015

Without God - Circus of Freaks

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
I Without God sono una band doom metal di provenienza russa, prodotta dalla Solitude Productions, tra le più consolidate etichette che trattano il genere in questione. Il quartetto è formato dal vocalist/chitarrista Anton, Weector al basso, Ivan alla batteria e un'altra chitarra affidata alle dolci mani di Olga. Da Bandcamp si evince che la band è al primo full lenght, se si considera un EP prodotto nel 2010 e un singolo nel 2013. Le informazioni sulla band non sono tantissime e quindi ci concentriamo sulla musica prodotta dalla band. "Circus of Freaks" è contenuto in un semplice jewel case dalla grafica curata, ovvero una composizione disegnata ad hoc dove si trovano orrendi mostri vestiti da generali, capi religiosi e leader politici di varie fazioni in una sorta di grottesco sit-in con attrazioni da luna park sullo sfondo. Le tracce contenute al suo interno sono otto e l'album apre con l'omonima traccia, all'insegna di un roboante e ruvido miscuglio di stoner e il metal. Chitarre che scolpiscono riff giganteschi sulla dura roccia, basso che sprofonda negli abissi delle frequenze umanamente percettibili e la batteria che scandisce il tutto a ritmo di una pulsazione blasfema dall'oltretomba. Il vocalist ha il classico timbro rauco e cattivo, con pochi fronzoli a conferma che i Without God sono legati alle tradizioni più estreme del genere. Il rallentamento a metà brano trascina l'ascoltatore giù nelle viscere della terra per una celebrazione blasfema a tempo di un battito primordiale delle profondità. Gli assoli e i feedback sono il contorno ideale per chiudere un arrangiamento classico senza tante pretese. "Mushroom Man" apre con un riff stoner di chitarre che diventa una cavalcata a suon di wha-wha e gli accordi in minore aiutano a creare un'atmosfera tesa e claustrofobica. I Without God creano un bell'ensemble compatto e funzionale, con cambi ritmici e armonici che rendono i brani abbastanza dinamici, ma l'impressione è che alla fine i pezzi si assomiglino un po' tutti. I puristi apprezzeranno, ma la chiusura e la staticità del genere bussano alla porta. "Seven Sins" cambia registro e si propone come brano più ampio, disteso nella composizione e che prende inspirazione dalla possente discografia degli Electric Wizard. Le chitarre erigono un muro sonoro abbellito da varie linee melodiche, con qualche intervento blues psichedelico nel break ove, per la prima volta, si ha il grande onore di udire anche il basso. Il quartetto russo è una buona band che sa suonare e comporre, dimostra di aver studiato per bene tutto quello che la storia ha da offrire. 'Circus of Freaks' alla fine è un disco adatto ai puristi del doom, pertanto se state cercate qualcosa di nuovo, passate oltre. (Michele Montanari)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 70

martedì 30 giugno 2015

Oktor - Another Dimension Of Pain

#PER CHI AMA: Doom Gothic
Io proprio non riesco a cogliere la decantata “altra dimensione del dolore” in questo primo full-lenght dei polacchi Oktor che giungono a questo risultato dopo dieci anni di attività ed un solo EP a inizio carriera. Il disco si basa su tre corpose tracce principali (“Conscius Somaton Paradise”, “Mental Paralysis” e “Hemiparesis Of The Soul”) a cui vengono affiancati in preludio e coda degli intermezzi strumentali, ove è protagonista un plastico, brillante e fastidioso pianoforte. Nonostante una necessaria competitività della prima delle tre, la proposta è alquanto scontata e presenta alcune parentesi decisamente fuori luogo con la totalità del lavoro, che rendono ancor meno appetibile quel poco fatto validamente. Il cantato in lingua madre è intrigante ma fatica ad esprimersi in modo eccelso a causa di una musicalità discordante che non riesce ad amalgamarsi ad esso. Una gamma di parti frammentate tra loro, impediscono a tutte queste idee miscelate, di condurre da qualche parte questo album della durata di ben cinquantacinque minuti, che si chiude, ironia della sorte, con un brano intitolato “Undone”. Non ci siamo. (Kent)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 50

giovedì 23 aprile 2015

Et Moriemur - Ex Nihilo in Nihilum

#FOR FANS OF: Death/Doom, Encoffination, Skeletal Spectre
It’s always a little troubling to mix together two extreme metal styles together that might not necessarily go well together, and in that regard Death and Doom are usually that mix which is what makes this Czech Republic entity so appealing on this second album. Generally, the only sense of cohesion between these styles comes from the oppressive atmospheres conjured within, yet here the lurching, slow crawl and agonized rhythms of Doom merge quite nicely with the pounding riff-work and dreaded atmospheres of Death into a solid whole by creating a lush, romantic atmosphere on the melodic side of things while going for the darker rhythms for the heavier sections. The influx of clean vocals and whispers against the harsher growls adds to the contrast quite nicely as well, tending to offer a token vocal over a given section which helps to set the mood and atmosphere within a given track which comes off rather nicely attempting this tactic and certainly allows for plenty of enjoyable tracks. Intro ‘Sea of Trees’ offers a series of moody, pounding rhythms and melancholic atmospheres with plenty of lush vocals mixed into the deeper growls that signals more intense and up-beat rhythms in the final half for a solid start to this. The massive ‘Dissolving’ gets right to the point with crushing, monolithic riffing, thunderous drumming and dark atmospheres that’s merged nicely alongside the lighter melodies as the inclusion of keyboards and stylish rhythms featured within make this a rather impressive offering that ranks as one of their highlights. ‘Norwegian Mist’ offers lush melodies and melancholic atmospheres that are more on the lighter side even on the heavier, crushing rhythms found on the later half which is still devastatingly heavy for another solid and enjoyable outing. ‘Liebeslied’ follows in much the same route of light melodies and atmospheres though this time the droning riff-work and rather sluggish pace tends to leave this decidedly underwhelming despite the generous use of crushing riffing throughout the latter half. The near-useless ‘Angst’ is an ambient interlude with discordant electronic noise swirling around it that does set-up ‘Nihil’ which goes for a more dynamic Death Metal atmosphere as the heavy, pounding rhythms and rather impressive keyboards backing the lighter sections that tends to get dropped back in favor of the heavier works here for a more enjoyable epic that mixes these genres together the best on here. Slightly changing things up, ‘Le Choix’ features trance-like droning riffing and plenty of atmospheric grandiose keyboards lending this an operatic quality against the romantic strings before finally letting the dark, heavy rhythms come into play for the later half which picks this up considerably for still decent enough effort. The album’s centerpiece track, the utterly massive sprawling epic ‘Black Mountain’ slowly moves from eerie pianos to pounding drumming, scorching riff-work and plenty of fine, outstanding melodies that are able to move through various sections of use with extended interludes depicting atmospheric nature sounds as well as mournful whispering that does drop this one slightly but on the whole comes off rather nicely for it’s atmosphere and melodies. Lastly, the more spoken-word ‘Below’ ends this on a lame note with an ironic narration about the album’s journey leading into the finale that would’ve been better served left as an instrumental. Still, there’s a lot more to like here than not and that’s enough to make this a decidedly enjoyable offering. (Don Anelli)

(Solitude Productions - 2014)
Score: 80

giovedì 16 aprile 2015

Woebegone Obscured - Deathscape MMXIV

#PER CHI AMA: Death/Doom/Avantgarde, In The Woods
Prosegue la ricerca quasi spasmodica in casa Solitude Productions per trovare new sensations in ambito death doom. Ormai non le contiamo più le band sotto l'etichetta russa e quest'oggi ci fermiamo in Danimarca per conoscere i Woebegone Obscured e la loro proposta di musica funerea di morte. Tre i pezzi nuovi, più due cover di cui diremo in seguito. L'Ep si apre con la title track che mette in luce una proposta assai mutevole nel suo evolversi. Il quartetto di Midtjylland infatti, non è il classico gruppo dedito a infauste sonorità oscure e asfissianti, ma c'è una certa dinamicità nelle note dei quattro, con un sound che si muove tra death, doom, black (ma solo per alcune linee vocali che dal growl sconfinano nello scream) e ovviamente funeral, senza tralasciare i classici frangenti acustici. Vi ho trovato anche un'inconsueta teatralità nelle clean vocals, quasi alla Warrel Dane dei Nevermore per intenderci, il che non guasta, e permette l'ascolto del lavoro anche ad un pubblico più ampio. L'inserimento poi del violoncello rende il tutto ancor più stuzzicante e a tratti originale. In "Catharsis of the Vessel" si intravedono addirittura tracce di un death progressive avanguardista, il che è quasi un fatto inedito in casa Solitude Prod. Si tratta di una spruzzata di sonorità bizzarre che donano una veste più intrigante a 'Deathscape MMXIV', oltreché eterogenea. Difficile comunque la digestione di questa seconda traccia, viste le ritmiche sghembe e visionarie, che in taluni frangenti mi hanno rievocato gli ultimi In the Woods. "While Dreaming in the Ethereal Garden" è l'immancabile traccia in cui trovano posto sonorità eteree, ma che in questo caso funge un po' da riempipista, prima delle conclusive cover. Appunto le cover: la prima è "Call From the Grave" dei Bathory, estratta nientemeno che da 'Under the Sign of the Black Mark' e riletta in una chiave decisamente doooom. La seconda è la famosissima "Xavier" dei Dead Can Dance: la revisione è vicina alla commovente versione originale, con il vocalist che si trova molto a proprio agio nelle tonalità alte mentre la musicalità mette in luce una vena poetica nel sound dei Woebegone Obscured. 'Deathscape MMXIV' alla fine è un lavoro interlocutorio che lascia comunque intravedere ampi margini di crescita per il futuro di questi giovani danesi. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 70