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domenica 15 maggio 2016

Дрём - 2

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Bisogna ammettere che il funeral doom ha un fascino eccezionale, riesce a paralizzare ogni momento di ascolto rendendolo immediatamente eterno, divinizzando quel senso di caduta profonda, portando il nostro spazio/tempo in una dimensione astratta e riflessiva, tagliata in due tra romanticismo e malinconia, muovendosi lentamente, costantemente nell'ombra, permettendoci infine di esplorare parti buie e meritevoli oppure malate e dannose del nostro inconscio inesplorato. Il funeral doom lo si ama o lo si odia, nessun compromesso è lasciato al fato. Tutta questa poetica come premessa alla presentazione di un album stupendo uscito lo scorso anno per la solita Solitude Productions, release che non fa altro che confermare l'elevata qualità di produzione dell'etichetta russa. Questa one man band riafferma, qualora fosse stato necessario, la presenza nel mondo del doom e di una scintillante scena russa in grado di soddisfare anche i palati più sopraffini al genere. Pari a tante proposte conterranee, questo artista di nome Дрём (Dryom) sale in cattedra offrendoci un magistrale affresco funeral, dai tratti esasperati e decadenti, pesantissimi, con brani di lunga durata (per una media di 15 minuti), tastiere infinite e una voce sepolcrale ai confini della realtà umana che alla fine risulterà essere il vero protagonista di tutti i pezzi. Dissonanze, suoni atipici e perfino l'utilizzo di un marranzanu - tipico strumento a bocca del sud Italia ma in realtà originario dei paesi del nord Europa, poi importato dai Normanni in seguito alla loro permanenza nel sud del bel paese - una batteria drammatica e ossessiva, una chitarra distorta e tagliente come una frusta, su brani che non si ripetono mai, dotati di una certa propensione verso un suono metal sinfonico che fa da comune denominatore a tutte le quattro lunghe tracce del disco, per un totale di circa sessanta minuti di puro oblio cosmico. L'artwork di copertina è poi cosi affascinante, con immerso nell'oscurità, un paesaggio post atomico invernale carico di suggestione. Ascoltando questo secondo album del mastermind russo si corre seriamente il rischio di perdersi, adorando gli esercizi gutturali di quella magnifica voce spettrale, emarginata, malata e trasudante un senso di vuoto persistente, avvertendo la presenza, anche per soli pochi attimi, di una luce carica di speranza, disseminati tra una composizione e l'altra senza mai cadere nel plagio, e con un'originalità ottenuta scavando nell'anima. Un album da ascoltare con il fiato sospeso! Una vera perla! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 90

giovedì 8 ottobre 2015

Dryom - 2

#PER CHI AMA: Funeral doom
Bisogna ammettere che il funeral doom ha un fascino eccezionale, riesce a paralizzare ogni momento di ascolto rendendolo immediatamente eterno, divinizzando quel senso di caduta profonda, portando il nostro spazio/tempo in una dimensione astratta e riflessiva, tagliata in due tra romanticismo e malinconia, muovendosi in modo sinuoso, costantemente nell'ombra, permettendoci infine di esplorare parti buie e meritevoli, oppure malate e dannose per il nostro subconscio inesplorato. Il funeral doom lo si ama o lo si odia. Tutta questa poetica come preambolo alla presentazione di uno stupendo album uscito nell'anno del signore 2015, per la Solitude Prod. che conferma l'elevata qualità di produzione della label russa. Questa misteriosa one man band riafferma la presenza nel mondo del doom, di una scintillante scena russa in grado di soddisfare anche i palati più fini riguardo al genere. Pari a tante proposte conterranee, questo artista di nome Dryom (in cirillico Дрём) sale in cattedra e ci offre un magistrale affresco funerario, dai tratti esasperati e decadenti, pesantissimi, contraddistinti da brani di lunga durata, tastiere infinite e una voce sepolcrale ai confini della realtà umana, che alla fine risulterà essere la vera protagonista di tutti i pezzi. Dissonanze, suoni atipici e perfino l'utilizzo di un marranzanu, tipico strumento a bocca del sud Italia, a cui si aggiungono una batteria drammatica, ossessiva, una chitarra distorta e tagliente come una frusta su brani che non si ripetono mai, una propensione verso il suono metal sinfonico assai spinta che fa da comune denominatore a tutte le quattro estenuanti tracce del disco, che coprono un totale di circa sessanta minuti di puro oblio cosmico. L'artwork di copertina è stupendo, con il suo paesaggio post atomico invernale. Ma ciò che mi preme risottolineare è la magnifica voce gutturale del frontman: spettrale, emarginata, malata, che domina un suono in cui più volte ho rischiato di smarrirmi, nel godere di quel senso di vuoto persistente che esso trasuda, e in cui la presenza di luce carica di speranza è relegata a pochi attimi, disseminati tra una composizione e l'altra. Mai una caduta nel plagio, mai una pecca, qui l'originalità è ottenuta scavando nell'anima. Un album da ascoltare con il fiato sospeso! Una vera perla nera! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 90