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martedì 22 gennaio 2019

Ananda Mida - Cathodnatius

#PER CHI AMA: Psych-rock '70s/Stoner/Garage, Brant Bjork
Gli Ananda Mida sono una creatura strana: il collettivo veneto è guidato da Max Ear (ex OJM) e Matteo Pablo Scolaro, entrambi coinvolti direttamente nell’etichetta GoDown Records. Da un primo, acerbo EP del 2015 a questo secondo full–length (che segue l’ottimo 'Anodnatius'), i due hanno suonato con line-up modulari, con o senza cantanti, aggiungendo tastiere, organi, percussioni a seconda delle necessità. Le coordinate musicali degli Ananda Mida, pur con la dovuta maturazione, sono tuttavia sempre rimaste costanti: l’ispirazione settantiana è fortissima, e premia una attitudine più garage che stoner (“Blank Stare”, con quel rullante insistentemente in battere), e sicuramente più psichedelica che metallara. Le vocals — c’è un ottimo Conny Ochs al microfono — sono calde, coinvolgenti, persino mistiche (la ballad acustica “Out Of The Blue” ne è un ottimo esempio). Melodia e timbrica ricordano da una parte il Jim Morrison dei The Doors, e dall’altra i recenti lavori di Brant Bjork — con i quali gli Ananda Mida condividono anche una certa passione per il rock/blues tinto di roots (“Pupo Cupo”). Fra i cinque brani di cui è composto 'Cathodnatius' spiccano i 22 minuti di “Doom and the Medicine Man”, che chiude il lavoro: una sorta di manifesto degli Ananda Mida, una suite lisergica dalle tinte southern (intendiamoci: qui di doom c’è solo l’ispiratissima lentezza dei bpm!), guidata dalle ottime chitarre di Matteo e Alessandro che trasudano delay e riverberi mentre macinano riff, accordi e soli. Bisognerà attendere la metà del brano per la prima accelerazione verso sonorità più stoner e spinte — ma il feeling è sempre lo stesso: occhi chiusi, braccia al cielo e testa che ciondola a tempo — per chiudere poi in un finale strappa-mutande dove a spiccare è nuovamente la voce del bravo Conny. Un lavoro scritto, arrangiato, registrato e prodotto con una precisione maniacale, che conferma gli Ananda Mida come vero gioiellino del panorama italiano. (Stefano Torregrossa)

martedì 20 marzo 2018

Meteor Chasma – A Monkey Into Space

#PER CHI AMA: Stoner, Kyuss
Il passaggio dalla lingua italiana alla lingua inglese ha giovato molto alla band potentina dei Meteor Chasma, che si presenta con un lavoro adulto e credibile, 'A Monkey Into Space', uscito nel 2017 e distribuito dalla Music for People, un album potente, psichedelico e dal suono praticamente perfetto per la materia musicale in questione, ossia il buon vecchio stoner rock, quello della prima era, quello degli anni novanta/primi anni duemila. Le chitarre caricate di bassi, la voce roca e vissuta che richiama gli Spiritual Beggars con Spice alla voce, gli ammiccamenti ai Kyuss in "Spacetime", e gli echi dei Desert Session ed Orange Goblin, la psichedelia alla maniera dei Pink Floyd in "Ride a Meteor", le cadenze blues pesanti come massi (a ricordare il primo superbo album dei Grand Magus), ricordando anche un che di 'Jalamanta' del buon Brant Bjork per i temi trattati a sfondo cosmico e spaziale e i tanti rimandi allo stoner più sanguigno e ruvido infestato da correnti di fluida psichedelia, fanno di questo disco una sorta di enciclopedia del genere in formato tascabile. Un lavoro ragionato e ricercato, studiato ad effetto in tutti i suoi particolari per estrapolarne il suono perfetto, ovviamente derivativo e poco originale ma decisamente sopra la media, direi vicino all'intensità sonora dei capiscuola. Una band che ha fatto passi da gigante rispetto al primo EP cantato in lingua madre, che merita rispetto per l'impegno dato e la caparbietà con cui ha voluto calcare i passi delle migliori stoner band, riuscendoci pure, un trio che può dare tanto all'underground italiano, ricercando una propria veste ancor più originale in questo genere musicale. L'album non cade mai di tono e si ascolta tutto d'un fiato ad alto volume, peccato per un artwork che non rispecchia precisamente il tipo di psichedelia pesante che la band suona. Un lavoro comunque contagioso, un disco che fa venir voglia di tornare a scoprire le radici dello stoner rock. L'ascolto di 'A Monkey Into Space' è come minimo consigliato, non vi deluderà! (Bob Stoner)

(Music for People/GoDown Music - 2017)
Voto: 75

https://meteorchasma.bandcamp.com/album/a-monkey-into-space

sabato 10 marzo 2018

Blueriver – Waiting for the Sunshine

#PER CHI AMA: Country Rock, Buffalo Tom
La Music for People alimenta il braciere del rock promuovendo (è uscito nel settembre 2017) il primo EP ufficiale di questa band proveniente dalla provincia di Lecco, pubblicato in precedenza dal gruppo autoprodotto nel 2015. Le quattro cavalcate elettriche scorrono veloci, aggraziate da una verve brillante e una buona dose di tecnica musicale, il suono è in carreggiata con band di grossa rilevanza, tra Buffalo Tom e Grant Lee Buffalo e devo ammettere che l'iniziale "You and Me" gioca la sua carta emozionale nel migliore dei modi portando alla mente un po' di quel sogno americano pieno di libertà e strade polverose da macinare. La title track, "Waiting for the Sunshine", porta con sè ottime linee vocali a stelle e a strisce, dove si sente tutto l'allinearsi dei Blueriver con i mitici Buffalo Tom e se non fosse per una registrazione assai buona, ma non troppo per gli standard yankee e anche non così calda come dovrebbe, in più momenti in quest'album, si sarebbe potuto gridare al miracolo. Ottima l'interpretazione vocale e i ricami chitarristici, che aprono le composizioni con un suono cristallino e aggressivo al tempo stesso, buone le scelte ritmiche, la varietà delle canzoni che pur rimanendo saldamente ancorate ad un genere molto classico, dall'impianto tipico del cantautorato rock, si muovono libere e per certi aspetti anche originali. Ripeto ancora che con una scaldata ulteriore al sound in direzione Drive-By Truckers sarebbe stato perfetto. Buon debutto ufficiale, attendiamo notizie per un full length con i fiocchi! (Bob Stoner)

(Music for People/GoDown Records - 2017)
Voto: 70

https://blueriverockband.bandcamp.com/releases

domenica 18 febbraio 2018

Stars at Night - S/t

#PER CHI AMA: Glam/Hard Rock
Già osservando la copertina del disco (un tributo, o più precisamente uno spudorato morphing tra 'Hysteria', Def Leppard classe 1987, e 'Dynasty', Kiss classe 1979) è facile capire dove diavolo siete capitati. Ora non vi resta che capirne il perché. Efficaci chitarrismi Iommi-stoner (efficaci, sì. "Get Up" per esempio ha il groove distante ed elettromagnetico di "Wheels of Confusion") uniti a un'attitudine glam-rissaiola ("Control") a tratti quasi virante verso certo post-punk ("When I Feel Free" per esempio ha più di qualcosina dei Bauhaus) o disco-glam (in "Searching" e in "When I Feel Free" potreste individuare meno di qualcosona dei Kiss più danzerecci). Il giro di accordi che introduce "Shake Me" ripercorre improvvidamente nientemeno che il celeberrimo incipit della quinta di Beethoven. La voce carismatica e impertinente di Irene Quiles si colloca groosso modo, dici poco, dalle parti Ann Wilson (sentite "Spellbinding Love", l'episodio più diabolicamente pop dell'album) ma una produzione impastata (non ruvida, garage o lo-fi. No. Impastata, semplicemente impastata) rischia di dilapidare il buon potenziale delle quattro fanciulle losangeline. (Alberto Calorosi)

(GoDown Records - 2016)
Voto: 70

https://www.facebook.com/STARSATNIGHTBAND1/

sabato 11 novembre 2017

Gunash - Great Expectations

#PER CHI AMA: Alternative/Grunge
I Gunash nascono in Piemonte nel 2003 da un’idea del cantante e chitarrista Ivano L. Zorgniotti e del batterista Danilo Abaldo, la line-up si completerà poi nel corso del tempo. Gunash è un gioco di parole tra Ganesh (la divinità indiana con la testa d’ elefante), Gunas (le quattro fasi della materia in trasformazione dell’alchimia indiana) e le parole inglesi Gun (pistola) e Ash (cenere). Una contrapposizione importante tra religione e materialismo, due estremi che rappresentano il dualismo insito nella vita ma anche nella band piemontese. La discografia della band include il loro album di debutto alla fine del 2005 e pubblicato dalla New LM Records e 'Same Old Nightmare', un concept album uscito nel 2012 con la partecipazione di Rami Jaffee, tastierista che milita tra gli altri in Foo Fighters e nei The Wallflowers. Questo terzo album 'Great Expectations' è stato prodotto dalla GoDown Records proprio con Rami Jaffee come produttore (peraltro anche tastierista nella release), quindi un po' di hype è d'obbligo. Il sound dei Gunash è tosto, un mix tra grunge ed alternative rock come quello che si riscontra in "Need to Bleed", song che colpisce per la timbrica vocale che vagamente ricorda gli Offspring e la parte strumentale in stile Seattle anni '90. Roccia dura e polverosa, come il suo riff di chitarra, mentre la sezione ritmica accompagna gli stacchi solisti del vocalist per dare enfasi ai vari stop & go che spingono il brano verso un headbanging da rocker stagionato. La title track addolcisce i toni e ci regala una ballata rock coinvolgente, fatta di chitarre acustiche che s'intrecciano in modo armonioso, cori e assoli lisergici. A conferma che il grande rock non è solo ritmi serrati e riff distorti, ma anche un brano strumentale che si adatta ai vari stati d'animo di chi ascolta e assapora il momento. Dopo l'energia e l'autocontemplazione, arriva il momento più malinconico e rabbioso, ovvero "Mean", brano dal testo graffiante e beffardo, dove la band dà prova della sua bravura nella scrittura dei brani. I Gunash infatti riescono sempre ad unire melodia ed energia senza cadere mai nella banalità, grazie ad arrangiamenti e scelte stilistiche che partono dalle loro influenze, ma che sanno reinterpretare in maniera convincente.Un brano lungo, dinamico, che progredisce solido e vibrante verso la meta. Nota particolare va a "Gunash Blues", un traccia strumentale dal sapore mediorientale, dove sitar e percussioni etniche ci trasportano a miglia di distanza in luoghi carichi di storia e cultura. Nel corso del brano si aggiunge la sezione elettrica per una perfetta fusione tra tradizione e modernità. Una perla strumentale che travolge con il suo flusso melodico che scorre nelle vene come ritrovasse un antico sentiero tracciato nella notte dei tempi. Un album notevole, maturo e dal respiro internazionale, non solo per la produzione e la collaborazione citata in precedenza, piuttosto per lo spessore artistico della band e la loro convinzione nel voler fare musica di qualità. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2017)
Voto: 85

https://www.facebook.com/gunashband/

venerdì 15 settembre 2017

Mad Dogs - Ass Shakin' Dirty Rollers

#PER CHI AMA: Hard Rock
Dopo qualche tempo torniamo a parlare della GoDown Records, etichetta granitica nata quasi quindici anni fa e che ha sempre mantenuto un elevato livello nelle sue produzione stoner/garage/psychedelic rock. L'etichetta ci presenta oggi i Mad Dogs e il loro ultimo album ' Ass Shakin' Dirty Rollers' (il terzo) uscito quest'anno ad aprile. Il quartetto nasce a Macerata nel 2009 e dopo due lavori abbandonano la lingua italiana e si buttano a capofitto nel garage/blues rock con ancora parecchio da dire. Le tracce sono dodici, veloci ed intense come ci si aspetta dal genere, vedi "Make it Tonight" che strizza l'occhio ai vecchi Guns N' Roses grazie al ritornello facile e i gran riff e assoli di chitarra. Addentrandoci sempre più a fondo nel mondo di questi cani pazzi, si rimane sempre più colpiti dal groove dei brani, come in"It's not Over", un perfetto blues adrenalinico misto ad hard rock anni '70 che entra facilmente in circolo e convince senza tanti complimenti. Piacevoli, seppur semplici, gli interventi di tastiera/organo che completano il tutto, rendendo il sound rotondo e per certi versi raffinato. Il brano più scanzonato è sicuramente "Surf Ride", una ballata veloce e sentita più volte, ma che cattura sempre, soprattutto durante un live con un pubblico che ha voglia di divertirsi e non aspetta altro per potersi scatenare. Nel complesso la qualità audio dell'album è in linea con il genere, quindi niente di ricercato, tutto si basa sulla musica, quindi il resto è relativo. Ma dove c'è luce c'è anche oscurità, ed ecco quindi "Psychedelic Earthquake" che chiude questa release, una sorta di 'The Dark Side of the Moon' dove i fumi di oppio aleggiano pesanti intorno a noi. Nel frattempo la musica cresce a ritmo di un battito cardiaco ancestrale, tutto rotea sempre più veloce fino all'esplosione finale dove la sezione ritmica prende il sopravvento insieme all'hammond e all'immancabile assolo di chitarra. Un brano di per sè semplice, ma ben eseguito e con grande impatto emotivo. Che sia questo il sound giusto per la band maceratese? Forse si, ma lasciamo a loro decidere cosa fare da grandi. (Michele Montanari)

martedì 6 giugno 2017

Dome La Muerte E.X.P – Lazy Sunny Day

#PER CHI AMA: Garage/Alternative Country, Calexico, Cramps
'Lazy Sunny Day' è il nuovo progetto di Dome La Muerte, cantante e chitarrista italiano che ha attraversato il rock alternativo, di matrice hardcore e punk, già a partire dai primissimi anni ottanta. Se nomi leggendari come Cheetah Chrome Motherfucker e Not Moving non vi dicono nulla, poco importa: questa recensione non ha lo scopo di lucidare le medaglie che il buon Dome potrebbe appuntarsi al giubbotto quanto piuttosto di valorizzare il suo presente. E la miscela vincente che ci propone in 'Lazy Sunny Day' è fatta di brani epici caratterizzati da chitarre western e amplificatori grondanti di tremolo e vibrato, sapientemente dosati a valorizzare le parti strumentali. Si parte con “Never Surrender”, uno strumentale asciutto e polveroso come un duello sotto il sole, accattivante quanto basta per catturare l’attenzione dei fan di Calexico e Friends of Dean Martinez. La successiva “No Justice” riprende il refrain del primo brano alzando il ritmo e anche la manopola del riverbero. “Sick City”, terzo pezzo in scaletta, aggiunge agli elementi western anche un piglio garage nella sua esecuzione. L’elemento di novità si manifesta a partire dal quarto brano dove un sitar intreccia sonorità beat per portarci in territori più mistici ed evocativi. “Drawning a Pink Mandala” e la successiva “Divinity” sono due canzoni in cui il sitar la fa appunto da padrone. Nella successiva “Amsterdam 66”, forse il capolavoro dell’intero album, Dome La Muerte riesce a coniugare le sonorità garage tipiche di gruppi come i Fleshtones ad efficaci virate mistiche caratterizzate da un sapiente mix dell'onnipresente strumento indiano e organo hammond. Il disco prosegue alternando brevi strumentali ancora a base di sitar con canzoni più definite nella loro struttura e dalle sonorità più garage-western. “Eternal Door” si caratterizza per un buon uso del dobro mentre la successiva “When the Night is Over” è puro twang di frontiera. Le due canzoni che chiudono il disco, “Vision of Ashvin” e “L.S.D. (Little Sun Dose)" mantengono alto il tiro portando il suono nei territori noti ai fan di band di culto quali ad esempio Gun Club e Cramps o anche i più recenti Go to Blazes. In conclusione, quello che abbiamo tra le mani è un disco piacevole, sicuramente atipico per il mercato italiano, suonato con l’esperienza di chi ha calcato migliaia di palchi e si è lungamente abbeverato alla fonte del garage a dell’alternative country. Alimentate la vostra curiosità spingendovi oltre la frontiera del garage punk nei territori battuti da Dome La Muerte E.X.P: questo disco vi accompagnerà nelle vostre pigre giornate di sole estive. (Massimiliano Paganini)

mercoledì 12 aprile 2017

Ananda Mida – Anodnatius

#PER CHI AMA: Psych Stoner
Dal nordest italiano all’Asia centrale il passo non è mai stato così breve. Gli Ananda Mida, nascono infatti dall’incontro musicale tra il batterista Max Ear e il chitarrista Matteo Scolaro, che si cementa attorno all’interesse per alcune dimenticate tradizioni mediorientali. 'Anodnatius' è l’album d’esordio del gruppo dopo l’ep 'Aktavas/Passavas', e dovrebbe essere l’espressione del polo positivo dell’inconscio della band, tanto che è già in programma la realizzazione del seguito 'Cathodnatius', nel quale dovrebbero invece confluire le forze negative. Al di là di questioni più o meno filosofiche o metafisiche, la musica racchiusa in questi 40 minuti è uno stoner psych chiaramente debitore al blues rock degli anni '70, che alla potenza e alla “sporcizia” preferisce atmosfere piuttosto sinuose ed eleganti, nel segno di una pulizia stilistica davvero notevole. Il suono degli Ananda Mida deve moltissimo allo straordinario lavoro delle due chitarre (oltre a Scolaro, c’è anche Alessandro Tedesco), davvero sugli scudi per tutta la scaletta, con soluzioni sempre estremamente apprezzabili in termini di timbrica, armonia e gusto. L’album parte subito forte, giocandosi in apertura i numeri migliori, la trascinante "Aktavas" e la morbida "Lunia", alternando poi cose ottime ("Heropas", "Occasion" e in generale i brani in cui emerge maggiormente la componente psichedelica) ad altre riuscite solo a metà (il blues "doorsiano" di "Kondur", "Anulios" o lo strumentale "Passavas", inutilmente prolisso). Un lavoro comunque molto interessante per una band dalle ottime potenzialità, che deve forse ancora focalizzare meglio le proprie inclinazioni. Curioso di ascoltare il prossimo capitolo per scoprire anche il loro lato oscuro. (Mauro Catena)

(Go Down Records - 2016)
Voto: 70

https://anandamidaband.bandcamp.com/releases

venerdì 20 gennaio 2017

Pater Nembrot – Nusun

#PER CHI AMA: Heavy Psych Stoner
Terzo album, dopo 'Mandria' (2008) e 'Sequoia Seeds' (2011), per la band cesenate che acquista sempre più peso e personalità e sforna con questo 'Nusun', un disco di grandissimo spessore, il migliore finora, e comunque destinato ad avere un ruolo e un peso molto “ingombrante” nella discografia dei Pater Nembrot. Perchè 'Nusun' è uno di quei lavori che lasciano facilmente a bocca aperta, un piccolo capolavoro di stoner psichedelico da salutare con gioia, rispetto e un pochino di incredulità, una volta appurato che si tratta di una produzione tutta italiana. I Pater Nembrot rinforzano la line-up con l’aggiunta di una seconda chitarra e ispessiscono il loro suono fino a renderlo scuro, pastoso e pesante, come il risultato di un ibrido tra Black Mountain, Comets on Fire, gli ultimi Motorpsycho e ovviamente Black Sabbath. Incastonati tra la ballata pianistica “Lostman” e gli echi westcoast della conclusiva e acustica “Dead Polygon”, ci sono 46 minuti tra i più pregni e infuocati che mi siano capitati per le mani in quest’ultimo anno, fatti di riff mastodontici che farebbero la felicità dei Black Mountain di 'In the Future' (“Stitch”) e che, di quando in quando, si fanno cavernosi e quasi doom (“The Rich Kids of Teheran”), oppure incorniciano prestazioni vocali degne dei migliori Soundgarden (“Overwhelming”). Trovano poi spazio dilatazioni riflessive che evocano i più ispirati Motorpsycho (“Architeuthis”) e brani che esprimono appieno una maturità anche compositiva davvero invidiabile, come “El Duende”, costruita su un riff che sembra la versione rallentata di quello di “Airbag” dei Radiohead. Un disco pressochè perfetto in tutti i suoi aspetti, a partire dalla splendida grafica di copertina. Se siete un minimo avvezzi alle sonorità heavy psych, non fatevelo scappare per nessun motivo.(Mauro Catena)

(GoDown Records - 2016)
Voto:80

https://pater-nembrot.bandcamp.com/album/nusun

lunedì 16 novembre 2015

Three Eyes Left - Asmodeus

#PER CHI AMA: Stoner/Doom/Psych
I Three Eyes Left sono una band bolognese attiva nella scena doom/stoner da oltre dieci anni e che ha raggiunto un buon riscontro a livello di pubblico e ascolti. All'attivo hanno un demo, due EP ed un cd, poi la sempre attenta GoDown Records ha pensato bene di metterli a contratto ed è così che vede la luce 'Asmodeus', il secondo full length dei nostri, disponibile in digitale, cd e vinile da maggio di quest'anno. La formazione vede Maic Evil (voce e chitarra), Andrew Molten (basso) e K. Luther Stern (batteria), quindi un trio alla vecchie maniera, in grado di creare un volume sonoro e musicale senza eguali. Appena si inserisce il cd nel lettore, si viene avvolti da suoni sontuosi, le distorsioni delle chitarre sono calde e cremose, il basso è come il battito cardiaco di un'immensa creatura adagiata sul fondo degli abissi. La batteria trasuda ritmiche ancestrali, perentorie e ossessive, mentre la voce è una delle timbriche più piacevoli ascoltate negli ultimi tempi ove il vocalist usa appieno le sue doti e diviene elemento trascinante dei brani composti dai Three Eyes Left. "Beyond the Mountain" è l'opening track di 'Asmodeus' e come tale ha una grossa responsabilità: come la canzone di apertura di un concerto che deve impressionare l'ascoltatore, altrettanto deve fare questa song. Potenza allo stato puro, doom/rock psichedelico al 100%, potente e devastante come un cataclisma naturale che ha accumulato potenza per milioni di anni e finalmente ha trovato la sua via di sfogo. Riff potenti, bassi e imperterriti che prenderanno il sopravvento sui vostri speakers fino al punto di rottura che sarà sempre pericolosamente in agguato. Seppure l'attitudine doom sia abbastanza classica e ricordi senza tanti giri di parole band del calibro di Back Sabbath e Orchid, la band italica riesce a destreggiarsi molto bene creando una fusione personale che trae il meglio da altri generi come il metal e lo sludge, forgiando un sound massiccio e talvolta addirittura mistico. Le ottime linee vocali chiudono il cerchio, anche con excursus in territori death, confermando che i generi chiusi in se stessi alla lunga hanno vita difficile. "Lucifer Brightest in the Sky" è il brano che ho preferito, dieci minuti abbondanti dove il trio mette in piazza tutto il proprio bagaglio musicale e crea un brano pressoché perfetto, perché contiene tutto quello che ci si aspetta da una band doom. Il brano inizia come stoner, evolve e si tramuta in puro doom, per poi cambiare pelle e regalare un break psichedelico che permette a noi nati nei '70s, di viverli come fosse allora. Poesia in musica che soddisferà qualsiasi amante del buon rock, nostalgico o meno, insomma un album che regala otto tracce perfettamente incastonate nella corona del re delle tenebre. "Sign of the Pentagram" mostra il lato più veloce della band, ovvero una cavalcata massiccia e arrogante come poche, sempre caratterizzata da una compattezza strumentale che parecchie band possono solo sognarsi. Dopotutto i Three Eyes Left si sono fatti un mazzo tanto, chiudendosi in sala prove a provare e riprovare; poi con bravura e un pizzico di fortuna, hanno iniziato a raccogliere i risultati. Quindi, che lo prendiate in vinile o cd (massì anche in digitale se proprio non potete farne a meno), 'Asmodeus' si confermerà una gran bella perla stoner/doom/psych rock nostrano che ci permette di camminare a testa alta avanti ad altre scene sparse per il mondo. È solo acquistando musica che permettiamo a realtà come queste di vivere e farci sognare, ricordatevelo. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2015)
Voto: 80

mercoledì 7 ottobre 2015

Mondo Naif - Turbolento

#PER CHI AMA: Stoner, Queens Of The Stone Age, Verdena
C’è stato un momento in cui davvero sembrava che anche in Italia il rock venisse preso sul serio non dico dal pubblico, che l’ha sempre fatto, ma dall'industria discografica. Un momento in cui c’erano un sacco di band che facevano rock in italiano e non solo risultavano credibili, ma a cui veniva data la possibilità di dare alle stampe album di livello assoluto. Oltre ai consueti nomi di rilievo quali Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena, Massimo Volume, che si sono assicurati una lunga carriera, c’erano un sacco di altre band magari meno fortunate ma che hanno lasciato segni importanti in quei tardi anni '90, e penso ai leggendari Ritmo Tribale (in realtà dei precursori), ai vari Karma, Gea, Politburo, Hogwash, Malfunk, Fluxus, tutti responsabili, a vario titolo, di lavori che hanno segnato un epoca. Ecco, i Mondo Naif hanno tutte le carte in regola per affiancarsi, e forse ergersi al di sopra di tutti quei nomi, ai quali in qualche modo viene spontaneo assimilarli. Il loro è un rock pesante e pensante, che musicalmente pesca dallo stoner o dal grunge d’oltreoceano, declinato però in italiano come ho sentito fare poche altre volte. 'Turbolento', il loro secondo album, esce per l’ottima Dischi Bervisti (in collaborazione con GoDown Records e Dreamin Gorilla Rec) ed è prodotta da quel Tommaso Mantelli, aka Captain Mantell, già responsabile dell’ottimo Bliss, a suo tempo recensito su questi lidi. Kyuss, Monster Magnet e QOTSA tra le probabili influenze dirette della band, così come tutto il rock degli anni '70. Ma i Mondo Naif non si limitano ad un’operazione revivalistica, hanno molto da dire e lo fanno con stile e convinzione. “NonTempo” apre l’album con un tiro potente, la bella voce di Stefano ricorda a volte quella di David Moretti dei Karma anche nelle linee vocali, come avviene anche in “Niente” e nell’ottima “Scatole Magiche”, fusa in una sorta di suite con “Maelstrom”, strumentale che tiene fede al suo titolo con un gorgo chitarristico da cui è impossibile sfuggire. Da citare la presenza di alcuni ospiti che impreziosiscono il suono donandogli varietà, come il sax di Sergio Pomante (anche lui dei Captain Mantell) che dà una marcia in piú ad “Aquilone” o di Nicola Manzan (Bologna Violenta) e Alberto Piccolo, responsabile rispettivamente di archi e chitarra classica che arrivano a pacificare la cavalcata stoner della conclusiva “Belfagor”. Disco di grande rilievo, a cui forse manca una grande canzone per risultare davvero indimenticabile, ma ci sarà tempo anche per questo. Nel frattempo godiamoci questa musica turbolenta. Da avere. (Mauro Catena)

(Dischi Bervisti/GoDown Records/Dreamin Gorilla Rec - 2015)
Voto: 80

lunedì 13 aprile 2015

Bleeding Eyes - Gammy

#PER CHI AMA: Stoner/Sludge
L'anno scorso ho avuto per le mani 'A Trip to the Closest Universe', il precedente album dei Bleeding Eyes (BE) e fui piacevolmente folgorato dal sound della band montebellunese. Se non conoscete la loro storia andate a (ri)leggervi la precedente recensione, anche perché avendola scritta io, rischierei di diventare ripetitivo (l'età e i troppi decibel logorano). Quello che salta subito all'orecchio è l'ennesimo passo in avanti qualitativo fatto dalla band, rimanendo comunque fedeli alla loro identità originaria. L'attuale line-up prevede sei elementi, tra cui anche una figura puramente dedita all'effettistica, a conferma che i BE non vogliono relegare questa sezione solo allo studio, ma portarla anche in sede live. L'album apre con "La Chiave", intro dal timbro riconducibile ai A Perfect Circle/Tool che in tre minuti abbondanti di sludge/post rock strumentale utilizza ritmica lenta e arpeggi suadenti per trasmette tutta l'emotività di cui la band è dotata. "Amaro Tez" ci riporta allo stile inconfondibile dei BE, dove il cantato in italiano è un proclama urlato e bestemmiato per redimere le povere anime che hanno perso la retta via. Chitarre massicce, lente e profonde che conducono insieme a basso e batteria un brano sludge/doom di oltre cinque minuti di durata. Un inno spontaneo e verace rivolto alla falsità che ci circonda, costruito su più livelli che sommati assieme producono una notevole onda d'urto sonora. Il brano non fa gridare al miracolo, ma si fa ascoltare, stuzzica l'appetito pensando a quello che ci aspetta dopo. Tocca a "Full Fledged", brano dalla musicalità più morbida e sommessa, dove le chitarre prendono la via del post rock e danno vita ad un brano onirico e itinerante. Gli arrangiamenti sono ben fatti e la mancanza del cantato o parlato danno più respiro agli strumenti che vanno a riempire gli spazi in maniera impeccabile. L'album chiude con l'omonimo brano proposto nell'extended version, ovvero circa dieci minuti abbondanti dove i BE danno sfogo ai loro scheletri nell'armadio. Gli arrangiamenti e i riff diventano morbosi e lenti, una versione sludge di "Dopesmokers" degli Sleep, con suoni vorticosi di synth analogici e i consueti proclami urlati a pieni polmoni. In realtà il brano vero e proprio dura quasi la metà mentre i rimanenti minuti sono suoni cacofonici, noise, feedback e tutto quello che può disturbare una mente sana e allietare un'anima malata. Opera monumentale, sicuramente dall'impatto devastante in live. 'Gammy' segna l'ennesima evoluzione di una band che ha già raggiunto diverse tappe importanti nel corso della propria carriera, ma che avrà ancora parecchie soddisfazioni da togliersi nel prossimo futuro. Un album da avere e soprattutto da gustare dal vivo appena possibile. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2014)
Voto: 75

mercoledì 26 novembre 2014

Gramlines - Coyote

#PER CHI AMA: Alternative Rock 
I Gramlines nascono a Padova nel 2012 e dopo un cambio di lineup, la formazione si stabilizza con gli attuali cinque componenti. 'Coyote' è il loro secondo EP, prodotto dall'instancabile GoDown Records che li ha accolti a braccia aperte anche per la loro gavetta fatta nei bassifondi dell'underground padovano. I componenti si sono fatti un mazzo tanto per prodursi,vendere ed esibirsi ottenendo buoni risultati, ma la carta vincente è stata quella di creare l'ambiente fertile per la loro ascesa. La band infatti è una delle fondatrici del progetto "Sotterranei", un collettivo musicale che organizza concerti e festival rendendo il Veneto un posto migliore, almeno a livello musicale. La band si definisce alternative stoner rock, personalmente toglierei la dicitura stoner, questo perché a livello di cd (non saprei nei live), i suoni e gli arrangiamenti suonano puramente rock con sfumature pop/punk/blues. L'EP contiene quattro brani e apre con "The Thrill of a Breakdown", pezzo molto ballabile, fresco e ammiccante, quindi adatto a far felici le giovani donzelle e non far annoiare anche i rocker più smaliziati. La qualità della band si nota subito, i suoni sono perfetti cosi come gli arrangiamenti, niente di esageratemene innovativo, ma curati a bilanciare al meglio il brano. Le chitarre sono incalzanti e piene di brio, si fanno accompagnare da una sezione ritmica altrettanto convincente e dinamica che rende il pezzo molto vario e considerando i quasi sei minuti di durata, il lavoro risulta ben fatto. In certi passaggi si sentono le influenze di band come Kings of Leon, Editors e affini, anche se i Gramlines hanno saputo dare un tocco personale con una vena di rabbia in più. Il vocalist se la cava abbastanza bene, giocando sulle melodie e grazie ad una timbrica fresca e leggermente sbruffona, caratterizza ancora di più il sound dell'ensemble patavino. I testi sono rigorosamente in inglese e va bene così. Infine l'utilizzo delle tastiere aggiunge colore alle composizioni e i suoni utilizzati, pianoforte ed organi, completano il tutto. Il gioco si fa serio con "The Bone" dove i ritmi sono più serrati, i suoni si ingrossano, e la band si diverte inserendo riff che scatenano l'inferno in terra per poi cambiare immediatamente direzione e veleggiare verso melodie pop. Personalmente è il brano che preferisco, aggressivo come la linea di basso che apre la traccia, un purosangue madido di sudore che fugge a più non posso. Poi il turbine diventa una tempesta con la batteria che martella e i riff di chitarra che chiudono il cerchio. Un ottimo EP, ben strutturato e che quando finisce ci lascia soddisfatti, ancora di più sapendo che grazie all'underground possiamo godere di ottime band. E speriamo per molto tempo ancora... (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2014)
Voto: 75

giovedì 10 luglio 2014

Elbow Strike - Planning Great Adventures

#PER CHI AMA: Hard Rock/Stoner
Ti arriva un cd con una copertina che mostra uno scenario futuristico popolato da alieni grigio-verdi e senti affiorare un sorriso sulla bocca. Ok, non sono l'unico che è cresciuto con film di fantascienza e serie TV come X-Files! Bene, dopo aver realizzato che risparmierò un sacco di soldi per farmi psicanalizzare visto che non sono l'unico ad avere la fissa per l'ignoto, andiamo a conoscere gli Elbow Strike. Letteralmente si chiamano "colpo di gomito" e il sorprendente quartetto vanta una line-up di tutto rispetto, tra cui il metamorfico Chris T. Bradley, frontman dall'indubbio talento e dalla vita artistica divisa tra USA, Europa e Asia. Il loro ultimo lavoro è un concept album a tema spaziale, ovvero tratta argomenti come alieni e cospirazioni, un classico del folclore americano, ma non solo. In questi undici brani ottimamente registrati, si attraversano sonorità hard rock/grunge/southern che ricordano grandi band come Alice in Chains, Stone Temple Pilots e Raging Slab (questi non li conoscevo, li ho presi dal loro sito). "Monster" è la quarta traccia di 'Planning Great Adventures' e si presenta come una semiballad, né veloce né lenta, ma carica di riff e assoli alla vecchia maniera.Tutto arrangiato molto bene e con i suoni giusti per il genere. Unico appunto da farsi è il fatto che fino a tre quarti del brano non lasci un segno a chi ascolta. Dopo questo punto il brano si ingrossa e comincia finalmente ad essere interessante, fino a scorgere la vena ipnotica e oscura degli Elbow Strike. Feedback oppressivi, ritmica ansiogena e bagliori nel buio, come un grido di paura che nasce nel profondo della gola in attesa di scorgere l'ignoto. Salto a piè pari e vado a "U.F.O.", stessa pasta di "Monster", ma con più cattiveria e grondante di groove. Finalmente la band trova la sua identità e vomita riff pesanti, ma piacevoli grazie a suoni non esasperati. Anche un vecchio biker ancora legato a Lemmy e Bruce può apprezzare un brano così, dopotutto le sonorità anni novanta ci sono tutte. La band macina peggio di un bulldozer, spazzando via qualsiasi dubbio sulla genuinità dei nostri. "Waiting 4 the Sun" è una ballata moderna caratterizzata da voce e cori con effetti vari, ritmo lento e la mancanza di un'esplosione finale. Questo non pregiudica certo il risultato, ma avrebbe permesso una resa più dinamica del brano. Un bell' lbum, non c'è che dire, il mix di stili e sonorità non appesantisce l'ascolto, ma deve piacere. Ascoltatelo guardando il cielo, vediamo se siamo veramente soli in questo universo. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 75

sabato 28 giugno 2014

Humulus - S/t

#PER CHI AMA: Heavy Stoner Doom
Ho ascoltato gli Humulus per la prima volta grazie alla 'Desert Sound Compilation' e devo dire che mi avevano colpito positivamente. Poi li ho visti in concerto all'E20 di Montecchio, come opening act dei Corrosion of Conformity, uno dei concerti più deliranti di quest'anno dove hanno confermato l'idea che mi ero fatto. I tre di Bergamo sono degli assatanati che sprigionano decibel a suon di heavy-stoner-doom, suoni ricchi di basse frequenze e distorsioni fuzz, come insegna la vecchia scuola. Aggiungo io che il trio bergamasco produce anche un'ottima propria birra dal nome omonimo, un binomio perfetto tra due passioni che accomunano molti di noi. Quest'album di debutto è marchiato Godown Records che va ad aggiungere un'altra interessante band al loro rooster, già ben fornito. Tornando alla musica, devo dire che il cd è fedele ai suoni e all'energia sprigionata dagli Humulus sul palco e questo è un punto a suo favore. Album iper elaborati che poi non rispecchiano per nulla il sound della band, hanno ormai stufato la gente e svuotato le tasche dei fan. "The Liar Priest" è un brano classico per il genere, granitico e non troppo veloce. Una bella scarica di adrenalina a livello ritmico e riff come se piovesse. Le doti tecniche della band sono indiscutibili e il brano, che scorre via facilmente, è pure godibile. "Banshee" è sempre basata sui riff di chitarra che guidano la trama del brano, incastrandosi perfettamente con basso e batteria. La struttura è semplice, qualche break per cambiare velocità e riprendere la struttura precedente. Un breve assolo di chitarra (un po' in secondo piano) arricchisce il contenuto e poi si va con l'ultima cavalcata che vi porterà fino alla fine del pezzo. "Humulus" inizia con il basso che detta il tempo a questo brano potente e grezzo, come una pietra che aspetta di diventare preziosa . I synth in sottofondo sono un'ottima idea e avrebbero potuto dare una marcia in più se solo fossero riusciti ad emergere dal muro di suono. Il cantato probabilmente è l'elemento che permette di riconoscere il gruppo dopo pochi secondi di ascolto, ma questo dovrebbe essere possibile anche dalla sezione strumentale. Se si vuole emulare i classici suoni del genere ben venga, ma allora bisogna lavorare sulla composizione dei brani, ritmica, etc. Gli Humulus hanno comunque le carte in regola per crescere e sono sicuro che il prossimo album farà tesoro di tutta l'esperienza che i nostri stanno acquisendo in questo periodo. Molti sono i concerti fatti dal lancio di questo lavoro, e spesso a fianco di vere e proprie icone musicali, quindi quale miglior scuola per dei musicisti che vogliono crescere? Studiare tra una birra e un riff sarà un piacere e non vi nascondo che li invidio. Molto. (Michele Montanari)

(GoDown records - 2012)
Voto: 70

domenica 25 maggio 2014

Perro Malo - Useless

#PER CHI AMA: Rock Blues/Punk
Cinque ragazzuoli dalla buona Romagna che hanno deciso, dopo mille esperienze precedenti, di imbarcarsi in un nuovo progetto e vedere cosa succede. Questi sono i Perro Malo (cagnaccio in spagnolo) che escono con l'EP 'Useless' marchiato GoDown Records. Hard blues misto a punk che diventa una miscela piacevole e alla portata di tutti, senza particolari pretese, nel senso che può essere digerita bene da qualunque tipo di orecchio (ecco, non includiamo però schifezze da radio pop melodica italiana). "Something Doesn't Work" parte con una chitarrona grossa, ma non esageratamente satura che guida la traccia per tutti i suoi quattro minuti abbondanti, facendo della ritmica il santo graal e approfittando del fatto che non tutti vogliono mega riff iper tecnici e assoli alla Petrucci. Tutto scorre alla grande e il brano cambia direzione più volte, ma il crescendo finale sarebbe più adatto ad una versione live. Avrei optato per un concentrato di tre minuti puri e crudi per bucare il timpano di chi ascolta, ma sono dettagli che non pregiudicano certo il feeling. La title track segue lo schema della precedente, con la sezione ritmica abbastanza lineare e semplice, mentre la voce sfrutta la sua carica per graffiare e caricare il brano. Un break a tre quarti fa sentire finalmente il basso che renderei più protagonista, non sono a livello di equalizzazione. La penultima traccia è "Vicious", cover del rimpianto Lou Reed, che originalmente ti ipnotizzava per come Lou cantasse, quasi annoiato dal mondo che lo circondava. I Perro Malo la reinterpretano a modo loro, senza particolari pretese e la rendono piacevole anche se l'originale è lì che ti ronza nel cervello e fa fatica a cederne il posto. Diciamo che nel complesso il progetto ha delle buone idee, ma devono essere sviluppate maggiormente per poter arrivare più in là. I Perro Malo non sono certo dei novellini e quindi avranno fatto delle riflessioni su cosa vogliono, oppure molto più semplicemente, suonano senza tante elucubrazioni filosofiche. Di fatto l'EP risulta un pò spento, ma mi aspetto che un prossimo full-length sarà più aggressivo a livello sonoro e magari anche più generoso in alcuni arrangiamenti. Si può fare! (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PerroMaloRock

giovedì 22 maggio 2014

David Lenci & The Starmakers - S/t

#PER CHI AMA: Post Grunge, Queens of the Stone Age
David Lenci, noto produttore/tecnico del suono e fondatore del Red House Recordings Studio, si fa attendere per circa due anni e finalmente esce con questo Lp (la versione cd è al momento disponibile solo per gli addetti ai lavori) interamente registrato in analogico (dio come godo). Alcune sovraincisioni sono state poi fatte presso "Sotto il Mare Recording Studio", altro tempio del suono di Verona. Quindi vi starete chiedendo cosa può nascere da grandi musicisti (David non si è fatto mancare nulla) e grandi mezzi? Bene, smettete immediatamente di farlo e andate ad ascoltarvi questo Lp su Soundcloud. La prima impressione è quella di essere tornati indietro nel tempo, tra Seattle e San Diego, quando la costa ovest degli USA stava affrontando un cambiamento che avrebbe segnato l'inizio di un epoca. Quindi psichedelia e grunge, un mix tra Jefferson Airplane e Neil Young con escursioni squisitamente rock alla Led Zeppelin. Tanta nostalgia, ma sfruttata al meglio come ottimi punti di partenza per un album personale, profondo e ribelle. Tutto ha inizio con "Refugee" che mette subito in risalto il caldo timbro vocale di David in pure stile Eddie Vedder, ma più tranquillo e meno incazzato. Ottime le chitarre che legano alla grande il mix di suoni puramente americani con la voce mai troppo alta rispetto agli altri strumenti (tipico nel mix all'italiana). Anche basso e batteria lavorano bene e si fondono perfettamente sviluppando un brano piacevole, anche se personalmente l'avrei fatto leggermente più veloce. "Old Guys Never Die" inizia con un arpeggio psichedelico che culla il cantato e si trasforma poi in un riff non esageratamente distorto. La atmosfera onirica viene sostituita da un assolo in wha che riprende un altro effetto caro al periodo di questo genere. Altra bella traccia che conferma la mia idea iniziale, cioè che David e Co. si sentono legati al rock grunge e psichedelia, ma senza l'incazzatura tipica di gruppi come Alice in Chains. La band aggiunge invece una punta di eleganza mista a malinconia che ne caratterizza le tracce e le trasforma in piccole gemme. Chiudo con "The Train Has Gone" che nonostante sia l'ultima traccia, viaggia come un treno senza controllo, semplicemente perfetta sotto tutti i punti di vista. Breve, intensa e sfacciatamente arrogante, come un brano rock deve essere. E lascia comunque intuire che la fine di ogni cosa è relativa e può essere solo che l'inizio di qualcos'altro. Uno dei migliori dischi del primo semestre 2014, senza dubbio. Ora però voglio mettere le mani sul vinile, non posso perdermi la possibilità di avere questa chicca tra la mia collezione. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 90

giovedì 8 maggio 2014

Bleeding Eyes - A Trip to the Closest Universe

#PER CHI AMA: Psych Sludge
I Bleeding Eyes (BE) sono una masnada di bastardi veneti che occupano un posto di riguardo nella scena sludge-doom-stoner sin dal 2003. E da allora non hanno mai smesso di mietere vittime innocenti e non grazie alla loro dose di "satanismo" verace. Legati indissolubilmente con tutto quello che riguarda l'alcool e in particolare la sacra birra (dopo tutto dalle loro parti esiste un poco noto birrificio, Pedavena), i BE sono cresciuti costantemente negli anni, sapendo affrontare i vari cambi di line-up, la firma di un contratto con la Godown Rec. e molto ancora, portandoli ad essere una band che suona in ogni dove, a fianco di gruppi che metterebbero la tremarella ai più deboli di cuore. Questo "A Trip to the Closest Universe" contiene sei tracce e risale ormai ad un paio di anni fa, anticipando il prossimo lavoro previsto per l'estate 2014 che sono già ansioso di ascoltare. Ma torniamo a noi e passiamo alle tracce qui contenute. Si aprono le danze mefitiche con "Arrotino", brano dal testo che prima vi fa sogghignare e poi vi lancia in un turbine di depressione ed ansia che rischia di rubarvi l'anima per sempre. Riff pesanti e ritmica iniziale lentissima che vengono accompagnati da declamazioni urlate in faccia con rabbia e disprezzo. Poi il brano accelera (passatemi il termine) facendovi godere a più non posso, insomma, un gran pezzo con tanto di assolo e cambi ritmici. "Pozzo senza Fondo" sembra dedicata al nostro blog e di fatti racchiude tanto odio e cattiveria, sia a livello strumentale che vocale. I suoni dei BE sono saturi, graffianti e potenti come un pugno nello stomaco quando meno te lo aspetti. Chitarre che vi schiacciano, ma allo stesso tempo l'uso di delay e affini, crea atmosfere diverse dalle classiche sludge-doom, permettendo all'ascoltatore di non soffocare miseramente. La scelta di cantare in italiano potrebbe essere opinabile dal punto di vista di visibilità all'estero, ma i nostri ragazzi se ne fottono allegramente e quindi si divertono a scrivere i testi che fanno sorridere per alcuni passaggi, ma lasciano l'amaro in bocca per l'attualità dei temi di cui trattano. Una sorta di profeti sociali del 21esimo secolo? Decidete voi. L'album chiude con "From Now On It Can Only Get Worse", un doom di quelli da enciclopedia musicale che dovrò assolutamente ascoltare in sede live perché se mi ha annientato comodamente seduto sul divano, ho paura che sotto il palco avrò delle visioni mistiche. Con una buona dose di psichedelia, sapientemente usata per spezzare le catene degli schemi, il brano è bello tosto (undici minuti), ma è talmente vario che non ve ne accorgerete neanche. C'è addirittura un break simil hardcore, quindi non dico balle scrivendo che i Bleeding Eyes sono un gruppo di qualità, di cui bisogna essere fieri e che invito a supportare come potete. Con un piccolo obolo vi portate a casa della gran musica, ottimamente composta e registrata. E poi, trovatemi altri gruppi che ripagano i propri fan con tanta generosità. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2012)
Voto: 85

https://www.facebook.com/pages/Bleeding-Eyes

mercoledì 9 aprile 2014

The Brain Washing Machine - Seven Years Later

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Della serie ottima etichetta, ottimi gruppi! Questa volta tocca ai The Brain Washing Machine (TBWM), padovani di nascita e stoner/rock per vocazione. Il quartetto lancia questo album alla fine del 2013, dopo il successo del primo EP (datato ormai 2006) e conferma quanto atteso. Band solida (un solo cambio di line-up in questi sette anni di attività), numerose esibizioni live (anche a fianco di band di spicco) e molti passaggi in radio per condividere il loro lavoro con il nutrito mondo di desert-addicted. Dodici brani registrati professionalmente e un bel digipack, ti fanno salire la cosiddetta SAS (Stoner acquisition syndrome), patologia riconosciuta a livello mondiale che porta l'amante del genere stoner/doom alla ricerca incessante del gruppo perfetto. Perfetto o no, i TBWM sono cazzuti, bravi e sanno vendersi. Per quanto riguarda i primi due punti nulla da aggiungere, arrangiamenti ad hoc, tanti riff e cura feticista del suono. L'ultimo punto invece potrebbe dividere le folle, nel senso che se cercate un disco che vi aiuti a passare in modo graduale dal pop/rock allo rock/stoner, questo è quello giusto. Se invece siete dei fan smaliziati del genere, troverete questo album un po' troppo ruffiano. Talmente border line da far sorridere, ma chissenefrega. Ascolta e taci. "Seven" è bella carica, una sfonda timpani da gustare appieno con le casse dello stereo che vi rinfrescano da quanta aria muovono a ritmo di una locomotiva che sfreccia nella notte. Brano strumentale, che non sente affatto il bisogno del cantato perché i riff vi parleranno a livello subliminale, prima veloci e poi dimezzati, tutto a beneficio del movimento ritmico della vostra testa. Ecco, diciamo che discreta parte nello stoner lo fanno le chitarre, possibilmente accordate in do e ricche di fuzz. I TBWM hanno optato per suoni meno desertici e più metropolitani, sappiatelo. "Angry Boy" apre con un grande riff di basso, veloce e tagliente che anticipa l'entrata degli altri commilitoni che arrivano subito a dar man forte. Parte ritmica promossa a pieni voti, insieme alla chitarra ci danno dentro come non ci fosse un domani e questo ripaga l'ascoltatore. Il vocalist sa il fatto suo, non è dovuto certo passare da 'X-Factor' e 'Amici' per imparare come si canta da rocker. Per questo serve tanta gavetta e migliaia ore di ascolto dei propri maestri (STP, Jane's Addiction, etc.) "Simple Song" è un'altra gran traccia, in linea con le precedenti e quindi non aggiungo molto altro. Le chitarre sono più grosse e forse sarebbe il suono adatto anche per le altre canzoni. Lo svolgimento è leggermente ripetitivo, si intuisce facilmente il prossimo cambio e questo toglie un po' di gusto all'ascoltatore. Direi che i TBWM sono a buon punto (prodotti dalla GoDown Records), non devono certo farsi abbagliare dai risultati ottenuti sin'ora, ma andare avanti per la propria strada. Infatti potrei dire che qualche aggiustamento al loro stile si può fare, ma poi, serve veramente? (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 70

martedì 11 marzo 2014

OJM - Volcano

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Garage Rock
Gli OJM sono una piacevole realtà italiana che calca la scena dal lontano 1997, nascendo prima come band stoner rock, e poi trovando nel garage mescolato al rock anni settanta la loro vera fonte di ispirazione. Molti concerti in Italia/Europa ed importanti collaborazioni sono sinonimo di musicisti che ci sanno fare e soprattutto che ci credono. Con questo 'Volcano' gli OJM confermano il loro sound e con l'introduzione di un nuovo elemento del gruppo dedito al piano/organo, fanno capire che passano dei pensieri malsani per la mente. Infatti "Ocean Hearts" approfitta della new entry per creare un'atmosfera psichedelica fatta di chitarre e sezione ritmica che scalcia e si dimena. Un pezzo che ti lascia di stucco per la cura nei minimi dettagli e ti porta indietro di 30-40 anni con un viaggio lisergico in pure stile '70s. Verso la fine le tastiere si lanciano in un bellissimo duetto danzante con la chitarra del buon Andrew e l'opera d'arte è fatta e servita, tanto che vi ritroverete madidi di puro rock senza rendervene conto. Poi si passa ad "Escort" e gli OJM acquistano potenza, riff granitici che risentono dei trascorsi stoner e una voce carica di riverbero a ricreare atmosfere psichedeliche a noi molto care. Assoli pregni di wah che urlano e si contorcono come in una danza di accoppiamento primordiale, una batteria forsennata e un basso distorto completano questa gemma musicale da sfoderare quando tutto sembra perduto e nulla può salvarci dalla musica arida e insignificante. "Disorder" riprende i suoni e la frenesia del garage rock con una gran cavalcata tanto veloce quando breve (poco più di due minuti). Forse troppo poco per lasciare qualcosa a chi l'ascolta. Passate a "Rainbow", molto meglio anche in termini di arrangiamenti e mood. A questo punto possiamo dire che i nostri amici veneti sono tutto fuorchè statici e il loro percorso artistico lo dimostra. Se provate a mettere sul giradischi la riedizione in vinile di 'Heavy' del 2002, vi sembrerà quasi impossibile che sia lo stesso gruppo. Questo vuol dire avere le palle e lavorare duro alla ricerca della propria identità, mettendosi in gioco e rischiando tanto. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2010)
Voto: 85