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lunedì 22 novembre 2021

Dying Hydra - Of Lowly Origin

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal, Neurosis
Adoro la mitologia greca e qui sembra essercene parecchia visti i riferimenti all'Idra nel moniker dei nostri, citando il mostro leggendario dal corpo di serpente in grado di uccidere un uomo con il solo respiro, con il suo sangue o al solo contatto con le sue orme. Alla stregua di quella creatura infernale, il sound dei danesi Dying Hydra sembra in realtà più affine a quello di un serpente costrittore alla luce dei contenuti sludgy di questo 'Of Lowly Origin', opera prima sulla lunga distanza, per il terzetto di Copenaghen, che deve essere cresciuto a botte di pane e Neurosis. Si perchè l'opener del side A del vinile (una versione in cd non esiste ancora), "Earliest Root", mette in mostra le qualità del combo danese che si muove appunto tra gli anfratti oscuri a cavallo tra sludge e post metal. Aspettatevi quindi dei pachidermici chitarroni su cui poggiano le vocals roche dei due cantanti, Lars Pontoppidan e Patrick Fragtrup, peraltro anche le due asce della band. La proposta, come ovvio che sia, è melmosa quanto basta nel suo incedere monolitico, con una buona dose di melodia che si esprime attraverso ricercati break atmosferici che spezzano quei riffoni caustici che popolano il disco. Il lato A della release è interessante in tutti e tre i suoi pezzi, in particolar modo però mi soffermerei sulla lunga "Rootborn" che per nove minuti abbondanti si difende con un sound possente attraverso un mid-tempo che, dove riesce, prova a rallentare il suo ritmo riducendo la densità delle note e contestualmente aumentando un senso di inquietudine interiore, soprattutto quando si palesa un parlato pulito. Il side B del vinile ci regala qualche altro spunto degno di interesse: la flemmatica ma intensa "Species Adrift" con quel suo drumming ossessivo, quasi paranoico, stabilizzato da un paio di break strumentali. "Ashed Eyes" continua sulla medesima falsariga ritmica con una continuità musicale che desta qualche difficoltà a percepire lo stacco tra il primo e il secondo brano. Ecco, forse qui qualcosa inizia a scricchiolare, perchè sembra che il terzetto arrivi verso il fondo in apnea, con la sensazione quasi di aver terminato le idee. "Undergrowth" prova a riprendersi la mia fiducia con una maggior ricercatezza sonora e con più spazio concesso alla parte strumentale dei nostri tra litaniche melodie orientaleggiante, roboanti giri di chitarra e frangenti più claustrofobici. La versione digitale del disco include infine una bonus track, "Cry of the Colossus" che ci consegna altri sei giri di orologio di sonorità oscure che chiamano in causa i maestri di sempre del genere. La release alla fine è interessante, ma c'è ancora parecchio da lavorare per emergere da quel calderone sempre più stipato da band che vogliono emulare Scott Kelly e compagni. (Francesco Scarci)

Clayhands - Is this Yes?

#PER CHI AMA: Cinematic Post Rock
Dove c'è Barilla c'è casa, citava un famoso spot televisivo di parecchi anni fa. Parafrasando quel jingle, mi viene da dire che dove c'è Bird's Robe Records, c'è post rock. Quindi, per gli amanti di queste sonorità, eccovi servito il nuovo lavoro degli australiani Clayhands, combo originario di Sydney che è uscito all'inizio di novembre con questo 'Is this Yes?', ambizioso album di cinematico post rock, come da flyer informativo annesso al cd. Partendo da un caleidoscopico artwork di copertina che, per colori e forme richiama i King Crimson, i nostri proseguono in modo altrettanto coerente con un sound assai delicato che potrebbe inglobare al suo interno sfumature progressive, jazz, ambient, improvvisazione pura, musica da colonna sonora e tanto tanto altro, il tutto suonato in modo a dir poco celestiale. Questo almeno quanto percepito dalle colorate note dell'opener "Godolphin" e confermato poi dai tocchi malinconici ma cangianti della successiva "Orchid", dove sottolinerei l'ottima performance di ogni singolo musicista e il gran gusto per le melodie. "Murking" si muove in territori ancor più alternativi, vuoi per un sound molto più ricercato, vuoi per l'utilizzo di strumenti a fiato, non proprio consoni al genere, ma il brano alla fine, nelle sue strambe circonvoluzioni, si lascia ascoltare piacevolmente. Ben più sfocate le immagini prodotte inizialmente da "The Boy Left", prima che la song trovi una sua direzione un po' più definita ma comunque fuori dai soliti schemi post rock, con melodie a tratti dissonanti ma che comunque in questo contesto, donano grande originalità al tutto. Peccato solo manchi una voce a far da Cicerone a questa produzione, perchè con un cantante dalla calda ugola suadente o evocativa, credo che quest'album avrebbe meritato un risultato ancor più esaltante. E allora lasciatevi andare, fatevi avvolgere dalle melodie eteree dei Clayhands, dalla loro impressionante e incessante voglia di stupire con suoni che tra le proprie influenze inglobano ancora Pink Floyd, Shels, i già citati King Crimson, gli Yes e molti altri a dare garanzia di una qualità compositiva davvero eccelsa. È chiaro che 'Is this Yes?' non sia un lavoro cosi semplice da digerire, complice un'architettura sonora ben strutturata e pezzi anche dalla durata notevole: "Polars" supera gli otto minuti mentre la conclusiva "Playgrounds" sfiora i 15, proponendo in questo frangente temporale quanto di meglio i nostri hanno offerto sin qui. Chitarre liquide, incorporee che prendono lentamente forma e si lanciano in sofisticate e magnetiche fughe strumentali da lasciare a bocca aperta. Spettacolari, non c' altro da dire. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 80

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/is-this-yes

domenica 21 novembre 2021

Hegemon - Sidereus Nuncius

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
La Les Acteurs de l'Ombre Productions colpisce ancora, un po' come l'Impero nella trilogia iniziale di Star Wars. Questa volta l'etichetta di Nantes si fa promotrice del comeback discografico dei blacksters Hegemon. L'oscuro quintetto di Montpellier torna con 'Sidereus Nuncius', quinto malefico full length nella discografia dei nostri. La release si apre con le melodie agghiaccianti di "Heimarménè", un pezzo glaciale, ma di grande impatto emotivo che, per certi versi, mi ha ricordato gli Aborym di 'Generator'. Mortiferi, malvagi e devastanti, ecco come gli Hegemon si ripresentano al loro pubblico, sciorinando pezzi infuocati, taglienti a livello ritmico e vocale, ma sempre e comunque dotati di un tocco grooveggiante che rende la release avvicinabile a tutti gli amanti di sonorità estreme. "Mellonta Tauta" è un black metal cupo, che gode di partiture serrate ma anche di frangenti atmosferici davvero affascinanti. E "Shamanic Cosmocrator" prosegue sulla medesima falsariga delle precedenti, miscelando in modo davvero diabolico e convincente, il black di scuola svedese con quello più morboso e ricercato di matrice transalpina, in una sorta di Dark Funeral meets Blut Aus Nord. Il disco va via spedito senza alcun calo di tensione o ritmo: "Ascendency of Astral Chaos" sembra rievocare il black norvegese, in un pezzo di grande atmosfera (splendide le due parti acustiche dove ampio spazio viene lasciato al pulsante suono del basso) che si confermerà alla fine essere il migliore del lotto. Ma la qualità è ovunque molto alta, ve lo sottoscrivo. Pur non avendo inventato nulla di nuovo, il quintetto francese rilascia otto brani che sembrano godere di una certa freschezza compositiva, di una buona dose melodica, grazie a continui inserti di sintetizzatori e parti arpeggiate. Le cose che probabilmente ho meno apprezzato sono alla fine quelle song un po' più scontate: "Shape Shifting Void" è ad esempio un episodio di violento raw black, alquanto banale almeno all'inizio, che tuttavia diventa improvvisamente figo laddove rallenta, lascia emergere tutta la sperimentazione sonora dei nostri, cambia registro vocale e si toglie di dosso quella fuliggine primitiva e prevedibile dei suoi primi 60 secondi. Poi è una escalation di violenza e stravaganza sonica che la proiettano insospettabilmente al secondo posto nella mia personale scaletta di gradimento. "Ad Astra per Obscura" è un altro esempio di black primordiale che fatica in questo caso, ad uscire dal calderone di migliaia di band che propongono questo genere. Ci provano con l'assolo finale ma l'effetto fade-out ne vanifica il risultato precocemente. "Black Hole Womb" è figlia del black thrash norvegese, senza infamia e senza lode almeno fino a quando, dopo 90 secondi, emergono bombastici arrangiamenti orchestrali, splendide linee di chitarra e basso, deliziose parti atmosferiche, spoken words e clean vocals che fanno gridare senza mezzi termini, al miracolo. Si arriva cosi velocemente all'epilogo con "Your Suffering, My Pillars", ultimo mefistofelico atto di 'Sidereus Nuncius' in cui i nostri si lanciano nella loro ultima epica cavalcata chitarristica. Infernali. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 76

https://ladlo.bandcamp.com/album/sidereus-nuncius

Tenebra - What We Do is Sacred

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Tornano i Tenebra con un EP di tre pezzi giusto per non deludere le aspettative di coloro che attendevano un nuovo album dei nostri nel 2021 mentre in realtà quello dovrebbe vedere la luce solamente nel 2022. E allora meglio farsi andare bene questi tre brani, peraltro racchiusi in poco più di dodici minuti di sonorità psych stoner rock (e chi più ne ha più ne metta), che dall'iniziale "Cracked Path" (per cui è stato girato anche un video) alla conclusiva "Primitive Man", cover dei Jerusalem, ci confermano l'eccellente stato di forma della band bolognese, sempre guidata dalla stentorea ugola di Silvia, una cresciuta a pane e Soundgarden. Comunque, l'opening track spacca che è un piacere con quel suo rifferama oscuro di settantiana memoria (scuola Black Sabbath ovviamente) e la voce della frontwoman che alla fine catalizzerà tutta l'attenzione. In "Hard Luck" la voce di Silvia sembra grattare di più, quasi fosse sotto l'effetto di un paio di bicchierini di whiskey, mentre il sound è ritmato, fatto salvo quel rallentamento lisergico quasi a metà pezzo, prima che venga lasciato più spazio alla componente strumentale. In chiusura di 'What We Do is Sacred', ecco la cover dei Jerusalem, band inglese di primi anni '70 dedita ad un hard rock graffiante e robusto, con tutti gli strumenti qui e l'atmosfera creata (attenzione all'assolo di flauto) che si configurano al giusto posto, quasi a ricalcare pedissequamente l'originale, da cui si distaccano semplicemente per una produzione ben più cristallina. Alla fine questo EP rappresenta un gustoso antipasto per coloro che attendono con ansia l'uscita del secondo album dei Tenebra. (Francesco Scarci)

venerdì 19 novembre 2021

Opeth - Still Life

BACK IN TIME:
http://www.secret-face.com/

#FOR FANS OF: Prog Death
This is one of my favorites from this band, till they took a dive into progressive rock now. This one, 'My Arms, Your Hearse' as well as 'Blackwater Park', are my favorites. 'Watershed' (to me) is just OK. Really experimental, but alright. So here, we have unrelenting progressive metal. The riffs are outstanding. It’s great to appreciate this progressive metal album. And I do also Opeth's older music. The guitars are my favorite here, just unrelentingly good and fresh riffs. They seem to interchange quite a bit, but that’s the glory of progressive metal. The fact that tempos can just come out of nowhere and just hit you, bam! Heavy guitars and vocals again! It’s really unique. The songs are lengthy on here too, which is good.

As I’ve said, the music fluctuates between heavy and clean guitar work, but it's quality and wholly original. Everything about this band is fresh AND original. The vocals are amazing, too. I liked everything about this release. I thought it to be flawless. In every aspect, just flawless. The music is what steals the listener to it wanting to hear more. And the hoarse then clean vocals (not in order). I like the production quality as well. The mixing and sound is filled with precision, I felt that this is one of the best produced Opeth album in the 90's era of the band. Newer stuff, OK but now it's progressive rock, not metal. It’s amazing how the band just seemed to change to rock.

The effects on here are cool, and the acoustics are quite good. The melodies on this whole album are just amazing. Both heavy and clean. We sort of knew that the path would eventually become different, but that’s alright. I think this album’s music is resoundingly superb. They stole that year (1999) with this release. I really think that the best ones (to me) are the few that I mentioned previously. But there other albums, just not the rock ones are still OK. I like the clean guitar and the heavy guitar. Both are very intricate. The music is what makes this album be what it is – a MONUMENT. The Opeth of the 90’s and early 2000’s are their best.

What I think is the most spellbinding are the guitars. The riffs are wholly original as is are the vocals. They fit the music perfectly. And you cannot help but enjoy the flipside from in your face destruction to an almost ballad-like poles. It’s as if the tempos changes are highly polarized. That’s why people like their old stuff, at least the metalhead crowds. I liked Opeth pretty much right away when I first heard them. It was a shock to the system. They were just highly original and unique. That’s why I still respect their older work. Getting to the new stuff as a metalhead it’s just not there. I’ll stay in respect to the old stuff.

Show support for their music, maybe not so much the band anymore, just their earlier work. They deserve it. It’s possible to like the band a lot just not so much the members. I have utmost respect for this band and if you choose to get the CD upon reading this review, go for it! It’s not on my Spotify, just CD. But I believe they may have it on Bandcamp and the CD is still available through various avenues. I will continue to listen to the older material, the reason why is to keep their spirit alive in the metal community! They were once really great! The work of old Opeth will be a treasured remain. Older Opeth is dead, long live old Opeth! (Death8699)

(Peaceville - 1999)
Score: 90

https://www.facebook.com/Opeth

Lethal Shock - Evil Aggressor

#FOR FANS OF: Thrash Metal
This Chicago-based thrash metal band really hit home with me. I think that their style or songwriting approach did a number with me. Really a unique band and another boon is that the leads are really well played out. The rhythms are pretty original thrash like with a tint of speed to them. The leads do the band justice with a technical sound to them and with precision! This band has a pretty cool groove to their music as well. And the vocals are tolerable, too! I think between the guitars and the vocals, this band just rips. The production is pretty right on cue as well. It's a shame that this one is only 30 minutes in length.

The band has a lot of influences mainly the 80's thrash bands they thrive off. But they have their own unique riff style and I loved all the compositions. They really seem to know what they're doing musically! All the instruments were well played with vigor and aggression. It's the whole way through like this. They really have an original sound to them. I'm glad that I was able to be introduced to this band. They have balls. And just rip your ears apart. The energy is way there too, violent and with vigor! Even the amount of lead guitar work is amazing they know what they're doing in this department.

The sound of the album is great good production quality, everything fits in well together. That's what did the album justice was not only the music but the quality of the sound. I don't think any of these songs suck, I think they're all made through precision. They really know what they're doing and the thrash tone to the rhythms is what kicks ass. I think that this is one helluv a good release. The vocals dominate too, everything was mixed well in the recording. There were a lot of leads but they weren't sloppy at all. The guitars set the tone for the recording. And the voice was just right there beside the music.

The music on this one is done in deep admiration for metal and the leads just flow. Show support for the band even if you cannot find the CD. I like everything on CD but during these times, the digital era takes a bite out of the musicians royalties. You might be able to still find copies somewhere and they're worth it to find on CD. A half hour of great metal! (Death8699)


Kamra - Conversing with Ghosts

#PER CHI AMA: Black Old School
Per i nostalgici del black old school, giungono in nostro aiuto gli sloveni Kamra e il loro EP di debutto 'Conversing with Ghosts'. Questo "conversare con i fantasmi" è rappresentato egregiamente dalla spettrale introduzione di "Lantern of Ghostly Unlight" che apre il dischetto, tra partiture ambientali inquietanti a cura di un arpeggio di chitarra e urla nel buio, per un paio di minuti abbondanti davvero efficaci. Poi, è un black metal senza tanti compromessi ad esplodere e a farla da padrone, spezzato qua e là da break acustici, mentre lo screaming efferato del frontman N.K. capeggia in sottofondo, in una proposta che evoca un che dei Mahyem nelle linee più dritte di black, mentre nelle sue storture, emerge un pizzico della follia francese di Blut Aus Nord o Deathspell Omega. Il risultato è gradevole, pur con l'assunzione che non siamo di fronte a chissà quali novità in ambito estremo. I nostri ci provano comunque a regalare un briciolo della loro personalità ma di fronte a queste sonorità che, nella seconda "Oozing the Thirteenth Hour" diventano ancor più malvagie e violente, diventa anche complicato trovare soluzioni per cosi dire più originali. Tanto vale, prendere il disco per quello che è, e assaporarne lo spirito intatto della fiamma nera. (Francesco Scarci)

giovedì 18 novembre 2021

Winter Nights - Sky Burial

#PER CHI AMA: Melo Death/Symph Black
New York una città che amo, una metropoli in grado di soddisfare i palati esigenti di chiunque, dagli amanti dell'Opera, a quelli del rap, fino ad arrivare a toccare gli animi dei metallari più incalliti, quelli che troveranno nella musica dei Winter Nights, un'incantevole emozionalità messa a servizio del melo death. Ecco, i Winter Nights non sono nati a Brooklyn, avrei pensato semmai alle foreste incontaminate della Scandinavia visto quanto racchiuso in 'Sky Burial', un dischetto che mi fa avvicinare per la prima volta a questa band in giro ormai dal 2007 e che ha già rilasciato tre full length e due EP. Che dire, probabilmente dormivo io, ma dopo avervi raccontato di quanto sia intrigante questo lavoro, mi andrò a ripescare i vecchi dischi, la mia è una promessa. Con 'Sky Burial' i quattro ragazzi della Grande Mela ci regalano un concentrato (ahimè di soli 19 minuti scarsi) di melo death che, dall'iniziale "Time to Say Goodbye" alla conclusiva title track, avrà da metter in mostra tutte le eccelse qualità dell'act statunitense. Memorabili le fresche melodie dell'opener, l'orchestralità della seconda "Neither Faith Nor Fear", in un mix tra death melodico e black sinfonico, una bomba ve lo anticipo. Ma la compagine a stelle e strisce continua a mietere vittime anche nella terza "I Pray to I" e non tanto quando i nostri decidono di mostrare i muscoli su velocità, vorticosità ritmiche e blast beat fuori controllo, semmai risultano vincenti, e cosi li ho preferiti io, quando lasciano trasudare un'emotività intrinseca nelle loro note, una vena malinconica che ribalta i loro brani e la loro concezione di musica estrema. Lo stesso dicasi per la conclusiva "Sky Burial" che ci regala sin dall'apertura tastieristica, gli ultimi sette minuti di un album ricco di contenuti e alla fine comunque altamente significativo, una release che vi invito ad ascoltare con attenzione, per non bollarla come una tra tante. C'è infatti davvero un che di interessante nella proposta dei Winter Nights, basta darle l'occasione giusta. (Francesco Scarci)