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lunedì 24 febbraio 2020

Nairobi - S/t

#PER CHI AMA: Experimental Rock, Jesus Lizard
I Nairobi sono un trio sperimentale di Venezia che si potrebbe catalogare come puramente post rock, ma relegarli ad alfieri di questo genere sarebbe a mio avviso un grosso errore. Alla band veneta piace infatti uscire dagli schemi e costruire una propria personale interpretazione del genere, fatta di atmosfere a tratti più energiche e cariche di quel groove del post rock “canonico”, arrivando ad associare i nostri ai Jesus Lizard, i Primus ma anche agli Slint e ai Pink Floyd. I pezzi sono corti ed ermetici, pregni di un’energia e un’urgenza espressiva davvero encomiabili. Forti di una solidissima sezione ritmica e di una chitarra capace di tessere trame vibranti e ipnotiche, i Nairobi riescono a convincere pienamente già con questo primo disco d’esordio. Ogni atmosfera a cui la band si approccia è sviscerata ed esposta nella miglior maniera possibile, il pezzo "Tricky Traps" è un buon esempio di questa ecletticità del trio, dapprima con una scrosciante cascata di riff fangosi e ruvidi per poi passare nella seconda parte del pezzo ad una ritmica dimezzata ed una chitarra sognante, di uno di quei sogni strani che sono incubi ma non lo sembrano, quei sogni da cui ti svegli un po’ turbato, disorientato senza nessun apparente motivo. I pezzi si susseguono come onde oceaniche che si abbattono sulle scogliere verticali di pietre affilate, inarrestabili nella loro marziale foga, fino ad arrivare allo spartiacque onirico e sintetico intitolato "Turbo Pascal". Dopo questa breve pausa, i toni si fanno, se fosse possibile, ancora più sperimentali nei due pezzi di chiusura ("Megalopolis" e "Oh Guns Guns Guns!"), dove troviamo atmosfere lisergiche preponderanti, sebbene la fiamma del sacro riff rimanga sempre viva e presente e non smetta di ardere. Un disco ruvido, arrogante ma al contempo raffinato ed atmosferico, una composizione magistrale così come la sua esecuzione, una corsa contro il tempo passando per il vuoto completo, attraverso tempeste, spietati rovesci di grandine, in grado di elargire un’incredibile energia a chi lo ascolta. Consigliatissimo, per cui aspettiamo con ansia altra musica targata Nairobi. (Matteo Baldi)

(Brigadisco Records/Wallace Records - 2020)
Voto: 82

https://brigadiscorecords.bandcamp.com/releases

sabato 22 febbraio 2020

Ironflame – Blood Red Victory

#FOR FANS OF: Heavy/Power
So the mighty Ironflame have returned with their third album in less than three years; with their sophomore effort being released just sixteen months after the debut. Andrew D’Cagna has this incredible ability to consistently write songs that give me those same feelings that I got the first time I heard Halford, Dio or Dickinson. As he writes and records everything, there is a true consistency to the music without being the same album over and over again. While the sophomore was much more ambitious in the song writing. 'Blood Red Victory' sees the direction of the songs more in line with the debut. This time he also seems more focused; and the result is nothing short of amazing.

One thing that I noticed immediately was that the solos were no longer being supplied by Wheeling, West Virginia shredder extraordinaire Jim Dofka. His solos on the sophomore were beyond brilliant. Instead, this time D’Cagna decided to go with the two shredders that are part of his current touring band; Jesse Scott and Quinn Lukas, the latter being with D’Cagna in the Pittsburgh veteran melodic metallers Icarus Witch. That was a really smart move. Both guitarists are brilliant live so it was great to see their actual input into the songs. Each solo on this album is brilliantly thought out and take each song to the next level.

The songs themselves are just metal as fuck. The riffs, the melodies, the solos, and those unforgettable vocals. Andrew D’Cagna’s vocals are just brilliant and I truly believe he set the bar for the modern true metal vocalist. The opener, “Gates of Evermore” has an opening riff that sets the tone for the song. It kind of reminds me of 'Glory to the Brave' era HammerFall. The melodies are catchy and the choruses are infectious. These are heavy metal anthems that can stand rightly along side any of the classics. I dare you to listen to “Honor Bound” and not get that feeling like you are hearing metal again, for the first time. “Blood Red Cross!” That “OHHHH” during the bridge is fucking brilliant! I could listen to that song over and over again. The song builds to this incredible solo three quarter the way in….I got goose bumps!

I don’t know how this guy keeps pumping out quality heavy metal; all along with playing bass and writing songs with stoner rock band Brimstone Coven as well as being full time vocalist for Icarus Witch. “Graves of Thunder” has that melodic metal feel of an Icarus Witch song while still having that Ironflame sound. “Grace and Valor” take it right back to epic power metal with some incredible dual harmony riffs driving the verse. Brilliant! “Night Queen” is the longest song on the album and reminds me of “Shadow Queen” off the debut…could even be a sequel. Nonetheless, none of that take away from the sheer brilliance of the execution. The song sucks you in with the melodies and hooks. The perfect album closer.

Classic heavy metal is making a comeback and there are some really great bands and some incredible metal coming from this resurgence. Ironflame have set the bar, quite high I might add for this movement. Three consistently incredible true metal albums loaded with everything that made me obsessed with metal to this day. Keep ’em coming Andrew!! (The Elitist Metalhead)

(Divebomb Records - 2020)
Score: 100

https://ironflame.bandcamp.com/

Cannibali Commestibili - S/t

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Grunge
Cosa attendersi da una band dal nome poco attraente, con una copertina poco interessante e troppo colorata e floreale per una rock band, e tante descrizioni in rete che la vogliono far passare a forza per una stoner band quando all'ascolto non lo è? Direi nulla. In realtà nella musica non bisogna mai fermarsi alla prima impressione e, come in questo caso, epurata dalle congetture stoner, la band trentina (l'unico richiamo alla musica del deserto è un certo sound distorto che ormai è di moda dopo la venuta dei Queen of the Stone Age) mostra una certa originalità e buona personalità nel territorio del rock italiano, quello ben fatto e figlio delle orgogliose realtà italiche che furono i Karma e i Timoria (magari quelli di 'Speedball 2020'), con un tocco di psichedelia e una buona dose di conoscenza dei '70s. Il modus operandis dei Cannibali Commestibili ha il richiamo al rock italiano di classe, fatto con gusto e impatto, studiato nei particolari per stare in equilibrio tra alternative e post grunge, in questo caso, e se proprio vogliamo categorizzarlo, con venature blues, mai maligno, acido, coinvolgente e con una sfrontatezza moderata che colpisce in ogni sua traccia. Niente canzoni di rock politicizzato alla Teatro degli Orrori bensì emozioni e istinti umani diretti, messi in musica sotto la bandiera del rock con la R maiuscola, una sorta di ultimi Stone Temple Pilots con il suono che si apre verso l'energia sbilenca dei Mudhoney del loro omonimo album, ovviamente filtrati da un suono attualizzato e focalizzato sui trend del momento in ambito stoner. Prodotto in maniera eccellente con un sound caldo e avvolgente, potente e abrasivo, il cd vola che è un piacere e merita di essere ascoltato e amato per le capacità tecniche e la sua orecchiabile ruvidezza. Il canto in lingua madre dona poi molto alle composizioni rendendolo più appetibili all'ascolto. Da molto tempo non sentivo un disco rock cantato in italiano che fosse così ben fatto. "Gordon Pym" sdogana i fantasmi di E.A. Poe anche con un ottimo video visibile in rete, "Qualche Corpo" è il mio brano carnale preferito, "L.A." è acida, "Nylon" un blues di plastilina, "Ingranaggio Fragile" è adrenalina pura mentre la conclusiva "Luna di Cenere" è, in poche parole, puro rock. Nove brani per un album (uscito via Overdub Recordings, distribuito da Code 7/Plastic Head) da ascoltare a tutto volume, per un prodotto musicale di ottima qualità, compositiva e stilistica. Un cd che serve al panorama musicale italiano, che da tempo vive in sofferenza, soggiogato da trap e vari San Remo di turno. Un disco dedicato a tutti coloro che pensano che il rock in Italia sia morto e defunto, i Cannibali Commestibili rappresentano la giusta risposta. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2019)
Voto: 76

https://cannibalicommestibili.bandcamp.com/releases

Dos Cabrones - Accanimento Terapeutico

#PER CHI AMA: Stoner/Grunge Strumentale, Melvins
Ok, a parlarci chiaro ci si capisce meglio, utilizzando perfino le immagini ed i suoni di questo duo bolognese di sola chitarra e batteria che si definisce mescaline noise grunge, che ha un teaser video di presentazione pieno di scene forti, teschi, denti e quant'altro, che mostra un artwork di copertina con un prevedibile caprone dal tono satanico ma che con una strizzatina satirica ti sbandiera in faccia un titolo pesante e duro come 'Accanimento Terapeutico'. L'immagine della band attrae i fans dei Melvins più viscerali e a pensarci bene, questa manciata di tracce completamente strumentali, tranne qualche inserto sporadico di voci filmiche o rumori (molto belli peraltro), riecheggiano un che dei fasti migliori dei Karma to Burn e qualcosa pure dei primi due album dei 35007, nel modo di costruire quelle ritmiche circolari e trascinanti. Non mi trovo d'accordo con l'accostamento agli Helmets e mi piace quando nel terzo brano, "Cabron!" i Dos Cabrones si aprono ad un punk alternativo più scanzonato, sempre influenzato dal grunge e perchè no, da certo stoner rock, quello rimbalzante e meno fumoso. Tante belle idee che però, pur rimanendo interessanti, si manifestano a mio avviso solo a metà e avrebbero anche più possibilità se la band avesse un organico più ampio, con un basso e soprattutto una voce che darebbe al tutto molto più risalto. Comunque al netto della mia impressione, il disco è piacevole e diretto, a suo modo anche sofisticato nel riprendere il filo di musiche di confine, trattandosi di Shellac o Unsane, certamente ben realizzato e studiato a puntino, anche se, scusate se insisto, in "Hell of a Trip", mi mancano proprio un basso pulsante che ci starebbe divinamente sulle esplosioni di batteria e chitarra, ed una voce sulle parti più, diciamo, silenziose. Uscito per la DeAmbula Records, questo album si ricopre del fregio di album di nicchia, per amanti dei trend rock più sotterranei e sperimentali, coscienti del fatto che pur essendo oggettivamente piacevole all'ascolto, risulterà difficile l'apprezzamento totale del grande pubblico. Ben prodotto, con suoni azzeccati e caldi, l'approccio sperimentale e rumoroso sempre dietro l'angolo, una buona esecuzione per sei brani di media lunghezza di per sè molto ruvidi e sanguigni, polverosi e roventi. Una manciata di pezzi che faranno la gioia del pubblico più impavido e aperto ad altre, alternative, personali visioni del mondo rock. Un buon debutto per i "due caproni", scontroso e quanto mai coraggioso, un disco tutto da scoprire! (Bob Stoner)

(DeAmbula Records - 2019)
Voto:70

https://doscabrones.bandcamp.com/releases

sabato 15 febbraio 2020

Abigorum - Exaltatus Mechanism

#PER CHI AMA: Black/Doom, primi Samael
Alexey Korolev non è solo il boss della Satanath Records e tastierista dei Taiga, scopro solamente oggi infatti che è anche il fondatore di questi Abigorum e fino al 2019 vero factotum strumentale in quanto one-man-band fino allo scorso anno, quando si sono uniti bassista e chitarrista/voce, lasciando concentrare il buon Alexey alle sole batteria e tastiere. Fatto questo largo preambolo, vi dico anche che 'Exaltatus Mechanism' è il debutto sulla lunga distanza per i nostri dopo uno split datato 2018 in compagnia degli Striborg e uno nel 2016 con i Cryostasium. Finalmente possiamo dare un ascolto anche all'album, un disco che si apre con le infernali vocals di "Grau und Schwarz" e le sue solfuree atmosfere black doom. Il cantato in lingua germanica è dovuto al fatto che i due nuovi ingressi in formazione sono proprio tedeschi. Quello da sottolineare sono le melmose sonorità a rallentatore sciorinate dal terzetto, con una serie di rumori in sottofondo che sembrano quelli prodotti da un fantasma ridotto in catene. La voce di Tino "Fluch" Thiele è davvero arcigna e ben ci sta in un contesto musicale del genere. Con "Maskenball" si prosegue all'insegna di ambientazioni tenebrose e vocals che si muovono tra il grim e lo spettrale in un impasto sonoro che non è propriamente funeral probabilmente nemmeno black, essendo un qualcosa al crocevia di questo marasma sonoro. Pertanto, mi viene da dire che la proposta degli Abigorum sia piuttosto originale, sebbene sia alquanto complicata da digerire. "Jetzt" è una marcia atta a smuovere le anime dei dannati negli inferi con un cantato quasi declamatorio e perentorio in un contesto a tratti oppressivo ed esoterico. Non mi dispiace affatto la proposta del trio per quanto possa rivelarsi stralunata, ma le melodie, soprattutto in questa song, funzionano a meraviglia nel creare atmosfere orrorifiche. Sia chiaro che non abbiamo tra le mani un capolavoro ma un album comunque degno di nota per quel suo spirito sperimentale, questo si. "Für Die Ewigkeit" è un altro bell'esempio di sonorità che per certi versi mi hanno evocato i Gloomy Grim degli esordi, cosi come la successiva "Königreich Dunkelheit", con quella sua aria ampollosa, gli arrangiamenti orchestrali ed una costante aura industrial a completare il quadro sonoro. Il disco prosegue su questi stessi binari, proponendo alcune song più interessanti delle altre e penso alla bombastica (per atmosfere e linee di chitarra riverberate) "Der Ängstliche Mensch" e alla sinistra "Über Dich" che rendono l'ascolto di 'Exaltatus Mechanism' comunque soddisfacente fino alla fine. (Francesco Scarci)

Mourner - Apogee Of Nihility

#PER CHI AMA: Death/Doom, My Dying Bride
Se dico Russia voi a cosa pensate, fatto salvo per il buon vecchio volpone Vladimir Putin? Io ormai vado col pilota automatico e dico death doom, cosi quando ho letto che i Mourner venivano da quelle parti e soprattutto avvantaggiato da questo moniker, l'associazione è stata fin troppo semplice. Infilato 'Apogee Of Nihility' nel lettore, ho avuto conferma della mia ipotesi in tempo zero. La band suona appunto un death doom, molto death nella sua parte ritmata, un po' vetusta e obsoleta nel suo approccio, ma al tempo stesso quando ci infilano quel malinconico violino di scuola My Dying Bride, ecco che è davvero tutta un'altra musica. Anche quel mostruoso vocione growl del vocalist Gor assume un tono più umano. E l'opener "The Scorched Sun" è la prima testimonianza di quanto scriva, cosi poco brillante in chiave ritmica, ma davvero brillante nello sciorinare il suo lato più malinconico. Il problema ovviamente si ripete nelle tracce successive: "Do Not Get Through" è un altro pezzo classicheggiante (in ambito death doom ovviamente che evoca 'Serenades' degli Anathema) che non smuove nulla almeno finchè si muove tra sgroppate death e growling vocals; poi uno squarcio acustico, una voce meno cavernosa e più sofferente, preludio forse di una nuova parte drammatica che arriverà solamente a pochi secondi dalla fine del brano. "Slaves of Fate" sembra fare il verso ai My Dying Bride di 'The Dreadful Hours' quelli più violenti per intenderci, e proprio di fronte alla veemenza di fondo del terzetto russo, rimango fondamentalmente impassibile, impietrito da un sound che da dire non ha praticamente nulla. La magia sembra ristabilirsi questa volta per l'apparizione di un synth che regala un fronte melodico intrigante, rimaniamo lontani però dai fasti emotivi della prima canzone. Ci si prova con la title track, doomish quanto basta ma lontano parente dell'opener, per quanto, nel momento di assolo del basso, abbia pensato a "A Kiss to Remember" dei MDB che rappresentano l'influenza principale del trio russo, almeno sul versante doom. Il disco si avvia verso la conclusione ancora con qualche cartuccia da sparare: si parte con "The Broken Life", traccia più dinamica di scuola primi Paradise Lost questa volta (e il trittico magico l'abbiamo citato del tutto) che sfoggia un timido ma evocativo violino che accompagna la pesante base ritmica. "Cobweb of Captivity" è la song più lunga del cd (quasi nove minuti) e qui ho pensato di associare ai Mourner anche un che dei cechi Master's Hammer, più che altro da reminiscenze che sono radicate nella mia testa e si risvegliano non appena ascolto qualcosa di simile. La band è piuttosto ridondante a livello ritmico, ma qualche cosa di gradevole lo si riesce a pescare anche qui, che probabilmente è il capitolo più sperimentale dell'album (che ricordo essere il debuto per i Mourner). L'epilogo è affidato alla strumentale "Epilogue" che sancisce la conclusione di un disco ancora un pochino acerbo ma dotato comunque di qualche buona trovata. Se potessi fare una richiesta esplicita, spingerei molto di più sull'utilizzo del violino, io gradirei molto. Forza e coraggio, usciamo dai classici schemi precostituiti. (Francesco Scarci)

(Satanath/The End of Time Records/More Hate Productions - 2019)
Voto: 63

https://satanath.bandcamp.com/album/sat257-mourner-apogee-of-nihility-2019

venerdì 14 febbraio 2020

Inhibitions – With The Fullmoon Above My Head

#PER CHI AMA: Swedish Black, Dark Funeral, Dissection
Bollati dal sottoscritto in occasione del precedente lavoro come ancora impantanati nelle sabbie mobili del symph black di metà anni '90, i greci Inhibitions tornano con questo 'With The Fullmoon Above My Head', terzo capitolo della loro discografia. Le cose sembrano essere mutate in seno al duo ateniese, non mi è ancora chiaro però se in meglio o piuttosto in peggio. Facciamo subito chiarezza dicendo che se 'La Danse Macabre' era venato di influenze riconducibili a Emperor o primi Dimmu Borgir, 'With The Fullmoon Above My Head' sembra volersi far largo a colpi di black metal old school. Ecco, la domanda per il sorroscritto sorge spontanea: che necessità c'è di voler suonare black rimanendo ancora cosi ancorati ai dogmi di un genere ormai prossimo al pensionamento? Mi duole dirlo ma in questa terza release riesco a salvare davvero ben poco della proposta del combo greco. Francamente, la serie di schegge impazzite rilasciate dal duo formato da Pain e Dimon's Night non mi dice nulla di nuovo. È una sassaiola di riff di scuola svedese lanciati a tutta velocità, senza peraltro offrire melodie degne di note o qualcosa di comunque estremo ma originale. Mi spiace sempre segare un album, perchè so perfettamente il lavoro che vi sta dietro, e l'investimento che la band prima e l'etichetta poi, fanno. Dannazione però, in un periodo in cui chiunque può pubblicare musica dal proprio sottoscala e in cui la competizione è pertanto cosi elevata, non trovo il senso di un disco del genere in cui, a parte qualche epica schitarrata qua e là (le mie song preferite sono "When the Hope is Gone", la mid-tempo "Voices Inside" con quei suoi chiari riferimenti al tremolo picking dei Dissection e quel break acustico centrale e le più atmosferiche e sinfoniche sonorità della title track e di "Phenomenon", ove a mettersi in luce è il chorus che dà il titolo alla song), rimane ampiamente sotto la soglia della sufficienza, costringendomi ad un'altra sonora bocciatura. Dico sempre che c'è da lavorare anche nelle release più positive, qui c'è da raddoppiare gli sforzi per non rimanere insabbiati nelle viscere dell'anonimato più profondo. (Francesco Scarci)

Palmer Generator/The Great Saunites - PGTGS

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Un anno e mezzo fa mi ero preso la briga di recensire 'Natura' dei Palmer Generator. Oggi ritrovo i nostri in compagnia dei lombardi The Great Saunites, per uno split album di un certo interesse in ambito psych acid rock strumentale. La family band marchigiana apre con un paio di tracce da proporci, "Mandrie" pt 1 e 2. La prima delle due mostra la rinnovata attitudine post-rock della famiglia Palmieri con un sound che strizza l'occhiolino agli americani *Shels. La song ammalia per le sue venature psichedeliche mentre la sua seconda parte stordisce per quell'incipit noise rock sporcato però da ulteriori influenze che chiamano in causa i Pink Floyd, in quel basso pulsante posto in primo piano e quelle ridondanze lisergiche che non fanno altro che ammorbarci ed infine ipnotizzarci. La song scivola via eterea, liquida, quasi dronica in un finale dai lunghi svolazzi siderali e caratterizzata da un impianto musicale che non fa che confermare quanto di buon avevo avuto apprezzato in occasione di 'Natura'. È il momento dei The Great Saunites e della lunghissima "Zante", quasi 18 minuti di psych kraut rock di stampo teutonico. Il comun denominatore con i Palmer Generator risiede sicuramente in quella ossessiva circolarità dei suoni, visto che la pseudo melodia creata da quelli che sembrano strumenti della tradizione indiana, continua a ripetersi allo sfinimento tra un tambureggiare etnico-tribale, suoni elettronici assai rarefatti e sussurri appena percettibili, che ci accompagneranno da qui fino alla conclusione della song. Prima, quella che credo sia una chitarra, prova ad insinuarsi all'interno di questo avanguardistico ammasso globulare sonico generando un effetto a dir poco straniante. Ci prova poi il clarinetto di Paolo Cantù (Makhno, A Short Apnea) a innescare atmosfere tremebonde ed orrorifiche che fanno salire la tensione a mille, accelerando il battito cardiaco, e rendendo, ma non solo per questo, la proposta del duo lodigiano davvero interessante. Sebbene la musica non sia certo di facile presa, lo split album di Palmer Generator e The Great Saunites non fa che mostrare le eccelse qualità di una scena italiana in costante ascesa e di un rinnovato desiderio di competere con i mostri sacri internazionali. Ben fatto ragazzi. (Francesco Scarci)

(Bloody Sound Fucktory/Brigadisco/Il Verso del Cinghiale - 2020)
Voto: 74

http://palmergenerator.blogspot.com/
http://thegreatsaunites.blogspot.com/

Swan Valley Heights - The Heavy Seed

#PER CHI AMA: Stoner/Space Rock
Mi risulta difficile dire che questa band di Monaco non sia brava, sarà la copertina bella e curatissima che mi coinvolge e mi fa sognare ad occhi aperti guardandola con i suoi due cacciatori primordiali spaziali in prima linea ed una grafica degna dei paesaggi cosmici di Yuri Gagarin. Devo ammettere che questo disco incute un certo fascino. Ovviamente se state cercando novità compositive nel genere in questione (ah dimenticavo stiamo partlando di stoner rock), credo che avrete delle difficoltà, poiché da anni in questo ambito sonoro l'immobilismo sembra regnare sovrano, quindi i chiaroscuri, cosi come le evoluzioni acide srotolate dai nostri, suoneranno proprio come da copione. Detto questo, i teutonici Swan Valley Heights si muovono alla grande tra le coordinate che furono dei The Spacious Mind o degli attuali My Brother the Wind, con quel taglio tra la psichedelia rock dei primi Motorpsycho ed il post grunge dei Three Fish di Jeff Ament dei Pearl Jam, trovando il suo apice compositivo all'interno disco, nel conclusivo lungo brano "Teeth & Waves", che si erge dal lotto per la sua forza propulsiva. Il lato più debole di 'The Heavy Seed' lo si può identificare invece nelle parti vocali che sembrano essere state poco prese in considerazione, tenute in sordina, con l'effettistica sonora che soffoca il canto peraltro in uno stile così morbido e filtrato che poco si sposa al resto del sound liquido e lisergico, risultando talvolta pure stentato o molto distaccato. Sono convinto che valorizzandolo a dovere la proposta della band avrebbe più potenziale e quella leggera influenza nelle parti soft, derivante dai lavori più psych di Steven Wilson, potrebbe fare la differenza nei prossimi lavori. Detto questo, torniamo a valutare la band con voti pregiati, dicendo comunque che il combo germanico suona bene, la produzione è buona e le evoluzioni sonore si sviluppano in maniera molto matura e intelligente. I quaranta e più minuti dell'album, uscito via Fuzzorama Records, appagano l'ascoltatore portandolo in lidi cosmici surreali, nella galassia infinita dei Swan Valley Heights. Altra interessante particolarità è che in nessun brano di 'The Heavy Seed' ci si imbatte in una psichedelia violenta dal classico taglio metal o doom anzi, il sound caldo e acido avvolge che è un piacere, e alla fine è una sensazione liberatoria di avventuroso viaggio ultra terreno quello che collega le atmosfere dei cinque lunghi brani del cd. 'The Heavy Seed' è alla fine un lavoro per cultori dello space rock e di quello stoner poco sabbioso e più visionario che potrebbe rivelarsi un'isola felice. (Bob Stoner)