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sabato 9 gennaio 2016

Somali Yacht Club - The Sun

#PER CHI AMA: Post/Stoner/Shoegaze
Se parli di Ucraina e stoner viene subito da pensare agli Stoned Jesus, band rivelazione che imperversa già da qualche anno e che sta riscuotendo sempre maggior successo tra il pubblico amante del genere. I Somali Yacht Club hanno in comune poco altro con la band sopracitata, in realtà il loro genere si discosta e si riempie di influenze shoegaze e post rock che rendono il loro sound più etereo e meno ruvido. Una sorta di Mars Red Sky ma con una voce meno fastidiosa per intenderci. In generale alla band Ucraina (per la precisione di Lviv) piace sperimentare, per cui troverete un intermezzo in levare (!!) come in “Sightwaster”, una suite che nasce come brano post rock, diventa stoner a circa metà brano senza disdegnare infine innesti di altro tipo. Il tutto fatto in modo molto naturale e semplice, puro istinto, ma con cognizione di causa. In totale l’album contiene cinque brani che vanno dai sette ai dieci minuti di durata, questo a sottolineare anche la complessità compositiva a cui la band sembra tenere particolarmente. Attivi nella scena da più di cinque anni, il trio ha all’attivo un precedente EP che gli ha permesso di riscuotere un discreto successo, confermato anche dagli innumerevoli live in patria e in giro per l'Europa. “Up in the Sky” è probabilmente il brano che rappresenta meglio l’album e l’essenza della band: un inizio lento dove il riff desertico di chitarra conduce l’ascoltatore verso l’assolo psichedelico, mentre la voce eterea chiude il cerchio in modo impeccabile. Un brano emotivo e colmo di atmosfera, ricco di diverse linee melodiche che viaggiano a livelli di ascolto diversi. Quando a circa metà sembra che il brano stia per concludersi, i Somali Yacht Club ne approfittano per velocizzare il ritmo e fuggire verso la cavalcata finale che si potrebbe considerare una traccia a sé stante. “Signals” , dopo l’intro di basso a cui si uniscono progressivamente gli altri strumenti, parte in modo sommesso, con un riff liquido di chitarra che conduce verso l’esplosione di fuzz, potente, ma non dirompente come prevede il genere. Il basso ha il suo momento di gloria e i suoi intrecci, al limite del prog, trascinano gran parte del brano mentre il cantato è sempre sporadico, quasi un orpello stilistico da aggiungere qua e là al bisogno. In conclusione la band ha fatto un discreto lavoro con questo album, ci sono buoni spunti (vedi gli intermezzi fusion), anche se in certi passaggi si sente la forzatura di aver voluto a tutti i costi un brano di lunga durata. Ancora qualche tempo per la maturazione artistica e poi il trio potrò dire la sua in maniera più incisiva. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 70

Forbidden Planet - From Bedroom to Oblivion: Two Decades of Obscurity

#PER CHI AMA: Instrumental Prog Rock/Art Rock
Adam, Laurence, The Freq e Dave sono i 4 musicisti di Singapore che compongono i Forbidden Planet che debuttano nel 2015 con l’album 'From Bedroom to Oblivion: Two Decades of Obscurity'. Mi immagino un gruppo di 4 ragazzi che vogliono divertirsi seguendo la loro passione. Suonare quello che viene fuori da una delle loro mille jam session. Da queste scartano poco o niente e prendono per buona una, due, undici canzoni, decidendo quindi di confezionare un bel regalo. Il loro regalo. Un cd autoprodotto. A loro va il mio rispetto. Tutto il loro viaggio è un'esperienza magnifica che ogni ragazzino, che prende in mano uno strumento, prima o poi percorrerà. Lo deve fare. Una volta concluso questo periodo perfetto, che rimarrà come pilastro formativo della sua vita, è giusto lavarsi la faccia, magari fare colazione e cominciare a riguardare a quanto prodotto. Dico questo perché l'album dei nostri sembra ideato, registrato e masterizzato con la "pancia". L'album è infatti decisamente penalizzato dalla qualità di registrazione, che penalizzerà anche la mia valutazione finale. La batteria in primis è inscatolata, spesso la grancassa si percepisce solo perché convenzionalmente in un 4/4 cade almeno sulla prima battuta. Considerato il genere, non credo sia una scelta ragionata, ma semplicemente un errore da principianti. È poi un peccato sentire questa equalizzazione fai-da-te, facendo arrivare la chitarra solista e poi, a scendere, seconda chitarra, basso e batteria; la sola eccezione è "Yoko", dove insieme alle chitarre "pulite" si sentono bene anche gli altri strumenti. Questi "inconvenienti" purtroppo rovinano l'ascolto. Non c'è molto da aggiungere. L'album è composto da canzoni che spaziano dal prog rock leggero al funky rock, con incisi thrash e math metal ("I Know What it Takes"), anche se a farla da padrone è il virtuosismo degli axemen. Sono chiare le capacità tecniche e gli studi fatti, al punto di fare una cover di Bach ("Cello suite n.1 Prelude in G Minor"), ma il risultato, a mio avviso, è un insieme di esercizi combinati che cercano di spiazzare l'ascoltatore con cambi di genere: un metodo inflazionato per chi vuol fare un album prog. Se l'intento è il caos, ma suonato bene, è fallimentare perché confuso e da l'impressione di non sapere cosa si stia facendo. Forse sono io a non capire il loro genio. "Hands Around the Throat" è già più pop, e considerato il titolo della canzone è chiaro l'intento della band ad unire gli opposti. Adam, nella seconda di copertina, ringrazia tutte le persone e gli artisti che lo hanno ispirato, affermando di esser stati parte integrante di questo progetto. Infatti mi sembrava di ricordare l'andazzo di Satriani e Steve Vai in "Can I Borrow Your Bass" e "Put On The Suit". Funky rock virtuoso, tuttavia, sempre con la contaminazione per uscire dal coro. Carina la citazione (nell'intento almeno) a "The Audience is Listening" di Steve Vai al minuto 2:24 di “Put On The Suit”. Tutto sommato, al netto dei problemi espressi, le canzoni sono piacevoli, ma visto che 'From Bedroom to Oblivion: Two Decades of Obscurity' è stato mixato e masterizzato da un componente del gruppo (The Freq), mi auguro che, in futuro, i Forbidden Planet facciano mixare il prossimo lavoro da qualcuno proveniente da un Allowed Planet. (Alessio Perro)

(Self - 2015)
Voto: 55

Psicotaxi - Effect To The Head’s Mass

#PER CHI AMA: Electro Rock, Space Rock, Post Rock 
Difficile definire un genere per questo primo lavoro dei milanesi Psicotaxi. Post-rock? Vero: lunghi pezzi strumentali, arrabbiati, con ampi interventi di elettronica, arpeggi ricchi di eco e riverberi. Space-rock? Anche: i brani sembrano una miscela contemporanea di Hawkwind e Ozric Tentacles, con riff ossessivi, psichedelici, soundtrack stoner e tessiture vibranti. Progressive? Perché no: ogni canzone è una piccola suite ("Zingaropoli", col suo incedere esplosivo di basso ispirato ai Tool), tecnicamente ineccepibile, che si dilata e si restringe, non disdegna tempi dispari e lascia spazio persino a sax, tastiere e arpeggiatori taglienti. Aggiungete poi la teatralità dei testi recitati da Manlio Benigni: l’ironica "Un Tram che si Chiama Pornodesiderio" (“Il fatto è che lei fa la pornostar, io non me la sento di avere una storia con questa qui”), l’oscura e terrificante "Performance", l’impegnata e amara “Il Mondo Nuovo” (“Benvenuto nel mondo nuovo ragazzo […] tanto tu ti diverti a lavorare, non è vero?”). La cifra stilistica degli Psicotaxi va forse ricercata proprio in quell’underground musicale che, negli ultimi anni, sembra aver sfornato solo indie e folk: il quartetto milanese è fortemente indipendente, autonomo, dotato di personalità tale da raccogliere tutte le proprie ispirazioni e frullarle in una ricetta davvero nuova, originale, innovativa. 'Effect To The Head’s Mass' fa un uso preciso e superbo dell’elettronica; non dimentica l’importanza delle chitarre distorte e di un basso duro e presente; sa sfruttare il sassofono in modo originale; in ultima analisi, non fa sentire per nulla la mancanza di una voce nel senso stretto del termine, come invece capita a tante band post-qualcosa. Impossibile resistergli. (Stefano Torregrossa)

(Subsphera - 2015)
Voto: 75

venerdì 8 gennaio 2016

SoMnius - Darkness Falls...

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black strumentale
Abbiamo avuto modo di apprezzare Mathieu Vanlandtschoote (in arte SoMnius) nel suo ultimo progetto, i Varen; facciamo ora un passo indietro e diamo un ascolto alla sua band omonima e al disco 'Darkness Falls...', uscito nel 2013. Nove brani, otto dei quali strumentali, che danzano su di un sound di nero vestito. Stiamo parlando di un black metal cadenzato, che dalla opening track nonchè anche title track, arriva fino alla conclusiva "The Void", muovendosi in meandri angusti fatti di un suono oscuro e maligno. L'architettura del disco è sorretta dalle classiche chitarre ronzanti tipiche del black metal scandinavo che rendono scarno, a livello chitarristico, la proposta del factotum belga. Quando fortunatamente si sovrappone una seconda chitarra, e penso al secondo brano, "Where Hope Lies Dying" (ma sarà cosi anche negli altri), il sound diventa più corposo e piacevole da ascoltare, arricchito peraltro da ottimi arrangiamenti di synth. Un plumbeo pianoforte apre "An Illustrated World", song spettrale e dal mood malinconico che conferma che musicalmente il disco ha ottime potenzialità, garantite anche da una certa alternanza tra ritmiche ronzanti e frammenti atmosferici. La pecca più grande a mio avviso è, come di consueto, la totale mancanza di vocals, anche di sottofondo, che guidino l'ascolto e contribuiscano ad arricchire le qualità musicali di questo 'Darkness Falls...'. Un vero peccato perchè delle vocals arcigne, psicotiche o urla lontane del buon SoMnius, sarebbero state inserite ad arte nel tessuto musicale sorretto dal mastermind di Ronse. Tra gli altri miei pezzi preferiti, citerei "Stop Being Human", per le sue splendide, melodiche e strazianti linee di chitarra; la criptica "Entering Wasteland" e la sognante "The Void", ove finalmente fa capolino lo screaming corrosivo di Mathieu. Non avesse atteso l'ultimo brano per farci questo regalo, il voto di 'Darkness Falls...' non ne sarebbe uscito penalizzato. Next time SoMnius... (Francesco Scarci)

(Dunk! Records - 2013)
Voto: 70

Postvorta - Aegeria

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Quella di 'Ægeria' è una di quelle situazioni in cui spesso mi ritrovo, ossia voler segnalare al mondo intero l'uscita di un disco interessantissimo, pur non avendolo fisicamente nella mia collezione (ahimè è solo digitale, un grave delitto). Sto parlando dei romagnoli Postvorta e del loro EP che segna il primo capitolo di una trilogia sul ciclo della vita e che segue a distanza di un anno, il full length d'esordio dei nostri, 'Beckoning Light We Will Set Ourselves On Fire'. 'Ægeria' lo dico già, è un gran bel lavoro di post-metal, nella sua veste più classica, quella che strizza l'occhio a Isis e Cult of Luna, tanto per citare due nomi a caso, anche nella tipica costruzione dei brani, che si srotolano nella struttura strofa, intermezzo semi-acustico, strofa, intermezzo e via dicendo. "Amnios" ne è la dimostrazione assoluta, snodandosi in tal senso, lungo i suoi disagiati 13 minuti fatti di suoni raffinati che palesano si la devozione dell'ensemble italico verso le band sopra citate ma al contempo, anche l'enorme classe di cui sono dotati i ravennati. "Corion" prosegue sulla stessa scia, muovendosi tra giochi di luce in chiaroscuro, tenui atmosfere, vocals coriacee e splendide melodie di un post-metal scoppiettante che non accenna a mostrare segni di debolezza, ma anzi si arricchisce giorno dopo giorno di entusiasmanti sorprese (leggasi anche la nuova fatica dei Sunpocrisy). In "Uterus", l'elemento post-metal si arricchisce di incursioni in territori post-black con le classiche cavalcate alla Deafheaven, immediatamente smorzate da toni dimessi e quel perverso senso di malinconia che avvinghia l'intero lavoro e che genera in me contrastanti emozioni. La conclusiva "Placenta" è in realtà una cover più energizzata di “In The House, In A Heartbeat” di John Murphy, colonna sonora del film “28 Giorni Dopo”, song strumentale scelta non a caso, in quanto avvolta dalle stesse drammatiche suggestioni e portatrice delle stesse tetre emozioni delle precedenti tracce. Che altro dire se non suggerire la stampa in versione cd di questo piccolo gioiellino. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records - 2015)
Voto: 85

sabato 26 dicembre 2015

Thee Maldoror Kollective - New Era Viral Order

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Che i Maldoror fossero una band fuori dal comune lo si era già capito quando nel 1998 uscì il loro debutto 'Ars Magika', ma il black metal degli esordi, seppure non scevro di alcune contaminazioni di ritual-ambient, ancora non lasciava trasparire quelle evoluzioni sbalorditive che il gruppo avrebbe intrapreso in futuro. Nella metà del 2001, il secondo capitolo discografico 'In Saturn Mystique', giungeva invece come una rivelazione e metteva completamente a nudo lo straordinario talento della band torinese, sincretizzando, in un'unica formula, intricate e violente partiture black metal con suggestive esplosioni electro-wave che toccavano spesso il limite del progressive. Dopo il cambio di monicker in Thee Maldoror Kollective (che sottolinea un nuovo assetto del gruppo, teso alla collaborazione con altri progetti extramusicali), uscì il terzo full-length 'New Era Viral Order', un concept sul 'Liber Al vel Legis' di Aleister Crowley che voleva approfondire il complesso tema dell'insediamento del Nuovo Eone di Horus: il simbolo di una nuova consapevolezza e della centralità dell'uomo nell'universo. Da sempre seriamente coinvolti in studi e pratiche magistiche, i Maldoror non abbandonano quindi il loro itinerario artistico fatto di cultura esoterica e danno vita ad un'opera ambiziosa ed innovativa che si priva del sostrato mistico e spirituale. Rispetto al precedente 'In Saturn Mystique', il nuovo album si spoglia dei connotati intransigenti del black metal e prende il largo verso una sperimentazione più audace (che sarà ancor di più enfatizzata nei successivi album), contraddistinta dalla ricerca di un continuo dinamismo sonoro e di un ritmo ipnotico. Terremotanti riff di chitarra in stile 'Demanufacture' si incastrano in un tessuto sonoro complesso, fatto di ruvidi beat industriali e dalle tastiere ispirate di Evanghelya, musicista con un gusto compositivo affascinante ed insolito, sempre a cavallo tra le ambientazioni sinistre di Goblin e Jacula e la trascinante modernità dell'EBM più corrosiva. Le parti vocali del leader Kundahli mantengono la brutalità dei precedenti lavori ma vengono sporadicamente filtrate da un effetto robotico che dona un'impronta ancor più sintetica al suono. Da segnalare anche l'elegantissimo digipack, la prestigiosa partecipazione degli MZ412 con il remix di "Epidemic Noise Age" e per finire gli episodi che a mio avviso sono tra i più intensi dell'album: "Xaos DNA Released", "Haemorrhage Transmission", "Rhytmagick Disturbance" e "Slaughter Mass 2002", flussi di energia invisibile e scardinante che si insinuano come un virus nel subconscio, tutti brani che attraverso la sperimentazione rivendicano comunque una forte appartenenza al metal estremo. Seguite dunque il mio consiglio: recuperate 'New Era Viral Order' e lasciatevi avvolgere dal Chaos. (Roberto Alba)

venerdì 25 dicembre 2015

Witchsorrow - No Light, Only Fire

#PER CHI AMA: Doom Metal
'No Light, Only Fire' è l'ultimo lavoro dei doomster britannici Witchsorrow, in circolazione dal 2005 e con all'attivo già tre full-length, un EP e una demo risalente al 2008. Nel loro decimo anniversario, pubblicano quest'album che si apre con "There is No Light Only Fire“, song dalle sonorità oscure ma con un vocalist dalla voce pulita: non v'è infatti traccia di growl, anzi sembrerebbe quasi una canzone adatta a una sorta di karaoke metal (se mai qualcuno volesse ispirazione, consiglio quest'album). La stessa atmosfera all'insegna del puro doom, prosegue in “Made of the Void” e in “Negative Utopia”, con la differenza che in quest'ultima song la disperazione traspira minuto dopo minuto fino a portare all'esasperazione dei sensi. Dalla metà in poi del brano qualcosa cambia: ci si ridesta, la chitarra e la batteria vengono liberate per un breve lasso di tempo e un barlume di luce si intravede nell'oscurità più fitta. Restando sempre su questa riva, troviamo “The Martyr”: l'inizio è grave, scandente ogni secondo con il drumming che si agglomera alle chitarre a lutto (sarebbe un'ottima marcia funebre alternativa). Qui la rabbia traspare nei diversi cambi di tonalità vocale, che diventa addirittura roca. Poco dopo metà brano, il ritmo cambia e vira, avvicinandosi a un punk-rock: grida, ritmica cadenzata e assoli di chitarra rendono il tutto perfetto per l'headbanging (grazie anche al tono vocale del cantante Necroskull). Come in ogni lavoro che si rispetti, c'è sempre un giro di boa (o un piccolo cambio in corsa, se vogliamo definirlo in tal modo) ed è scandito da “To the Gallows”, le cui sonorità sono decisamente metal puro, con la voce sempre assestate ad un livello acuto, e fiumi di dirompente potenza, energia e rabbia che fuoriescono dalle casse dello stereo. “Disaster Reality” comincia in punta di piedi, una nota ogni due secondi fuoriesce dalla chitarra, per poi essere supportata brevemente dal binomio batteria-basso. Il risultato che ne esce è come un'onda: prima piccola, poi enorme, piccola e poi una sorta di tsunami, con uno spettro di pura angoscia che aleggia per tutto il brano. “Four Candles” è totalmente strumentale e acustica, un piccolo intermezzo curioso. Il disco si chiude con un piccolo salto nel passato: “De Mysteriis Doom Sabbathas”, già apparsa nell'omonimo EP uscito nel 2013 su cassetta in edizione limitata (ne sono uscite solo 150 copie). Strumentale per i primi 4 minuti, segue la falsariga di “The Martyr”, offrendo un assolo meraviglioso verso l'ottavo minuto che dà carica e potenza e coincide con la parte migliore del pezzo. La chiusura poi riprende il mood dell'apertura e le sonorità oscure tornano alla ribalta per collegarsi al primo brano. Buon lavoro questo 'No Light, Only Fire', ma mi sento di dare un unico consiglio: provare ad usare il growl nel prossimo lavoro, se non come voce principale almeno nei cori. (Samantha Pigozzo)

(Candlelight Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/witchsorrowdoom/

Interview with Laniakea

Follow this link to know much better the French band Laniakea and their sound dedicated to an atmospheric death/black:


The Frozen Autumn - Emotional Screening Device

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Cold Wave
Non nascondo che provai un po' di dispiacere quando qualche tempo fa mi giunse la notizia della separazione del duo torinese formato da Diego Merletto e Claudio Brosio, che con i primi due album 'Pale Awakening' e 'Fragments of Memories', avevano permesso al nome The Frozen Autumn di affermarsi come uno tra i più interessanti nella scena dark-wave del nostro paese. Fortunatamente tale separazione non comportò anche il termine dell'attività artistica di Diego, che decise nel 1998 di continuare da solo nel suo progetto e di affrontare assieme alla cantante Arianna un percorso più sperimentale con gli Static Movement. E fu proprio dall'incontro di Diego e Arianna che ripartì il nuovo cammino dei Frozen Autumn, che nel 2002 tornarono con il loro terzo lavoro 'Emotional Screening Device', un album che parve aver assimilato gli stessi elementi di synth-pop presenti nel notevole 'Visionary Landscapes' (primo album degli Static Movement, uscito per Eibon Records nel 1999). È un tocco magico quello dei Frozen Autumn, che rapisce con le sue fredde melodie e cattura l'ascoltatore per più di un'ora in un'atmosfera irreale, dove si risvegliano emozioni nostalgiche e i ricordi del passato ci appaiono così nitidi e frammentati allo stesso tempo. Solamente gruppi come Talk Talk, Alphaville, Eurythmics e Depeche Mode hanno saputo ricreare con pari abilità armonie tanto incantevoli e, non a caso, gli 11 brani presenti nell'album, attingono a piene mani proprio dalla new wave, rivisitando nella maniera più attuale e raffinata il suono delle band che negli anni '80 resero così popolare questo genere. Abbandonata dunque l'impronta romantica dei precedenti lavori, l'elettronica del gruppo si riveste di sonorità più gelide e taglienti, supportate da ritmi danzabili veramente piacevoli e dalle voci eteree di Diego e Arianna, che si alternano nel cantare i vari brani. Vi basterà ascoltare "Silence is Talking", "When You are Sad", "Verdancy Price" e "Second Sight (A)" per avere conferma del valore di un album che non necessita di ulteriori elogi, ma solo di un un ultimo invito, rivolto a chi leggerà queste righe, ad avvicinarsi alla musica dei Frozen Autumn e lasciarsi conquistare. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2002)
Voto: 80

https://www.facebook.com/TheFrozenAutumn/

Attila Bakos - Aranyhajnal

#PER CHI AMA: Progressive/Epic, Nightingale, Bathory
Mi ero già incazzato in occasione del precedente progetto del buon Attila Bakos, i Taranis, per lo scarso interesse mostrato nei confronti di un artista eccellente. Torno ad arrabbiarmi oggi, in occasione della recente uscita dell'album solista del polistrumentista magiaro. Attila esce con il full length d'esordio, 'Aranyhajnal', fuori esclusivamente in digitale, e proprio qui risiede la mia rabbia, la mancanza di un'uscita fisica per un album di questa caratura. Il lavoro contiene otto tracce che si muovono nella scia di un metal progressivo che lascia ampio margine di manovra alla musicalità del mastermind ungherese, che abbiamo visto coinvolto anche in altre band, come Thy Catafalque, i norvegesi Quadrivium e con i Woodland Choir. Come per il progetto Taranis, anche in questo caso Attila sembra ispirarsi a certa musica nordica e penso a Dan Swano, Bathory o agli Arcturus, nomi di una certa rilevanza, la cui spiritualità, magia, passione e una forte emotività, sembrano rivivere nelle song del sempre bravo Attila. La opener "Ősi Szó" evidenzia sin da subito l'elevata componente orchestrale messa in scena, che si miscela con una certa vena malinconica riscontrabile nelle splendide linee melodiche di chitarra, su cui si stagliano le epiche vocals del frontman, sempre in grado di trasmettere suadenti emozioni, grazie alla sua estesa linea vocale (che arriva a toccare il falsetto nella successiva "Életerő"). Una certa rilevanza la giocano anche i synth, abili a tessere splendide ed eteree melodie, duettando con la chitarra, dotata, nella seconda traccia, di una vena più folkish. Se "Lángolj" mi ricorda a livello ritmico qualcosa dei primi Nightingale, "Ármány"sembra rievocare lo spirito di Quorthon e dei suoi Bathory più epici. Non importa poi se Attila canta tutto in rigorosa lingua magiara, la release acquisisce connotati ancor più esotici che la rendono addirittura più interessante. Il disco trova modo anche di lanciarsi nell'iperspazio dello space rock, e non solo perchè l'apertura ambient di "Áldás", le palesi influenze classiche, la dirompente voce di Attila (che qui trova modo anche di sfondare nel growling), i break acustici, certi splendide digressioni etniche, rendono questa lunga traccia di oltre 12 minuti, la mia favorita tra le otto. "Sziklák Szívén" è un altro pezzo dal mood triste, ma di sicuro impatto, che oscilla tra il progressive e un approccio più violento. "Lépj át" sembra nella prima parte una ninna nanna, poi fortunatamente si riprende e dà modo a Bakos di dar sfoggio della sua preparazione tecnica, sciorinando un altro vibrante assolo. Brividi lungo la schiena, che si concludono con la fragranza estiva di "Az éj Rejtekén" che chiude questa nuova interessante opera firmata Attila Bakos. Mi raccomando ora: 'Aranyhajnal' per alcun motivo dovrà passare inosservato. (Francesco Scarci)

Laniakea - At the Heart of the Tree

#PER CHI AMA: Techno Death/Deathcore/Black, Gojira, Tesseract
I Laniakea sono una giovane band di Avignone che con l'uscita di questo full length cerca di rimarcare una posizione di rispetto in quello che possiamo definire il braccio più tecnico del death metal, unito trasversalmente a quell'attitudine mistica e di pensiero che qualche tempo fa rese grandi band come Alcest e Agalloch. I video trovati in rete non lasciano molti dubbi sul fatto che la band deponga nella forza della natura l'unica via d'uscita per l'uomo del futuro, i vari stacchi d'atmosfera disseminati tra i cinque brani del disco fungono da legame immaginario, tra i paesaggi autunnali pieni di pathos che la band usa per mostrarsi al pubblico nel web e una coltre di riff death pesanti, dallo stile chirurgico, taglienti e caricati da un sound modernissimo, freddo e potente. I tre musicisti francesi riescono a dotare il proprio suono, che affonda le proprie radici nella matrice sonora dei Gojira, di una particolare aura futurista grazie alla presenza nella line-up di una dinamica drum machine, mentre sul versante chitarristico riescono a differenziarsi dai conterranei per un tocco deathcore, simile ai Misery Index o ai mai dimenticati The Haunted, con un cantato robusto vicino ai viaggi di Dan Swanö solista, il tutto filtrato da una buona dose di impulsi modernisti di scuola Fear Factory. 'At the Heart of the Tree' gode alla fine di un buon effetto sorpresa, anche se la band mostra la sua forma migliore nelle parti più sperimentali o in quelle più tranquille, dove le doti tecniche dei due chitarristi emergono più chiaramente. Infatti, le parti più dure dei brani si dimostrano più interessanti quando il terzetto osa nell'essere più noise e sperimentale, infarcendo il tutto di suoni tecnologici e taglienti. Solo in alcuni casi i nostri soffrono di qualche veduta musicale stereotipata, complice forse il limite comprensibilissimo che può offrire una drum machine, una macchina infernale che per quanto usata ad arte, appiattisce e appesantisce l'evoluzione del brano. Un limite che comunque non arriva mai a compromettere né l'integrità e neppure la bellezza di ogni singola traccia. In generale è un debutto con i fiocchi e l'ascolto è consigliato a tutti gli estimatori del metal, suonato con una cura smisurata quasi maniacale e prodotto anche meglio. Anche l'approccio della band ad una evoluta forma di metal estrema, complessa e assai spirituale sulla via di Tesseract o Gorguts, alla fine è dimostrazione di una bella prova di maturità. Ascoltate "Pillars of Creation", la conclusiva "Le Vent Sous les Cendres" o la title track, con le sue pause atemporali sospese nel nulla, i ritorni al pulito, i riff distruttivi, per un contrasto sonoro di tutto rispetto. Ennesima delizia sonora transalpina. (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Laniakea

CONTEST WILL'O'WISP: i vincitori



Annunciamo i vincitori del concorso "Vinci una copia dell'ultima release Will'o'Wisp, 'Inusto'":

Roberto Coltro di Zimella (VR)
Lorenzo Dolciami di Magione località San Savino (PG)
Adamo Proserpio di Reno di Tizzano (PR)

Complimenti!

Le risposte corrette erano:


1) Il titolo dello storico demotape è "Nocturnal Whispers".
2) Il titolo della raccolta di poesie è "Flame in Chalice".