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martedì 7 gennaio 2020

Vanessa Van Basten – La Stanza Di Swedenborg

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post-metal/Post-rock/Drone/Ambient/Shoegaze
Quando mi chiedono quali gruppi rimpiango di non aver visto dal vivo, il mio pensiero non va a mostri sacri ormai scomparsi da tempo: non che non pagherei cifre folli per un fantascientifico viaggio nel tempo che mi permetta di assistere ad un’esibizione dei Joy Division, ma trovo più frustrante essermi perso band andate recentemente incontro a silenziose uscite di scena dopo una carriera lontano dalle luci della ribalta e che, tuttavia, ritengo altrettanto fondamentali. Ecco perché io risponderei: Breach, Botch e soprattutto Vanessa Van Basten.

Il progetto nato dalla mente del guru Morgan Bellini, poi affiancato dal bassista Stefano Parodi (e, in alcuni episodi e in sede -dei rari- live, dal batterista Roberto Della Rocca), si è esaurito nel 2015 dopo due full length e diverso materiale tra EP, raccolte e collaborazioni; tuttavia permane attorno ai Vanessa Van Basten quell’aura di mistero che li ha caratterizzati fin dal 2006, quando questa creatura dal nome enigmatico (da me inizialmente attribuito ad un’improbabile antenata olandese di Chelsea Wolfe) emerse dal vivace sottobosco musicale di Genova, città troppo spesso portata agli onori della cronaca solamente per ciclici disastri ambientali e sociali.

È proprio il senso di catastrofe in agguato, di inevitabilità, ma anche di una sorta di serenità nell’affrontare l’ignoto a caratterizzare il miscuglio di doom, psych-drone, noise e post-rock che è 'La Stanza di Swedenborg', seconda release dei nostri e loro manifesto artistico, un disco di straordinaria intensità e dalle mille sfumature che, a mio parere, domina la costellazione della musica underground nostrana e non. Uscito nel 2006, l’etichetta genovese Taxi Driver Records, in occasione dei dieci anni dalla pubblicazione, lo ha rimasterizzato e ristampato in versione vinile: quando l’ho scoperto sono corso ad ordinarlo (malgrado all’epoca non avessi ancora un giradischi!) ed ora eccomi ora qui a consumare la copia n° 266 delle 500 stampate.

“Si lasci andare, ma non completamente,
non completamente, deve restare nello stato intermedio
non vada in direzione della luce, non lasci La Stanza Di Swedenborg!”


Questo sussurra ad una moribonda la medium protagonista della miniserie di Lars Von Trier 'The Kingdom', unica componente vocale intellegibile del disco e prova dell’influenza di alcune pellicole di culto nel concepimento dei lavori della band genovese (ricordiamo le citazioni di Dune e Mulholland Drive nel primo EP). Noi obbediamo, rimaniamo paralizzati in questo luogo allo stesso tempo inquietante e affascinante, immersi nelle atmosfere sepolcrali evocate dai lugubri accordi di chitarra e storditi dagli improvvisi cataclismi sonici che portano la tensione all’estremo.

“È bello stare lì!”


La tilte-track, che con la successiva “Love” costituisce i sei minuti più disturbanti della storia della musica, è la perfetta fotografia dell’opera: un turbolento oceano di suoni, le cui correnti capricciose rappresentano la psiche umana costantemente in balia di angosce profonde e paure irrazionali. Ed ecco che in pezzi come “Dole”, “Floaters” e “Vanja”, l‘ascoltatore si ritrova impegnato in una navigazione impossibile, ora cullato dalle dolci maree di chitarra acustica e tastiere sognanti, ora sconvolto dai maelstrom generati dalle potenti distorsioni e dalla furia delle percussioni; tuttavia, per quanto la burrasca ci trascini alla deriva, le forze benevole che popolano La Stanza di Swedenborg intervengono a riportarci sulla giusta rotta con “Il Faro”, mentre il sole più radioso che sbuca tra le nuvole in “La Giornada De Oro” scaccia i fantasmi dell’inconscio e ci permette, sorretti dalle massicce linee di chitarra e basso, di approdare all’eroico epilogo di “Good Morning Vanessa Van Basten!”

Un po’ pittori romantici impegnati nel rappresentare sulla tela l’intero spettro delle emozioni umane alternando tenui sfumature a pennellate feroci, un po’ autori di colonne sonore per futuristici thriller psicologici, i Vanessa Van Basten non hanno ricevuto la meritata considerazione della critica, vuoi perché non di rado frettolosamente ridotti a mera controparte italiana degli Jesu, vuoi per l’atteggiamento discreto ed un’attività live messa ben presto nel cassetto. Eppure la loro discografia mostra un’incredibile capacità nello spingersi ben oltre il solco tracciato da Justin Broadrick e nel combinare le influenze più disparate: dalle melodie decadenti dei Dead Can Dance alle dissonanze angosciose dei Neurosis, dalla soffusa malinconia dei The Cure (memorabile lo stupendo album di cover di 'Disintegration') a criptiche sperimentazioni badalamentiane.

'La Stanza di Swedenborg' è un’opera multiforme e che fonde elementi contrastanti: tenebre e luce, paura e serenità, morte e resurrezione. Dopo centinaia di ascolti continua ad intrigarmi, come se dietro quelle colossali impalcature sonore, tra gli intermezzi acustici e gli arcani effetti ambient, si celasse una rivelazione che è possibile cogliere solo in parte, spingendoci ogni volta a continuare la ricerca. (Shadowsofthesun)

(EibonRecords/ColdCurrent/Radiotarab/Noisecult - 2006, Taxi Driver Records – 2015)
Voto: 95

https://taxidriverstore.bandcamp.com/album/la-stanza-di-swedenborg

venerdì 25 dicembre 2015

The Frozen Autumn - Emotional Screening Device

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Cold Wave
Non nascondo che provai un po' di dispiacere quando qualche tempo fa mi giunse la notizia della separazione del duo torinese formato da Diego Merletto e Claudio Brosio, che con i primi due album 'Pale Awakening' e 'Fragments of Memories', avevano permesso al nome The Frozen Autumn di affermarsi come uno tra i più interessanti nella scena dark-wave del nostro paese. Fortunatamente tale separazione non comportò anche il termine dell'attività artistica di Diego, che decise nel 1998 di continuare da solo nel suo progetto e di affrontare assieme alla cantante Arianna un percorso più sperimentale con gli Static Movement. E fu proprio dall'incontro di Diego e Arianna che ripartì il nuovo cammino dei Frozen Autumn, che nel 2002 tornarono con il loro terzo lavoro 'Emotional Screening Device', un album che parve aver assimilato gli stessi elementi di synth-pop presenti nel notevole 'Visionary Landscapes' (primo album degli Static Movement, uscito per Eibon Records nel 1999). È un tocco magico quello dei Frozen Autumn, che rapisce con le sue fredde melodie e cattura l'ascoltatore per più di un'ora in un'atmosfera irreale, dove si risvegliano emozioni nostalgiche e i ricordi del passato ci appaiono così nitidi e frammentati allo stesso tempo. Solamente gruppi come Talk Talk, Alphaville, Eurythmics e Depeche Mode hanno saputo ricreare con pari abilità armonie tanto incantevoli e, non a caso, gli 11 brani presenti nell'album, attingono a piene mani proprio dalla new wave, rivisitando nella maniera più attuale e raffinata il suono delle band che negli anni '80 resero così popolare questo genere. Abbandonata dunque l'impronta romantica dei precedenti lavori, l'elettronica del gruppo si riveste di sonorità più gelide e taglienti, supportate da ritmi danzabili veramente piacevoli e dalle voci eteree di Diego e Arianna, che si alternano nel cantare i vari brani. Vi basterà ascoltare "Silence is Talking", "When You are Sad", "Verdancy Price" e "Second Sight (A)" per avere conferma del valore di un album che non necessita di ulteriori elogi, ma solo di un un ultimo invito, rivolto a chi leggerà queste righe, ad avvicinarsi alla musica dei Frozen Autumn e lasciarsi conquistare. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2002)
Voto: 80

https://www.facebook.com/TheFrozenAutumn/

giovedì 28 maggio 2015

This Empty Flow - Nowafter

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark Sperimentale, Radiohead
Nati nel 1994, dalle ceneri degli storici doomster finlandesi Thergothon, i This Empty Flow hanno avuto vita breve se pensiamo che già nel 1997 venne posta fine al progetto. Un vero peccato, dato che in soli tre anni di attività i This Empty Flow hanno saputo comunque scrivere delle pagine di importanza non marginale all'interno del vasto panorama musicale underground e con una classe così unica che oggi il loro nome ha lasciato il segno. La formazione, composta inizialmente dagli ex-Thergothon Jori Sjöroos (voce/chitarra) e Niko Sirkiä (tastiere), fu presto affiancata dal bassista Aku-Tuomas e nel marzo del 1996 debuttò per la nostrana Avantgarde Music con 'Magenta Skycode', un album stupendo che a causa di una scarsa promozione passò purtroppo "in sordina" e non ottenne così l'attenzione che avrebbe meritato. Il successivo 'Three Empty Boys' non ebbe sorti migliori e fu pubblicato dalla Plastic Passion solo nel 1999, quando il gruppo era ormai sciolto. Questa raccolta, uscita per l'italiana Eibon Records nel 2001, racchiude sei brani fino ad allora inediti, cinque già contenuti nel secondo album 'Three Empty Boys' e tre tratti da 'Useless and Empty Songs', un cd-r realizzato nel 2000 sempre dalla Plastic Passion nella limitatissima quantità di 111 copie. Il cd si apre con le sei registrazioni inedite (ultime composizioni del gruppo risalenti all'estate del 1997), che oscillano tra sonorità alla Radiohead e sfumature trip-hop; ne sono un esempio il bellissimo brano d'apertura "Je(n!)i Force", in cui violino e chitarra accompagnano l'incedere lento e ritmato del pezzo e "Marmite", inframmezzata da insolite parti rappate. Dopo gli accenni psichedelici di "Stilton" è la volta delle melodie dilatate di "Shoreditch", tra le quali affiora lo spettro dei Pink Floyd e dove timidi arpeggi di chitarra sostengono la vocals sommesse di Jori. In "And also the Drops", rifacimento del brano "Drops", emerge un gusto pop accostabile ai primi Suede, mentre in "Ashby-de-la-Zouch" i toni gravi e drammatici degli strumenti a fiato si diffondono tra una voce sospesa e i riverberi di liquidi synth. Con "One Song of Solitude" l'influenza The Cure si fa abbastanza evidente e ci trascina in uno stato di abbandonica e piacevole malinconia, sensazione che ci avvolge anche in "Angel's Playground" e in "Dubby", dove le melodie struggenti della chitarra colorano i nostri pensieri delle sfumature più cupe. Fragili, malinconici e toccanti, i settanta minuti di musica contenuti all'interno di 'Nowafter', sono il testamento di una band che ha avuto poca fortuna nella sua breve carriera, rendiamo allora un giusto tributo ai This Empty Flow, facendo nostra questa bellissima raccolta e non dimenticandoci di loro. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2001)
Voto: 85

sabato 13 luglio 2013

Teresa 11 - Smoky Heaven

#PER CHI AMA: Ambient/Ethnic/Trip Hop
Il suono minimale di un'arpa si confonde con il rumore di una metropoli notturna e la voce modulata di una donna che accompagna lo strumento si perde nel chiasso delle luci elettriche, come se le immagini che scorrono lente davanti a noi fossero un sogno vissuto ad occhi aperti. È questa la prima, immediata sensazione visuale che ha suscitato in me l'ascolto di "Harp and 12 String Harp - Impro" e "Blue Shine", i due brani che aprono il lavoro dei Teresa 11. È un vero peccato che il promo non sia accompagnato da nessuna nota biografica e che l'unica informazione fornita dall'etichetta sia che il gruppo proviene dal Giappone, ma con qualche ricerca sono venuta a sapere che si tratta di un trio (formato da Rie Lambdoll, Anri Muramatsu e Miyazaki) e "Smoky Heaven" è il loro primo lavoro. La tradizione musicale giapponese emerge in numerosi passaggi, come qualcosa cui i Teresa 11 non sanno rinunciare, ma la sua eco si fonde con sonorità moderne, variegate e multisfaccettate che fanno di quest'album un'ideale e distaccata colonna sonora noir per una lunga, solitaria notte insonne in una grande metropoli. Ognuna delle dieci canzoni scandisce il trascorrere delle ore. Ognuna accompagna un'esperienza che si dipana in luoghi fisici e mentali diversi. Costanti aleggiano il suono dell'arpa e la voce "grassa" e modulata della cantante, interprete carnale di un soul moderno, riletto in chiave sintetica. Le arpe di Rie e di Anri e la voce di Rie sono senza dubbio anche gli aspetti più caratteristici dei Teresa 11, ma ad essi si mescolano una serie di gradazioni sonore multiformi che attingono dal trip-hop, dalla musica etnica, classica, ambient e soul-blues fumosa per poi macchiarsi di sperimentazioni e distorsioni elettriche in un seducente concentrato "cinematografico" dal forte impatto visivo e dal mood oscuro. Per apprezzare veramente quest'album è necessario dimenticare completamente qualsiasi classificazione e avvicinarsi ad esso con la mente libera da ogni forzatura stilistica. È un lavoro sfuggente, eppure risulta profondamente concreto e il suo maggior pregio sta proprio nel non sottostare ad alcuna corrente musicale. È un prodotto forse anomalo, un po' datato (2004) ma anche completamente maturo, pronto per essere accolto senza riserve da chiunque sappia apprezzare la vera musica. Non fate l'errore, dunque, di trascurare "Smoky Heaven": sorprendente! (Laura Dentico)

domenica 19 giugno 2011

Canaan - Contro.Luce

#PER CHI AMA: Cold Wave, Colloquio, Neronoia, Monumentum
E’ un ritorno inaspettato quello dei Canaan, band italiana per la quale il termine “culto” non risulta improprio, in quanto ha coltivato fin dagli esordi del proprio cammino (incominciato nel 1996) una serie di qualità artistiche tese alla ricerca dell’unicità, dell’eleganza e dell’eccellenza compositiva, sempre e tenacemente incurante dei modesti riscontri commerciali che sono tipici della musica di genere come l’ambient e la dark-wave. In passato, con album come “Brand New Babylon” e “A Calling to Weakness”, Mauro Berchi e i suoi fidati compagni di viaggio hanno dato luce a due perle di grigio fulgore, toccando quello che ad oggi può essere riconosciuto come l’apice della loro carriera e solo con l’uscita del penultimo episodio “The Unsaid Words”, risalente al 2006, la band ha probabilmente incontrato la prima flessione creativa, consegnando alle stampe un lavoro leggermente sotto tono che ricalcava in maniera meno ispirata gli stessi umori e le stesse sfumature del suo predecessore. Congelati in un serrato silenzio per quasi cinque anni dalla pubblicazione di “The Unsaid Words”, i Canaan tornano dunque con un album inatteso, che tale può essere definito anche per una nuova linfa espressiva, densa di elementi inediti che manifestano una band rinnovata, rinvigorita da uno slancio stilistico fino ad ora inesplorato. Permane la vena “cantautorale” e poetica che ormai da tempo accompagna le composizioni del gruppo, ma è il timbro e lo stile vocale di Mauro che si avverte come profondamente diverso, forse perché meno greve e sofferto di un tempo o più semplicemente per la conquista di una piena maturità interpretativa per la quale risulta d’obbligo spendere un elogio sincero. Rimangono invece immutati gli intermezzi strumentali che come d’abitudine spezzano i brani cantati e impreziosiscono “Contro.Luce” delle consuete suggestioni etniche ed ambient-industriali. Le nubi che affollano la mente di Mauro non sono ancora del tutto dissolte, mentre il dolore e il rimpianto continuano a riaffiorare dai ricordi del passato, tuttavia si avverte un nuovo modo di affrontare le avversità, con la dignità di chi sa soffrire in silenzio, non escludendo che tenui bagliori di speranza ci portino finalmente a respirare un alito di vita. Un sorriso di una persona cara o il volto ingenuo di un bambino possono allora ridestare emozioni di conforto e tenerezza, arginando anche solo per un istante le afflizioni. Nell’ascolto di “Contro.Luce” si percepisce questa lenta rinascita e la musica si muove all’unisono con le sensazioni trasmesse dalle parole, aprendosi a soluzioni che talvolta stupiscono per la loro sinuosità e “leggerezza”. A testimonianza di questa evoluzione vi sono canzoni come “Noia” e i suoi toccanti interludi di voci femminili mediorientali, gli energici e repentini cambi di ritmo in “Terrore” e i riverberi possenti delle chitarre in “Oblio”. Altri brani ripercorrono i plumbei canoni della produzione passata, ma sempre con quella rinnovata freschezza che dona un valore aggiunto all’intera opera e suscita nell’ascoltatore una commozione autentica. Grazie Mauro, grazie Canaan. (Roberto Alba)

(Eibon Records)
Voto: 75

domenica 5 giugno 2011

Canaan - A Calling to Weakness

#PER CHI AMA: Gothic Dark Ambient
Malinconia e poesia: dall'incontro e dalla fusione di due degli aspetti più nobili dell’animo umano sorge "A Calling to Weakness", composizione di rara intensità, che brilla come una perla incastonata in un cielo di nero disinganno. Tra le uscite della Eibon Records, quelle dei milanesi Canaan, sono sicuramente tra le più prestigiose, testimonianza che anche l'Italia può vantare artisti dalla vena creativa più che mai viva e in grado di creare uno stile personale, assolutamente unico e che, nel caso dei Canaan, è a mio parere decisamente italiano. Diciassette canzoni, 70 minuti di musica vissuta intensamente e pacatamente sofferta, ma mai banale… musica che reclama la nostra attenzione e che cattura il nostro animo, impreziosendolo e arricchendolo di intima delicatezza, commuovendoci e toccandoci nel profondo, fino alle lacrime! Fluidi arabeschi melodici che avanzano flessuosi, sostenuti da morbide parti di batteria e completati da impalpabili strutture di chitarra… e al tutto si unisce e lega indissolubilmente la voce di Mauro, che svela una maturità interpretativa che da "Brand New Babylon" attendeva di emergere e che in "A Calling to Weakness" è perfettamente integrata nel contesto melodico. E' una musica per certi versi eterea, le cui aggraziate trame si dischiudono come i petali di un fiore rivelando le mille sfumature del dolore interiore, della sofferenza che accompagna silente il quotidiano, rendendo opaca ogni visione della realtà, filtrata attraverso occhi che non hanno più lacrime. Ne scaturiscono una forte sensazione di alienazione dal mondo circostante e una ricerca estrema di introspezione, di meditazione sulla propria interiorità e sul valore della propria esistenza. Canaan penetra nelle nostre notti più buie, illuminandole di un tenue riverbero di mestizia, si insinua nei nostri pensieri più tristi, velandoli di rassegnazione e ci accompagna in questo viaggio interiore verso la solitudine eterna. Tuttavia, in taluni momenti si percepisce un'energia forse sprigionata da un improvviso desiderio di ribellione ad una situazione di oppressione e che si impone, sostituendo momentaneamente l’apatia generata da una vita senza aspettative, per poi lasciare nuovamente il passo al vuoto imposto dal grigiore di una pallida esistenza che non regala emozioni. Far menzione di qualche canzone potrebbe sminuire il valore dell'opera, che va catturata nella sua interezza, ascoltandola svelarsi alla nostra anima, mettendo a nudo le riflessioni e i tormenti che l’hanno originata. (Laura Dentico)

(Eibon Records)
Voto: 85