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sabato 26 dicembre 2015

Thee Maldoror Kollective - New Era Viral Order

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Che i Maldoror fossero una band fuori dal comune lo si era già capito quando nel 1998 uscì il loro debutto 'Ars Magika', ma il black metal degli esordi, seppure non scevro di alcune contaminazioni di ritual-ambient, ancora non lasciava trasparire quelle evoluzioni sbalorditive che il gruppo avrebbe intrapreso in futuro. Nella metà del 2001, il secondo capitolo discografico 'In Saturn Mystique', giungeva invece come una rivelazione e metteva completamente a nudo lo straordinario talento della band torinese, sincretizzando, in un'unica formula, intricate e violente partiture black metal con suggestive esplosioni electro-wave che toccavano spesso il limite del progressive. Dopo il cambio di monicker in Thee Maldoror Kollective (che sottolinea un nuovo assetto del gruppo, teso alla collaborazione con altri progetti extramusicali), uscì il terzo full-length 'New Era Viral Order', un concept sul 'Liber Al vel Legis' di Aleister Crowley che voleva approfondire il complesso tema dell'insediamento del Nuovo Eone di Horus: il simbolo di una nuova consapevolezza e della centralità dell'uomo nell'universo. Da sempre seriamente coinvolti in studi e pratiche magistiche, i Maldoror non abbandonano quindi il loro itinerario artistico fatto di cultura esoterica e danno vita ad un'opera ambiziosa ed innovativa che si priva del sostrato mistico e spirituale. Rispetto al precedente 'In Saturn Mystique', il nuovo album si spoglia dei connotati intransigenti del black metal e prende il largo verso una sperimentazione più audace (che sarà ancor di più enfatizzata nei successivi album), contraddistinta dalla ricerca di un continuo dinamismo sonoro e di un ritmo ipnotico. Terremotanti riff di chitarra in stile 'Demanufacture' si incastrano in un tessuto sonoro complesso, fatto di ruvidi beat industriali e dalle tastiere ispirate di Evanghelya, musicista con un gusto compositivo affascinante ed insolito, sempre a cavallo tra le ambientazioni sinistre di Goblin e Jacula e la trascinante modernità dell'EBM più corrosiva. Le parti vocali del leader Kundahli mantengono la brutalità dei precedenti lavori ma vengono sporadicamente filtrate da un effetto robotico che dona un'impronta ancor più sintetica al suono. Da segnalare anche l'elegantissimo digipack, la prestigiosa partecipazione degli MZ412 con il remix di "Epidemic Noise Age" e per finire gli episodi che a mio avviso sono tra i più intensi dell'album: "Xaos DNA Released", "Haemorrhage Transmission", "Rhytmagick Disturbance" e "Slaughter Mass 2002", flussi di energia invisibile e scardinante che si insinuano come un virus nel subconscio, tutti brani che attraverso la sperimentazione rivendicano comunque una forte appartenenza al metal estremo. Seguite dunque il mio consiglio: recuperate 'New Era Viral Order' e lasciatevi avvolgere dal Chaos. (Roberto Alba)

venerdì 25 dicembre 2015

Witchsorrow - No Light, Only Fire

#PER CHI AMA: Doom Metal
'No Light, Only Fire' è l'ultimo lavoro dei doomster britannici Witchsorrow, in circolazione dal 2005 e con all'attivo già tre full-length, un EP e una demo risalente al 2008. Nel loro decimo anniversario, pubblicano quest'album che si apre con "There is No Light Only Fire“, song dalle sonorità oscure ma con un vocalist dalla voce pulita: non v'è infatti traccia di growl, anzi sembrerebbe quasi una canzone adatta a una sorta di karaoke metal (se mai qualcuno volesse ispirazione, consiglio quest'album). La stessa atmosfera all'insegna del puro doom, prosegue in “Made of the Void” e in “Negative Utopia”, con la differenza che in quest'ultima song la disperazione traspira minuto dopo minuto fino a portare all'esasperazione dei sensi. Dalla metà in poi del brano qualcosa cambia: ci si ridesta, la chitarra e la batteria vengono liberate per un breve lasso di tempo e un barlume di luce si intravede nell'oscurità più fitta. Restando sempre su questa riva, troviamo “The Martyr”: l'inizio è grave, scandente ogni secondo con il drumming che si agglomera alle chitarre a lutto (sarebbe un'ottima marcia funebre alternativa). Qui la rabbia traspare nei diversi cambi di tonalità vocale, che diventa addirittura roca. Poco dopo metà brano, il ritmo cambia e vira, avvicinandosi a un punk-rock: grida, ritmica cadenzata e assoli di chitarra rendono il tutto perfetto per l'headbanging (grazie anche al tono vocale del cantante Necroskull). Come in ogni lavoro che si rispetti, c'è sempre un giro di boa (o un piccolo cambio in corsa, se vogliamo definirlo in tal modo) ed è scandito da “To the Gallows”, le cui sonorità sono decisamente metal puro, con la voce sempre assestate ad un livello acuto, e fiumi di dirompente potenza, energia e rabbia che fuoriescono dalle casse dello stereo. “Disaster Reality” comincia in punta di piedi, una nota ogni due secondi fuoriesce dalla chitarra, per poi essere supportata brevemente dal binomio batteria-basso. Il risultato che ne esce è come un'onda: prima piccola, poi enorme, piccola e poi una sorta di tsunami, con uno spettro di pura angoscia che aleggia per tutto il brano. “Four Candles” è totalmente strumentale e acustica, un piccolo intermezzo curioso. Il disco si chiude con un piccolo salto nel passato: “De Mysteriis Doom Sabbathas”, già apparsa nell'omonimo EP uscito nel 2013 su cassetta in edizione limitata (ne sono uscite solo 150 copie). Strumentale per i primi 4 minuti, segue la falsariga di “The Martyr”, offrendo un assolo meraviglioso verso l'ottavo minuto che dà carica e potenza e coincide con la parte migliore del pezzo. La chiusura poi riprende il mood dell'apertura e le sonorità oscure tornano alla ribalta per collegarsi al primo brano. Buon lavoro questo 'No Light, Only Fire', ma mi sento di dare un unico consiglio: provare ad usare il growl nel prossimo lavoro, se non come voce principale almeno nei cori. (Samantha Pigozzo)

(Candlelight Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/witchsorrowdoom/

Interview with Laniakea

Follow this link to know much better the French band Laniakea and their sound dedicated to an atmospheric death/black:


The Frozen Autumn - Emotional Screening Device

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Cold Wave
Non nascondo che provai un po' di dispiacere quando qualche tempo fa mi giunse la notizia della separazione del duo torinese formato da Diego Merletto e Claudio Brosio, che con i primi due album 'Pale Awakening' e 'Fragments of Memories', avevano permesso al nome The Frozen Autumn di affermarsi come uno tra i più interessanti nella scena dark-wave del nostro paese. Fortunatamente tale separazione non comportò anche il termine dell'attività artistica di Diego, che decise nel 1998 di continuare da solo nel suo progetto e di affrontare assieme alla cantante Arianna un percorso più sperimentale con gli Static Movement. E fu proprio dall'incontro di Diego e Arianna che ripartì il nuovo cammino dei Frozen Autumn, che nel 2002 tornarono con il loro terzo lavoro 'Emotional Screening Device', un album che parve aver assimilato gli stessi elementi di synth-pop presenti nel notevole 'Visionary Landscapes' (primo album degli Static Movement, uscito per Eibon Records nel 1999). È un tocco magico quello dei Frozen Autumn, che rapisce con le sue fredde melodie e cattura l'ascoltatore per più di un'ora in un'atmosfera irreale, dove si risvegliano emozioni nostalgiche e i ricordi del passato ci appaiono così nitidi e frammentati allo stesso tempo. Solamente gruppi come Talk Talk, Alphaville, Eurythmics e Depeche Mode hanno saputo ricreare con pari abilità armonie tanto incantevoli e, non a caso, gli 11 brani presenti nell'album, attingono a piene mani proprio dalla new wave, rivisitando nella maniera più attuale e raffinata il suono delle band che negli anni '80 resero così popolare questo genere. Abbandonata dunque l'impronta romantica dei precedenti lavori, l'elettronica del gruppo si riveste di sonorità più gelide e taglienti, supportate da ritmi danzabili veramente piacevoli e dalle voci eteree di Diego e Arianna, che si alternano nel cantare i vari brani. Vi basterà ascoltare "Silence is Talking", "When You are Sad", "Verdancy Price" e "Second Sight (A)" per avere conferma del valore di un album che non necessita di ulteriori elogi, ma solo di un un ultimo invito, rivolto a chi leggerà queste righe, ad avvicinarsi alla musica dei Frozen Autumn e lasciarsi conquistare. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2002)
Voto: 80

https://www.facebook.com/TheFrozenAutumn/

Attila Bakos - Aranyhajnal

#PER CHI AMA: Progressive/Epic, Nightingale, Bathory
Mi ero già incazzato in occasione del precedente progetto del buon Attila Bakos, i Taranis, per lo scarso interesse mostrato nei confronti di un artista eccellente. Torno ad arrabbiarmi oggi, in occasione della recente uscita dell'album solista del polistrumentista magiaro. Attila esce con il full length d'esordio, 'Aranyhajnal', fuori esclusivamente in digitale, e proprio qui risiede la mia rabbia, la mancanza di un'uscita fisica per un album di questa caratura. Il lavoro contiene otto tracce che si muovono nella scia di un metal progressivo che lascia ampio margine di manovra alla musicalità del mastermind ungherese, che abbiamo visto coinvolto anche in altre band, come Thy Catafalque, i norvegesi Quadrivium e con i Woodland Choir. Come per il progetto Taranis, anche in questo caso Attila sembra ispirarsi a certa musica nordica e penso a Dan Swano, Bathory o agli Arcturus, nomi di una certa rilevanza, la cui spiritualità, magia, passione e una forte emotività, sembrano rivivere nelle song del sempre bravo Attila. La opener "Ősi Szó" evidenzia sin da subito l'elevata componente orchestrale messa in scena, che si miscela con una certa vena malinconica riscontrabile nelle splendide linee melodiche di chitarra, su cui si stagliano le epiche vocals del frontman, sempre in grado di trasmettere suadenti emozioni, grazie alla sua estesa linea vocale (che arriva a toccare il falsetto nella successiva "Életerő"). Una certa rilevanza la giocano anche i synth, abili a tessere splendide ed eteree melodie, duettando con la chitarra, dotata, nella seconda traccia, di una vena più folkish. Se "Lángolj" mi ricorda a livello ritmico qualcosa dei primi Nightingale, "Ármány"sembra rievocare lo spirito di Quorthon e dei suoi Bathory più epici. Non importa poi se Attila canta tutto in rigorosa lingua magiara, la release acquisisce connotati ancor più esotici che la rendono addirittura più interessante. Il disco trova modo anche di lanciarsi nell'iperspazio dello space rock, e non solo perchè l'apertura ambient di "Áldás", le palesi influenze classiche, la dirompente voce di Attila (che qui trova modo anche di sfondare nel growling), i break acustici, certi splendide digressioni etniche, rendono questa lunga traccia di oltre 12 minuti, la mia favorita tra le otto. "Sziklák Szívén" è un altro pezzo dal mood triste, ma di sicuro impatto, che oscilla tra il progressive e un approccio più violento. "Lépj át" sembra nella prima parte una ninna nanna, poi fortunatamente si riprende e dà modo a Bakos di dar sfoggio della sua preparazione tecnica, sciorinando un altro vibrante assolo. Brividi lungo la schiena, che si concludono con la fragranza estiva di "Az éj Rejtekén" che chiude questa nuova interessante opera firmata Attila Bakos. Mi raccomando ora: 'Aranyhajnal' per alcun motivo dovrà passare inosservato. (Francesco Scarci)

Laniakea - At the Heart of the Tree

#PER CHI AMA: Techno Death/Deathcore/Black, Gojira, Tesseract
I Laniakea sono una giovane band di Avignone che con l'uscita di questo full length cerca di rimarcare una posizione di rispetto in quello che possiamo definire il braccio più tecnico del death metal, unito trasversalmente a quell'attitudine mistica e di pensiero che qualche tempo fa rese grandi band come Alcest e Agalloch. I video trovati in rete non lasciano molti dubbi sul fatto che la band deponga nella forza della natura l'unica via d'uscita per l'uomo del futuro, i vari stacchi d'atmosfera disseminati tra i cinque brani del disco fungono da legame immaginario, tra i paesaggi autunnali pieni di pathos che la band usa per mostrarsi al pubblico nel web e una coltre di riff death pesanti, dallo stile chirurgico, taglienti e caricati da un sound modernissimo, freddo e potente. I tre musicisti francesi riescono a dotare il proprio suono, che affonda le proprie radici nella matrice sonora dei Gojira, di una particolare aura futurista grazie alla presenza nella line-up di una dinamica drum machine, mentre sul versante chitarristico riescono a differenziarsi dai conterranei per un tocco deathcore, simile ai Misery Index o ai mai dimenticati The Haunted, con un cantato robusto vicino ai viaggi di Dan Swanö solista, il tutto filtrato da una buona dose di impulsi modernisti di scuola Fear Factory. 'At the Heart of the Tree' gode alla fine di un buon effetto sorpresa, anche se la band mostra la sua forma migliore nelle parti più sperimentali o in quelle più tranquille, dove le doti tecniche dei due chitarristi emergono più chiaramente. Infatti, le parti più dure dei brani si dimostrano più interessanti quando il terzetto osa nell'essere più noise e sperimentale, infarcendo il tutto di suoni tecnologici e taglienti. Solo in alcuni casi i nostri soffrono di qualche veduta musicale stereotipata, complice forse il limite comprensibilissimo che può offrire una drum machine, una macchina infernale che per quanto usata ad arte, appiattisce e appesantisce l'evoluzione del brano. Un limite che comunque non arriva mai a compromettere né l'integrità e neppure la bellezza di ogni singola traccia. In generale è un debutto con i fiocchi e l'ascolto è consigliato a tutti gli estimatori del metal, suonato con una cura smisurata quasi maniacale e prodotto anche meglio. Anche l'approccio della band ad una evoluta forma di metal estrema, complessa e assai spirituale sulla via di Tesseract o Gorguts, alla fine è dimostrazione di una bella prova di maturità. Ascoltate "Pillars of Creation", la conclusiva "Le Vent Sous les Cendres" o la title track, con le sue pause atemporali sospese nel nulla, i ritorni al pulito, i riff distruttivi, per un contrasto sonoro di tutto rispetto. Ennesima delizia sonora transalpina. (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Laniakea

CONTEST WILL'O'WISP: i vincitori



Annunciamo i vincitori del concorso "Vinci una copia dell'ultima release Will'o'Wisp, 'Inusto'":

Roberto Coltro di Zimella (VR)
Lorenzo Dolciami di Magione località San Savino (PG)
Adamo Proserpio di Reno di Tizzano (PR)

Complimenti!

Le risposte corrette erano:


1) Il titolo dello storico demotape è "Nocturnal Whispers".
2) Il titolo della raccolta di poesie è "Flame in Chalice".

giovedì 24 dicembre 2015

Varen - S/t

#PER CHI AMA: Black Atmosferico, Blut Aus Nord
I Varen sono una delle innumerevoli creature di SoMnius, polistrumentista belga che vanta nel suo curriculum anche la band omonima e gli Stories From the Lost. In questo mini cd di 5 pezzi, il bravo mastermind fa coppia con Wesley Dewanckel, voce e chitarra del progetto. Cinque pezzi dicevo, aperti da "Hic Incipit Pestis" e dal suono delle campane, dal ronzio delle mosche che si cibano dei cadaveri morti a causa della dilagante pestilenza e da voci in background. La musica romba come un tuono, tra il fremito di malinconiche chitarre in tremolo picking, un programming un po' troppo glaciale, e convincenti harsh vocals, con il sound che si muove tra un black atmosferico mid-tempo, e soventi accelerazioni dal forte tono sinistro. L'album s'incupisce ulteriormente, rendendosi peraltro ancor più affascinante, con la successiva "Attero Sententia", song che mostra una certa decadenza di fondo nella matrice sonora del duo belga, ma che evidenzia anche un'inusuale ricerca di originalità a livello ritmico, con suoni non proprio convenzionali, ma soprattutto capaci di sprigionare una carica emotiva a tratti entusiasmante. Diavolo, i Varen non si presentano certo come degli sprovveduti, anzi finiscono per mettere in mostra un songwriting già maturo e avvolto da una epicità che si paleserà anche nella terza "Vermes", traccia dal piglio veemente ma che mi esalta appieno per le sue linee melodiche quasi strazianti. Il ronzio delle chitarre delinea la veste mortifera di "Manes", il quarto pezzo dell'EP, un'altra song ammantata di oscuri presagi che alla fine, risulterà il brano più claustrofobico di questa prima fatica dei Varen. La conclusiva "Odium" straborda inizialmente per l'abuso della drum machine, ma poi fortunatamente rallenta il proprio ritmo e si lancia nei vicoli ciechi tracciati dallo psicotico e spettrale sound della band. La strada imboccata dal duo delle Fiandre è decisamente buono, ora attendo solo con sommo interesse, il loro full length d'esordio. (Francesco Scarci)