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lunedì 24 agosto 2015

The Black - Golgotha

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hard Rock
Mario Di Donato è un artista dall'esperienza che supera i 40 anni all'interno dei circuiti hard rock italiani. Attraverso le varie formazioni di cui ha fatto parte sin dagli anni '70 (Respiro Di Cane, Unreal Terror, Requiem) e la sua creatura più importante a nome The Black, si è costruito attorno a sé la fama di personaggio di culto. Quest'aura affascinante e misteriosa che avvolge il chitarrista abruzzese nasce dal suo modo unico di concepire ARTE e MUSICA, entrambe connotate da una forte teatralità e indissolubilmente legate a temi di carattere religioso. Ad avvalorare la singolarità della sua proposta musicale, contribuisce in parte la scelta coraggiosa di cantare in italiano e latino fin dagli esordi ma anche l'intento ammirevole di unire la CULTURA al metal, in modo che testi, musica e immagini facciano parte di un unico corpo. Mario Di Donato, oltre ad essere un musicista di valore, è anche un pittore molto apprezzato a livello internazionale, ogni disco uscito per The Black infatti, raffigura sulla copertina i suoi dipinti e così è anche per 'Golgotha', sulla cui front-cover possiamo ammirare 'Post Mortem', la deposizione di un Cristo attorniato dai volti ambigui e traditori dei suoi carnefici. 'Golgotha' è appunto il monte dove fu ucciso Gesù Cristo, è il simbolo della sofferenza e del dramma umano ma anche il proseguimento di un viaggio all'interno di se stessi, una ricerca spirituale che l'artista abruzzese cominciò tanti anni fa. 'Golgotha' nasce dal dolore e lo sdegno per chi calpesta la vita con la violenza, è l'esplosione emotiva di un uomo sensibile e tormentato, che si trasforma in una denuncia verso questo "mondo di fango". Un hard rock dalle tinte molto oscure si potrebbe definire lo stile del sesto album di The Black (ormai datato 2000), un'opera raffinata dal suono un po' retrò, con i riff più freschi dell'heavy metal anni '80 e le inevitabili influenze dei seventies (nel cd è presente anche "Sospesa A Un Filo", cover dei Rovescio Della Medaglia e "Il Giudizio", un rifacimento di un brano dei Corvi). Gli assoli ispirati della title-track e di "Ivstitia" (che per la loro bellezza varrebbero da sole l'acquisto del disco), la voce inconfondibile ed "imperfetta" di Mario e le tastiere usate in chiave organistica, sono tutti elementi che fanno di 'Golgotha' un album imperdibile! Fondamentale per chi segue già da anni The Black ma anche l'occasione ideale per scoprire un artista a tutto campo che il grande pubblico metal ha malauguratamente da sempre ignorato. (Roberto Alba)

(Black Widow - 2000)
Voto: 85

Skinny Puppy - The Greater Wrong of the Right

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Elettronica/EBM
Dopo lo scioglimento del 1995 e la morte per overdose di Dwayne Goettel nello stesso anno, erano in molti a chiedersi cosa ne sarebbe stato degli Skinny Puppy e se l'uscita dell'album 'The Process' avrebbe veramente posto la parola fine alla carriera artistica del gruppo canadese. Persino dopo il famoso concerto di Dresda nel 2000, in occasione del quale cEvin Key e Nivek Ogre si riunirono per suonare davanti ad un pubblico in delirio, i fan non riuscivano a credere fino in fondo ad una reunion che avrebbe portato ad una collaborazione stabile tra i due, tanto da rendere possibile la pubblicazione di un nuovo album in studio. Quando poi fu annunciata l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right', anche i più scettici dovettero ricredersi: la leggenda Skinny Puppy stava per tornare! Atteso dalla scena elettronica come l'evento più importante del 2004, l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right' fu accompagnata dalle inevitabili discussioni sulla validità o meno dell'album, disponibile in rete già da molte settimane prima del lancio ufficiale. Chi si è affrettato a definirlo un capolavoro e chi si è invece dichiarato contrario ad una continuazione degli Skinny Puppy senza Goettel, bocciando il disco ancora prima di averlo ascoltato. Insomma, le solite e comprensibili battaglie che hanno sempre accompagnato tutte le grandi reunion della storia della musica. Come accade spesso in questi casi la verità sta nel mezzo, perché 'The Greater Wrong of the Right' non è né un capolavoro, né l'album più brutto che i Puppy abbiano composto. Molto più semplicemente, si tratta di un lavoro diverso da quanto i fan potevano aspettarsi e questo gioca perlomeno a favore del gruppo, che ha dimostrato di tornare sulla scena per proporre qualcosa di nuovo e spiazzante, non certo per riciclarsi miseramente in nome del proprio conto in banca. Dimenticate 'The Process' e preparatevi ad ascoltare un album fresco e al passo con i tempi dell'epoca! Aspettatevi una prova al microfono profondamente distante dalle contorsioni a cui Ogre ci aveva abituato e non indignatevi se le sue accelerazioni vocali in "Pro-Test" assomiglieranno tanto a quelle rappate di un brano hip-hop, perché di hip-hop non si tratta. Lanciatevi senza alcuna remora nell'ascolto di "GhostMan", con le sue ritmiche spezzate, il caotico accavallarsi dei beat, le vocals di Ogre che improvvisamente rimandano alle deliranti performance del passato. Sbagliava chi temeva di trovarsi dinnanzi ad una banale ed infelice mescolanza degli stili espressi da Nivek e cEvin nei rispettivi progetti solisti, ma è anche vero che due brani così frizzanti come "Goneja" e "DaddyuWarbash" non sarebbero mai nati se negli ultimi anni i due musicisti non avessero dato sfogo alle proprie pulsioni artistiche separatamente. Gli Skinny Puppy del 2004 puntano ad un songwriting imprevedibile e ad una discreta presenza delle chitarre, ma senza mai avvicinarsi all'irruenza che contraddistingueva 'The Process'. La band aveva fame di novità, con la voglia di scrollarsi di dosso qualsiasi etichetta di genere, buttandosi a capofitto in una composizione estremamente libera e acquistando una visione del termine "elettronico" che prima d'ora non era mai stata così eclettica. A tal proposito, davvero emozionanti le lisergiche virate di "EmpTe" e "Past Present", entrambe costruite sulla ricerca del coro ad effetto, inserito in un tessuto di synth ipnotici che invitano mente e corpo ad abbandonarvisi totalmente. 'The Greater Wrong of the Right' è comunque un album spettacolare come e consentì di avere nuovamente tra noi il formidabile genio di cEvin Key e Nivek Ogre a mantenere vivo il nome degli Skinny Puppy... non cosa da poco. (Roberto Alba)

(Synthetic Symphony/SPV - 2004)
Voto: 80

domenica 23 agosto 2015

Shrine of the Serpent - S/t

#PER CHI AMA: Doom/Sludge
Provenienti da Portland in Oregon, questi tre ragazzi e ottimi musicisti spiazzano le mie aspettative con tre brani di perfetto, calibrato e potente doom metal altamente suggestivo. La band nasce nel 2008 col moniker Tenspeed Warlock, dopo un demo ed uno split decidono nel 2014, di cambiare nome in Shrine of the Serpent, ampliare le loro vedute e sfornare nel 2015 questo album indipendente carico di splendido buio eterno. Una bella copertina tetra, in digipack nero con una figura di un sovrano dal volto scheletrico attorniato di serpenti, rende bene l'idea di cosa si nasconda musicalmente dentro al cd. I tre brani sono di lunga durata, cadenzati e toccano insieme quasi mezz'ora di oblio sonoro. La band, pur riflettendo tanti degli insegnamenti dei grandi maestri, mostra una sua particolare personalità e suona sludge metal nel migliore dei modi, anche se il suo vero pregio è aver trovato la chiave moderna per esprimere la più classica musica del destino... questo omonimo album è il reale, pesantissimo, attuale, intelligente confine naturale tra sludge e doom metal! Meno sperimentali di Sunn O))) e Khanate, anche se il taglio ferale è molto simile, gli Shrine of the Serpent ricordano il suono, di velluto nero come la pece, del capolavoro 'Rampton' dei Teeth of Lions Rule the Divine od ancor più, il passo lento del leggendario 'Dopesmoker' degli Sleep, rievocano i sapori alchemici del poco considerato bel progetto Ramesses e del loro mitico EP, 'Baptism Of The Walking Dead', senza dimenticare i luminari primi Neurosis e Cathedral (quelli del brano "Cathedral Flames" in apertura dell'album 'Endtyme'). La voce è drammatica, le chitarre sono avvolgenti e spesse, il suono è caldo e non scade mai in facili costumi dalla forzatura vintage; tutto è teso, psicotico, in balia costante di una crisi di nervi, ogni nota sembra sospesa sopra un vortice di oscurità, non c'è luce in nessuno dei tre brani e la cosa sorprendente è che riescono a coinvolgerti pienamente, prenderti per mano durante l' ascolto e proiettarti in una foresta lisergica di distorsione dilatata e magica ("Gods of Blight" è immensa), ottenendo un risultato che è proprio come entrare in un sogno sinistro e viverlo a rallentatore. Un'altra perla nasce dal sottosuolo, non fatevela mancare! Ottimo debutto! (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 85

Last Avenue - Integration Protocol

#FOR FANS OF: Industrial, Rammstein
The last French industrial metal band I listened to were dreary, sloppy and boring. Without naming names (*cough*Voron*cough*), I will admit that said band at least had the decency to pump their latest album full of meaty riffs to distract from the general dullness. This time round, however, it is a different French industrial metal band - Orlean's Last Avenue - who have the task of gracing my ears. Fortunately, these guys have also decided to insert many hefty riffs into the heart of their newest record, 'Integration Protocol'. But, even more fortunately, there is more than just the one aspect that makes this effort so rewarding to listen to... Firstly (and quite unusually for an industrial metal band), this album is injected with a youthful vibrancy that boosts the energy up and prevents it from dragging along at a snail's pace (you listening, Voron?). There is plentiful variety of tempos throughout 'Integration Protocol', making the whole affair sound like Pitchshifter on steroids. The tracks, "Wireless Ghost" and "Pieces of Metal Planet", are masterclasses in energy. They contrast satisfyingly with the mid-tempo stompers like "Fear To Stay" and "Spying From The Future". The band names their primary metal influence as Rammstein - and nothing else is made more obvious! The ball-crushing riffs pound away exactly like Lindemann & co. and the electronic backbeats add another brilliant dimension to the music. This is an area where many industrial bands have failed, but Last Avenue appear to shine. The synthesized keyboard effects are always present; either carrying a discernible melody, or providing the wonderfully mechanical atmosphere. They never feel irrelevant or segregated. The vocals are also impressively diverse. Déj's distant wailing is always tuneful and atmospheric, whilst his screams are fully-rounded and downwright pissed off. The digitized vocals in "The Factory" and "This is Personal" are also surprisingly effective! Usually this technique is innately annoying, but Last Avenue pull it off in a remarkably Kraftwerk-esque way. The only disappointment in this area is that the vocals are few and far between. Quite often, minutes can fly by with no voice and this only forces the riffs to try and hold the focus. Luckily, the riffs are the highlight of 'Integration Protocol'. From the chromatic ascendancy of "Self Made Drone", to the chunky chugging of "Kill The Past" - every riff is packed with energy, variety and 100% headbangability! The opening riff of track 2, "Wait", is quite possibly my new riff of the year - and the breakdown of the previously mentioned "Kill The Past" is a close runner up! There are even guitar solos on this album, and impressive ones at that! Are you listening, every industrial metal band ever? It CAN work! Some of the song titles and lyrical themes may be a little too clichéd towards the 'factory/mechanical/futuristic' concepts, and the whole effort may be a song or two too long. But all in all, this is my industrial hit of the year, and any fan of Combichrist, Kaos Krew or Pitchshifter should get with the sound laid down by Last Avenue. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 75

Expenzer - Kill the Conductor

#FOR FANS OF: Groove/Thrash Metal, Pantera, 4Arm
After a near two-decade career as Metalcore outfit Pigskin, the Swiss group reformed into thrashers Expenzer and offer up the first release under the new moniker, ‘Kill the Conductor,’ which almost begs the question why bother to change the name based on the similarities of the different bands? They do tend to play pretty similar material, groove-based Metalcore with Thrash tempos and riffing, though the band here on this version is clearly more of a truer mix between straight Groove and Thrash here without the Metalcore influences here with the band’s insistence on the violent chugging of Groove taking center stage here and then playing them in more Thrash-based patterns. This style never really offers the chance to really showcase anything in terms of variety or experimentation in terms of the music offered, though, so the album can seem to blend together at times with the charging grooves and blistering rhythms being way too same-sounding after the first couple of tracks or so. Intro ‘Bitter End’ offers a great starting point here with incessant chugging grooves, swirling thrash rhythms and dynamic drumming offering up plenty of power and vicious rhythms that all make for a fine, vicious start here. The title track features more straightforward grooves and vicious riff-work pounding throughout the rapid-fire razor-wire rhythm work that manages to fall just short of the greatness of the opening track, while both ‘Dying T-Rex’ and ‘Pelvic Fin’ going back to the original track of vicious rhythms, pounding grooves and dynamic riffing that move it along at a great pace with its razor-wire riffing keeping this one moving along nicely. ‘Play for the Deaf’ offers one of the most vicious opening grooves on the album and continues on throughout here piling on one impressive riff after another that easily makes this the album’s highlight piece while displaying slight traces of experimentation and technical prowess that’s not usually seen in Groove Metal. The banal ‘Amorphous Flowing Ice’ feels like any number of other tracks on here with the simple riffing and vicious grooves offering largely plodding mid-tempo rhythms that flow by without anything of value despite one of the few brief solo leads in the album, ‘Erase It’ offers a streamlined, simplistic take on their already simplified material and comes off nicely because of that, and ‘Unicron’ blasts through some vicious riffing and pounding drumming that makes for a rather enjoyable effort overall mixing the groove as solidly as it does here with the electronics and industrial touches. ‘Light Speed Heart Beat’ is yet another solid Groove-filled thrasher with plenty of violent energy and a decidedly pitched second half that has a few nice twists and turns, while the epic ‘Silence of the Amps’ brings forth a twangy series of guitar-work that leads into extended, drawn-out series of solid groove-filled thrash riffs with the return of the razor-wire leads furthering the running time here as it plods along in a strangely mid-tempo break for the most part. Lastly, the cover of The Haunted’s ‘Chasm’ serves well enough at maintaining a vicious energy and aggression inherent in the original and really could’ve been an original effort created here which is a fine farewell here. It’s main problem though is just the fact that it’s way too familiar to everything else in here. (Don Anelli)

(Self - 2015)
Score: 75

domenica 2 agosto 2015

Interview with M.H.X's Chronicles

Follow this link for an interesting chat with a new Brazilian sensation, M.H.X's Chronicles: 

http://thepitofthedamned.blogspot.it/p/interview-with-mhx-chronicles.html


Voron - Propaganda

#FOR FANS OF: Death/Industrial, Rammstein
"Industrial melodic death metal? You mean Obsidian style? Or more like early Fear Factory? Oh wait - industrial melodic death metal from France?! Okay Voron, you have my attention. After all, your artwork is pretty striking and your moniker is taken from a Russian special operations group highly trained in infiltration. Let's see what you can do now that you have peaked my curiosity... ...oh right. Fuck all. Metal is a very flexible genre; it can curve and twist to accommodate the inclusion of certain aspects of other musical styles. Unfortunately, the electronic effects and synthesizers in 'Propaganda' come across as being completely detached from the rest of the band. It could be down to the inadequacy of the mix, or because the keyboards never carry any substantial melody, but they simply do not fuse well. This is a great shame, especially when you consider that this fusion is what crafted the success of bands like Static-X (though I have to admit, the sitar solo in "Justice" is intriguing to the say the least!). This failure to integrate the authentic with the digital creates a very frustrating atmosphere for an industrial metal band. It never reaches the cold, soulless depths of Crossbreed, but also fails to be as quirky as Kaos Krew. This results in a bland timbre which is unsuccessful in its attempt to grab the attention of the listener. In one ear - out the other. This is certainly not aided by the dreadful production quality, which seems to mask the drums in favour of emphasizing the hideous vocals. Atmosphere and production quality notwithstanding, the absolute worst thing about 'Propaganda' is the ghastly voice of ... hmm, what's his name? Oh! He calls himself 'Voron'! Let's say nothing about egos here then! Voron's voice is akin to that of the Cookie Monster trying to burp the alphabet. Coincidentally, there are many guest vocalists on this album, who contribute absolutely nothing to proceedings. Is Voron knowingly ashamed of his dreadful belching? Perhaps he has future plans to abandon vocal duties and concentrate on his guitar-work. That's right! There are guitars on this record! Annoyingly, the riffs are the single best aspect of 'Propaganda' - almost Rammstein-esque in their gravitas. The songs that are lacking in riffage ("Willingly" and "I Dreamt"especially) are the total drek that should be skipped without question. The opening of "Fall of the Risen" is a total groove-fest, the 2:48 mark in "Kill This Day" reeks of old-school death metal goodness, and the chunky, chromatic riff in "Is Suicide My Fate?" is the highlight of the whole affair. I'm really struggling to think of this as 'industrial melodic death metal'. The atmosphere is drab, the tempo never clambers above snail-trail, the mix has the consistency of lumpy porridge, and the song structures are unmemorable to say the least. ...but damn, those riffs!" (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 40

Secret Symmetry - Emerge

#PER CHI AMA: Rock Progressive, Alter Bridge
Ritorna l'etichetta portoghese Ethereal Sound Works e questa volta con i Secret Symmetry e il loro EP 'Emerge'. Il quintetto proviene da Lisbona ed è nato nel 2012 con il nome di Ipsis Verbis e durante l'anno successivo consolida l'attuale formazione, dedicandosi alla composizione dei brani. Nel 2014 registrano 'Emerge' con la supervisione di Fernando Matias (Moonspell) e la distribuzione da parte della Ethereal Sound Works all'inizio di quest'anno. L'Ep contiene cinque tracce ben arrangiate, come pure i suoni, dal taglio rock/metal progressive che richiamano i capisaldi del genere, ovvero Alter Bridge e Dream Theater. Tuttavia i Secret Symmetry riescono a non essere schiacciati dai pilastri del genere e riescono a creare una propria identità, più oscura, intima e se vogliamo anche eterea ed affascinante. Tutto è liscio, ovattato e smussato, quindi non aspettatevi cambi di direzioni o qualsiasi cosa che possa sorprendere l'ascoltatore. I brani vanno proprio dove immaginate, ma mantenendo comunque stile e personalità. "Broken Shards of Glass" è il brano di apertura dell'album e da cui è stato ricavato il video omonimo. La traccia di quattro minuti scarsi è una ballata rock, classica e caratterizzata da un assolo di chitarra dissonante, scelta un po' troppo coraggiosa visto che il resto della composizione è standard e non presenta altre velleità creative. Il brano prende vera vita dopo i tre quarti, lasciandosi alle spalle i riff un po' sdolcinati e incattivendosi il giusto. Azzeccata la scelta di includere un tastierista nella line-up, i cui suoni danno maggior atmosfera agli arrangiamenti e la chitarra riesce a fare il suo dovere, senza sentire la mancanza di una compagna di giochi. Basso e batteria sono ben affiatati e la loro sintonia giova al risultato finale, un'ottima amalgama che regala groove a non finire, senza mai stupire eccessivamente in termini di creatività. Il vocalist ha un bel timbro giovane e fresco, sa usare a dovere le sue doti e regala una certa emotività ai brani, peccato non siano stati inclusi i testi nel jewel box. A volte i vocalizzi ricordano Scott Stapp dei Creed e comunque si sente ancora un margine di miglioramento che potrà solamente giovare alla band. "Boogieman" mi ha subito attirato per il titolo e devo dire che l'inizio è buono, un'introduzione epica che richiama il genere sinfonico e poi parte di slancio con un bel riff aggressivo di chitarra. Il brano si evolve e si tinge di tenebre, il tutto rimarcato dal cantato che passa da una timbrica tenebrosa a una più positiva. Ottimo il fraseggio di piano che si intervalla durante il brano. I Secret Symmetry sono alla fine un'ottima band e questo EP mette a fuoco le loro doti, cinque tracce un po' altalenanti per quanto riguarda il mood (le ballad abbassano il livello di tensione dell'ascoltatore e rischiano di annoiare), ma il tutto è confezionato a dovere, come pure l'ottima grafica di copertina che mostra la duplicità della Terra, e innevate montagne che si riflettono su una distesa fitta di grattacieli e cemento. Aspetterò con piace il full length della band e intanto auguro loro buon lavoro perché possono ancora crescere e dare un ventata di freschezza ad un genere che spesso vive di malinconia e passato. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2015)
Voto: 70

venerdì 31 luglio 2015

OHHMS - Cold

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Cathedral
A distanza di un anno dalla prima release, tornano gli inglesi OHHMS con un secondo lavoro, 'Cold', la cui durata è la medesima del primo disco, 32 minuti, e contenente anche in questo caso, due soli brani. Difficile considerarlo un EP, altrettanto definirlo un vero e proprio full length. Fatto sta che il quintetto del Kent ci delizia con il loro raffinato sound a cavallo tra il psych rock, lo stoner e il post-metal, tutte sonorità che mi fanno godere inevitabilmente come un riccio. Si parte con l'atmosfera soffusa di "The Anchor", 18 minuti di suoni che si muovono tra un post rock collocato a inizio brano, per proseguire con un monolitico doom, riprendendo là dove si era interrotto il precedente 'Bloom'. La voce di Paul Waller si conferma preziosa nella sua veste pulita e sofferente, adattandosi alla grande a un sound melmoso che mostra i primi sussulti verso il settimo minuto, quando i cinque musicisti decidono di ingranare la marcia e aggiungere un po' di arroganza alla loro proposta. La voce di Paul si fa più ruvida, le chitarre si ingrossano e un bel solo squarcia con il suo dinamismo, l'apparente staticità del combo albionico. Nelle corde dei nostri però si fa sentire sempre forte l'influsso doom della loro terra, Cathedral in testa, quelli più abili nel miscelare doom, prog e stoner. Il prosieguo del brano continua sugli stessi binari del genere, nonostante un break simil ambient e un altro assolo che sembra estratto da un qualche disco blues rock degli anni '70, che ci accompagna fino alla fine del pezzo. È il turno di "Dawn of the Swarm", song che ci conduce virtualmente in un immenso prato, ci vede correre sereni e rilassati, un po' come in quei film in cui le belle famigliole giocano rincorrendosi nel verde infinito della natura. L'atmosfera bucolica viene però scossa dal riffing incazzato dei nostri, in pieno stile Cult of Luna, ma anche questa linea melodica non dura poi molto. Tempo infatti un paio di minuti e la traccia assume connotati completamente differenti, rifacendosi ad un sound più sporco che per altri 120 secondi, ha modo di dar sfogo alle proprie pulsioni punk rock. Niente paura perchè si cambia ancora registro, e gli OHHMS trovano il modo di dar voce alla propria interiorità psichedelica, per poi abbandonarsi nuovamente a schitarrate post metal. I conclusivi due minuti sono affidati a innocui e litanici vocalizzi e a un ultimo riffone stoner, quasi a voler ricordare quanto gli OHHMS siano fondamentalmente una cazzutissima band rock! (Francesco Scarci)

(Holy Roar Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/OHHMStheband

giovedì 30 luglio 2015

Daemonium – Имя Мне Легион

#PER CHI AMA: Black Metal, Belphegor, Marduk
La giovane formazione ucraina dei Daemonium (nata nel 2011) arriva al debutto discografico e non sbaglia il bersaglio, sfornando un album convincente (uscito nel 2014), 'Имя Мне Легион' (sta per "My Name is Legion"), dai tratti ben delineati e carichi di energia. Certamente la vecchia guardia del black metal scandinavo, quello anni novanta per intenderci, trova un degno seguace nel progetto Daemonium che prepotentemente mette la dotata, gutturale e violenta voce del batterista Tenebrath, davanti ad una schiera di riff tritatutto che fanno tabula rasa su tutto, dopo il suo ascolto. L'uso della lingua madre non mi lascia grosse possibilità nella comprensione dei testi, ma la malvagità con cui vengono esposti nel quarto brano dal titolo "Тёмный гений" e nel quinto "Пристанище зла" è davvero magistrale. Il tono epico e l'intensità, unite ad una velocità folgorante del drumming, esaltano un songwriting da mainstream del genere. Un'atmosfera lacerata in costante equilibrio con la melodia, dona poi all'intero lavoro una sensazione di credibilità esaltante che, in concomitanza ad una produzione moderna, potente e di ottima fattura, eleva l'album dalla massa delle realizzazioni anonime. La band formata da Tenebrath/vocals, batteria – Storm/chitarre, samples – Inferatu/basso, ne esce rivitalizzata e pronta per accedere all'olimpo degli dei neri, grazie a un tocco di personalità inaspettato, considerando la forte influenza del black metal old school. Mi piace accostarli, anche solo per attitudine sonora, ai Belphegor, per il suono corposo e moderno, una visione classica del black rinvigorita da soluzioni stilistiche moderne, dove tutti gli strumenti si ascoltano a dovere e l'insieme di voce e suoni lavorano per creare cavalcate epiche, drammatiche e potenti, senza mai perdere l'orientamento musicale, senza cadute né lacune. Un monolite di malignità carico d'atmosfera, senza forme barocche inutili e pretenziosi virtualismi sterili, solo uno splendido impatto, marziale, gelido e curatissimo. Sette brani più due bonus: una versione ambient di "Пристанище зла" e "Изувеченный", song dal fascino perverso e crudele, adatte ad una colonna sonora di un film di Herzog. Trentotto minuti lodevoli racchiusi in un digipack dall'artwork notevole nelle foto e nei testi (rigorosamente in lingua madre) licenziato via BloodRed Distribution. Ottimo album, decisamente un debutto esaltante! (Bob Stoner)

(BloodRed Distribution - 2014)
Voto: 80

Arise - The Beautiful New World

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death/Thrash, At the Gates, Carnal Forge
Arise...probabilmente il miglior album (sicuramente il mio preferito) dei Sepultura, ma anche una delle band svedesi più longeve (1992), che nel 2005 tornò sul mercato con il terzo lavoro, 'The Beautiful New World', dopo le prove opache dei primi due album. A distanza di due anni dal precedente 'Kings of the Cloned Generation', ecco uscire per la Spinefarm Records questo disco, che vede proseguire il gruppo scandinavo sulle stesse coordinate stilistiche (e con gli stessi risultati non esaltanti) tracciate dai precedenti album: swedish death metal, fortemente ispirato dalla corrente death-thrash che tanto ha spopolato nei primi anni 2000 e fortemente influenzato dai maestri di sempre, gli At the Gates su tutti, ma anche i primi Entombed e Dismember, senza peraltro non notare alcuni passaggi di “carcassiana” memoria. L’album, registrato agli StudioMega di Bollebygd (Svezia) e prodotto dagli stessi Arise e da tal Mr. Silver, consta di 11 pezzi, le cui caratteristiche principali sono: suonare veloci, aggressivi e con un minimo di substrato melodico a rendere il tutto più ascoltabile. I 45 minuti di questo “Splendido Nuovo Mondo”, fluiscono anche gradevolmente, tra tempi medi a la Hypocrisy e altri brani molto più tirati (simil Carnal Forge o The Haunted), mostrandoci una certa preparazione dei chitarristi, grazie ad assoli di pregevole fattura tecnico-stilistica. Tuttavia, arrivati in fondo, si prova un senso di vuoto, non ricordandosi assolutamente nulla di ciò che si è appena ascoltato, indice di quanto possa essere anonimo il presente lavoro. Il fatto poi, di avere un sound estremamente derivativo, ravvisa, ancora una volta, la totale mancanza di personalità e originalità dell’act scandinavo. Un’altra prova incolore, che non ne giustifica affatto l’acquisto. Se poi siete degli amanti del genere e ritenete utile rimpinguare la vostra discoteca con l’ennesimo album death/thrash, fate vobis. (Francesco Scarci)

(Spinefarm Records - 2005)
Voto: 50

mercoledì 29 luglio 2015

Black Claw - S/t

#PER CHI AMA: Neofolk, Current 93, Scorpion Wind, Tom Waits
Il Reverendo Black Claw è un personaggio d'altri tempi che ha saputo rinvigorire il neofolk con malata ironia e profonda malinconia, punteggiandolo di spunti presi dalle più svariate forme musicali acustiche. Quindi non mi sottraggo al mio compito di innalzare quest'album, uscito nel 2013, a piccolo gioiello e luminare capolavoro underground, dove tutto è meraviglia e strabiliante incrocio sonoro. Cinque brani, per circa diciotto minuti di musica, destinati a farvi innamorare ancor più delle immense foreste canadesi, indubbia e acclamata fonte d'ispirazione del mitico Reverendo! L'artwork di copertina è cupissimo e ritrae un teschio stilizzato su sfondo nero e gotico, quasi a richiamare vagamente uno spettro intriso di rock alla Zakk Wylde ma, all'interno tutto troverete tranne che tracce di vecchio e irsuto heavy rock. Acustico con la vena psichedelica/notturna che ha ispirato Hugo Race per anni, un neofolk come i Current 93 più movimentati (con evoluzioni timbriche marziali, minimali e dark che ricordano Death in June e Scorpion Wind), il barocco come lo erano gli And Also the Trees, un jazz folk come il Tom Waits superbo del teatrale 'Alice' e il Nick Cave oscuro di 'The Good Son'. Istrionico, come se i Korpiklaanii suonassero combat folk armati di banjo, in compagnia dei Gogol Bordello, con la visione mistica di Stille Volk e l'umore schivo, profondo, nero, viscerale che agita il capolavoro black metal acustico di Ajattara, 'Noitumaa'. Non vi sono parole per esprimere tale delizia se non costringervi ad ascoltarlo prima che arrivi agosto 2015 (io sto contando i giorni!) quando il reverendo offrirà alle mostruose creature della foresta ben due nuovi lavori, un full length intitolato 'Thieving Bones' e uno split cd in compagnia dell'artista australiano (anche lui da seguire assolutamente!) T.K. Bollinger & That Sinking Feeling . Lode al reverendo canadese. Semplicemente geniale! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 90