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Visualizzazione post con etichetta Holy Roar Records. Mostra tutti i post
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mercoledì 22 luglio 2020

Ohhms - Close

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge, Pallbearer, Baroness
Gli inglesi Ohhms con il loro ultimo lavoro 'Close' si propongono come una delle band post-metal più attive e convincenti del Regno Unito, paese in cui il movimento sembra aver faticato più che altrove ad affermarsi (si ricordino le esperienze di Fall of Efrafa, Light Bearer, Bossk e Latitudes, questi ultimi gli unici in grado di dare continuità al progetto e ad ottenere una certa visibilità).

La musica del quintetto originario della contea del Kent, giunto alla quarta release ufficiale, risulta tuttavia più trasversale, fondendo influenze della tradizione sludge\doom britannica con elementi post-rock e progressive rock, dando vita ad una creatura ibrida che negli ultimi sei anni è andata in cerca della propria identità. Con 'Close' gli Ohhms giungono alla fase della maturità artistica, confezionando un lavoro lontano dagli stereotipi e al tempo stesso piuttosto accessibile.

L’opening “Alive!” parte in sordina, immergendoci nelle atmosfere sognanti dipinte dalle chitarre arpeggiate, prima di adombrarsi e crescere di intensità come un temporale estivo, tra grandinate di percussioni, basse frequenze a pioggia e l’energia sprigionata dal cantante Paul Waller. Alle sfuriate sludge\doom di “Alive!” e “Revenge” fanno da contraltare le più elaborate progressioni di “Destroyer” e “Unplugged”, brani in cui la furia strumentale si sposa con una pronunciata vena melodica, richiamando alla memoria alcune composizioni degli ultimi The Ocean. Le atmosfere crepuscolari e quasi shoegaze di “((Flaming Youth))” e “((Strange Ways))”, intermezzi ben inseriti nel contesto dell’album, sembrano ben più che semplici cerniere tra un pezzo e l’altro, offrendo all’ascoltatore momenti di raccoglimento e riflessione.

Complice l’apprezzabile scelta di un minutaggio contenuto, gli Ohhms riescono ad amalgamare stili e spunti differenti in modo naturale ed efficace, rendendo 'Close' sufficientemente variegato da risaltare in mezzo ad una scena ormai molto affollata, mantenendo però una struttura coesa e priva di passaggi forzati. Forse non tutte le idee proposte vengono valorizzate a dovere, ma si tratta sicuramente di un deciso passo verso future uscite forse più ambiziose. (Shadowsofthesun)

(Holy Roar Records - 2020)
Voto: 75

https://ohhms.bandcamp.com/album/close

mercoledì 1 marzo 2017

Pijn - Floodlit

#PER CHI AMA: Ambient/Post Metal, Pelican, Isis
Quello dei Pijn è uno di quegli album che mi eccita come una ragazzina, peccato solo che 'Floodlit' sia un EP che sfiora i venti minuti di durata. Perché tutto questo entusiasmo vi chiederete? Semplice, il terzetto di Manchester ha rilasciato quattro song davvero particolari: si parte dai riverberi drone di "Dumbstruck & Floodlit", song che evolve in un post rock dalle tinte sperimentali, che nelle sue evoluzioni sonore richiama a random Russian Circle, Pelican e nelle parti più tirate anche gli Isis, in una versione più ipnotica. La traccia riserva buona parte del suo lungo minutaggio a sonorità emozionali prima di esplodere nel finale in un turbinio sonico caratterizzato da un rifferama tonante, urla belluine, melodie celestiali che salgono in cielo in un crescendo quasi soprannaturale, in cui compare addirittura il suono di un folle sax e di violini, in un'atmosfera surreale, da brividi. Un qualcosa che mi ha ricordato per certi versi la solennità di "Plains of the Purple Buffalo (Part 2)" degli *Shels. Grandioso, non aggiungo altro. Solo questo pezzo vale il prezzo, abbastanza esiguo peraltro, del cd. Sfiancato dalla tempesta sonora della opener, mi ritrovo cullato dalle note oniriche di "Hazel", un breve interludio di un paio minuti affidati ad un multistrato di sintetizzatori che da dolci divengono a poco a poco inquietanti. Ancora un intermezzo, questa volta decisamente più elettrico, è affidato alle chitarre distorte di "Cassandra" che introducono ahimè all'ultima gemma di questo 'Floodlit', "Lacquer". Riverberi allucinati si dipanano nell'epilogo dell'ultima song, accompagnati da un growl dirompente (e davvero convincente), trame ritmiche deviate e drappeggi progressive. Arie quasi paradisiache sono affidate al suono degli archi e del sax che supportano la band inglese in questa meravigliosa traccia ove compare anche un parlato in francese. Che altro dire se non che 'Floodlit' per me merita già la palma di new sensation di questo primo scorcio di 2017. Sublimi, anche se mezzo punto in meno va per la scarsa durata dell'EP. (Francesco Scarci)

(Holy Roar Records - 2017)
Voto: 80

https://pijn.bandcamp.com/album/floodlit

venerdì 31 luglio 2015

OHHMS - Cold

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Cathedral
A distanza di un anno dalla prima release, tornano gli inglesi OHHMS con un secondo lavoro, 'Cold', la cui durata è la medesima del primo disco, 32 minuti, e contenente anche in questo caso, due soli brani. Difficile considerarlo un EP, altrettanto definirlo un vero e proprio full length. Fatto sta che il quintetto del Kent ci delizia con il loro raffinato sound a cavallo tra il psych rock, lo stoner e il post-metal, tutte sonorità che mi fanno godere inevitabilmente come un riccio. Si parte con l'atmosfera soffusa di "The Anchor", 18 minuti di suoni che si muovono tra un post rock collocato a inizio brano, per proseguire con un monolitico doom, riprendendo là dove si era interrotto il precedente 'Bloom'. La voce di Paul Waller si conferma preziosa nella sua veste pulita e sofferente, adattandosi alla grande a un sound melmoso che mostra i primi sussulti verso il settimo minuto, quando i cinque musicisti decidono di ingranare la marcia e aggiungere un po' di arroganza alla loro proposta. La voce di Paul si fa più ruvida, le chitarre si ingrossano e un bel solo squarcia con il suo dinamismo, l'apparente staticità del combo albionico. Nelle corde dei nostri però si fa sentire sempre forte l'influsso doom della loro terra, Cathedral in testa, quelli più abili nel miscelare doom, prog e stoner. Il prosieguo del brano continua sugli stessi binari del genere, nonostante un break simil ambient e un altro assolo che sembra estratto da un qualche disco blues rock degli anni '70, che ci accompagna fino alla fine del pezzo. È il turno di "Dawn of the Swarm", song che ci conduce virtualmente in un immenso prato, ci vede correre sereni e rilassati, un po' come in quei film in cui le belle famigliole giocano rincorrendosi nel verde infinito della natura. L'atmosfera bucolica viene però scossa dal riffing incazzato dei nostri, in pieno stile Cult of Luna, ma anche questa linea melodica non dura poi molto. Tempo infatti un paio di minuti e la traccia assume connotati completamente differenti, rifacendosi ad un sound più sporco che per altri 120 secondi, ha modo di dar sfogo alle proprie pulsioni punk rock. Niente paura perchè si cambia ancora registro, e gli OHHMS trovano il modo di dar voce alla propria interiorità psichedelica, per poi abbandonarsi nuovamente a schitarrate post metal. I conclusivi due minuti sono affidati a innocui e litanici vocalizzi e a un ultimo riffone stoner, quasi a voler ricordare quanto gli OHHMS siano fondamentalmente una cazzutissima band rock! (Francesco Scarci)

(Holy Roar Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/OHHMStheband