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domenica 20 novembre 2011

Carinou - Bound

#PER CHI AMA: Electro Rock
Un "terrorista" come Fredrik Söderlund nei panni del musicista pop-rock? Non ci volevo credere! Mentre leggevo la biografia di Carinou non riuscivo proprio a figurarmi il famigerato mastermind di Puissance e Parnassus alle prese con un genere di musica così distante dai territori insani dell'industrial o del black metal. Lo ammetto, sulle prime qualche perplessità stava prendendo il sopravvento, ma già al primo ascolto "Bound" ha saputo fugare ogni mio dubbio, confermandomi che persino gli artisti più estremi sanno cavarsela con melodie ruffiane e motivetti dall'appiglio facile. Ma andiamo con ordine. Carinou è un progetto che, oltre a Söderlund, vede coinvolta la cantante Sofie Svenson e la compositrice di musica elettronica Maggie Elfving, già nota nell'ambiente pop svedese per i suoi lavori di produzione e per una recente collaborazione con i The Ark alle backing vocals del loro album. Non c'è che dire, un collettivo stravagante e che "funziona" nonostante i differenti background artistici dei tre. La diffidenza covata inizialmente verso il progetto lascia il posto allo stupore quando i primi ritornelli di "Bound" entrano in testa e a destare tanta meraviglia non è certo la stranezza della proposta musicale, ma una sensazione di immediata sintonia con le contrastanti frequenze umorali di cui l'album è pervaso. Passione, odio, rancore, apatia... queste le emozioni che in "Bound" trovano asilo, alimentandosi tra le insanabili conflittualità del nostro inconscio e consumandone lentamente gli istinti vitali, come se una sottile linea di inquietudine scivolasse invisibilmente attraverso ogni brano. Se però rifletto sul termine "negative metal" coniato dalla Code666, è solo e unicamente sull'aggettivo che mi posso trovare d'accordo, perchè Carinou ha davvero poco in comune con il metal e assomiglia piuttosto ad una versione vitaminizzata dei Placebo, con tanto di melodie vellutate, chitarre energiche e arrangiamenti elettronici di ottima fattura. A questo punto tutto sembrerebbe perfetto se non fosse per la prova vocale "impostata" di Fredrik, talvolta insopportabile nel suo tentativo di fare il verso a Brian Molko. A parte questo, un album da ascoltare, anche solo per curiosità. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 70

sabato 5 novembre 2011

Blank - Artificial Breathing

#PER CHI AMA: Electro, EBM
In una parola? Spacca! Il debutto dei Blank spacca davvero e lo dico con grande soddisfazione, dal momento che, tra le varie uscite discografiche electro del 2004, "Artificial Breathing" era per me una delle più attese. Già in occasione della pubblicazione del singolo "Overhead" mi espressi in termini entusiastici sul talento di questi due ragazzi e ora non posso fare altro che confermare quelle parole e, se possibile, rimarcare con maggior convinzione le formidabili doti del duo parmense. Non c'è dubbio, con "Artificial Breathing", i Blank superano di gran lunga le aspettative createsi nei loro confronti dopo l'ascolto del singolo apripista e si affermano a pieno titolo come la realtà più valida del panorama electro/EBM italiano, affiancandosi (e senza sfigurare affatto) ai nomi più illustri della scena alternativa internazionale. Con la pubblicazione del loro primo album, theMaze e derMate riescono in un intento non facile: dare alle stampe un "prodotto" esportabile, un album che finalmente non abbia nulla da invidiare alle produzioni straniere e che dunque possa stabilire un valido precedente per la vivace scena elettronica della nostra penisola. Grande gusto nelle linee melodiche e capacità straordinaria nel legare ritmi danzabili ad un flusso di beat dinamico e trascinante: così potrebbe essere riassunta in poche righe la musica contenuta nell'album. Peccato che questa descrizione non dia la minima idea di quanta energia i Blank riescano a trasmettere attraverso i dieci brani di "Artificial Breathing"! Difficile rimanere indifferenti alla carica di "Visual Overflow", impossibile non farsi coinvolgere dal suo ritmo incalzante e non lanciarsi in una danza sfrenata. Sì, perché quest'album possiede un enorme potenziale se inteso come collezione di hit per il dancefloor e vi assicuro che persino nell'intimità del vostro ascolto in cuffia non resisterete alla "voce" del vostro corpo, che vi chiederà di scatenarvi e lasciarvi andare! Attenzione, non solo un disco da ballare, ma da ascoltare dieci, venti, cento volte tra le propria mura, per sorvolare idealmente gli spazi luminosi tracciati dai synth e immaginarsi in un'eccitante fuga verso un futuro ignoto. Anche le tonalità afone di theMaze diventano ben presto il tratto più intrigante e distintivo dei Blank, tant'è che ancor prima di aver terminato l'ascolto dell'album ci si scopre già innamorati di quel particolarissimo modo di cantare. Non finisce qui! L'attacco di "Untouched" e la stupenda "Mutant Engine" lasciano con la voglia irresistibile di assorbire dal vivo l'energia di questi pezzi, perciò si tratta solo di sperare che in futuro non manchino le occasioni per vedere il duo in azione. Fan e promoter avvisati! (Roberto Alba)

(Artoffact)
Voto: 80

lunedì 24 ottobre 2011

Blue Birds Refuse to Fly - Anapterωma

#PER CHI AMA: Future Pop, Electro Music
La Grecia "elettronica" continua a sorprendere positivamente. Dopo gli ottimi esordi di Audioplug e Genetic Variation, un altro nome interessante della scena musicale ellenica torna sotto le luci dei riflettori, ma questa volta non è di una band alle prime armi che si parla. I Blue Birds Refuse To Fly con il loro secondo album e dal lontano 1998 (anno in cui uscì il debutto "Give Me the Wings") hanno subito alcuni sostanziali cambiamenti che hanno coinvolto il gruppo. Kyriakos Poursanides, che fu il tastierista dei Wasteland dal 1990 al 1998, è rimasto il principale responsabile del progetto, mentre Cristina Mihalitsi non è più della partita, per cui la sezione vocale di "Anapterωma" è stata affidata all'ex-The Illusion Fades George Dedes, coadiuvato da George Priniotakis e Maria Kalapanida per le backing-vocals. Il battito soffice di "House of Sex" è un assaggio gradevole che anticipa quel che potremo ascoltare nei minuti successivi, ovvero un'elettronica dai contorni imprecisi che, nell'arco di tredici brani, sfiora diverse dimensioni stilistiche. Romantiche atmosfere future-pop, arrangiamenti di classe e motivi "radio-friendly" dal facile appiglio sono le componenti che fanno di "Anapterωma" un prodotto appetibile ed eterogeneo al tempo stesso. Vale a dire che per alcuni la varietà stilistica sperimentata dal gruppo potrà costituire un quid positivo, per altri una fastidiosa spina nel fianco. Di certo la levatura artistica dei Blue Birds Refuse To Fly non si discute e canzoni come "Lacrima di Balena II - The Revenge" o "Some Roads Can Take You Everywhere" denotano un songwriting raffinato che saprà ammaliare gli ascoltatori più attenti al particolare. D'altro canto, va sottolineato che non tutti gli episodi riescono a colpire nel segno ed è proprio la disomogeneità della scaletta ad ostacolare un percorso fluido e senza intoppi. Si pensi ad esempio al brano "The End", che pare un tentativo di "scimmiottare" i Laibach in un contesto pop/sinfonico di dubbio gusto. Per il resto, "Anapterωma" si fa pregio dell'ispirata prova vocale di Dedes e di una produzione limpida e pulita, attestandosi come un prodotto di buona qualità che andava solo smussato in qualche punto per poter risultare più fruibile all'ascolto. (Roberto Alba)

(Decadance Records)
Voto: 70 
 

sabato 15 ottobre 2011

Bloodshed - Inhabitants of Dis

#PER CHI AMA: Black Death, Dissection
Se vi piace il black-death svedese e non siete ancora sazi di queste sonorità i Bloodshed fanno per voi! La band proviene appunto dalla Svezia ed ha già all'attivo un mcd pubblicato nel 2001 per la Code666, dal titolo "Skullcrusher", che poneva in evidenza la passione del quintetto per il suono di formazioni quali Merciless e Marduk. Nel debutto "Inhabitants of Dis" le influenze citate sono ancora presenti ma i brani contenuti nel cd respirano di una freschezza compositiva che prende le distanze dalla "monotematicità" delle ultime prove in studio dei Marduk e ricorda maggiormente alcuni passaggi dei Dissection. I Bloodshed non riescono di certo ad eguagliare la classe della storica band svedese e i loro pezzi, oltre ad essere più brutali, sono caratterizzati da una maggiore velocità, ma numerosi sono gli elementi che rimandano alla band di Jon Nödtveidt, come i perfetti cambi di tempo, i riff circolari e cadenzati nelle parti più rallentate e gli sporadici intermezzi di chitarra acustica. A queste caratteristiche si aggiunge un drumming ultra-veloce e preciso che segue il lavoro tagliente e ferino delle chitarre e una voce che passa alternativamente dalle urla arcigne ad un growl soffocato e gutturale. In definitiva, un lavoro non fondamentale ma degno di attenzione. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 65

venerdì 7 ottobre 2011

Blank - Overhead

#PER CHI AMA: Future Pop, EBM
E' ormai da diversi anni che sento circolare il nome Blank e probabilmente anche per molti fan e addetti ai lavori il duo parmense non risulterà affatto sconosciuto. Dopo aver raccolto consensi più che positivi nei circuiti electro underground, per Riccardo Mattioli (aka Der Mate) e Davide Mazza (aka The Maze) era logico attendersi il salto di qualità e sarebbe parso strano se ciò non fosse accaduto, vista la bontà dei due promo autoprodotti "424C414E4B" e "Brain Trigger" che la band era riuscita a diffondere dal proprio sito ufficiale grazie a centinaia di download. Agli inizi del 2003 i Blank siglano dunque un contratto di tre album con l'etichetta canadese Artooffact Records e giungono in questo modo alla tanto sospirata firma che, sono sicuro, permetterà loro di imporsi come una realtà decisamente competitiva e di affiancarsi ai nomi più importanti della scena EBM internazionale. "Overhead" è solo il primo passo in questa direzione, un singolo che anticipa di qualche mese l'uscita del primo full-length dal titolo "Artificial Breathing". I Blank non sono gli Assemblage 23 e nemmeno gli Icon of Coil, ma dell'una e dell'altra band hanno evidentemente assorbito il piglio melodico e la forte componente danzabile, caratteristiche che vanno ad inserirsi in un costrutto sonoro variegato e trascinante. Riferendosi ai Blank, qualcuno vi parlerà di future-pop, ma trovo che la radice compositiva dei duo sia più inquadrabile nella complessità ritmica dell'EBM e debba quindi pagare minor dazio alle correnti spensierate e talvolta mielose di certa musica da dancefloor. Il mcd è composto dal brano "Event Horizon" e il singolo "Overhead", presente nella versione "extended dance mix" e nei remix di Implant, Moonitor e Tim Schuldt (!): il materiale è perciò ancora poco per parlare della "rivelazione EBM italiana", ad ogni modo ho voglia di sbilanciarmi in termini entusiastici, perché quello che si può ascoltare su "Overhead" promette dannatamente bene e carica di aspettative per il full lenght. (Roberto Alba)

(Artoffact)
Voto: 75

domenica 2 ottobre 2011

:Bahntier// - Revulsive

#PER CHI AMA: Electro-Industrial, Skynny Puppy
Stefano Rossello è responsabile di questo lavoro a nome Bahntier. Il talento della provincia di Verona aveva esordito con un prodotto decisamente promettente quale "Randome" e successivamente si dimostra pronto a dare un seguito alle sonorità sperimentate nel debutto, dando vita a "Revulsive". Undici i brani contenuti nel cd, di cui è disponibile sia la versione in regolare jewel case, sia quella per collezionisti contenuta in un box formato A5 con copertina differente, un bonus cd con tracce audio e video inedite, una spilla, una cartolina e un adesivo. Se in "Randome", l'artista veronese era stato condotto per mano da Simon Balestrazzi dei T.A.C. (il quale aveva prodotto e mixato l'album), nella sua seconda fatica ha voluto occuparsi in prima persona della produzione, offrendo una prova tangibile delle abilità acquisite non solo come compositore e manipolatore di suoni, ma anche come produttore. Ciò che emerge dall'ascolto di "Revulsive" è, appunto, una cura dei suoni in ogni minimo particolare, è quell'attenzione ai dettagli che, in un genere come l'electro/industrial, interviene spesso come elemento discriminante tra il successo di un brano o il suo completo fallimento. Ma Rossello si è fatto esteta disinvolto del suono ed è riuscito ad estrapolare il meglio dalle nuove composizioni, siglandole con un'attitudine ancor più estrema della precedente release, con la quale permangono comunque dei punti di contatto. In primis l'influenza degli Skinny Puppy, presente sempre in dosi massicce. In secondo luogo l'accostamento alla scuola Ant-zen cui Bahntier ammette d'ispirarsi, anche se l'affinità risiede più nella rilettura moderna e rivoluzionaria del suono industriale, che nell'effettiva appartenenza stilistica a tale corrente. In "Revulsive" lo spettro compositivo è talmente esteso da ricoprire, in poco meno di un'ora, clangori metallici dall'impatto distruttivo ("Immanent"), tribalismi cibernetici ("Fast Corrosion") e asettici squarci strumentali pronti a candidarsi come ideale commento sonoro ad una rivoltante pellicola snuff ("State of Gray"). L'album manca forse di episodi trascinanti quali "Hole" o "Candyman", che a mio parere rimangono le manifestazioni di maggior carattere del marchio "Bahntier", ma altri brani come "Cramp" o "Entrapvoices", riescono ugualmente a soddisfare i più inclini al movimento, sintetizzando in maniera pressoché perfetta aggressione ritmica ed equilibrio armonico. Una gradita conferma. (Roberto Alba)

(Rustblade)
Voto: 75 
 

lunedì 26 settembre 2011

Audioplug - X-posed

#PER CHI AMA: Electro-EBM, Future Pop
Quando al panorama underground si affacciano delle band giovani e promettenti, è sempre un piacere assistere alla loro crescita e vederne l'approdo al debutto discografico, soprattutto se queste realtà emergenti provengono da paesi che non possiedono ancora una lunga tradizione nell'ambito della musica elettronica. E' questo il caso degli Audioplug, validissima scoperta di casa Decadence Records, la quale ci permette di spostare l'attenzione su una scena elettronica greca per larga parte ancora sconosciuta. Il trio, originario di Tessalonicco, ha cominciato a muovere i primi passi solo nel 2002 ma possiede già delle qualità notevoli per essere al suo esordio. Tra le tante, quella che si riconosce subito è la capacità di legare soluzioni melodiche dalla vena future-pop ad una base sonora estremamente dinamica e incalzante che non perde mai di vista la potenza del suo costrutto ritmico. Con l'opener "I'm Perilous" si parte alla grande: un battito cadenzato e incessante che fa da sostegno ad un motivo immediatamente orecchiabile e perfettamente adatto al dancefloor. Non fraintendete, perchè "X-posed" non invita solamente al ballo e brani come "Disoriented" e "United We Stand" colpiscono direttamente al centro della sfera emotiva, colmandone i pensieri di immagini conturbanti, cariche di una profonda fisicità. Le morbide linee di synth tracciano invece dei percorsi scorrevoli in cui la voce di Dimitris può trovare appiglio ed esprimere al meglio il suo potenziale. E' infatti la parte cantata a costituire un altro punto vincente degli Audioplug, i quali giocano su una grande varietà di effetti vocali, permettendo a Dimitris di esaltare delle qualità canore altrimenti ordinarie e dando anche un maggior respiro alla timbrica pesante di episodi quali "Acidify Me" e "Dream Odour". Da ascoltare assolutamente anche "Hyperion Sun", un inno al Sole tratto dai poemi omerici e interamente cantato nella lingua madre del gruppo. Un'occasione da non perdere, per appurare quanto la musicalità del greco si presti bene anche alle melodie danzabili di un brano EBM! (Roberto Alba)

(Decadance Records)
Voto: 75

sabato 17 settembre 2011

xARKANEx - Arcane Elitism

#PER CHI AMA: Neoclassic, Ambient, Dark
xARKANEx è il progetto solista di Pantelis, un musicista già noto nell'ambiente neofolk per la sua militanza nel gruppo greco Daemonia Nymphe, il cui album di debutto "The Bacchic Dance of Nymphs" uscì nel 1998 per l'etichetta tedesca Solstitium Records. Mentre i Daemonia Nymphe esplorano il lato più tradizionale della musica ellenica facendo uso di fedeli riproduzioni degli antichi strumenti greci, xARKANEx sembra invece voler seguire un percorso più intimista e meditativo attraverso una cupa dark ambient dalle venature neoclassiche. Nell'animo di Pantelis (che qui si fa chiamare xIkonx) permane comunque sempre vivo l'interesse per il misterioso passato della sua terra d'origine e tale passione risulta più che mai evidente in "Arcane Elitism", un lavoro completamente incentrato sui culti dimenticati della mitologia greca. Non v'è dubbio che come opera concettuale l'album si presenti invitante e che la sobria ed elegante confezione simil-DVD che racchiude il disco faccia subito gola, ma è anche vero che basta qualche minuto d'ascolto perché tutta la pochezza musicale del cd venga smascherata, facendo crollare miseramente ogni entusiasmo iniziale. Inutile andare per il sottile, "Arcane Elitism" è un album che appare deludente sotto molti punti di vista: innanzitutto, tra i diversi momenti di uno stesso brano manca spesso quella soluzione di continuità capace di rendere scorrevole l'ascolto e l'ovvia conseguenza di quest'aspetto è un fastidioso andamento a singhiozzo, un susseguirsi scostante di atmosfere che paiono legare poco l'una con l'altra. Se questa è l'impressione che brani come "Vacchia" e "Dryades of Selene" trasmettono, altri episodi evidenziano invece una maggior coerenza, ma a questo punto sono la disarmante banalità delle partiture e la scarsa ispirazione di xIkonx a lasciare con l'amaro in bocca. Fermo restando che xARKANEx si trova ancora molto distante dalla classe compositiva degli artisti di "scuola" Cold Meat Industry, alcuni punti di riferimento possono comunque ricercarsi tra i Puissance più neoclassici, oppure tra le ambientazioni sinfoniche di The Protagonist (si notino ad esempio i campionamenti d'archi in 'Mesmerism of the Temptresses' Sirens'). Ancora una volta, però, le emozioni che "Arcane Elitism" concede sono veramente poche perché il paragone possa reggere fino in fondo. In sintesi, un lungo sbadiglio di 37 minuti... nient'altro da aggiungere. (Roberto Alba)

(The Fossil Dungeon)
Voto: 45 
 

venerdì 9 settembre 2011

Helheim - Heiðindómr ok Mótgangr

#PER CHI AMA: Black Metal, Pagan, Enslaved, Helrunar
Talvolta sono sufficienti le primissime battute per riconoscere un album di valore. Un sound trascinante e ben prodotto, una voce decisa, stacchi melodici indovinati, repentini cambi di registro che aiutano ad un evolversi mai scontato dei brani. Questi sono gli elementi che affiorano già dopo pochi minuti dall’ascolto di "Heiðindómr ok Mótgangr", che per i norvegesi Helheim rappresenta l’ammirevole approdo al settimo lavoro in studio, dopo un lungo tragitto musicale intrapreso nel 1995 e da sempre solcato seguendo rotte poco più che underground. Gli Helheim rimangono fedeli alla propria linea, perciò non si ravvisano sterzate stilistiche di alcuna sorta, tuttavia l’album possiede una freschezza che la produzione passata non aveva ancora conosciuto, ma che ad onor del vero si riusciva già ad intuire nell’ep anticipatore “Åsgårds Fall”, risalente al 2010. "Heiðindómr ok Mótgangr" parla di un risveglio pagano i cui antichi clangori riecheggiano nella nostra moderna società come un richiamo alla fierezza e all’onore, parla di un rifiuto verso ciò che è imposizione e omologazione ed il messaggio viene convogliato attraverso un suono più che mai battagliero. Se è vero che l’immaginario degli Helheim ha sempre ricondotto agli scenari della mitologia nordica, il termine “vichingo” non è comunque dei più appropriati per ben descrivere il reale contenuto musicale di quest’ultima fatica. I quattro norvegesi navigano invece sulle torbide acque del black metal ed è piuttosto la varietà delle soluzioni strumentali che aggiunge imponenza e solennità all’intero assieme. L’uso ad esempio dei timpani e del corno francese è un tocco di autentica originalità che non trova paragoni in nessun’altra band del calderone “epico”. I differenti registri vocali di V'ganðr e H'grimnir non fanno poi che intensificare il pathos di ogni brano, passando da momenti rabbiosi a delle parti di recitato più magniloquenti, il tutto rigorosamente cantato in lingua madre, come imponeva la tradizione black norvegese nella prima metà degli anni ‘90. A chiudere il cerchio le partiture soliste del nuovo chitarrista Noralf, la cui melodia si ispira ad un heavy-metal di chiara derivazione classica. Tra le perle di questo lavoro va sicuramente citata “Dualitet Og Ulver”, che risulta senza dubbio il brano più accattivante dell’intero lotto e che vede la partecipazione di Ulvhedin Høst dei Taake alle parti vocali, ma è d’obbligo fare menzione anche di “Viten Og Mot (Stolthet)”, monumentale nel suo incedere pesante e cadenzato. “Nauðr” ed “Element” si contraddistinguono infine per una vena compositiva ricca di contrasti, tra brutalità e atmosfere dall’ampio respiro melodico, che assieme disegnano paesaggi musicali affascinanti ed in continuo movimento. (Roberto Alba)

(Dark Essence Records)
Voto: 85

martedì 6 settembre 2011

Algol - Gorgonus Aura

#PER CHI AMA: Black, primi Bathory, Emperor
Nel 2001 l'italiana Twelfth Planet fece uscire una serie di album interessanti, tra questi il primo full-length degli americani Algol, black metal combo di Millersburg che, dopo i due demo "Enshroud Us In Darkness" e "Forgotten Paths", debuttò con l'album "Gorgonus Aura". Il black suonato dal quintetto statunitense è caratterizzato da un mood particolarmente selvaggio che ricorda i primi Bathory, ma la violenza non è l'unica protagonista di questo "Gorgonus Aura" e i momenti più tirati vengono alternati a brevi stacchi di chitarra acustica e da tastiere mai troppo invadenti. Le keyboards non giocano un ruolo dominante ma completano in modo sapiente ogni brano, conferendogli un'atmosfera che definirei notturna. Colpiscono nel segno anche i guitar-solos di Dalkiel e Mictian, che aiutano a mediare con la melodia la barbaria di "Abscond" e "Murmurous Screams Of Repugnance". Alquanto tediosi invece gli undici minuti strumentali di "Exodus", che rischiano di far perdere l'interesse nell'ascolto... un intermezzo più breve avrebbe sicuramente giovato al risultato finale. (Roberto Alba)

(Twelfth Planet)
Voto: 65

sabato 20 agosto 2011

Solution .45 - For Aeons Past

#PER CHI AMA: Melodic Death, Soilwork, The Few Against Many
Frequentando varie testate di settore e webzine, un dato di fatto salta subito all’occhio: “For Aeons Past” è un album che ha diviso la critica in giudizi nettamente contrastanti. Per questo motivo pare quasi d’obbligo un invito a ridimensionare i miei toni entusiastici a chi non prova grande sintonia con il filone melodico del death, genere che in passato ha visto come precursori i Soilwork, autori di almeno una tripletta di album assolutamente riusciti. Chi invece rimane ancora legato a tali sonorità e prova dunque nostalgia per l’energia di lavori come “Natural Born Chaos” o “Stabbing the Drama” potrà trovare nei Solution .45 materia di assoluto appagamento. Il paragone insistente con i Soilwork trova fondamento in alcune tangibili peculiarità che accomunano le due formazioni svedesi, dagli intrecci melodici di gran classe, all’alternanza continua tra il canonico growl ed i ritornelli di voce pulita di facile appiglio. Tuttavia, il contenuto di “For Aeons Past” non deve essere scambiato per uno sterile surrogato di quanto già proposto dai cugini di Helsingborg. I Solution .45 puntano ad un approccio piuttosto personale al genere, giocando su contrasti nettamente più marcati tra la brutalità del death e momenti di un lirismo quasi “pop”. Complice di quest’attitudine tra l’estremo e l’accessibile non è solo la complessa ossatura ritmica dei brani, ma anche l’eccelso contributo vocale di Christian Älvestam, fino al 2008 tra le fila degli Scar Symmetry ed ora attivo anche in band quali Miseration e The Few Against Many. Älvestam è superbo nel modulare le parti di voce pulita su registri che per molti altri cantanti del genere risulterebbero impervi e risulta ugualmente convincente nelle esplosioni rabbiose di growl, quando deve sostenere i passaggi più violenti. E di violenza in “For Aeons Past” ce n’è parecchia, stemperata unicamente in un paio di episodi come “Lethean Tears” e “Into Shadow”, che assumono il ruolo di vere e proprie ballad. In realtà quasi tutti i brani dell’album potrebbero fungere da “radio-hit-single”, ma mi limito a citare “Gravitational Lensing”, forse perché scelta dal gruppo per la realizzazione di un videoclip ultra-professionale o forse perché riassume in poco meno di cinque minuti tutte le caratteristiche che rendono i Solution .45 un gruppo d’alta caratura: una spruzzata di tastiere mai invadente che dona all’insieme un tocco di modernità assolutamente efficace, l’apporto di Älvestam che, come ampiamente sottolineato, è il vero punto di forza della band ed infine un lavoro di chitarre che vede gli “axeman” Jani Stefanovic e Tom Gardiner rincorrersi in una serie di virtuosismi da capogiro. Un’ultima nota di servizio va spesa per la partecipazione di Mikael Stanne dei Dark Tranquillity, che oltre ad aver preso parte alla scrittura di quasi tutti i testi, appare attivamente in veste di guest vocalist in "Bladed Vaults" e "On Embered Fields Adust". Cosa chiedere di più? (Roberto Alba)

(AFM Records)
Voto: 80
 

domenica 17 luglio 2011

Ava Inferi - Onyx

#PER CHI AMA: Gothic Metal, The 3rd and the Mortal, Aenima
A passo lento, attraverso un cammino in salita, scandito dalla pubblicazione di quattro album, gli Ava Inferi, hanno infine raggiunto la vetta. Sin dall’esordio “Burdens” del 2006, il duo composto dalla portoghese Carmen Susana Simões e dal norvegese Rune Eriksen aveva dato prova di possedere un gusto insolito e mai banale per la melodia, eppure nelle prime produzioni in studio stentavano ad emergere slanci creativi che fossero di concreto risalto, tant’è che i primi due lavori risultano tutt’ora un po’ ostici ed appesantiti da un’eccessiva staticità. Se con il terzo album “Blood of Bacchus” le timide intuizioni degli esordi cominciavano finalmente ad aprirsi ad una scrittura più consapevole ed emozionante, è solo con “Onyx” che si può parlare di un vero e proprio rigoglio artistico. “Onyx” ha il profumo di un giglio in piena fioritura, il colore intenso di un frutto maturo, la grazia di forme femminee scolpite nel marmo lucente. Le note attingono sempre dalle suggestioni malinconiche del gothic metal, ma gli Ava Inferi dimostrano di non avere maestri ispiratori e di non cogliere nulla dalla “tradizione”, offrendo invece una variante tutt’altro che canonica del genere. Il contributo di Carmen è fondamentale per la riuscita dell’opera, semplicemente perché possiede un’ugola divina, adatta a confrontarsi con qualsiasi cambiamento d’umore dei brani, mentre l’apporto di Rune si rivela di immenso spessore, soprattutto dopo ripetuti ascolti, confermando che la struttura ed il valore dell’album non si appoggiano solamente sulle doti canore della compagna. E’ curioso poter ammirare la versatilità di Rune come compositore, un tempo abilissimo ad immortalare riff crudi e dissonanti per i Mayhem ed oggi ugualmente a suo agio nel costruire intricati e imponenti passaggi di chitarre che tratteggiano atmosfere continuamente mutevoli, da quelle tetre e solenni della splendida “The Living End” a quelle più vitali ed energiche di “Majesty”. Vanno assolutamente citate anche “The Heathen Island”, che ci regala un assolo di ammirevole fattura, la spettrale traccia d’apertura che dà il titolo all’album e “By Candlelight & Mirrors”, che stupisce per il registro improvvisamente solare e leggiadro, quasi a testimoniare che gli Ava Inferi riescono a muoversi con abilità ed eleganza su qualsiasi terreno. Impeccabili. (Roberto Alba)

(Season of Mist)
Voto: 90

giovedì 14 luglio 2011

Hexentanz - Nekrocrafte

#PER CHI AMA: Dark Ambient, The Soil Bleeds Black, Psychonaut 75
Hexentanz (la danza delle streghe) nasce nel 2004 dalla collaborazione tra i membri di due formazioni statunitensi piuttosto conosciute all'interno dei circuiti musicali dediti all'ambient rituale e alle sonorità d'ispirazione medievale. Parlo dei fratelli Riddick, principali responsabili del progetto The Soil Bleeds Black, legati in questo frangente da un sodalizio artistico/magico con tre membri degli Psychonaut 75: Michael Ford, Dana Dark e Davcina. E' sufficiente una rapida lettura delle note biografiche di questo strano collettivo per accorgersi del rispettabile curriculum che ogni membro può vantare riguardo i propri studi in materia occulta. Nondimeno, risulta interessante osservare la serietà e la dovizia di particolari con le quali il gruppo introduce il proprio lavoro concettuale. In sintesi, 'Nekrocrafte' va inteso come un approfondimento del tradizionale "sabba delle streghe" e di alcuni temi di necromanzia medievale. Un percorso volto a riconoscere tali pratiche occulte come una realtà tangibile, attraverso la quale raggiungere l'intensificazione della propria coscienza e l'acquisizione di una prospettiva di realizzazione individuale. Elementi di magia nera, sciamanesimo e stregoneria antica si fondono in un corpus musicale che trae le sue radici nella dark ambient più inquietante, ma che risulta, invero, difficilmente accostabile allo stile di qualche act già conosciuto. La discendenza dal genere, per quanto sia eloquente, non ostacola affatto l'evoluzione spontanea dei brani ma, al contrario, si limita a delinearne i capisaldi, lasciando poi alla creatività degli artisti coinvolti nel progetto il compito di "aggiungere valore" all'ossatura portante dei brani. Ne esce, così, un lavoro discretamente personale che riesce a catturare l'ascoltatore nel modo più semplice, servendosi di strutture ritmiche agili e prorompenti, melodie criptiche, voci ora sinistre, ora evocative e solenni. Il tutto suonato mediante strumenti acustici tradizionali, sintetizzatori e persino ossa umane! La durata veramente breve del cd (35 minuti scarsi) diventa un'abile mossa per rendere ancor più efficace e focalizzato l'intero lavoro e sollevare 'Nekrocrafte' dalla pesantezza soporifera che spesso contraddistingue alcuni "mattoni" dark ambient di maggior fama e prestigio, ma di caratura artistica nettamente inferiore. Gli Hexentanz, per nostra fortuna, riescono invece ad intrattenere molto bene l'ascoltatore e questo nonostante la proposta musicale austera e l'approccio serioso ai temi trattati. L'album, pubblicato inizialmente per Fossil Dungeon e rimasto per lungo tempo fuori stampa, è ora nuovamente disponibile in cd ed lp con una nuova veste grafica, grazie ad un apprezzabile lavoro di riesumazione dell'etichetta polacca Agonia Records. (Roberto Alba)

(Agonia Records)
Voto: 70


http://www.myspace.com/hexentanz1

mercoledì 29 giugno 2011

Autumnblaze - Words are not What They Seem

#PER CHI AMA: Dark, Rock, Gothic, ultimi Anathema
La malinconia è un tratto distintivo che ha accompagnato gli Autumnblaze fin dai loro esordi. La band tedesca ha sempre fatto delle emozioni più grigie un'imprescindibile fonte d'ispirazione, attingendovi con sapiente moderazione, ma dimostrandosi oltremodo incurante dei potenziali benefici che un approccio meno rigido alla composizione avrebbe portato con sé. "Words are not What They Seem" rappresenta quasi un album di passaggio per il gruppo, decisosi finalmente a spostare l'accento umorale delle proprie canzoni su sfumature di colore ben più accese rispetto ai lavori precedenti. Pesanti pennellate di nero rimangono la base con la quale gli Autumnblaze amano dipingere la propria tela, ma brani come "Barefoot on Sunrays", "Heaven" o "I'm Drifting" vengono colmate da un'inedita lucentezza espressiva, evidenziando la volontà di aprirsi a nuove frontiere musicali. Appare quasi obbligato il paragone con gli Anathema, vista la comune tipologia di fan che entrambe le band sono solite raccogliere. Chi ha saputo apprezzare le recenti evoluzioni della band di Liverpool, non avrà difficoltà a ritrovare anche negli Autumnblaze delle qualità consone al proprio modo di intendere il rock, anche se il percorso seguito dal gruppo tedesco sembra comunque dirigersi verso sonorità più sanguigne rispetto a quanto proposto dagli Anathema. Eppure la classe è la stessa, come la predilezione per certe atmosfere intime e il tocco "floydiano" con cui vengono sottolineati alcuni passaggi di chitarra (si ascolti ad esempio l'onirica "Blue Star"). Particolarmente suggestiva l'interpretazione di "Falling", che i più attenti riconosceranno come il tema musicale di "Twin Peaks". E la rivisitazione in chiave rock del brano di Angelo Badalamenti non è l'unico riferimento al celeberrimo sceneggiato: in realtà, "Words are not What They Seem" è un concentrato di continui rimandi alla serie televisiva di David Lynch, dal titolo dell'album fino alle scelte grafiche di copertina (opera di Niklas Sundin dei Dark Tranquillity). Se nella tracklist dovessi proprio trovare un punto debole, potrei citare la stucchevole "Message from Nowhere", ma si tratterebbe, in fin dei conti, di una puntualizzazione superflua, che nulla toglierebbe al valore di un album eccellente. Un album la cui bellezza cresce con il tempo, svelando qualcosa di nuovo ad ogni ascolto. (Roberto Alba)

(Prophecy Productions)
Voto: 80

sabato 25 giugno 2011

Hexvessel - Dawnbearer

#PER CHI AMA: Folk, Avantgarde, Code, Virus, Beyond Dawn
Chi già possiede familiarità con il cosiddetto metal d’avanguardia, non tarderà a riconoscere il protagonista di questo insolito progetto artistico, in cui convivono folclore, rock acustico e musica rituale. Voce e mente degli Hexvessel appartengono infatti a Mathew Joseph McNerney, meglio conosciuto come Kvohst, artista poliedrico che ha già prestato i suoi servigi per band quali Code, DHG e Virus, principalmente come cantante, ma altre volte come semplice autore dei testi. Se la formazione di questo singolare talento di origini britanniche risiede principalmente nel metal, di tutt’altra matrice è il contenuto musicale di “Dawnbearer”, album che raccoglie una serie di brevi ballate dal carattere intimo, poetico ed ispirato ad una tradizione rock-psichedelica che per stessa ammissione del gruppo ritrova un’affinità stilistica con band quali Changes, Woven Hand, Espers, Midlake e Comus. Ad onor del vero, rispetto alle formazioni appena citate gli Hexvessel sembrano voler ricercare un approccio più oscuro e permeare le proprie composizioni di un’aura trascendente, coniugando il lirismo occulto delle parti vocali ad arpeggi di chitarra acustica che paiono aver trovato l’ispirazione dal diretto contatto con la foresta e i suoi segreti più nascosti. In “Dawnbearer” arde un fuoco arcano e non è solo la chitarra a creare un’atmosfera così suggestiva, perché Kvhost è qui coadiuvato da un ensamble di musicisti che accrescono la bellezza di ogni brano con l’uso di innumerevoli strumenti tradizionali quali il dulcimer, il violino, il gong, l’armonium, la cetra, il salterio, l’arpa, il mandolino, il banjo e il bandoneon. Un’elencazione che potrà sembrare tediosa ma che può far intuire quale caleidoscopio di luci ed ombre l’album riesca a tratteggiare. Non è semplice individuare un brano che emerga in maniera particolare tra i quindici che compongono l’album, ma forse un commento particolare lo merita “The Tunnel at the End of the Light” che vede Kvhost partecipe di un mistico duetto vocale con Carl-Michael Eide (aka Czral) della progressive-rock band Virus. (Roberto Alba)

(Svart Records, 2011)
Voto: 75

domenica 19 giugno 2011

Canaan - Contro.Luce

#PER CHI AMA: Cold Wave, Colloquio, Neronoia, Monumentum
E’ un ritorno inaspettato quello dei Canaan, band italiana per la quale il termine “culto” non risulta improprio, in quanto ha coltivato fin dagli esordi del proprio cammino (incominciato nel 1996) una serie di qualità artistiche tese alla ricerca dell’unicità, dell’eleganza e dell’eccellenza compositiva, sempre e tenacemente incurante dei modesti riscontri commerciali che sono tipici della musica di genere come l’ambient e la dark-wave. In passato, con album come “Brand New Babylon” e “A Calling to Weakness”, Mauro Berchi e i suoi fidati compagni di viaggio hanno dato luce a due perle di grigio fulgore, toccando quello che ad oggi può essere riconosciuto come l’apice della loro carriera e solo con l’uscita del penultimo episodio “The Unsaid Words”, risalente al 2006, la band ha probabilmente incontrato la prima flessione creativa, consegnando alle stampe un lavoro leggermente sotto tono che ricalcava in maniera meno ispirata gli stessi umori e le stesse sfumature del suo predecessore. Congelati in un serrato silenzio per quasi cinque anni dalla pubblicazione di “The Unsaid Words”, i Canaan tornano dunque con un album inatteso, che tale può essere definito anche per una nuova linfa espressiva, densa di elementi inediti che manifestano una band rinnovata, rinvigorita da uno slancio stilistico fino ad ora inesplorato. Permane la vena “cantautorale” e poetica che ormai da tempo accompagna le composizioni del gruppo, ma è il timbro e lo stile vocale di Mauro che si avverte come profondamente diverso, forse perché meno greve e sofferto di un tempo o più semplicemente per la conquista di una piena maturità interpretativa per la quale risulta d’obbligo spendere un elogio sincero. Rimangono invece immutati gli intermezzi strumentali che come d’abitudine spezzano i brani cantati e impreziosiscono “Contro.Luce” delle consuete suggestioni etniche ed ambient-industriali. Le nubi che affollano la mente di Mauro non sono ancora del tutto dissolte, mentre il dolore e il rimpianto continuano a riaffiorare dai ricordi del passato, tuttavia si avverte un nuovo modo di affrontare le avversità, con la dignità di chi sa soffrire in silenzio, non escludendo che tenui bagliori di speranza ci portino finalmente a respirare un alito di vita. Un sorriso di una persona cara o il volto ingenuo di un bambino possono allora ridestare emozioni di conforto e tenerezza, arginando anche solo per un istante le afflizioni. Nell’ascolto di “Contro.Luce” si percepisce questa lenta rinascita e la musica si muove all’unisono con le sensazioni trasmesse dalle parole, aprendosi a soluzioni che talvolta stupiscono per la loro sinuosità e “leggerezza”. A testimonianza di questa evoluzione vi sono canzoni come “Noia” e i suoi toccanti interludi di voci femminili mediorientali, gli energici e repentini cambi di ritmo in “Terrore” e i riverberi possenti delle chitarre in “Oblio”. Altri brani ripercorrono i plumbei canoni della produzione passata, ma sempre con quella rinnovata freschezza che dona un valore aggiunto all’intera opera e suscita nell’ascoltatore una commozione autentica. Grazie Mauro, grazie Canaan. (Roberto Alba)

(Eibon Records)
Voto: 75

domenica 29 maggio 2011

Aborym - With No Human Intervention

#PER CHI AMA: Black Industrial, Carpathian Forest, Dodheimsgard
“With No Human Intervention” non è semplicemente il terzo album per gli Aborym, ma un altro marchio a fuoco nella musica estrema contemporanea, un ulteriore affermazione di indiscutibile superiorità della formazione capitolina. Seguo gli Aborym fin dal loro debutto “Kali-Yuga Bizarre”' e sebbene gli esordi della band fossero più che promettenti non avrei mai immaginato di farmi coinvolgere in maniera così appassionata dalla loro musica. “Fire Walk with Us!”, il secondo capitolo, mi turbò letteralmente quando lo ascoltai per la prima volta e mi fece aprire gli occhi su quanto l'arte degli Aborym fosse innovativa, disturbante ed annichilente. Per il sottoscritto quell'opera rimane un capolavoro, un album avvolto nella malvagità più autentica, un vettore di energia distruttiva impossibile da convogliare e troppo sfuggente per essere carpita in tutti i suoi impulsi. “With No Human Intervention” lancia lo stesso messaggio spietato del suo predecessore, un messaggio di dissolutezza, odio e violenza di cui gli Aborym rappresentano ormai gli unici efficaci portavoce e che in questa occasione viene condiviso assieme ai numerosi ospiti dell'album: Bård "Faust" Eithun (ex-membro di Thorns ed Emperor), R. Nattefrost dei Carpathian Forest, Sasrof dei Diabolicum, Irrumator di Anaal Nathrakh e Matt Jerman di Void/OCD. Brani come “WNUI” e “U.V. Impaler” sono la prova di una vena creativa inesauribile e di un intuito geniale, sono scariche elettriche inebrianti che attraverseranno il vostro corpo galvanizzandolo e lasciandolo in preda alle convulsioni. I pezzi sorprendono per la loro bestialità e le litanie di Attila non erano mai state così isteriche e contorte prima d'ora! I ritmi frenetici ed esasperati sostenuti dalla drum-machine ricordano molto da vicino il black metal industriale che vide i Mysticum come precursori del genere, ma gli Aborym possiedono un suono estremamente più complesso rispetto alla seminale formazione norvegese e il loro uso così impavido e folle dell'elettronica rende sterile qualsiasi tentativo di paragone. “Does Not Compute” e “Chernobyl Generation” sono schegge impazzite di tecnologia, bagliori fluorescenti che corrodono e dilaniano l'anima, mentre i dieci minuti di “The Triumph” riesplorano l'eclettismo del debutto, spaziando dalla melodia del black metal più cadenzato fino ad un'apnea di orgiastica electro. In questo terzo sigillo l'odore insopportabile di sangue e morte che si respirava in “Fire Walk with Us!” ha lasciato il posto a quello più asettico delle macchine, tra le profetiche visioni di un mondo in cui sono le fabbriche a dominare e ad ergersi minacciose sulle nostre tombe. Queste sono le visioni evocate da “With No Human Intervention”, un'opera costruita per celebrare la vostra fine, per divorarvi ed annientarvi... (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 85

Samael - Lux Mundi

#PER CHI AMA: Celtic Frost, Rammstein, Laibach
Annunciato già da tempo come un ritorno alle vecchie sonorità di “Passage” ed “Eternal”, l’ultimo lavoro in studio dei Samael rivela senz’altro la volontà di riaccostarsi ad un sound che verso la seconda metà degli anni ’90 aveva portato la band svizzera a ricevere larghi consensi nel sottobosco del metal estremo. E’ ora lecito interrogarsi se questi intenti nostalgici bastino a ripercorre i fasti del passato, ma i dubbi si sciolgono abbastanza rapidamente, senza necessità di superare i primi quattro brani del disco. In “Lux Mundi” ritroviamo le medesime atmosfere apocalittiche degli album citati poc’anzi, le stesse ritmiche meccaniche ed un incedere marziale stilisticamente inconfondibile che si pone a metà strada tra black e industrial metal, tuttavia è la forza dei singoli brani a risultare quasi impalpabile. Non si può dire che nell’economia delle canzoni manchino il dinamismo e la capacità di concepire architetture musicali complesse, d'altronde siamo sempre al cospetto di un quartetto di musicisti più che navigati. Ciò che in realtà fatica ad emergere è l’energia, quello straordinario vigore sprigionato da vecchi cavalli di battaglia quali “Shining Kingdom”, “Liquid Soul Dimension”, “Year Zero” e “The Cross” (solo per citarne alcuni). Tralasciando l’interlocutorio “Above”, va aggiunto che i Samael avevano comunque raggiunto uno splendido equilibrio in album come “Reign of Light” e “Solar Soul”, entrambi contraddistinti da un approccio più innovativo, elettronico e commercialmente appetibile, per cui risulta incomprensibile o perlomeno deludente una virata verso schemi già ampiamente esplorati e sui quali risulta evidentemente difficile recuperare una rinnovata ispirazione. Nonostante l’ascolto più minuzioso dell’album faccia emergere un paio di episodi riusciti come “For a Thousand Years” e “In the Deep”, “Lux Mundi” non regge comunque il confronto con il passato e rassomiglia tanto ad una raccolta di b-side che non trova una dignitosa collocazione all’interno di una discografia che fino ad oggi aveva toccato livelli qualitativi eccellenti. (Roberto Alba)

(Nuclear Blast)
Voto: 60

martedì 17 maggio 2011

Abortus - Process of Elimination

#PER CHI AMA: Death, Thrash
Gli Abortus provengono da Sidney e hanno all'attivo un debutto discografico autoprodotto, risalente al 1999, dal titolo "Judge Me Not". Il secondo album "Process of Elimination" ci presenta una band dal suono deciso, potente e dalle venature lievemente old fashioned. Un death-thrash molto aggressivo è ciò che ci propone il quartetto australiano, una fucina di brani spaccaossa che risente dell’influenza del vecchio thrash americano piuttosto che delle oramai sfruttatissime sonorità svedesi. Qualche eco del death metal europeo lo si trova, tuttavia, nel riffing veloce e quando arriva "God Vision", fa la comparsa una contaminazione black che sembra quasi un tributo agli Impaled Nazarene. "Abort Us", "Revenge Now Sworn", "Redemption", "Sadist-Fy"... tutti i brani sarebbero degni di nota per la perizia tecnica con la quale vengono eseguiti e per il coinvolgimento che provocano nell'ascoltatore, complice un lavoro fantasioso sia nel drumming, sia nelle parti di chitarra, le quali ogni tanto ci regalano qualche assolo. L'unico punto che oscura un po', non il valore ma l'appetibilità commerciale, di questo "Process of Elimination" è da ricercare probabilmente nel suono un po' sporco ottenuto in studio, ma questa è una caratteristica che sottolinea solamente l'intento della band di rimanere grezza e selvaggia. Consigliati. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 70

lunedì 2 maggio 2011

Routasielu - Pimeys

#PER CHI AMA: Opeth, Amorphis, In Mourning
Evitando tediosi preamboli o acrobazie lessicali, si può affermare senza indugi che i Routasielu sono la rivelazione del 2011 in campo death metal. Sono comunque d'obbligo alcune precisazioni, perché se è vero che il suono di “Pimeys” è di chiara derivazione death, vi sono diversi elementi che concorrono ad ampliare le prospettive del genere verso un’espressione più complessa e poliedrica. Progressivo è quindi il termine che più si addice alla proposta di questi esordienti finlandesi, che si accostano ad una formula musicale prossima ad Opeth, Amorphis e In Mourning, ma con una dose di freschezza francamente inaspettata. Se è vero inoltre che le parti vocali rispettano la tradizione “growl”, numerose sono le concessioni al cantato pulito, senza dimenticare che la peculiarità più intrigante di “Pimeys” è la scelta dei testi, scritti ed interpretati integralmente in lingua madre. Forse è per questo motivo che alcuni brani sono contaminati da suggestioni vagamente folk, anche se il termine non deve trarre in inganno, perché i Routasielu, per fortuna, non indossano imbarazzanti elmi vichinghi, né si applicano posticce orecchie da elfo. L’inizio dell’album è a dire il vero piuttosto tiepido e non lascia trapelare nulla di entusiasmante, ma già con la terza traccia, “Sukuhautasi”, si entra nel vivo di un sound robusto, dai riff convincenti, con una perfetta integrazione della melodia in un costrutto ritmico che travolge. La successiva “M.E.V.” ripropone a grandi linee la stessa ricetta, ma amplificando il contributo della voce pulita, a delineare la natura più autentica ed enfatica del gruppo. Violenza e dinamismo esplodono invece in “Soturi”, mantenendo comunque salda la coesione con episodi vocali di una drammaticità emozionante e mai troppo opprimente. “Pimeys” scorre con un sound compatto e coerente anche nei brani successivi, amalgamando la durezza del death a squarci armonici che denotano un notevole gusto e che svelano il lato più accessibile del gruppo nelle tastiere progressive di “Kaipaus”. L’apice viene infine raggiunto con “Loppu” e la struggente “Ystävä”, poste in chiusura di un debutto sorprendente, che pare riuscito in ogni suo punto, mettendo in luce le doti straordinarie di una band sconosciuta e ancora in erba. (Roberto Alba)

(Spinefarm Records)
Voto: 90