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domenica 7 novembre 2021

Vrag - Harcom

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Vrag è la parola serbo-croata per definire il diavolo mentre in bulgaro-russo indica il nemico. Chissà se la scelta di Mr Vrag, mente diabolica che si cela dietro questa one-man-band ungherese, e dietro anche a Frozen Wreath e Witcher, trova le sue basi in quelle traduzioni. Fatto sta che 'Harcom' è il terzo album per l'artista magiaro, che include cinque lunghi pezzi per una durata di tre quarti d'ora di musica black. Il disco si apre con le suggestioni chitarristiche, di burzumiana memoria, della title track, che inizia a delineare le caratteristiche di questo lavoro. Citavo Burzum non a caso, in quanto il buon Vrag ama la ridondanza ritmica, perciò armatevi di santa pazienza in quanto, quando s'inizia con un giro di chitarra beh, quello andrà avanti per le lunghe. Nel primo brano ad esempio, dovrete sciropparvi sette minuti dello stesso riff prima di un rallentamento nel finale, con lo screaming oscuro del frontman a narrare di misticismo e natura. La successiva "Belül Halott" si muove su un mid-tempo più ermetico, con le chitarre distorte e ronzanti a braccetto con l'abrasiva voce di Vrag; l'uso della drum machine meglio non commentarlo. La melodia qui è ancor più malinconica, e rappresenta il punto di forza di un brano che fa della ciclicità delle sue chitarre il suo mantra, mentre per quanto riguarda la voce ecco, ne avrei dato minor spazio. Tratti di una melodia decadente che ricorda peraltro l'incipit di "My Friend of Misery" dei Metallica, danno clamorosamente il via a "Az én Keresztem" e questo sembra essere il pezzo che più mi ha colpito del lotto per il suo struggente flusso emozionale, nonostante un cantato ancora sovrabbondante. Un arpeggio a poco più di metà brano, spezza fortunatamente il ritmo un po' monolitico del pezzo. Con "Ott Vagy a Szélben" si torna a respirare il mood depresso del Conte Grishnackh grazie ad un inicip intrigante con il suo classico riffing tremolante, a cui farà poi seguito un paio di accordi riproposti in una sorta di loop infernale ripetuto all'infinito, in quella che è la canzone più lunga del disco. A chiudere 'Harcom' ecco "Búcsúzom a Némaságtól", il pezzo più violento dei cinque e quello che verosimilmente si differenzia dagli altri anche a livello ritmico, per lo meno c'è una maggior variabilità della linea di chitarra, proponendo un sound furioso e a tratti caustico e con un finale atmosferico che comunque sembra funzionare, per quanto non ci sia un briciolo di originalità in quanto proposto qui e nel resto della release. Come detto già per i Witcher e i Frozen Wreath in sede di recensione, c'è ancora molto da lavorare per poter uscire dall'anonimato di un genere saturo di realtà identiche a queste. (Francesco Scarci)

(Filosofem Records - 2021)
Voto: 66

https://vraghungary.bandcamp.com/album/harcom

sabato 6 novembre 2021

Cradle of Filth - Existence is Futile

#FOR FANS OF: Gothic Black
Sounds like a blend of the old mixed in with the moderately old to the newer evolution of Cradle. This has bits and pieces of all with it's own twist with it as well! I actually liked it enough to buy the CD. It's not too much on speed here riff-writing talking here. It's mainly gothic style slow to moderate to semi-moderate songs. I'd say it's a great mix of everything with fresh music evolving into a greatness that was missing on more recent COF releases. This one is something that I can listen to ad nauseum and not at all get tired of. Well, maybe down the road but you get what I'm saying.

Also, sounds like they tuned down to D on their guitars maybe a little lower but I don't think so. Many COF releases have the similar tuning that is just typical of them. If you're a guitarist, this is a heads up. The synthesizers aren't drowning out the music either seems as though it's well laid out and forthright. Some songs seem more geared towards quicker licks and Dani sounds like he did on 'Cruelty and the Beast'. All of it makes sense musically. The guitars also seem to parrot a little of Devilment in them, one of Dani's projects. Not sure if it's a similar lineup really, but Devilment without as much intensity.

The musicians on here do a great job in their performance with Cradle. Seems though there's a different lineup every release. Hence them bringing forward the COF evolution. I am not sure why Dani insists on different musicians all the time. That makes it a little tougher for the current musicians he amasses to learn old songs for when performing live. He's just weird like that I suppose. But I tell you, the music on here will blow your hair back, it's just if you will fresh and gothic eerie like that. I'm not sure you'd label this as a concept album like 'Cruelty and the Beast' but it's definitely focused within cosmic shifts.

As I mentioned, I ordered the CD and so did some friends of mine. To those where digital isn't everything! It was worth this purchase. They really did a good job here and shown us something quite new despite showing a resilience towards past works. I liked the guitar and vocals...the synthesizers don't overly amass themselves they go along well with the guitar. It's nothing like 'Dusk...And Her Embrace' to me but just fragments of it. I concluded before even checking this out that it'd be totally like newer boring releases but when I heard it I was sadly mistaken! This is everything COF fans hoped for on this one! Check it out! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2021)
Score: 80

https://www.cradleoffilth.com/

Ivar Bjørnson & Einar Selvik - Hardanger

#PER CHI AMA: Folk
Ho amato Ivar Bjørnson ed Einar Selvik nei loro progetti 'Skuggsjá' e 'Hugsjá', cosi quando ho visto che usciva questo 7" intitolato 'Hardanger', mi ci sono subito fiondato sopra con somma curiosità, per capire cosa ci avrebbero regalato questa volta i due mastermind di Enslaved e Wardruna. Il dischetto consta di due tracce: "Heim til Yggdrasil" è una sorta di rivisatazione di quella perla che fu "Return To Yggdrasill" degli Enslaved, ovviamente riletta in misteriosa chiave folklorica, proprio sulla scia dei precedenti lavori del duo norvegese, con la voce di Einar sorretta egregiamente da pianoforte, da una tiepida chitarra, da magiche percussioni, dal violino dell'Hardanger (a cura di Silje Solberg) e da una indefinita serie di altri strumenti che si fondono in un caldo flusso emozionale. La traccia vede la partecipazione anche dei membri live della band (i due compagni di Ivar negli Enslaved, Iver Sandøy a batteria e voci e Håkon Vinje a piano e voci; e nella seconda song ci sarà anche Gruttle Kjellson a dare il suo supporto). La seconda traccia dà il titolo all'EP, e rappresenta una celebrazione della terra popolata dagli Arudi, quella appunto dell'Hardanger. Il suo incedere è più vicino ad una celebrazione druida che ad una song vera e propria, proponendo suggestivi ed ipnotici suoni elettronici su cui poggiano parti corali, percussioni tribali e il canto fatato di Lindy-Fay Hella (Wardruna, Lindy-Fay Hella & Dei Farne), per una magica pozione musicale, il cui limite è esclusivamente legato ad una breve durata. Semplicemente mistici. (Francesco Scarci)

venerdì 5 novembre 2021

Biöcide - Inhibiting the Sludge Tomb

#PER CHI AMA: Death/Thrash
Dalla splendida Galway, Irlanda, città dagli innumerevoli pub e locali vari, ecco arrivare a noi i Biöcide con il loro debut 'Inhibiting the Sludge Tomb'. Il terzetto irlandese ci sbatte in faccia tutta la propria rabbia già dall'iniziale "Crystallised Decay", un pezzo che mostra come i nostri possano far sentire nella propria caustica ritmica, echi dei Carcass di metà anni '90. Ecco come circoscriverei il genere a cui accostare questo baldo trio di ragazzotti che sprigiona una buona energia dalla propria proposta, ovviamente non risultando particolarmente originale, ma comunque lasciandosi piacevolmente ascoltare. Le tracce scivolano via tutte lisce come l'olio, tra indiavolate sgroppate di chitarra, cambi di tempo, growling vocals graffianti e qualche orpello chitarristico che non guasta mai, cosi come gli esimi colleghi inglesi sanno certamente fare. I pezzi corrono uno dietro l'altro, dalla successiva e sporca "Crawling in Chaos" fino alla conclusiva e marcescente title track a cavallo tra death e sludge, passando attraverso la sputacchiosa (e capirete il perchè ascoltandola) "Doctrines Plague", un pezzo che esordisce con un giro di basso che cederà il passo ad un più spigoloso e dissonante giro di chitarra. Qualche discreta intuizione all'interno di questi quattro brani sembrerebbe esserci, ora bisogna rimboccarsi le maniche per apparire più personali. (Francesco Scarci)

Vril - Agartha

#PER CHI AMA: Techno Death
Aumentano a dismisura i progetti e le release nate durante il confinamento da Covid-19. I Vril, terzetto ecuadoreño, nasce proprio nel 2020 nel pieno della pandemia e questo EP di quattro pezzi, intitolato 'Agartha' (insieme a 'The Coming Race', uscito sempre quest'anno), altro non è che il frutto di quel triste periodo. Quattro pezzi a tracciare le caratteristiche di questo terzetto, il cui moniker si rifà al libro 'The Coming Race' di Edward Bulwer-Lytton, uscito nel 1870 e al significato di Vril come fonte di energia. E di energia la band sembra averne a sufficienza, anche se forse non ancora adeguatamente incanalata. Il lavoro apre con le melodie ruffiane di "The Order of the Red Dragon" e uno splendido assolo di chitarra che subito mi fa strabuzzare gli occhi per quel suo piglio progressivo. Da li in poi un'escalation di ritmi vertiginosi tra techno e symph death ed un cantato che passa dal growl al pig squeal con estrema disinvoltura. I nostri sembrano più efficaci nei pezzi più veloci, tecnici e melodici, un po' meno nei mid-tempo, forse ancora troppo ancorati alla tradizione americana guidata dai Morbid Angel, uno dei punti di riferimento del trio, soprattutto nella seconda metà della sperimentale "Blood". L'ascolto dopo tutto non è affatto male, soprattutto nelle parti in cui il cantato (da rivedere a mio avviso) è riposto in secondo piano e i nostri si lanciano in soli chitarristici ("Kybalion") o in parti più atmosferiche. C'è ovviamente ancora tantissimo da lavorare, ma i presupposti non sembrano essere cosi pessimi. (Francesco Scarci)

mercoledì 3 novembre 2021

Graham Bonnet Band - The Book

#PER CHI AMA: Hard Rock
Un melodic griffato Frontiers Music ("Welcome to My Home", "Strangest Day" e la consueta sfilza di cognomi napoletani nei crediti), ma non soltanto. In apertura, per esempio, una spiazzante fucilata power (l'avreste mai detto?), i cui pallettoni finiscono conficcati nel prosieguo, per esempio in "Dead Man Walking", dove emerge invero un certo retrogusto alla Rainbow. I Rainbow, già. Quelli di "Rider", sparata giusto "Straight Between the Eyes" (sì, sì, cantava Turner, lo so), quelli di 'The Book' trascinati nuovamente 'Down to Earth' dall'eccellente e nervosissimo riffettismo del giovane Conrado Pesinato, una specie di John Petrucci delle caverne. I Rainbow di 'Down to Earth', l'album più sovraesposto ("Since You've Been Gone", "Lost in Hollywood", "All Night Long" o "Eyes of the World", ma dov'è finito quel riff laser di tastiera che arrembava il pre-finale?) e al contempo sottoesposto (non avreste risentito almeno anche "Love's No Friend"?) dell'intero disco due, quello delle re-incisioni: sedici insignificanti riproposizioni fotocopia sovente affaticate (il "Wanna make you miiiiine!" di "All Night Long", e allora risentitevi pure il Bruce Dickinson asmatico di "Earth's Child" sul disco uno, visto che ci siete). Due grahambonnettosissime ore in tutto a coprire un'intera carriera quasi cinquantennale. Eccetto, ovviamente, gli imbarazzanti Marbles. Ve li ricordate? No? Domandatevi il perché. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Music - 2016)
Voto: 55

https://www.facebook.com/grahambonnetmusic

RüYYn - S/t

#PER CHI AMA: Black, Watain
Espresso one-man-band in arrivo al primo binario direttamente dalla Francia. Un espresso cosi veloce, che formatosi in questo spettrale 2021, ha già ottenuto un bel contratto con la Les Acteurs de l'Ombre Productions e rilasciato un primo EP di debutto. E bravo Romain Paulet, il musicista che si cela dietro a questo stravagante moniker, e responsabile del concepimento di queste cinque tracce a dir poco glaciali. Lo dimostra immediatamente quel riffing gelido in apertura di 'I', la song che apre questo omonimo dischetto. Una ritmica violenta e arcigna, contraddistinta da un drumming forsennato e da uno screaming infernale, tre elementi che ci conducono dritti negli inferi. Non inferi dal cuore ribollente però, perchè le vibrazioni emanate dalla linea di chitarra dei RüYYn sono cosi fredde da indurre piuttosto brividi da congelamento. Niente di innovativo sia ben chiaro, ma il maligno feeling emanato dalle note di questo lavoro, non lasciano certo indifferenti, ve lo posso garantire. La consistenza del black prodotto dal buon Romain potrebbe ricondurre al black scandinavo dei Watain di metà carriera, con quel pizzico di melodia supportata da alcune rare parti atmosferiche. Lo confermano infatti anche i successivi pezzi, che in ordine progressivo, "II", III", "IV" e l'outro ".....", completano un'opera che di sicuro non farà gridare al miracolo, ma che tuttavia trova un suo perchè e quindi una sua collocazione nella mia personale discografia. La seconda traccia è un bell'esempio di black mid-tempo, con porzioni melodiche che stemperano quelle un po' più feroci. La terza è il classico attacco all'arma bianca che potrebbe rievocare anche un che del black norvegese, cosi tirato e privo di tutti quei fronzoli che rischierebbero di ammorbidire una proposta che credo abbia invece l'obiettivo di suonare malvagio, per toccare l'anima nera che ognuno di noi in fondo possiede. Interessante il tentativo di cambiare il registro vocale, cosi come pure, le violente ritmiche black punk con quelle partiture disarmoniche che brutalizzano il mio residuo cerebrale. Il massacro in tremolo picking prosegue anche attraverso l'efferatezze sonore della quarta traccia, che peraltro vanta uno splendido epico finale che ci conduce fino a ".....", gli ultimi 50 secondi affidati ad un ambient deprivato di ogni emozione. Insomma, glaciali, per chi non l'avesse ancora capito. (Francesco Scarci)

lunedì 1 novembre 2021

Seims - Four

#PER CHI AMA: Post/Math Rock
Era il 2020 quando raccontavamo nel Pozzo di '3 + 3.1', proposta alquanto originale, a cavallo tra post e math rock, a cura degli australiani Seims. Oggi il quartetto di Sydney ritorna con un nuovo capitolo intitolato 'Four' (continuando la storia con la numerologia nei suoi titoli). Dieci nuovi brani che aprono con i tocchi fiabeschi di "The Mountain's Lullaby", song che funge da intro per la successiva "The Pursuit of Intermediate Happiness", in cui a fare la comparsa è una deliziosa sezione di archi (violoncello e violino) ed un crescendo che mantiene un'analogia strumentale nei suoi suoni, in un filo conduttore che sembra voler narrare una storia. Una storia che tuttavia non trova una continuità stilistica con la successiva "Showdown Without a Victim", che cambiando registro, mostra una visione psichedelica dei nostri sorretta comunque da una roboante sezione ritmica dove ci sembra di immaginare un soggetto in fuga da un intricato dedalo di suoni, con un'alternanza ritmica che comunque riconduce sempre all'iniziale emozione generata. Da un punto di vista strumentale, il brano restituisce una serenità emotiva che stempera l'incalzante emozionalità del brano. "Shouting at a Brick Wall" crea invece un senso di attesa con quel suo iniziale giro di chitarra, che non tarda comunque ad arrivare, esplodendo infatti in una ritmica dall'elegante sapore punk math rock, in una proposta musicale che spinge al continuo movimento (grazie anche ad un splendido assolo di violino) fino al suo improvviso ed inatteso arresto. L'inizio ipnotico "Stranded. Isolated" potrebbe tranquillamente collocarsi nella colonna sonora di 'Blade Runner' grazie ai suoi synth che cederanno presto il passo ad un avanzare cibernetico che trova un punto di svolta a metà brano, laddove troviamo un cambio quasi radicale della proposta iniziale. Il brano però non sembra filare nel modo corretto e alla fine dell'ascolto, il risultato sembrerà quasi inconcludente, non catturando completamente l'attenzione dell'ascoltatore, forse per un eccesso di stili e cambi di registro. "Elegance Over Confidence" ha un esordio decisamente più convincente, evocando un che degli Archive, in uno stralunato climax ascendente sottolineato da un'esplosiva prova della batteria (qui molto jazzy) e da una melodia guidata da nevrotici giri di chitarra in grado di tenere costante quel senso galvanizzante innescato. Ancora un muro di synth per "Biting Tongues", l'unica song insieme a "The Mountain's Scream", dove fa la comparsa la voce (tuttavia un po' sottotono) di Simeon Bartholomew accanto ad un riverberato ed esplosivo giro di chitarre. Intro cinematografico per "Nuance Lost in Translation", dai tratti un po' burberi nella parte iniziale prima di sfociare in un sound dai lineamenti orchestrali e orientaleggianti davvero entusiasmanti. "Understatement" è un pezzo arpeggiato che sembra fungere da ponte per la conclusiva "The Mountain's Scream". Dopo un inizio marziale, la traccia evolve grazie ad un tremolo picking sorretto da uno stravagante apporto corale, in una caleidoscopica alternanza di stili ed emozioni che chiudono degnamente questo quarto capitolo targato Seims. (Francesco Scarci/Ilaria de Ruggiero)

(Art As Catharsis/Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 75

https://store.seims.net/album/four