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domenica 4 aprile 2021

Школа Рока (School Of Rock) - Hellblock 13

#PER CHI AMA: Heavy/Speed, Armored Saint
Pochi fronzoli ricamano l’ingresso in scena di questi frenetici rockers di Velikie Luki, città della Russia occidentale. Meno forma - più sostanza, dev’essere il motto che ha accompagnato la forgiatura (ché di metallo si tratta) di questo mini-EP. Giusto 22 minuti di musica, se comprendiamo anche le due cover di Sabbat e Doors, su cui però conviene sorvolare, dati i cori piuttosto alcolici che non ne rendono adeguata giustizia, potremmo dire. Quattro brani inediti dunque, sotto l’effige del classico heavy metal da birra e motocicletta. Il passaporto recita Russia, ma l’ottica è prettamente americana: le chitarre sfoderano riff pescati direttamente dall’heavy-speed statunitense dei primi anni '80. Si odono richiami di nomi ammirevoli come Exciter, ma soprattutto i primi Riot. Compaiono anche dei frangenti di scream, nelle liriche rigorosamente in lingua madre. Sempre comunque in abbinata a svariate tecniche di cantato, con una propensione alle sovrapposizioni vocali, tanto care al nostro power trio. A spiccare però è sicuramente una serie acuti forsennati in pieno stile King Diamond, a dominare sulle ritmiche che non lasciano respiro. Vedere la commistione nella title-track, "Hellblock 13": reminiscenze degli Armored Saint senza la vena epic e assoli piuttosto ispirati, qui si rifanno all’hard rock '70s. Un’abbinata chitarre-tastiere in questo caso, che riporta alla mente qualcosa che sa vagamente di Made in Japan. Un mini che scorre veloce, “senza infamia e senza lode”. Pochi spunti impressionanti, giusto qualche passaggio un po' più interessante laddove prevalgono le care vecchie solide certezze. Ma chiaramente, l’obiettivo è di minori pretese, dunque così sia. Школа Рока del resto si traduce School Of Rock, un nome una certezza potremmo dire. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

venerdì 2 aprile 2021

Lavizan Jangal - تاریکی و مرگ

#PER CHI AMA: Depressive/Experimental Black
All'etichetta russa Careless Records piace palesemente osare: dopo aver pescato in Iraq i Mullà, in Kazakhstan gli Scolopendra Cingulata, ecco tirar fuori dal cilindro la terza genialata, ossia gli iraniani Lavizan Jangal. La cosa mi stupisce parecchio perchè parlando con un musicista di Teheran poco tempo fa, mi disse di essere spaventato dall'idea di avere la propria musica in formato fisico perchè rischiava di essere perseguitato dall'oppressivo stato islamico. Eppure il misterioso duo di oggi se ne frega altamente e fa uscire questa quarta release ufficiale dal 2010 a oggi, chapeau. La band francamente non la conoscevo prima di oggi ed è interessante leggere su metal archives come il moniker Lavizan Jangal sia una parodia dei Carpathian Forest e si riferisca al Parco Lavizān (nei sobborghi di Teheran) dove si troverebbero parecchie gang. La proposta dei nostri effettivamente non va troppo lontano dai maestri norvegesi, proponendo sin dall'opener "Lavizan Jangal" un black ferale, senza troppi orpelli, il tutto in pieno stile scandinavo, dove viene comunque concesso un minimo spazio alla melodia in un break centrale ove la ritmica incendiaria trova ristoro. Le vocals manco a dirlo sono il classico screaming, però qui e là si modulano in una vena vicina a quella degli svedesi Shining, dirottando anche il sound dalle parti di un depressive black, con risultati alla fine apprezzabili. Certo un finale urticante come quello della traccia d'apertura era davvero tanto tempo che non lo sentivo, niente male, anche se sia chiaro, qui non stiamo scoprendo l'acqua calda. Spoken words in apertura di "Be Sooye Marg", un brano che si muove su ritmiche più cupe e lente, almeno nel primo minuto prima di schizzare più schizofreniche che mai, nei rimanenti tre minuti di infernale portanza. Interessante leggere che le liriche si mantengono a sfondo satanico coniugandosi con altri temi quali la droga, lo stupro, l'occulto, il crimine, le puttane (povere) e le gang iraniane che tornano ancora una volta come la bolgia sciabordante in chiusura della seconda song. Paurosi. In fatto di cattiveria credo non abbiamo troppi rivali, il che è confermato anche dalle successive tracce. In "F.I." ci sono evidenti rimandi vocali che conducono alla cultura dei nostri, per un pezzo che mostra una buona linea melodica, vocals più ricercate, ma che poi pecca per quella sintetica e fastidiosa batteria che ne rovina l'esito finale. Tuttavia, il disco scivola via veloce in tutta la sua mefitica malvagità. Il drone/ambient di "Dar Ghalbe Poochi" mi fa pensare al classico muezzin che blatera da qualche minareto di una moschea islamica. Mentre l'efferato attacco di "Enteghame Abadi" mi ha evocato gli Anaal Nathrakh più micidiali, anche se poi il pezzo comunque evolve in modo inaspettato. Un altro intermezzo ambient/noise ed è il turno della lunga "Amade Bash", un brano che assume le sembianze di un black doom con un certo tocco sinfonico in background che mi fa sgranare ancora una volta gli occhi su quanto il duo di Teheran sia stralunato ed imprevedibile, nonostante i basici mezzi a disposizione. Credo che alla fine questo sia il mio pezzo preferito, forse per non essere cosi pervaso dall'isteria di suonare a tutti i costi veloci e brutali, ma qui i nostri si mostrano invece assai atmosferici seppur la registrazione non aiuti ancora una volta. A chiudere il disco arriva "Yazdah" che miscela il black anni '90 con le intemperanze sonore disarmoniche di gente del calibro di  Deathspell Omega o Blut Aus Nord. Insomma i Lavizan Jangal sono una bella sorpresa che non posso premiare con un più alto voto semplicemente perchè la musica non è cosi originale, la registrazione non mi convince, al pari della drum machine e di qualche altra banalità che si ritrova lungo il disco. Eppure le qualità ci sono, andrebbero sfruttate solo al meglio. (Francesco Scarci)

(Careless Records - 2021)
Voto: 66

https://carelessrecords.bandcamp.com/album/--6

Burnt Offering - Беснование

#PER CHI AMA: Black Old School, Mayhem, Darkthrone
La band di oggi ha base a Lipsia in Germania, eppure nessuno dei suoi tre membri è tedesco e il titolo 'Беснование' ne è la riprova: Blind Idiot God è infatti russo ed è peraltro bassista dei Darkestrah, cosi come Asbath, batterista di quest'ultimi ma originario del Kyrgyzstan. Charon infine è ucraino. Insomma un bel casino. Cosi come alquanto strana è la storia di questa release che in realtà sarebbe il demo uscito in cassetta nel 2015 per la Narcoleptica Productions e riproposto in digipack a dicembre 2019 dalla Careless Records. La mia speranza è che oltre ad una elegante veste grafica, il dischetto vanti anche una nuova registrazione, eppure quello che sentono le mie orecchie racchiude ancora la grezzura primigenia della prima release (o forse quella era ancora peggio e i miracoli non si riescono a fare?). Fatto sta che il demo in questione contiene cinque tracce dedite a un black puro e selvaggio, senza alcun fronzolo che ci viene sparato in faccia in tutta la sua gretta brutalità sin dall'opener "Пир", un brano sanguinolento che partendo dagli insegnamenti punk/hardcore degli esordi dei Darkthrone, combinato con un black satanico, fa fuoriuscire tutta la bieca malvagità di altri storici act quali Mayhem e Celtic Frost, deprivato ahimè dalla classe innata di quelle realtà. Stonano un po' le storture doomish in apertura di "Псы", che già erano comunque apparse in chiusura della prima song. Poi anche il secondo pezzo si lancia su un lineare e anonimo black metal, senza il benchè minimo briciolo di personalità. Ed è un peccato visti gli elementi inclusi nella band e le mie elevate aspettative. E la medesima matrice sonora si conferma anche nella violenza delle successive "Псоглавый святой" e "Мокошь", dove i nostri corrono sui binari di un feroce e caotico sound (scuola Immortal la prima), in cui le corrosive chitarre si incrociano con lo screaming efferato del vocalist (che però si diletta anche in strane ed apprezzabili sperimentazioni canore) e con il disumano drumming di Asbath. Nella seconda invece si avvertono lontani accenni folklorici alla Isengard, pur sempre immersi in un marasma nero come la pece. In chiusura, l'onirico ambient strumentale di "ДОБ и цинковый гроб" spegne tutte le pulsioni malvagie risvegliate sin qui dai malefici Burnt Offering. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions/Careless Records - 2015/2019)
Voto: 55

https://carelessrecords.bandcamp.com/album/--2

giovedì 1 aprile 2021

Forest of Frost - S/t

#PER CHI AMA: Ambient Black
Dall'Aquitania ecco giungere una nuova one-man-band guidata dal polistrumentista Moulk, uno che ha anche un gruppo con questo moniker e con cui ha rilasciato una cosa come otto full length e quattro EP all'insegna di un folk metal sinfonico, sebbene gli esordi fossero più radicati nel punk rock. Da qui si evince che il mastermind di oggi non sia certo uno sprovveduto, ma direi semmai un musicista navigato quanto basta per registrare quest'album (che a quanto pare rimarrà un episodio isolato) in due sole settimane durante il primo lockdown, deliziandoci con un inedito black atmosferico che ha colto successivamente l'attenzione della Narcoleptica Productions, l'etichetta russa che ha rilasciato il cd proprio in questi giorni. Cinque i pezzi, tutti intitolati con numeri romani. Si parte chiaramente con "I", che delinea immediatamente i tratti somatici di questa neonata creatura transalpina. Il sound dei Forest of Frost è gonfio di passione per lunghe partiture strumentali, costruite su multistrati eterei di synth e chitarre a costruire splendide melodie, con le harsh vocals che fanno la loro apparizione solo di rado. E allora cosa di meglio che farsi cullare dalle estasianti ambientazioni sonore erette da Moulk, che vedono i soli punti di contatto col black, in sporadiche accelerazioni e in quelle voci di cui facevo menzione poc'anzi. Tutto molto interessante non c'è che dire, anche quando la durata dei brani va dilatandosi. Si passa infatti dai quasi otto minuti dell'opener, ai quasi dieci di "II" e ai dodici abbondanti di "III", attraversando paesi incantati quasi fossimo stati catapultati in un mondo senza tempo, o nel più classico "Signore degli Anelli" del plurinominato Tolkien. E qui il consiglio è di lasciar andare la vostra fantasia, occhi chiusi e tanta immaginazione. Vedere draghi, unicorni, gnomi e folletti per cinquanta minuti non sarà un'eresia ma la normalità. Per chi ama realtà affini agli Eldamar o ai nostrani Medenera, credo che qui potrà cibarsi di un valido esempio di fantasy black corredato da suggestive e ariose melodie, che trovano forse la sua massima espressione in "IV", cosi orchestrale e malinconia al tempo stesso, nella sua strabordante epica musicalità. Personalmente, avrei preferito un pizzico di vocalizzi in più altrimenti una release come questa rischia di essere presa come una colonna sonora piuttosto che un album di metal estremo. Che poi di estremo c'è veramente poco, quasi niente... (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions - 2021)
Voto: 75

https://forestovfrost.bandcamp.com/album/forest-of-frost

The Crown - Royal Destroyer

#FOR FANS OF: Death Metal
I'm not a huge fan of this band, I've owned albums from them that I didn't keep. Heard about it from a Chicagoan and decided to give it a try. WHOA! This one is unrelenting metal galore! I would say that there aren't many peaks and valleys in this one, it's mostly fierce the whole way through. The vocals I can tolerate as well and the guitars just slay. Not to mention the quality of the riffs! They are simply dynamite! I don't really have anything ill-fated to say about this one. They really upped the intensity to the nth degree. I don't see any fallouts on this one ('Royal Destroyer'). They did a great job.

Now I'd have to say that their tempos range but the intensity of the vocals make the songs more striking. The overall musicianship is phenomenal. I never knew that sounds like this from the band were ever possible! But they made dynamite and brimstone here. They do change things up every so bit, but the majority of the album is just brutal melodic metal. The riffs are catchy and noteworthy. The vocals blast the eardrums to the utmost intensity! I liked everything that they did here. There was nothing on here that I disliked. Their unique riff style and choice of songwriting is just utterly magical.

The sound quality was just perfection, ABSOLUTELY. They did their label and fans justice on this one. The rhythms, leads, vocals and drums just are like this ever flowing stream. They kick major ass on here. All the songs are amazing and exceptional. They slay on every track no matter what tempo they're at. They did change things up making it a more diverse release. But this is something different than what I was used to for this band which was the riff writing. They put a lot of time to get the songs unique in their own style. I think that this is one of their best albums to date. So good to discover this one!

Mainly, I didn't like previous releases because I didn't think that they were equivocal to 'Royal Destroyer'. They really sound great and their melodic riffs kick some major ass! I heard this first on Spotify then immediately bought the release. It was definitely worth buying since my cd player plays us cd collectors at top notch sound. This is one of the releases of this year that is one of the best in the genre. I liked the whole album through and though. They definitely kicked major ass the whole way through. They know how to make phenomenal releases and then some. Check it out! (Death8699)


(Metal Blade Records - 2021)
Score: 77

https://thecrownofficial.com/en/

martedì 30 marzo 2021

Dark Awake – Hekateion

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Neofolk
A cominciare dalla sua immagine di copertina, 'Hekateion', full length del 2020 dei Dark Awake, è un'opera che richiede decisamente un ascolto impegnato. Si propone sin da subito come un lavoro molto interessante, per veri appassionati, che mi porterà alla scoperta delle strade esoteriche narrate nelle note di questo penultimo disco della band greca (da poco è infatti uscito uno split album con i Kleistophobia). Devo riconoscere una certa forma di iperattività artistica che dal lontano 2008 non ha mai abbandonato il progetto ellenico, che ha sfornato numerose creazioni in ambito dark neoclassico, martial e neofolk ambient, fino ad oggi, con una continuità davvero invidiabile. Questo lavoro è un concept incentrato sulla figura di Ecate, antica divinità di origine pre-indoeuropea, venerata da greci e romani, un'opera da intendere come un accompagnamento ritual-esoterico atto alla scoperta della realtà oscura di cui la dea ne era la potente regina dell'oscurità. Il brano di apertura, la title track, è trafitto tutto il tempo da rumori e suoni spettrali, per una lunghezza assai impegnativa che supera i 23 minuti, tra estratti di rumoristica minimale, fruscii, echi e sussurri carichi di oscuro presagio. Il pezzo ha una trama molto noir e si rianima solamente nel finale, trasformandosi in una scarna e affascinante danza tribale, acustica e ancestrale, dal sapore etnico e sciamanico, come se il tutto fosse svolto in una foresta incantata, governata da forze sovrannaturali. La cosa che più colpisce però è il canto, una splendida interpretazione, drammatica ed ipnotica al tempo stesso, per una voce stregata che si destreggia, salmodiando, nel ricordo di Hagalaz' Runedance, Eva O e Diamanda Galas, nel nome delle regine del folk pagano e del goth rock più oscuro. Si avanza con un secondo brano ("Erebenne Arkuia Nekui"), figlio dell'amore per il drone e il dark ambient apocalittico espresso nei primi album dei Dead Can Dance, potente ed evocatore, mentre, "Triformis Dadouchos Soteira", il terzo brano che porta un titolo particolarmente suggestivo, si snoda anch'esso tra rumoristica d'ambiente, dark e nuovamente drone, contraddistinto da una pesante attitudine lugubre, travagliata ed inquietante, un vortice oscuro che paralizza e destabilizza l'ascoltatore. In chiusura "Damnomeneia", che parte con suoni industriali stridenti per entrare in un comparto etnico che ricorda certe escursioni nel mondo devozionale tibetano ma la sua indole cosmica, primordiale e oscura, lo rende alla fine poco propenso alla meditazione. Il suo tetro avanzare, scandito da lente percussioni, una minimale partecipazione dell'elettronica e la sua forte propensione cinematografica, lo propone come perfetta chiusura di un disco che farà la felicità degli amanti del genere. Cosi come in passato, anche qui i Dark Awake dimostrano le loro qualità, una qualificata capacità di rinverdire e far progredire un'idea sonora spesso sottovalutata dalla critica musicale. Un buon esempio di ambient dai potenti tratti dark, uno splendido e sinistro manifesto sonoro, un disco che nel suo genere può essere letto come variegato ed intenso, sicuramente interessante e ben strutturato. Il mondo oscuro e affascinante di una divinità, madre delle arti magiche e della stregoneria, messo in musica in maniera esemplare. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://darkawake.bandcamp.com/album/hekateion

Bound - Haunts

#PER CHI AMA: Shoegaze/Alternative, This Empty Flow
Gli statunitensi Bound aprono 'Haunts', loro opera seconda, con "The Bellows", in cui i tinnuli di cristallo cullano il bipolarismo dei suoi suoni. Un’esplosione di vetri che si adorna di lentezza in uno shoegaze dalle tinte alternative. Un arcobaleno prismatico che toglie il fiato al corpo della song per trovare insistentemente il suo tesoro prima, durante e dopo la sua corsa cinematica. Qui conta la scoperta. Una sonorità accesa che ritroveremo anche nella terza ondivaga "The Divide". Il suono che spazia tra paradiso e inferno. Con "The Ward" invece spezzettiamo il tempo in coriandoli sonori. Una polvere che muove l’aria prima di essere aria stessa. Una carezza, malinconica. Con "The Field of Stones" restituisco il passato in questo presente soffuso. Laconiche le sonorità. Ispirati i passi tra le rocce ed il climax ascendente della musica che imprigiona, sposta, asseconda, rapisce con le sue ipnotiche note di synth. Un viaggio da fare e fare ancora. Se non avete mai fatto un passo nel bosco stregato, se non siete stati mai temerari nella casa maledetta, beh venite con me, il tutto potrebbe suonarvi inquietante quasi quanto il video della successiva "The Last Time We Were All Together". "The Lot" suona come il giusto preludio incantato, spezzato dalla circostanza della chitarra, ammantato dall'eterea voce del vocalist ed ancora forte dell’energia che la band manda in etere. Andiamo avanti, abbracciando l’intensità soffusa che spazza l’estetica in “The Small Things Forgotten”. Il brano apre leggero carezzevole con un arpeggio di chitarra, che presto si trasforma in una nuvola di suoni scomposti, irrequieti, carnali, alla fine quasi infernali. Una bolla in cui il pensiero lento e la rabbia veloce possono scambiarsi pensieri, dinamiche, musica, chitarre benedette e maledette. Non abbiamo ancora toccato il fondo perchè vanno on air gli sperimentalismi dream pop di “The Lines”. Il fondo è superficie perché con la musica le prospettive sono aberrazione. Tuttavia, con la musica i cori ci portano a volare. Ma è forse la traccia che vola o siamo noi a volare? Sentite il brano che spezza con un suono metallico ritmato in 2/4. Sentite le anime che urlano a vanno su ad ascendere. Ascoltare e basta. Mi spacca questa song e mi ricompone le fiaccole dell’anima. L’epilogo di 'Haunts' si racconta con la conclusiva "The Known Elsewhere" ed un sound ripetuto, voce facile per uno shoegaze dalle venature post rock. Un graffio che evoca le melodie dei finlandesi This Empty Flow. Avrei forse preferito un epilogo psichedelico quanto l’esordio, ma l’album si congeda con un volto già visto, una sagoma nell’ombra, un disco che ci dice che andare d’istinto è molto più pregiato che farsi trasportare. (Silvia Comencini)

(Jetsam-Flotsam/Diehard Skeleton Records - 2020)
Voto: 70

https://boundlives.bandcamp.com/album/haunts

lunedì 29 marzo 2021

Månegarm - Vargaresa - The Beginning

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Viking
'Vargaresa - The Beginning' è una compilation uscita nel 2004 che raccoglie i primi due demo dei Månegarm, datati 1996 e 1997. Si tratta dei lavori 'Vargaresa' e 'Ur Nattvindar' che raccolgono le prime nove tracce elaborate dai nostri eroi vichinghi, completamente rimasterizzate e con un nuovo artwork curato dal famoso artista belga Kris Verwimp (Absu, Marduk, Immortal, giusto per citarne qualcuno). Lo stile di questa raccolta si discosta abbastanza dagli standard epico-vichingo della band, presentando infatti un approccio più black metal oriented, rude e selvaggio. Solo in forma più embrionale è presente quel viking metal, diventato poi trademark del quartetto scandinavo. Solo fugaci sono le epiche melodie che caratterizzano questo cd, che colpisce più che altro per la maligna ferocia che trasuda da ogni sua nota, piuttosto che per le partiture viking-folk tanto care nei vari 'Dodsfard' e 'Havets Vargar'. L’album presenta in un paio di occasioni, un ispiratissimo violino, che riesce a conferire a tutto il lavoro, un senso di desolante malinconia. Le vocals sono buone, anche se un po’ grezze. Scarseggiano però quei coretti in grado di proiettarmi agli albori di quella gloriosa civiltà, ahimè scomparsa. Tra i due demo, sicuramente 'Ur Nattvindar' è il migliore, dove oltre al violino e a breaks di chitarra acustica, fanno capolino addirittura delle vocals femminili ed un flebile accenno di tastiere, elementi comunque lontani anni luce dalle ultime cose dei master scandinavi. Se siete degli amanti della band, ma solo se siete amanti, sicuramente non dovrete farvi mancare questo lavoro nella vostra collezione, album che segna l’esordio discografico dei Månegarm, altrimenti vi suggerisco di lasciar perdere e magari approcciarvi ai loro ultimi episodi. (Francesco Scarci)

(Displeased Records - 2004)
Voto: 65

https://www.facebook.com/Manegarmsweden/