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domenica 26 luglio 2020

Derhead - Irrational I

#PER CHI AMA: Black/Dark, ...And Oceans
È uscito giusto un paio di giorni fa 'Irrational I', il nuovo EP dei liguri Derhead. Li avevo recensiti nel 2017, in occasione del loro precedente lavoro, 'Via', ora il comeback discografico della one man band capitanata da Giorgio Barroccu, vede il sound del mastermind italico proseguire sulle coordinate di quel lavoro, ossia ritmiche dissonanti sparate alla velocità della luce con i vocalizzi distorti del frontman a poggiarvisi sopra. Fortunatamente, non sono solo colate di selvaggia brutalità a farla da padrona, visto che la lunga opener, "The End for Now", vede l'esplorazione di territori più avanguardistici e giusto un filo più distanti da quel black cascadiano che avevo descritto in precedenza. Diciamo che la proposta dei Derhead si è fatta più complessa, incorporando elementi provenienti anche dal doom (soprattutto in occasione della seconda "Corpses of Desire") e dall'industrial, pur mantenendo la matrice di fondo black, coadiuvata però da buone linee melodiche che attutiscono la furia di quel marasma sonoro che tenderebbe a prevaricare. La già citata "Corpse of Desire" è ancor più interessante proprio per quella sua capacità di fondere ancestrali atmosfere dark/doom nella prima parte del brano con l'irruenza del black metal e anche certi sperimentalismi a livello solistico che aumentano la componente "personalità" di parecchio e che vedono francamente una mia grande e gradita approvazione. Ecco, se la nuova direzione stilistica intrapresa dai Derhead fosse questa, beh ne sarei francamente soddisfatto, perchè ancora con piccoli accorgimenti che non ne snaturino il sound, credo che ne potremo sentire delle belle nel tanto atteso full length d'esordio. (Francesco Scarci)

(Brucia Records - 2020)
Voto: 72

https://derhead.bandcamp.com/album/irrational-i

Violent Magic Orchestra - Principle of Light Speed Invariance

#PER CHI AMA: Electro Black/Techno/EBM, Hocico
La musica dovrebbe essere evocativa e simbiotica dell'attuale clima sociale. Ecco come si presentano i giapponesi Violent Magic Orchestra, che altro non sono che alcuni membri dei Vampillia, la cantante Zastar e Kezzardrix, con alcuni precedenti componenti della band, Pete Swanson (ex Yellow Swans) ed Extreme Precautions (Mondkopf). La proposta del collettivo di Osaka non può che proporre inevitabilmente musica folle che parte dalla techno music della opening track "You Are Hate", su cui piazzarci giustamente black metal e industrial. Scelta scellerata per i più ma ascrivibile a pura genialità per il sottoscritto, visto che alla fine mi fa apprezzare anche la techno, con i vocalizzi in scream, il tutto a ricordare i messicani Hocico. Si procede sugli stessi stilemi anche con la debordante seconda traccia, "Massive Aggressive", meno di due minuti di techno-industrial, noise, grind e quant'altro di folle ci si possa inventare. Ma d'altro canto da musicisti di questo tipo, era lecito aspettarsi solamente delirio musicale, mitigato in conclusione dalla poetica sintetica di "New World Ballad", una ballata dance su cui impiantare i vocalizzi disperati black della frontwoman. Se non avevo per nulla apprezzato la violenza caustica del precedente 'Catastrophic Anonymous', con questo nuovo EP, mi apro al nuovo mondo targato VMO.

(Never Sleep - 2020)
Voto: 74

https://violentmagicorchestra.bandcamp.com/

Bait - Revelation of the Pure

#PER CHI AMA: Black/Doom/Hardcore, Converge, Neurosis
Prosegue il trend esterofilo della Les Acteurs de l'Ombre Productions che questa volta va a pescare la sua nuova creatura in Germania. Signori, vi presento i Bait e il loro terzo lavoro (due EP in precedenza) intitolato 'Revelation of the Pure'. La proposta dei nostri (che vede la presenza di un membro dei Der Weg Einer Freiheit tra le proprie fila) combina in modo inequivocabile il black metal con l'intemperanza dell'hardcore. Questo almeno quanto si intuisce quando a decollare nei nostri stereo è "Nothing is Sacred", una centrifuga sonora velenosa che in poco più di tre minuti, palesa la mostruosità della proposta sonora dei teutonici attraverso sfuriate black e divagazioni hardcore appunto. Con la successiva “Leviathan III” ad entrare in scena in questo macello sonoro, ci sono addirittura rallentamenti doomish che arricchiscono ulteriormente l'ammasso sonoro che ritroviamo in questo lavoro. Il disco si muove in modo totalmente irrequieto, tra accelerazioni post-black, fantastica quella di "Into Misery" a tal proposito, e tirate di freno a mano, come accade nella stessa. Questi i punti di forza del terzetto di Würzburg che rivela le abili doti dei tre musicisti, e allo stesso tempo la loro incazzatura con il mondo. È lo screaming ferale del frontman a dircelo cosi come le ritmiche al fulmicotone sparate nell'acidissima "Lightbringer", una song a dir poco incendiaria, visto l'utilizzo spasmodico dei blast-beat su linee di chitarra lanciate a tutta velocità. Più lenta e melodica "Ruin", il pezzo relativamente più tranquillo del lotto ma anche quello venato di una forte dose di malinconia, che lo erige a mio preferito dell'album, soprattutto a fronte di quel fumoso break centrale, con il famigerato tremolo picking a prendersi tutta la scena. Anche "Odium" pare avere un approccio similare a "Ruin" con quel suo incipit compassato, malinconico e che sembra costituire la classica quiete prima della tempesta, e cosi sia. Infatti, la violenza irrompe a gamba tesa con un rullo compressore di chitarre e ferali screaming vocals. La title track invece è più melmosa nel suo incedere, strizzando l'occhiolino ad uno sludgecore comunque intriso di black ma anche di prog. Nulla di cosi semplice da digerire sia chiaro, però certo non un sound che appare cosi scontato. Con "Forlorn Souls" si torna sulla retta via della violenza roboante fatta di chitarre e urlacci disperati, ma anche di tremolii atmosferici di chitarra. Ancora una manciata di pezzi mancano a rapporto: "Eternal Sleep" si apre con un giro di basso mefistofelico e un approccio apparentemente più orchestrale che divamperà ben presto in un torrente dapprima furioso e poi placidamente intrappolato nelle sabbie mobili di uno sludge doom davvero claustrofobico. In chiusura, ecco "In Aversion", una song che in poco più di quattro minuti, ci prende prima a bastonate, poi ci coccola, e poi ci dà il definitivo colpo di grazia con una mattanza di suoni devastanti che chiamano in causa, in ordine casuale, Converge, Neurosis e Celeste. Non sarà certo una passeggiata affrontare questo 'Revelation of the Pure', ma vi garantisco che i contenuti non vi lasceranno certo insoddisfatti. (Francesco Scarci)

Shadows Land - Terminus Ante Quem

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Morbid Angel, Korova
L'Osmose Productions, nonostante i suoi esordi brillanti è andata scemando nella sua politica qualitativa, proponendo gli Shadows Land, un’uscita alquanto fallimentare che prova in ogni modo a conquistare l’ascoltatore ma che alla fine arranca e non fa altro che confermare il non brillante stato di grazie di una label che anni fa poteva invece vantare nel suo rooster band come Impaled Nazarene, Enslaved, Pan.thy.mo.nium e ABSU, mentre ora si deve accontentare di gruppi minori, molto spesso mediocri. I polacchi Shadows Land confermano la politica maldestra e poco oculata dell’etichetta francese, nonostante nei 30 minuti a loro disposizione cerchino di mescolare un po’ le carte in tavola, proponendo un sound dalle forti tinte brutal death, ma estremamente contaminato da altre influenze disturbanti (sympho-industrial-electro-noise) che alla fine provano in tutti i modi di salvare il salvabile. Il risultato può essere alla fine anche intrigante, se solo si riuscisse a capire il filo logico instaurato dai nostri, fuori da schemi ben definiti. Mi sarebbe piaciuto avere un riscontro futuro e risentirli per vedere se il calderone d’idee che avevano in testa questi loschi figuri potesse concretamente prendere forma e imboccare una strada un po’ meno offuscata, ma come spesso accade in questi casi, la band è scomparsa dai radar subito dopo l'uscita di questo 'Terminus Ante Quem'. (Francesco Scarci)

(Osmose Productions - 2006)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Shadows-Land-176613695741013/

Shadows Fall - Fallout From the War

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Metalcore, As I Lay Dying
Definiti in passato come uno dei gruppi più promettenti della scena thrash americana, pur non proponendo nulla di originale, gli Shadows Fall da sempre riescono a confezionare album meritevoli di attenzione. Quello di oggi è in realtà una compilation del 2006, ricca di contenuti interessanti (B-sides, rarità e cover), in grado di generare nei fan un headbanging frenetico. La nomination ai Grammy del 2005, l’apparizione all’Ozz Fest e ad altri numerosi festival europei, ben 250.000 copie vendute di 'The War Within' solo in Nord America e l’aver scalato le charts americane (debutto nella US-Billboard addirittura al 20° posto), hanno poi consacrato gli Shadows Fall a band di grande caratura nel panorama metal, nonostante la giovane età, ma ai posteri l’ardua sentenza. 'Fallout From the War' è un lavoro aggressivo, capace di far del male all’ascoltatore, ricco di un’ampia varietà di stili che passano con estrema disinvoltura dal thrash anni ’80 al metalcore, sconfinando talvolta in territori hardcore, emo, death ed alternative. Non so se questo possa essere considerato l’album della svolta per il combo statunitense, però devo ammettere che non è niente male anche per chi come me, non ha mai amato l'ensemble USA. Le caratteristiche dei due precedenti lavori si ritrovano e fondono tutte insieme: il sound è come sempre carico di rabbia, con ritmiche aggressive, vocals pulite e altre incazzate, assoli piacevoli anche se non proprio eccelsi dal punto di vista tecnico-compositivo. Il platter comunque si dimostra di esser ricco di sfumature degne della vostra attenzione, questo è un album che merita sicuramente un vostro ascolto. Da segnalare infine, la strana decisione di inserire alcune cover di Only Living Witness, Leeway e Dangerous Toys in coda all’album, un paio delle quali si sono rivelate ahimé abbastanza debolucce. Comunque sia, ”Rock’n Roll or die”!!! (Francesco Scarci)

(Century Media - 2006)
Voto: 72

https://www.facebook.com/shadowsfall

mercoledì 22 luglio 2020

Grave Circles - Tome II

#PER CHI AMA: Black/Death
Avevo già parlato dell'apertura della Les Acteurs de l'Ombre Productions a entità musicali al di fuori dei confini transalpini in occasione dell'uscita degli svizzeri Borgne. Era già successo anche con poche altre eccezioni, i baschi Numen, i cileni Decem Maleficium e i lituani Au-Dessus. Ora l'etichetta di Champtoceaux, si rifà avanti con gli ucraini Grave Circles e il loro debut su lunga distanza, 'Tome II'. Il disco, uscito in digitale sul finire del 2019, ha catturato l'attenzione della label francese grazie ad un sound misantropico e glaciale che irrompe con la ferocia incontrollata di "Both of Me", una traccia che sembra avere la stessa violenza di una grandinata in piena estate con i chicchi di grandine della dimensione di un'arancia. Questa la sensazione infatti durante l'ascolto dell'opening track che si abbatte con furia black abominevole, fatta di una tempesta di chitarre e blast-beat di batteria, con il basso a tracciare un selciato in sottofondo di un certo spessore e le harsh vocals di Baal (il batterista dei Peste Noir) a digrignare i denti, sbarrare gli occhi e urlare a squarciagola. Ecco in sommi capi delineato il profilo musicale della band originaria di Vinnytsia, che trova tuttavia il modo di piazzar dentro al brano anche intermezzi mid-tempo, un malinconico frangente in tremolo-picking e una musicalità, nei momenti più ragionati, che chiama in causa i connazionali White Ward. Obiettivo centrato almeno per il sottoscritto, a maggior ragione quando l'incipit di "Predominance" si mostra cosi evocativo, prima di esplodere in un ferale attacco black che non concede nemmeno un secondo di respiro, almeno fino a quando un altro oscuro break acustico allenta la tensione si qui a dir poco dilagante. Sul finire del brano, fa capolino anche una voce pulita ad affiancarsi a quella demoniaca del vocalist, mentre le chitarre sciorinano riff di importazione dal classico heavy metal. Un cerimoniale liturgico sembra aprire "Faith That Fades", ma non mi faccio più ingannare dalla calma apparente dei primi attimi. Mi metto il casco e mi scaglio subito dopo a tutta velocità ad affiancare il sound qui disarmonico del quartetto ucraino, che evoca un mix tra Mgła e Deathspell Omega. Immancabile anche qui l'intermezzo soft ambient, quasi la regola su cui poggia l'architettura complessa di questo 'Tome II'. "Thy Light Returneth" ha un che invece del black svedese di Unanimated e Sarcasm, con quelle linee di chitarra tanto taglienti ma allo stesso tempo assai melodiche. Anche la traccia sembra molto più riflessiva nella sua progressione rispetto ai pezzi ascoltati sin qui, soprattutto è apprezzabile il lavoro alle chitarre, qui più ispirate che mai. Il che si conferma anche nella successiva ed epica "When Birthgivers Recognize the Atrocity", che sembra darci modo di godere della band quasi da una angolazione completamente diversa, pur mantenendo intatta quella furia che contraddistingue il sound della band, ma in questo brano c'è cosi tanta carne al fuoco che si rischia di venir triturati dai repentini cambi di tempo manipolati dai nostri. "The Unspoken Curse" e "Abstract Life, Abstract Death" sono gli ultimi due pezzi di un disco alquanto interessante: il primo dall'apertura atmosferica che evolverà ben presto in una ritmica dal mood punkeggiante, ma solo per una frazione di secondi, vista l'imprevedibilità della compagine est europea. La seconda è l'ultimo atto di un disco ad alto potenziale pirotecnico: devastante quanto basta, ha ancora modo di offrire qualche residua trovata musicale (un approccio più orchestrale ad esempio nell'utilizzo degli archi) che eleverà sicuramente l'interesse dei fan per questa release a cui manca davvero poco per elevarla dalla massa di band black death che pullulano la scena. Con un pizzico di personalità (e originalità) in più, sono certo che permetterà ai Grave Circles di avere una elevata risonanza nel mondo dell'estremismo sonoro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 74

https://ladlo.bandcamp.com/album/tome-ii

Ohhms - Close

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge, Pallbearer, Baroness
Gli inglesi Ohhms con il loro ultimo lavoro 'Close' si propongono come una delle band post-metal più attive e convincenti del Regno Unito, paese in cui il movimento sembra aver faticato più che altrove ad affermarsi (si ricordino le esperienze di Fall of Efrafa, Light Bearer, Bossk e Latitudes, questi ultimi gli unici in grado di dare continuità al progetto e ad ottenere una certa visibilità).

La musica del quintetto originario della contea del Kent, giunto alla quarta release ufficiale, risulta tuttavia più trasversale, fondendo influenze della tradizione sludge\doom britannica con elementi post-rock e progressive rock, dando vita ad una creatura ibrida che negli ultimi sei anni è andata in cerca della propria identità. Con 'Close' gli Ohhms giungono alla fase della maturità artistica, confezionando un lavoro lontano dagli stereotipi e al tempo stesso piuttosto accessibile.

L’opening “Alive!” parte in sordina, immergendoci nelle atmosfere sognanti dipinte dalle chitarre arpeggiate, prima di adombrarsi e crescere di intensità come un temporale estivo, tra grandinate di percussioni, basse frequenze a pioggia e l’energia sprigionata dal cantante Paul Waller. Alle sfuriate sludge\doom di “Alive!” e “Revenge” fanno da contraltare le più elaborate progressioni di “Destroyer” e “Unplugged”, brani in cui la furia strumentale si sposa con una pronunciata vena melodica, richiamando alla memoria alcune composizioni degli ultimi The Ocean. Le atmosfere crepuscolari e quasi shoegaze di “((Flaming Youth))” e “((Strange Ways))”, intermezzi ben inseriti nel contesto dell’album, sembrano ben più che semplici cerniere tra un pezzo e l’altro, offrendo all’ascoltatore momenti di raccoglimento e riflessione.

Complice l’apprezzabile scelta di un minutaggio contenuto, gli Ohhms riescono ad amalgamare stili e spunti differenti in modo naturale ed efficace, rendendo 'Close' sufficientemente variegato da risaltare in mezzo ad una scena ormai molto affollata, mantenendo però una struttura coesa e priva di passaggi forzati. Forse non tutte le idee proposte vengono valorizzate a dovere, ma si tratta sicuramente di un deciso passo verso future uscite forse più ambiziose. (Shadowsofthesun)

(Holy Roar Records - 2020)
Voto: 75

https://ohhms.bandcamp.com/album/close

The Mills - Cerise

#PER CHI AMA: Alternative Garage Rock, The Strokes
Pronti partenza via. Tempo un annetto di rodaggio motori e i The Mills, formatisi appunto nel 2019, sono già pronti per entrare in studio di registrazione con il loro primo album, sotto l'egida della Overdub Recordings. Morris e soci non si sono lasciati scoraggiare dal lockdown e hanno dato alle stampe 'Cerise', distribuito a partire da fine aprile sulle piattaforme digitali. Sette i brani usciti dalla penna del founder e arrangiati con l’apporto di Augusto Dalle Aste (basso, contrabbasso) e Giovanni Caruso (chitarra solista). Sette tracce che hanno molto l’aspetto di un super-tributo a certi grandi nomi del passato, lampanti ispirazioni per il suond dell’attualmente-quartetto vicentino (che, senza perdere tempo, si sta già dando da fare con una serie di live). D’altro canto, il vocalist e fondatore del progetto lo afferma chiaramente, come con questo disco gli sia “servito rielaborare il passato per meglio concepire il presente”. Le influenze dei nostri sono decisamente british, dal garage al punk londinese dei The Clash, irrorati a pioggia con brit-pop e ritornelli squisitamente beatlesiani, più o meno evidenti. Già con “Invain”, il brano d’apertura, si sente attingere a piene mani da questi generi, chiamando in causa da Graham Coxon ai Blur passando dagli Oasis. Pochi orpelli di forma o struttura: le note scorrono fluenti e con ruvida decisione. E così anche in una “Camden Town”, dal titolo decisamente simbolico, ci si lascia avvinghiare da rapide schitarrate e cori d’oltreoceano, in stile The Strokes / Ramones. “I Barely Exist” invece sa molto di richiamo alla “Californication” della West Coast, con i suoi costanti fraseggi di basso, di cui Flea potrebbe essere orgoglioso, tolta la ritmica più lineare. Molti spunti che fra loro possono sembrare anche abbastanza disparati, ma che inevitabilmente ci riconducono ad una casa base. 'Cerise' sembra suonare appunto come un nostalgico capitolo, più che una reale evoluzione fondata su solide radici. Grinta e mordente che probabilmente si sposano bene con l’immediatezza ricercata dal progetto, ma si sente la mancanza di qualche spunto o idea che potrebbero essere metabolizzati in modo efficiente. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Overdub Recordings - 2020)
Voto: 66

https://www.facebook.com/The_Mills-357560558192782/

Sadist - Above the Light

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Prog Death, Atheist, Cynic
Uno dei dischi fondamentali della scena metal italiana, in grado di aver tracciato un sentiero per la musica estrema del futuro. I Sadist hanno rappresentato per l'Italia (e per l'Europa insieme ai Pestilence) ciò che per gli USA sono stati Cynic e Atheist, grazie al loro sound originalissimo, di grande qualità e tecnica sopraffina. 'Above the Light' è un lavoro contraddistinto dalle stratosferiche atmosfere create dal chitarrista/tastierista Tommy (un supereroe anche dal vivo). Il disco poi, è un alternarsi di sfuriate death, frammenti malinconici (splendida a tal proposito "Breathin' Cancer"), stacchi acustici da brividi ("Enslaver of Lies"), cambi di tempo da urlo, monumentali e ultratecnici riffs di chitarra, spettacolari keys (la strumentale "Sadist") e vocals corrosive, a cura del buon vecchio Andy. Questo è un lavoro senza tempo, anche per quei suoi forti richiami alle atmosfere da film horror, anni ’70, con due pezzi poi, "Sometimes They Can Back" e "Desert Divinities", davvero da DIECI. Eterno! (Francesco Scarci)