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domenica 14 giugno 2020

Exgenesis - Solve Et Coagula

#PER CHI AMA: Death/Black/Doom, primi Katatonia, primi Opeth
Tornano gli Exgenesis con un album nuovo di zecca rilasciato dalla Rain Without End Records che, come evocato dal moniker della label (era il nome del primo album degli October Tide), farà la gioia di tutti gli amanti del death doom, compreso il sottoscritto. La band del trio internazionale formato da Jari Lindholm (Enshine), Alejandro Lotero (Antithesis) e Christian Netzell (Vholdghast), ha otto nuovi avvincenti pezzi da proporci in questo 'Solve et Coagula', che irrompono dall'oscurità delle viscere di "Hollowness" e tornano a richiudersi nella conclusiva "Stasis". Ammetto che attendevo con un certo interesse il come back discografico dei nostri, dopo le ottime cose ascoltate nell'EP d'esordio del 2015, 'Aphotic Veil', anno in cui si persero immediatamente le tracce del terzetto. Dopo vari rumors su un potenziale ritorno della band sulle scene, ecco i nostri debuttare finalmente sulla lunga distanza e il risultato non poteva che confermare i miei sentori di ormai un lustro passato. La già citata opener "Hollowness" ha l'arduo e immediato compito di conquistarsi la nostra fiducia, non la tradirà in effetti. Si perchè nel loro catacombale sound ci si sguazza davvero bene, complici le ottime e avvolgenti melodie e i suoi vocalizzi che, tra growl e scream, ci stanno alla grande in questa architettura musicale. Non solo death doom a tinte funerarie comunque, vista l'improvvisa accelerazione sul finale che ammicca non poco al black. Ma diciamo che la compagine si muove meglio nei territori più lenti e malinconici, come certificato dalla seconda straziante "Embers", un brano che richiama un che degli Shining ma anche dei Katatonia di 'Brave Murder Day', e non solo per il già menzionato dualismo vocale, ma anche per una serie di chitarre che dipingono pregevoli e decadenti linee melodiche. La proposta dei nostri a me intriga parecchio, pur sottolineando che non siamo di fronte a nulla di originale o mai sentito. Tuttavia, quanto propagato dalle disperate melodie degli Exgenesis non potrà non avvalorare la mia idea di trovarsi di fronte ad un combo che è cresciuto a base di pane, "Brave" e "Murder". Basterà ascoltare "Where the Hope Ends" per averne la prova provata. Ma se vi servono altri elementi per constatare di persone le influenze di Blackeim e compagni, potreste proseguire con un attento ascolto di "Truth" e lasciarvi avvinghiare dalle drammatiche melodie in essa contenute. Qui a livello ritmico ci sento anche un che dei primi Opeth, a testimoniare comunque l'ampio ventaglio di influenze che si celano, neppure troppo, nei solchi di questo 'Solve et Coagula'. "Solve" è un piacevolissimo breve pezzo strumentale che ci conduce alla successiva "Coagula", la traccia più lunga del lotto e dove ancora gli echi dei mostri sacri Opeth e Katatonia, si fondono in un pezzo costituito da ariose ritmiche e parti atmosferiche, con il growling di Alejando sempre in primo piano (qui anche in versione sussurrata), contrappuntato in chiusura anche da un interessante assolo che dà maggior enfasi al risultato finale (su cui punterei peraltro maggiormente in futuro). "Intracosmos" e "Stasis" sono gli ultimi due episodi di un lavoro che se ben supportato, avrà il merito di rallegrare, se cosi si può dire, chi è rimasto al palo o si è sentito tradito dopo le prime due prove dei Katatonia e la loro sterzata verso suoni più alternative. E io rimango uno di quei nostalgici che ancora rimpiange quelle strazianti melodie e che ha trovato negli Exgenesis un ottimo surrogato. (Francesco Scarci)

Chat Pile - Remove Your Skin Please

#PER CHI AMA: Noise/Sludge, The Jesus Lizard
I Chat Pile è una band originaria di Oklahoma City che lo scorso anno se n'è uscita con due EP, di cui questo 'Remove Your Skin Please' è il secondo rilasciato sul finire dell'anno. Quattro pezzi all'insegna di un noise sludge con qualche venatura psych e grunge. Ascoltando l'opener "Dallas Beltway" penserei ad una versione più violenta dei The Doors, con la voce del frontman a blaterare come se fosse un novello Jim Morrison e la musica in sottofondo a mostrare un certo disagio interirore nel suo disarmante incedere, cosi sporco ed infimo, dotato però di una forte carica grooveggiante che alla fine me la fa adorare, ricordandomi un che dei The Jesus Lizard. L'inizio di "Mask" è ancor più coinvolgente, con quella sua vena post-punk che esce preponderante e le vocals sempre lamentose, a tratti parlate, comunque intrise di una elevata dose alcolica che le portano a sbraitare il loro disappunto con un fare grunge (mi sono venuti in mente anche i primissimi Nirvana) ma sul finire sfociano addirittura in un growling death metal. "Davis" è il terzo brano e sapete che potrebbe stare su un disco degli Ulcerate per quella sua ferocia sbilenca che non lo fa etichettare come death metal puramente per i vocalizzi puliti e urlati del cantante che ad un certo punto sembra addirittura dire "fottetevi". La canzone è comunque singolare tra parti psych noise e devastanti deragliamenti a livello ritmico che la spingono alle soglie del death metal. Peculiari e intriganti. La conclusiva "Garbage Man" è l'ultimo delirante episodio di un mini album che non è facilmente collocabile in un contenitore preciso. Qui infatti ci potrete sentire un mix tra hardcore, punk e sludge, il tutto cantato da un vocalist ormai alcolizzato. Sarebbe interessante ora saggiarli su un terreno più scivoloso, quello del full length, vediamo se sapranno accontentarci. (Francesco Scarci)

Firienholt - Beside the Roaring Sea

#PER CHI AMA: Black Epic, Summoning
Della serie "piccoli Summoning crescono", ecco che dalla contea del West Yorkshire arrivano questi Firienholt per un EP di due pezzi che ci racconta un po' di più di questa misteriosa band britannica al suo secondo lavoro. L'opener di 'Beside the Roaring Sea' è affidata alla lunga "The Haven Grey" e alle storie sugli elfi e a quell'universo immaginario creato da J.R.R. Tolkien ne 'Il Signore degli Anelli'. Il sound offerto dalla band di Leeds è all'insegna di un black epico ed atmosferico con tocchi di dungeon synth che ne garantiscono una magica riuscita. Buone le linee di chitarra, i break corali (uno in particolare all'ottavo minuto) che ci colloca immaginariamente al crocevia tra i due fiumi Celebrant e Anduin nella foresta di Lórien mentre si consuma un qualche rituale elfico. Buoni i vocalizzi del frontman inglese, abile sia con un growl molto intelligibile ma anche con insperate cleaning vocals. La seconda traccia è invece all'insegna del dungeon synth più puro, solo tastiere a narrare storie fantastiche di strane e magiche creature soprannaturali, un tempo parte preponderante delle credenze popolari dei popoli germanici. Dopo due EP, direi che ora è arrivato il momento di svelarsi al pubblico con qualcosa di più sostanzioso, che ve ne pare? (Francesco Scarci)

giovedì 11 giugno 2020

Brzask - S/t

#PER CHI AMA: Death/Black
Dall'area dei Sudeti, la catena montuosa che separa Germania, Polonia e Repubblica Ceca, arriva questa new sensation polacca, i Brzask, fautori di un death black che essi stessi definisco Sudetian Black Metal. Ecco, giusto per essere subito tranchant, mi viene da dire che quello proposto dal combo polacco (di cui non mi è dato di sapere nome e numero dei membri) in questo loro demo, è un death black come ce ne sono mille altri in giro. Quello che può sorprendere è semmai la presenza di break atmosferico in "Brzask I (White Ravine)", che va ad interrompere il mid-tempo fin qui proposto e al tempo stesso funge da miccia a un finale incendiario davvero convincente. Devo ammettere che poi in sottofondo sembrano palesarsi suoni derivanti dal folklore est europeo che a questo punto avrei enfatizzato maggiormente per dare un pizzico di personalità in più al sound dei nostri che anche nella seconda traccia, "Brzask II (Wind Incantation)" si confermano ascoltabili pur non incantando con nulla di innovativo. Se dovessi pensare ad un qualche paragone penserei ad un mix ancora abbastanza acerbo, sia chiaro, tra Nokturnal Mortum e Graveland. Insomma di strada ce n'è ancora parecchio da fare, ma le premesse potrebbero essere anche più che discrete, vista la presenza anche nell'ultima "Brzask III (Crimson Dawn Ritual)", di un incipit dotato di una vena misticheggiante, in un brano comunque dalle buone linee melodiche che ben si adattano alla rugosa voce del frontman polacco. Un interessante tocco atmosferico nella sua seconda metà, decisamente più ispirata, ne completano il quadro. Alla fine 'Brzask' è un biglietto da visita che rischia di non passare del tutto inosservato, cosi forse più di un paio di ascolti, mi verrebbe da dire, se li merita anche, non fosse altro per saperne di più di queste folkloriche leggende sudete. (Francesco Scarci)

martedì 9 giugno 2020

Diablerets - II: Scarborough

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Non sono proprio un grande fan dei Diablerets e credo l'abbia inteso anche il mio interlocutore che mi ha inviato la loro ultima fatica, dicendomi "dagli un ascolto ma non è proprio necessario che tu lo recensisca". Credo che tema un altro giudizio caustico da parte del sottoscritto dopo aver bistrattato il 7" del 2015 e non aver certo avuto parole al miele per il loro atto I del 2014. Il duo elvetico torna con le stralunate atmosfere di 'II: Scarborough' e le conusuete demoniache presenze si palesano già dall'opener "Scarborough", ossia una località turistica della contea del North Yorkshire sulla costa est inglese che deve aver particolarmente ispirato il duo svizzero (visto che qui hanno anche registrato l'album). La proposta è nuovamente all'insegna del drone più minimalista e durante il suo ascolto solo gli incubi più reconditi potranno affiorare dalle vostre distorte menti. Se non sapessi che il disco è uscito nel 2019, avrei immaginato che fosse stato concepito nel periodo di lockdown e che tutti i pensieri più insani fossero stati partoriti dalle menti alterate di Liönhell e AsC13 durante la loro reclusione forzata. I quasi 13 minuti di "Ravenscar" (altra località inglese) sono quanto di più proibitivo io sia stato in grado di affrontare in vita con il morboso dronico incedere dei nostri che viene invaso da uno spaventoso rituale con tanto di voci raccapriccianti in sottofondo, sebbene ci sia una parvenza di musicalità in background rilasciata da un malefico organo. Poi solo suoni del mare forse registrati proprio sul litorale britannico a chiudere il pezzo. "Devil's Dyke" fortunatamente dura un po' meno sebbene il risultato non cambi poi molto, fatto salvo per l'apocalittica presenza al microfono di R.M. degli Urna. Sono comunque suoni solo per menti stabili, io che stabile non lo sono, ho rischiato di finire pazzo e schiacciato dalla delirante componente sonica di questi artisti strampalati. "Coffinswell" e "Leatherhead" sono gli ultimi due oscuri episodi di questa dannata e mortifera release, il cui target francamente, si mantiene relegato ad un ristrettissimo numero di fan, che ancora una volta, non include il sottoscritto. Malvagi. (Francesco Scarci)

domenica 7 giugno 2020

Neumatic Parlo - All Purpose Slicer

#PER CHI AMA: Indie Rock, Radiohead
Il debutto su Unique Records dei tedeschi Neumatic Parlo, avviene sotto forma di EP. Un assaggio breve, composto da quattro brani dal tono ispirato e una verve indie di curata matrice anglosassone. La piccola compilation è figlia delle intuizioni elettroniche in ambito rock dei Radiohead, quelli della seconda fase di carriera, e di suggestioni più recenti della scena indie attuale, pescate nella musica alternativa internazionale, tra Block Party e Fontaines D.C.. Questi giovani nipotini dei Gang of Four (epoca 'Shrink Wrapped') provenienti da Düsseldorf, ripercorrono le vie ritmiche della new wave in chiave moderna, spingendo sui suoni sintetici di batteria e un sound etereo, cristallino. "Science Fiction Movie" è una canzone che spiazza per la splendida vena pop, con un cantato ed un'atmosfera che mi ricordano molto il genio di Matt Johnson con i suoi The The in una veste rimodernata e attualizzata, rivolta al pubblico giovanile del nostro tempo. Molto bella la tensione che si plasma su tutte le tracce a livello vocale, sicuramente degna e colma dell'ottimo insegnamento della scuola espressiva di Thom Yorke, mentre musicalmente, avrei spinto per un approccio più rock e meno elettronico come anima portante del lavoro. Comunque, al netto del mio personale parere, calcolando la volontà di emergere che pulsa in una giovane band e valutando quel tocco fruibile nelle tracce come un ulteriore trampolino di lancio voluto e ricercato, a mio avviso questo disco d'esordio, ascoltato in profondità, si rivela un buon lavoro, che lascia presagire ottimi prosegui per il futuro. Da segnalare, oltre alla notevole prestazione vocale, una sorta di sensazione che in lontananza ci sia un certo amore per le chitarre noise, una tensione costante e un'attitudine post punk che preme continuamente dietro l'angolo, lasciandomi immaginare eventuali sviluppi compositivi in ambito psichedelico/emozionale per un futuro di alto livello. In "Morning Metamophosis" si mescolano le due anime della band: una estremamente emotiva, che si palesa con una parte iniziale splendida, assai vicina alle atmosfere dei già citati Radiohead. La seconda, con quella sua evoluzione ritmica pulsante, diretta e sobria, mette in risalto il lato più punk della band teutonica, anche se qui l'ingresso di batteria e un arrangiamento non proprio all'altezza delle composizioni precedenti, mostrano il lato ancora acervo del combo teutonico. Nel complesso però, 'All Purpose Slicer' è un debutto ben confezionato che ci consegna una nuova band da tenere sotto osservazione per il prossimo futuro. (Bob Stoner)

Behemoth – A Forest EP

#PER CHI AMA: Black/Death
Che in seno ai Behemoth ci siano dei cambiamenti è chiaro da tempo: il black che si è poi evoluto in death metal è ancora in fase sperimentale, visto che la band di Nergal e compagni ha pensato bene di trovare il tempo per esprimere le proprie malefiche emozioni attraverso questo EP. 'A Forest' ovviamente tributa i The Cure e la loro immortale canzone datata ben 40 anni fa, e riproposta anche da altri act quali Carpathian Forest, Clan of Xymox e qualcun altro. L'ensemble polacco la promuove in una duplice versione, in studio e dal vivo, entrambe con il buon Niklas Kvarfoth (Shining) alla voce. Si parte con l'oscura e violenta versione in studio, in cui è il basso magnetico di Orion a fare da driver cosi come nell'originale, mentre i vocalizzi di Nergal si sovrappongono a quelli di Niklas in un dualismo vocale tra screaming e voci sofferenti, davvero incomparabile. Le chitarre fungono certo da ottimo arrangiamento non lesinando peraltro in robustezza da vendere. Il risultato alla fine è assai interessante, anche riproposta in sede live durante il Merry Christless a Varsavia e chiaramente molto apprezzata dal pubblico. Devo dire che riascoltandola, ho sentito un che dei primi My Dying Bride nel fuzz delle chitarre, per una versione dal vivo che spacca inevitabilmente i culi e che prova ad emanare un feeling affine a quello dell'originale. "Shadows Ov Ea Cast Upon Golgotha" è invece una song proveniente dai B-sides dell'ultimo 'I Loved You At Your Darkest'. Dotata di un forte piglio punk, in stile Motorhead, e di un drumming tribale mostruoso, la song mette in mostra un break centrale abbastanza interessante per quella sua linea melodica di chitarra, puro rock'n roll. A chiudere le danze ecco "Evoe", un black death fresco e corposo che ha modo di incorporare anche alcuni elementi heavy doom in una cavalcata senza confini, quelli che ormai i Behemoth hanno abbattuto da tempo per scoprire nuovi mondi ad essi affini. (Francesco Scarci)

(Metal Blade Records - 2020)
Voto: 74

https://www.facebook.com/behemoth

venerdì 5 giugno 2020

Insidual - Pure Hate

#PER CHI AMA: Djent/Deathcore
Il deathcore in US è diventato quasi un fenomeno sociale, ovunque le band suonano questo genere o suoi affini (metalcore, screamo, nu, etc). L'ultima band in cui mi sono imbattuto è rappresentata da questi Insidual, originari di Spokane nello stato di Washington, cosa alquanto inusuale visto che da quelle parti è invece il post (Cascadian) black a governare. Comunque 'Pure Hate' è un EP di tre pezzi che include anche il singolo uscito nel 2019, l'apripista "Shock Therapy". E il sound che si sente sin dalle prime battute è un deathcore fortemente ritmato, venato di influenze djent nella poliritmia delle sue chitarre e sporcato pure da una componente nu metal che per certi versi mi ha evocato un che degli Slipknot. La proposta è pertanto abbastanza corposa, con le solite chitarre decisamente ribassate, una voce growl che sembra quasi rappare, e il resto degli strumenti che donano ulteriore compattezza ai nostri. "Evisceration" continua su questa scia, con un sound disturbante, fatto di una sovrapposizione vocale psicotica, un riffing sincopato, un drumming rutilante, un'effettistica in background costantemente presente ed una serie di cambi di tempo e ritmo che sembra quasi di ascoltare tre canzoni differenti in una manciata di minuti, in cui compare anche il featuring di Sam Stickel. Molto interessante la conclusiva title track, vista la sua forte aura spettrale, e quei vocalizzi isterici che ben si amalgamano con una musica qui più ispirata che altrove, dotata sia di ottime atmosfere che di altrettante accelerazioni e frenate improvvise. Niente di nuovo sotto il sole alla fine con questa breve release degli statunitensi Insidual ancora legati ad alcuni stilemi del genere, ma vogliosi di imparare ed emergere. Sentiremo in futuro che cosa i nostri hanno imparato da questa prima esperienza. (Francesco Scarci)

giovedì 4 giugno 2020

Atheist - Unquestionable Presence

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Death
Atheist, Pestilence e Cynic sono stati uniti da un insolito triste destino: aver concepito degli album talmente fenomenali da essere stati compresi solamente da pochi individui. 'Unquestionable Presence' rappresenta il secondo lavoro della band statunitense, vero incrocio di sonorità death, progressive, techno e jazz. È un qualcosa che va ben oltre la normale concezione di death metal: è musica emozionante, suonata da musicisti tecnicamente mostruosi, in grado di emanare un feeling pazzesco anche in sede live. Il disco, che dura solo 32 minuti, è un fiume d’emozioni inarrestabile, caratterizzato da cambi di tempo repentini, aperture melodiche, frangenti spagnoleggianti, assoli da urlo, stacchi spaventosi di basso, atmosfere incredibili e quanto altro. L'assurda opener "Mother Man", la psicotica title track, l'iperbolica "Enthralled In Essence" o la superlativa "The Formative Years" rappresentano solo alcuni dei gioielli qui contenuti in grado di rendere questa release un must have per tutti gli amanti del death contaminato. Inarrivabili! (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 1991)
Voto: 95

https://www.facebook.com/AtheistBand/

Stellar Master Elite - Hologram Temple: Ominous

#PER CHI AMA: Black Death
EP nuovo di zecca per i tedeschi Stellar Master Elite che con questo 'Hologram Temple: Ominous' raggiungono il traguardo della quinta release (4 full length e appunto questo EP). Il quartetto di Treviri ci offre un trittico di canzoni che si mantengono nei paraggi di un death black sbilenco, contaminato da doom e suoni cibernetici. La conferma ci arriva infatti dall'opener "A New Galactic Empire", una song basata su un downtempo minimalista ed ipnotico, un black a rallentatore che sembra ripercorrere le orme primordiali del buon vecchio Conte Grishnackh (Burzum per gli amici) con echi dronici posti in sottofondo a rendere l'atmosfera decisamente più claustrofobica. Con "Mask" i giri del motore sembrano aumentare vorticosamente, con le vocals peraltro che passano dallo screaming aspro della opening track ad un growl più oscuro di questa seconda traccia. La song rimane tuttavia in bilico tra un death avanguardistico ed un black ipertirato, guidato stranamente dalle frustrate alla batteria e da una spettrale tastiera in background. La terza "Exposing the Lurking Threat of Layer X" è un brano strumentale (fatto salvo delle spoken words in chiusura) dall'approccio electro-cibernetico che riesce a donare un pizzico di interesse ad un'uscita che rischierebbe di passare ai più totalmente inosservata. (Francesco Scarci)

Ôros Kaù - Imperii Templum Aries

#PER CHI AMA: Black, Deathspell Omega, Aevangelist
Nemmeno Metal Archives mi ha saputo dire qualcosa di più di questo misterioso progetto chiamato Ôros Kaù. La band (stando alla pagina bandcamp sembrerebbe formata da un solo membro) arriva dal Belgio, ma a parte questo, altro non mi è dato sapere. Verosimilmente poi, 'Imperii Templum Aries' dovrebbe rappresentare l'album d'esordio per il mastermind belga, ma a parte tutte queste informazioni frammentate, credo sia meglio dedicarsi esclusivamente alla musica mortifera di questa band occulta. Quando "Zepar" irrompe a gamba tesa nel mio stereo, la sensazione che provo è di terrificante orrore, un'orgia di suoni e grida malvagie, un caos di black putrido ricco di riverberi e sonorità dissonanti che potrebbero ricordare per certi versi le alchimie infernali dei Deathspell Omega. Uno screaming efferato accompagnato da un growling possente alimentano le nefandezze sonore perpetrate in questa abominevole prima traccia che prosegue con l'assalto mortifero di "Shax". Non c'è troppo spazio per le melodie da queste parti, nemmeno per le sperimentazioni, a meno che non vogliamo considerare quest'impasto sonoro una sperimentazione fine a se stessa. La furia liberata dalla seconda traccia trova nella narrazione canora del suo infausto portavoce, un elemento di grande interesse. Le chitarre macinano riffoni spaventosi, ove non è cosi semplice identificare gli elementi che costituiscono la ritmica cosi traboccante di questo terrorista sonoro. La voce nel corso del brano sembra fare il verso anche ad Attila Csihar e ben ci sta, visto il genere affine a quello dei Mayhem di 'De Mysteriis Dom Sathanas'. La babele sonora regna sovrana anche nella terza "Belial", una song che vede finalmente una flebile fiammella di melodia nel marasma sonico in cui saprà condurvi. Le chitarre in sottofondo qui sono sinistre, pur sembrando completamente slegate da tutto quello che sta accadendo in primo piano con batteria e vocalizzi infernali. E poi finalmente un mefistofelico break atmosferico che sembra preannunciare la fine dell'umanità, spazzata via dalla cattiveria dell'umanità stessa. "AešmaDaeva" è più ritmata ma con le chitarre sempre votate all'insana liberazione di suoni maligni che sembrano provenire direttamente dal cuore pulsante dell'Inferno. Qui finalmente fa la sua comparsa una componente melodica che ammicca più brutalmente ad un ipotetico mostro con corpo e testa dei Blut Aus Nord e gambe degli Aevangelist. La follia prosegue nel turbinio funereo di "Furfur", un'altra dimostrazione di come sia possibile respirare i fumi sulfurei degli inferi senza necessariamente doverci andare fisicamente. La galoppata in compagnia dei demoni del regno dell'oltretomba prosegue con la misticheggiante "Forneus", laddove la voce del mastermind belga assume quasi connotati salmodianti e dove la ritmica si conferma annichilente in modi ancor più imprevedibili e schizofrenici, quasi la linea di chitarra e basso si muova a zig-zag in un incedere sbilenco, per poi investirci sul finale con un muro ritmico schiacciante. A volte mi domando cosa possa portare a concepire suoni cosi malsani, quali assurdi meccanismi mentali possono aver indotto l'elaborazione di tali abomini musicali che sembrano concretizzarsi nell'ultimo incubo ad occhi aperti. Signori, ecco appunto la follia siderale di "Leraje", il penultimo tumultuoso pezzo che anticipa la cover posta a chiudere 'Imperii Templum Aries'. E per un disco di simile portata delirante, perchè mai non proporre una cover dei Pink Floyd di Syd Barrett, l'alienato e psicotico fondatore della band inglese. E quale traccia migliore di “Set the Controls for the Heart of the Sun” per dar voce alle surreali visioni del musicista belga, riletta in chiave contemporanea, a cavallo tra space rock e black metal. Il risultato è ovviamente interessante e psicotico al punto giusto e ben si adatta alla proposta degli Ôros Kaù, avvalorandone peraltro il mio giudizio complessivo. (Francesco Scarci)

(Epictural Productions - 2020)
Voto: 78

https://oroskau.bandcamp.com/album/--2

lunedì 1 giugno 2020

Duthaig - Harlech's Sleep/Cyhyraeth

#PER CHI AMA: Post Black
Giusto un paio di pezzi per valutare il demo cd degli svizzeri Duthaig, 'Harlech's Sleep/Cyhyraeth', ossia il titolo dei brani in esso inclusi. Il quartetto di Losanna, formatosi solo nel 2019 ed ispirato dalla tradizione celtica, irrompe con i riverberi ancestrali di "Harlech's Sleep", l'aggressiva opener di otto minuti che ha subito l'ardito compito di delineare il sound dei nostri. Riffing glaciale, harsh vocals, una valida componente tastieristica che ammorbidisce l'impatto altrimenti brutale della band elvetica. Le sorprese non finiscono certo qui, perchè alla soglia del terzo minuto, i furiosi blast beat e le chitarre acuminate, vengono interrotte da un break ambient dal forte sapore bucolico. Ma in brevissimo tempo il sound dell'ensemble torna ad irrobustirsi con il velenoso tremolo picking della chitarra a costruire una ritmica pungente che trova però in un mood più malinconico, fonte di salvezza dalla ferocia della band. E poi il finale, ancora votato all'ambient, rende giustizia ad una traccia altrimenti troppo raw-oriented. È il turno poi di "Cyhyraeth" e l'inizio imbastito da un post-black furioso non promette certo bene, complice un fitto marasma sonoro che riempie le nostre orecchie, annichilendoci i neuroni. La tempesta sonora però trova il suo attimo di pace a metà brano con un dialogo che pare estrapolato da un film e delle tiepide melodie che preservano fortunatamente i nostri padiglioni auricolari prima del gran finale, tirato ma comunque atmosferico, di quest'opera prima dei Duthaig, un nome da appuntare sui nostri taccuini, in un'ottica futura. (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 68

https://duthaig.bandcamp.com

Vast Souls - Voice of the Burned

#PER CHI AMA: Atmospheric Epic Black, Windir, Agalloch
Lo scorso 2019 usciva autoprodotto il debut album della one-man-band canadese Vast Souls, in questo 2020 ripreso dall'etichetta russa Narcoleptica Productions. 'Voice of the Burned' rappresenta il primo vagito di Echo, polistrumentista originario di Vancouver. Sei i pezzi a disposizione per il mastermind di quest'ogg per affrontare un viaggio introspettivo attraverso la natura umana, tra la morte e la rinascita, affrontando l'orrore e le bellezze del cosmo, il tutto attraverso un black atmosferico dalle forti tinte autunnali. L'odissea per l'autore inizia dall'incantesimo iniziale di "Zenith", una splendida traccia di black intrisa di una potente aura malinconica che si esplica attraverso desolanti break ambient, ove lo screaming affranto di Echo è accompagnato dai soli tocchi di un'impalpabile tastiera. "The Felling of the Sacred Tree" è il secondo capitolo del lungo viaggio pianificato da Echo, attraverso un percorso che va ben oltre i 13 minuti di durata, grazie ad un black lento e venato di quel mood depressive tipico di act quali gli Shining (quelli svedesi). Ampio spazio quindi per i momenti atmosferici dove dar modo al frontman di esibire vocalmente tutte i suoi oscuri pensieri ma anche da cui ripartire con galoppate post-black o epici riff di windiriana memoria che segnano l'ascolto di questo davvero interessante lavoro. Un altro lungo pezzo questa volta che si assesta oltre il muro dei 12 minuti, ecco "Runes Beneath the Bark", un altro piccolo segmento di tristi emozioni elaborate attraverso una lunga parte iniziale affidata alla voce del factotum canadese e della sua magica tastiera. Poi ancora spazio alle riverberate ed epiche linee di chitarra, ai desolati intrecci melodici e a tutta la magia di un suono che non finisce di stupire, richiamando per certi versi qui gli Agalloch più ispirati, anche se per raggiungere le vette dei maestri, servono ancora degli aggiustamenti nel marasma sonora in cui Echo tende talvolta a incunearsi. Ma niente paura, i margini di miglioramento sembrano abbastanza importanti, soprattutto quando arriva il turno di "The Great Sentinel"e per il mio cuore è un altro tuffo nel passato dei Windir, forse qui meno epico, ma di sicuro impatto emozionale, laddove più ampio spazio viene lasciato all'afflato strumentale del musicista nord americano. Quando invece Echo concede spazio alle sue harsh vocals, diciamo che l'effetto emotivo tende ad assottigliarsi. Nulla di grave per carità, ma in una prossima release lavorerei di più su una preponderanza strumentale piuttosto che a dar più voce alle corde vocali. "Stream of Aeons" parte già rutilante nel suo tappeto ritmico, con le chitarre scarnificate al massimo nella loro essenza (al pari dello screaming), di contro, la batteria vanta momenti in cui emerge forte il tamburo quasi a scandire il trascorrere del tempo. La sensazione è che questa song sia stata scritta in un periodo anteriore rispetto alle altre, forse perchè mostra un mood leggermente più old school, pur mantenendo comunque integri gli ingredienti che caratterizzano il sound dei Vast Souls. L'intermezzo atmosferico non manca nemmeno qui, seppur in versione più minimalista, ma è proprio da qui che si riparte con un'altra splendida galoppata di black epico e struggente in un climax ascendente, a tratti davvero da brividi. "Ether" è l'ultimo pezzo di questo gioiellino: inizio acustico, solo caldi colori autunnali quelli che si configurano nella mente mentre ascolto le note appaganti dell'incipit che obnubilano i sensi prima che irrompa il cantato di Echo ed una ritmica che si mantiene comunque in territori black mid-tempo compassati che chiudono con un ultimo arpeggio, un disco dotato di molte luci e qualche ombra che andrà sicuramente diradandosi in una delle prossime release. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions - 2020)
Voto: 78

https://vastsouls.bandcamp.com/

Stoned God - Incorporeal

#PER CHI AMA: Prog Death, Cattle Decapitation, Devin Townsend
Più volte mi sono chiesto se l'originalità sia tutto nell'ascolto di un disco o se magari altri fattori contribuiscano alla positiva valutazione di una release. Ecco, prendiamo ad esempio la band di oggi, i tedeschi Stoned God: la compagine di Göttingen propone un sound che di originale non ha granchè, dovrei forse bocciarli? Ecco, di primo acchito non partirei proprio positivamente nella valutazione del loro secondo lavoro, 'Incorporeal', eppure quest'album ha quel quid che mi induce a molteplici valutazioni. La band infatti ci spara in faccia con l'opener "Celestial Deicide", un death robusto, che trova in un primo assolo davvero ispirato, il mio primo crocevia valutativo, facendomi immediatamente porre maggiore attenzione alla proposta del'ensemble della Bassa Sassonia. Tra fustigate sonore e stridule linee di chitarra, la band equilibra una proposta musicale che rischia talvolta di sfociare dalle parti di un extreme death alla Cattle Decapitation, comunque corredato da una buona dose di melodia e groove, anche a livello vocale, ma vedremo in seguito. Con "Dethrone the Traitors", il combo teutonico deflagra ancora roboanti linee di chitarra e basso, senza dimenticarci di una sassaiola batteristica da paura (ottimo Maté Balogh a tal proposito), con il vocalist che si muove tra un growling furioso nelle parti più tempestose, e vocalizzi puliti (e urlati) stile Devin Townsend, nelle parti più melodiche, permeate peraltro di una certa vena progressive. È forse con la title track però che trovo il sound della band ancor più accattivante, a fronte di una continua alternanza ritmica tra stop'n go di scuola Gojira, lead guitars da urlo ed una ricerca melodica che va migliorando istante dopo istante, soprattutto in un finale in super discesa che ha ancora da mostrare quanto i nostri possano essere pirotecnici con i loro strumenti. Top song per quanto mi riguarda. Più tradizionale invece l'impatto di "The Creator", decisamente più interessante nelle parti atmosferiche di matrice Fallujahiana. "Illusion" ci crivella di colpi nonostante un inizio in sordina, ma nei suoi tre minuti e mezzo, si dimostra dotata di una furia colossale con un assolo che sembra uscito da 'Clandestine' degli Entombed (ottima l'ospitata di Manu Moreno), con le vocals che giocano ancora a ping-pong tra il growling e il cleaning. Il riffing corposo prosegue con l'abrasiva "Alive", dove il merito di rendere speciale una traccia forse banale, spetta ancora una volta al lavoro mostruoso alle chitarre del factotum Steffen Hustert (anche basso e voce). "Artificial Sun" è un altro pezzo più ritmato e meditabondo, che magari si discosta dalla furia ascoltata sin qui, alla pari di "The Decadent Blind", che con quel suo riffing mastodontico di meshuggahana memoria, è poi corredato da ottimi arrangiamenti, parti rallentate di grande atmosfera, ed un apparato vocale davvero eccellente che la ergono a mio secondo brano preferito del lotto. A chiudere 'Incorporeal' ecco la mia terza top song, "Glowworms", e strano per una volta identificare nelle ultime posizioni della scaletta, le migliori tracce di un disco, chissà se è stato voluto intenzionalmente. Comunque, il pezzo ha un mood malinconico, con velocità più calibrate (ove il mastermind tedesco sembra trovarsi più a proprio agio) e sempre un uso ben bilanciato tra potenza, carico grooveggiante e melodia. Alla fine il death progressivo degli Stoned God, pur non eccellendo in personalità, si rivela gradevole e di facile presa, merito anche degli ottimi musicistiche hanno preso parte a questa release. Ora sono davvero curioso di ascoltare dove le future release dei nostri ci potranno condurre. (Francesco Scarci)