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lunedì 18 novembre 2019

Scintillescent - Dread

#PER CHI AMA: Symph Black, Mesarthim
Di questi Scintillescent non sono riuscito a recuperare praticamente nulla dal web se non la loro origine, la Nuova Zelanda, poi altre informazioni sono totalmente irreperibili. Non so nemmeno se 'Dread' sia il loro debut EP o cos'altro, quindi portate pazienza se sono qui a scrivere un mare di cazzate. Fatto sta che l'ensemble neo zelandese mi ha colpito per quel suo sound fresco capace di miscelare l'elettronica con il black, in una versione più fruibile dei Mesarthim. Qui infatti non ci troviamo di fronte song dalle durate oceaniche, ma quattro brani diretti, efficaci e melodici, che si aprono con la title track e le sue ariose melodie su cui si staglia lo screaming non cosi efferato del frontman. "Breakneck" continua positivamente su questa linea, con un brano breve (quasi quattro minuti), essenziale, che va al nocciolo della questione senza stancare. Le melodie si confermano piacevoli, e il lavoro alle tastiere si conferma di grande valore, dando maggior rilevanza alle atmosfere piuttosto che alle chitarre. Qualcuno storcerà il naso per questa mia affermazione, eppure francamente trovo 'Dread' un validissimo EP, anche laddove la band decide di riproporre le due song in versione strumentale e (ancor più) sinfonica, qualora ce ne fosse stato bisogno. Avrei evitato quest'esperimento un po' banalotto e riempipista per proporre un paio di song in più. Comunque attendiamo fiduciosi le prossime evoluzioni di questi misteriosi Scintillescent. (Francesco Scarci)

martedì 12 novembre 2019

N█O - Isolates

#PER CHI AMA: Black/Death
I N█O mi avevano piacevolmente colpito quando esordirono nel 2017 con il loro 'Adrestia'. Tornano a distanza di un paio d'anni con un EP, giusto per dire ai fan che la band ucraina è viva e vegeta e che sta lavorando a qualcosa di nuovo. La proposta del terzetto di Kiev prosegue sulla scia del debut con un post-black condito da contaminazioni post-metal. Se l'inizio di "Void" parte in sordina con un approccio mid-tempo, a metà brano la band scalda i motori, ingrana la quarta e inizia a pigiare sull'acceleratore con una bella scorribanda di oscuro post-black. I nostri sono imprevedibili, e forse per questo li avevo apprezzati, cosi a fronte dell'accelerata, assistiamo anche ad una bella frenata con tanto di testa a coda incluso, ossia un break acustico a cui fanno seguito le classiche melodie glaciali dell'ensemble, su cui vanno a piazzarsi le grim vocals del buon Andrey Tkachenko. Poi è solo una cavalcata verso l'infinito a chiudere questo primo pezzo. "The Room" è un angosciante intermezzo semi-acustico che ci conduce a "Dreamcatcher", una song che parte ritmata e prosegue con il medesimo piglio almeno fino ad un minuto dalla fine, quando gli strumentisti ucraini si scatenano per l'ultima furiosa scarica metallica. 'Isolates' alla fine non è altro che un discreto antipasto per tenere a freno gli appetiti voraci dei fan della band ucraina. (Francesco Scarci)
 
(BloodRed Distribution - 2019)
Voto: 65


https://bloodreddistribution.bandcamp.com/album/isolates

domenica 10 novembre 2019

FrostSeele - Kalte Leere

#PER CHI AMA: Melo Death/Post Rock, Insomnium
La one-man-band di quest'oggi l'avevo recensita in occasione del debut del 2012, 'PrækΩsmium'. Da allora il mastermind teutonico ha rilasciato uno split e un paio di EP, di cui l'ultimo è questo 'Kalte Leere'. Mi sono domandato come sia cambiata la musica del factotum di Baden-Württemberg dal 2012 ad oggi, e quindi eccomi a raccontarvelo. Il nuovo lavoro si apre con le tenui melodie di "Kalt", una sorta di lungo incipit acustico (almeno per i primi tre minuti) su cui poggiano le spoken words del carismatico leader, prima che negli ultimi 90 secondi si sprigionino le forze oscure della compagine tedesca. L'apertura di "In Traumhaft" mostra un beat simil-elettronico, che lascia presto il posto ad atmosfere più ragionate, soffuse e malinconiche, con la voce pulita di Mr. FrostSeele ad alternarsi con il gracchiare di Danny, l'ospite del disco. La linea melodica della song ha sicuramente una certa presa per il sottoscritto che per certi versi mi ha ricondotto all'arioso sound finnico di Throes of Dawn o Insomnium. "Der Dunkle Zenit" ha un incipit più alternativo, anche se poi il sound dei nostri si muove sempre verso coordinate che ormai si sono svuotate della loro componente black per assumerne una più votata ad un ipotetico ibrido tra post-rock e la freschezza del death melodico di matrice finlandese. Francamente, il risultato è più che soddisfacente, pur non facendo certo gridare al miracolo. "[ ]" è l'ultimo enigmatico pezzo, visto anche un titolo di questo genere: l'inizio sembra suggerire quasi un trip hop di scuola britannica, per poi muoversi su suoni tipicamente post-rock, forse la nuova direzione artistica intrapresa dal polistrumentista tedesco, per una nuova interessante tappa della discografia dei FrostSeele. (Francesco Scarci)

sabato 9 novembre 2019

Reido - Anātman

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Era novembre di otto anni fa, quando su queste stesse pagine, parlavo del secondo lavoro dei biellorussi Reido, un disco che vedeva il terzetto di Minsk virare da un industrial funeral doom, ad un più arioso (se cosi si può dire) post-metal/sludge. I nostri si sono presi un'altra breve pausa, di circa otto anni, hanno cambiato etichetta, approdando alla Aesthetic Death e finalmente, hanno rilasciato un nuovo album, 'Anātman'. Ebbene, l'inizio non è dei più promettenti visto che con "Deathwave", il combo sembra di nuovo essersi perso negli anfratti di un angusto funeral sound. In realtà, l'opener funge più da lunga intro prima di lasciare posto alla plumbea cortina fumogena innalzata da "The Serpent's Mission", una song di oltre undici minuti, lenta e affannosa, portatrice di una discreta dose di angoscia a causa di quel suo indolente incedere che conferma il ritorno alle origini da parte dell'ensemble biellorusso, sebbene ora sia deprivato della componente industriale. Già sfiancato dalla prima vera traccia, mi avvio all'ascolto di "Dirt Fills My Mouth", un pezzo che inizia più in sordina, con una voce sussurrante accompagnata da una tiepida chitarra che a poco a poco, cresce d'intensità, ma non troppo in coinvolgimento, almeno fino a quando il suono della sei corde si tramuta in deprimente assolo, che dona finalmente un certo mordente ad una song fin qui troppo anonima; da questo punto in poi, grazie ad un migliore utilizzo della componente atmosferica, il brano assume una sua personalità e con esso la band stessa. E per fortuna, visto che c'è un baluardo imponente da assaltare, chiamato "Liminal": quasi 17 minuti di sonorità non troppo affabili, per non dire decadenti, sempre sorrette dalle growling vocals di Alexander Kachar e da un riffing in sottofondo che evoca un che dei My Dying Bride. C'è da dire che da metà brano poi, la band si concede un lunga pausa ambientale che spezza un po' quella lugubre e sfibrante andatura del pezzo. La title track è un pezzo strumentale fatto di campionamenti a sfondo sci-fi, che ci introducono all'ultimo scoglio del disco da superare, ossia i 14 minuti di "Vast Emptiness, No Holiness", un'altra non proprio banale passeggiata da affrontare in scioltezza. Ritmiche logoranti, voci ringhiate e tutti i consueti elementi che contraddistinguono il funeral, per chiudere in bellezza un lavoro di certo di non facile assimilazione, almeno per chi non è un fan sfegatato del genere. Speravo francamente in qualcosa di più, il disco non è male, ma mi aspettavo una qualche progressione a livello di songwriting che ahimè è venuta a mancare, complice un'astinenza dalle scene davvero lunga. Un peccato. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 67

https://reido0.bandcamp.com/releases

Nouccello - S/t

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
Al giorno d'oggi è sempre più complicato scrivere le recensioni. Questo lavoro mi è arrivato infatti privo di qualsiasi informazioni, giusto un cd inserito in una foderina trasparente con una scritta sopra, Nouccello. "E chi diavolo sono questi" è stata la mia prima domanda? I Nouccello ("che razza di moniker è questo" è stata la mia seconda) è una band formatasi da un paio d'anni da ex membri di Straight Opposition e Death Mantra For Lazarus ("ma dove diavolo vivo che non conosco nessuna di queste band", il terzo quesito di oggi). La proposta musicale del terzetto pescarese è un hardcore cantato in italiano che si presenta con le note nevrotiche dell'opener "Piano B", una song oscura pervasa da un profondo senso di irrequietezza, che mi conquista immediatamente, sebbene quello proposto non sia proprio il mio genere preferito. "Vertigine" è più litanica a livello vocale; qui ciò che apprezzo maggiormente è il drumming, cosi tentacolare e presente, soprattutto nella sua marziale conclusione. Devo dire che a colpirmi è anche la facilità con cui il trio italico riesce a cambiare umore all'interno di brani cosi brevi (tra i tre e i quattro minuti di durata media) ma intensi. "Aternum, Pt. 1" è un pezzo strumentale che funge verosimilmente come sosta di ristoro prima di imbarcarsi all'ascolto delle successive e dinamitarde song. Arriva infatti "Lo Spettro" e vengo investito dalla violenza punk di voce e ritmica, in quello che è un pugno diretto e incazzato in pieno stomaco. "Episodio 5: Trappola in Mezzo al Mare" si srotola in modo narrativo con un melodia di fondo malinconica, pur mantenendo inalterato lo spirito ribelle della band. "Specchio Riflesso" si apre curiosamente con la voce di un ragazzino a dare istruzioni su come suonare "Tanti Auguri a Te" con l'armonica, poi è solo un'esplosione di pura violenza. Ancora stranezze nell'incipit di "Colpisci il Mostro", prima che la song si muova su direttive musicali più ritmate e bilanciate (ancora ottima la performance del batterista), ove sono ancora i cambi di tempo a colpirmi positivamente, perchè la sensazione finale è quella di aver ascoltato quindici brani anzichè otto. A chiudere, le note post-rock di "Aternum, Pt. 2", il secondo capitolo strumentale di questo lavoro omonimo, che mi ha fatto conoscere ed apprezzare una band, fino ad oggi a me totalmente sconosciuta. (Francesco Scarci)

(Vina Records/Scatti Vorticosi Records - 2019)
Voto: 74

https://www.facebook.com/nouccello/

venerdì 8 novembre 2019

Inner Blast - Figment of the Imagination

#PER CHI AMA: Death/Thrash/Gothic
La Ethereal Sound Works si fa promotrice della seconda release ufficiale dei portoghesi (ma non serviva nemmeno specificarlo) Inner Blast. 'Figment of the Imagination' esce a tre anni di distanza dal precedente 'Prophecy', che si era messo in luce grazie alla Nordavind Records, per i suoi gradevoli (ma non eccelsi) contenuti gothic metal. Parlando di questo nuovo lavoro, devo ammettere che le nove tracce qui incluse non apportano grosse novità al genere se proprio di gothic metal stiamo parlando. Partiamo infatti dal solito dualismo vocale tra la classica gentil donzella e la voce della stessa, in formato growl. Questo quanto si evince dall'ascolto di "Mankind", l'opener track del disco. Da un ascolto attento però si possono scovare le prime magagne che mi fanno storcere il naso di fronte a questa uscita. Oltre alla scontatezza della proposta, non ho apprezzato certe soluzioni ritmiche che privano il sound di una certa fluidità di fondo e soprattutto, continuo a faticare nel trovare le vere peculiarità del genere. Lo stesso si scorge in "No Strings", dove ho come la percezione che per non risultare troppo morbidi, i nostri pigino appositamente sul pedale dell'acceleratore, risultando però fuori luogo visto che alla fine finiscono con l'imbastire una forma di metal che ammicca al death. Serve coerenza a mio avviso e forse è meglio suonare un po' più morbidi che mixare forzatamente (come accade in "There's no Pride in this War") un death/thrash con una spruzzatina di gothic (o forse sarebbe meglio parlare di symph metal), laddove compare la voce cristallina di Liliana. Rimango titubante di fronte alla scelta della band, visto che alla fine ho l'impressione che la proposta degli Inner Blast non sia nè carne nè pesce. Per me il gothic è tutt'altra cosa: ci devono essere sonorità oscure e malinconiche, e qui francamente non ne vedo nemmeno l'ombra, mancano poi le atmosfere in grado di creare quelle atmosfere spettrali o decadenti tipiche del genere. Per questo forse c'è un malinteso di fondo e quello che l'etichetta stessa propone come gothic metal non è altro che un disco di thrash/death con vocals femminili. Visto sotto questa nuova luce, posso dire che qualche brano discreto si trova anche: "Throne of Lilith" è infatti uno di questi, una song che nel suo estremismo sonoro, evidenzia qualche tratto vampiresco. Interessante l'esperimento di "O Teu Veneno" cosi come pure "Can I Believe", in una sorta di riproposizione dei Lacuna Coil in forma più estrema. Alla fine dei conti, 'Figment of the Imagination' non è un brutto album, ma occhio ad etichettare la musica, il rischio di incappare nel recensore pignolo e fare brutte figure, è sempre dietro l'angolo. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2019)
Voto: 62

https://www.facebook.com/innerblast

Noorvik - Omission

#PER CHI AMA: Post-Rock strumentale
Con un moniker del genere avrei pensato a qualcosa di norvegese ed invece i Noorvik (il cui nome si rifà ad una città dell'Alaska) vengono "banalmente" da Colonia, con questo 'Omission' a rappresentare il loro secondo album. La proposta dei quattro teutonici è un post-rock strumentale che sembra poco abbia da aggiungere a quanto ormai inflazioni la scena da un po' di tempo. Eppure c'è un che di magnetico nella proposta dei nostri: sebbene il disco si apra in modo assai tiepido con "Floating", trovo un che di magico nelle sue note iniziali. Non credo sia quel basso che danza minaccioso nella traccia d'apertura, mentre i tocchi di tastiera generano quel pathos necessario a sostenere la struttura del brano. C'è qualcos'altro che sembra vada a crescere, e questa mia sensazione, una sorta di prurito al naso, molto spesso non sbaglia. Poco oltre la metà del brano infatti, ecco intensificarsi l'emozionalità dei suoni, ma anche la ferocia, con un finale che prende in prestito, almeno per una manciata di secondi, l'efferatezza del post-black, con una scarica ritmica davvero impressionante. E il quartetto non si ferma qui: "Above" miscela abilmente post-rock con suoni progressive e, maledizione che non ci sia una voce in stile Steven Wilson a guidare la musica, avrebbe reso ancor più alla grande i passaggi contenuti in questo notevole pezzo, che si muove in una girandola di chiaroscuri davvero gradevoli. "Hidden" è un bell'esempio di come si possano creare suoni pacati che lascino presagire ad un improvviso cambiamento, nella classica quiete prima della tempesta. La prima sottolineatura va all'eccellente prova del batterista, davvero fantasioso nella sua performance dietro le pelli. Nel frattempo, il lavoro alle chitarre va irrobustendosi con un riffing più roccioso in stile Russian Circle. Ma i cambi ritmici sono dietro l'angolo, con un ipnotico break ambient che sembra sospendere lo scandire del tempo. E come previsto, ecco che la tempesta, all'orizzonte fino a pochi secondi fa, nel frattempo si è avvicinata. Le chitarre nel loro malinconico avanzare, si sono fatte più minacciose e il frustare sulle pelli irrompe nuovamente come se si trattasse di un brano dei Deafheaven. L'ultima song, "Dark", è quella della conferma finale che tra le mani ci troviamo un nuovo campionario di suoni estremamente interessante in un genere quanto mai saturo come il post-rock. Le sembianze sono quelle di una malinconica colonna sonora, almeno per i primi sei minuti del brano, poi la violenza torna a mostrarsi con un finale aggressivo quanto basta per slegare del tutto i Noorvik dalla sola etichetta post-rock. In 'Omission' c'è ben altro, a voi l'elegante compito di decriptare al meglio l'eccitante sound dei Noorvik. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2019)
Voto: 75

https://noorvik.bandcamp.com/album/omission

mercoledì 6 novembre 2019

Starless Domain - EOS

#PER CHI AMA: Cosmic Black, Mahr
Gli Starless Domain sono una band statunitense formatasi nel 2018 da membri di Stellar Descent e Twilight Falls, che ha pensato bene di rilasciare due lavori in questo 2019, 'EOS' e 'ALMA'. È il primo però che andiamo ad fronteggiare quest'oggi, un disco di quattro pezzi che sfiora l'ora di durata. Questo perchè abbiamo di fronte brani dalle lunghezze imponenti: si apre infatti con "EOS I", quasi 17 minuti di sonorità insane, glaciali e terrificanti. È puro black cosmico quello proposto del trio dell'Oregon che si avviluppa attorno a lunghe fughe strumentali contrappuntate da un utilizzo sagace dei synth, da vocals aliene in sottofondo, ma soprattutto dall'instaurarsi di un senso di vuoto e desolazione che caratterizza uscite di questo tipo. L'effetto è straordinariamente efficace, andando a provocare però (e per questo fate estremamente attenzione) pericolose alterazioni sensoriali. Il brano prosegue linearmente in un tutt'uno con il secondo capitolo ("EOS II") e pure con i successivi, proseguendo in quell'opera di annichilimento cerebrale, e accrescendo in tal modo un disagio interiore instillando nell'anima altre strane paure, a seconda che in sottofondo ci sia una chitarra dai suoni siderali o delle lunghe fughe ambient di derivazione extraterrestre ("EOS III"). Il risultato lo ribadisco è stupefacente, disturbante, orrorifico e, sebbene il rischio di scadere nella noia, vista la lunga durata del disco, sia piuttosto elevato, vi garantisco d'altro canto, che il turbinio sonoro in cui si sprofonda, è tale che se ne vorrebbe sempre di più. La proposta insana di questi Starless Domain alla fine mi ha estasiato nella loro singolare follia, ricordandomi peraltro uno stranito ibrido tra Aevangelist (band nella quale guarda caso il vocalist, nonchè bassista dei nostri, ha suonato) e Mahr, soprattutto nel capitolo finale di questo notevole lavoro di black metal astrale. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 80

https://starlessdomain.bandcamp.com/album/eos

Deadly Shakes - Left Behind

#PER CHI AMA: Hard Rock
In arrivo dalla Francia un bel carico di hard rock suonato con i controcoglioni. Loro sono i Deadly Shakes e 'Left Behind' è il loro EP di debutto, dopo aver rilasciato un altro EP, questa volta col monicker The Stone Cox, nel 2015. Quattro pezzi quindi per saggiare la tonicità di questo terzetto di Mulhouse. Si parte da "Living by the River", caratterizzata da un bel giro di chitarra iniziale, vocals potenti e da un groove che mi ha evocato per certi versi quello contenuto in 'Electric' dei The Cult. Lo spunto finale poi, a livello di solismi con tanto di coda stoner-darkeggiante, impreziosisce un brano di per sè convincente. Si passa a stretto giro all'arrembante, ma soprattutto punkeggiante, "Reap What You Sow", un pezzo che ammicca a certa produzione targata Billy Idol, una scheggia divertente di rock che dura poco più di una manciata di minuti. Pronti poi per ricominciare dalla title track, una semi-ballad dall'anima blues-rock, com'erano anni che non ne sentivo, con un bel crescendo finale con tanto di assolo scaldacuori in stile Guns N' Roses. Le danze si chiudono con un altro pezzo che scomoda Axl Rose e compagni: si tratta di "Never Return", che ci mostra nuovamente il lato più tenero di questa band alsaziana, ma al contempo la capacità di muoversi all'interno di contesti non propriamente hard rock, bensì più controllati ed introspettivi, sebbene nel finale i nostri si lancino in uno splendido e accecante esempio di hard rock di scuola Led Zeppelin. Peccato solo che il lavori non superi i 17 minuti, sarebbe stato interessante capire maggiormente come la band si muova in territori, dove spingere il piede più sull'acceleratore, è più che indicato. (Francesco Scarci)

(Love Apache Records - 2019)
Voto: 69

https://deadlyshakes.bandcamp.com/releases

domenica 3 novembre 2019

Lambs - Malice

#PER CHI AMA: Crust/Post-Hardcore
Che fine hanno fatto i Lambs che ho recensito ormai tre anni fa su queste stesse pagine, in occasione dell'uscita del loro EP 'Betrayed From Birth'? Quella era una band di corrosivo post-hardcore/post-black, mentre i Lambs di oggi, sembrano piuttosto una realtà apparentemente più riflessiva, immersa in un contesto più vicino al post-metal. Questo è almeno quanto si evince dalla song posta in apertura di 'Malice', dall'eloquente titolo "Debug" (song che vanta peraltro la partecipazione di Paolo Ranieri degli Ottone Pesante e il musicista genovese Fabio Cuomo). Che si tratti quindi di una correzione del tiro da parte della compagine cesenate o che altro? Lungi da me trarre conclusioni cosi frettolosamente, visto che il finale della stessa si lancia verso un primigenio caos sonoro che richiama quello stesso corrosivo suono crust che avevo evidenziato in occasione del precedente dischetto, proseguendo addirittura con un sound ancor più aspro nella successiva "Arpia". La traccia si apre con ritmiche sghembe che strizzano nuovamente l'occhiolino alle band black della scena transalpina, per poi infilarsi in mefitici e fangosi meandri sludge (dove i nostri sembrano trovarsi più a proprio agio) e lanciarsi infine, come un treno fuori controllo, in un'ultima cavalcata dalle tinte oscure, non propriamente nere. È quindi il turno di "Ruins" e qui il ritmo va più a rilento, almeno fino al minuto 4 e 37, quando una grandinata improvvisa si abbatte sulle nostre teste. In "Perfidia", una song lenta e magnetica, i nostri si affidano all'italiano per il cantato e il risultato, devo ammettere, si rivela ben più efficace di quello in inglese. Certo, la song è assai particolare, muovendosi tra crust punk, math, uno sfiancante sludge e schizofrenia pura, risultando alla fine la mia song preferita. C'è ancora tempo per l'ultima sassaiola, quella affidata a "Misfortune", un brano che tuttavia parte piano con un timido esempio di post-rock in stile *Shels, con la tromba di Paolo Ranieri in sottofondo. Come anticipato però, di sassaiola si tratta e non c'è niente da fare, non la si può scampare quando esplode nella sua furia distruttiva. I Lambs cercano di attutirne i colpi, rallentando pericolosamente l'incedere intimidatorio del pezzo. Il giochino riesce alla grande ma alla fine provoca un giramento di testa non da poco, che mi sa tanto che mi accompagnerà per parecchio tempo. (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2019)
Voto: 72

https://lambsit.bandcamp.com/album/malice

Rosetta - Terra Sola

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Dopo un lungo tour mondiale durato due anni a supporto del meraviglioso 'Utopioid', tornano i Rosetta con un secondo EP datato 2019. Dopo 'Sower of Wind' infatti, rilasciato ad inizio anno, ecco arrivare, per il momento solo in digitale (ma la Pelagic Records rilascerà a breve anche il formato fisico, non temete), 'Terra Sola', l'ennesima dimostrazione che la band statunitense in questo momento sia, insieme ai Cult of Luna, leader indiscussa del panorama post-metal mondiale. La classe non mente, e i Rosetta ne hanno parecchia, l'hanno sempre avuta, ma forse passava in secondo piano per la presenza ingombrante degli Isis e dei Neurosis, quando erano in una forma decisamente più ispirata. Ora che i primi si sono sciolti e i secondi sembrano l'ombra di se stessi, ecco che Michael Armine e compagni sono diventati i nuovi maestri nel post metal, incorporando nel proprio sound elementi ambient/drone, come quelli ascoltati nel precedente EP, e tutta la cinematica maestria nel proporre la loro personale visione del post-metal. E 'Terra Sola' non mente, non lo fanno per lo meno gli undici minuti della title track posta in apertura, oltre 660 secondi di suoni malinconici, disperati, rabbiosi, spettrali e al contempo drammatici, tenui, celestiale, grazie soprattutto alla lunga coda strumentale di oltre tre minuti. Spettacolo per le mie orecchie e purificazione per la mia anima. Con "57844", i Rosetta calcano addirittura la mano sull'aspetto emozionale, offrendo un brano dolce e sognante, liberandosi di ogni tipo di legame con il genere musicale a cui appartengono e lasciando fluire le proprie emozioni attraverso un pezzo che di per sè non è nulla di eccezionale, ma che inserito in questo contesto, ha un effetto liberatorio. E con la strumentale "Where Is Hope?", ci immergiamo infine nelle soffuse melodie di una chitarra acustica che ci accompagna soavemente per gli ultimi cinque minuti di questa affascinante release targata Rosetta. (Francesco Scarci)

Woundvac - The Road Ahead

#PER CHI AMA: Grind/Hardcore
Dopo tanto black e post-metal ascoltato in questo periodo, avrei bisogno di qualcosa che sradichi tutti quei suoni e faccia un po' di pulizia nella mia testa. Gli americani Woundvac, con il nuovo 'The Road Ahead', potrebbero fare al caso mio. Accendo lo stereo abbastanza ignaro di quanto mi aspetti, sebbene quella copertina piuttosto splatter lasci presagire il peggio. E infatti quando "The Last Nail" fa seguito all'intro del disco, ecco che vengo investito dalla furia nichilista del quartetto di Phoenix che mi assale con un grind/hardcore senza compromessi, in grado di polverizzare in un battibaleno qualunque forma di contaminazione musicale alberghi ancora nelle mie orecchie. Un due tre, la band sciorina uno dopo l'altro dei pezzi assassini che citano Napalm Death o Terrorizer tra le loro influenze, sebbene le harsh vocals del frontman statunitense non siano cosi profonde come il growling dei colleghi inglesi e il suono risulti più secco rispetto alle due band citate. Poi di fronte alla carneficina compiuta dei nostri non posso altro che alzare le mani e lasciarmi investire dalla tempesta sonica elargita dal malefico terzetto costituito da "Tightening Chain", "Never an Option" e la lunghissima (quasi quattro minuti), ma anche più ritmata, "Institutional Bloodshed". Feroci, furibondi, malefici, violenti, incazzati, trovate anche voi altri aggettivi che definiscano l'essenza ferale di questi terroristi del metal estremo. L'erasing alla mia testa è completato, il risultato raggiunto. (Francesco Scarci)

sabato 2 novembre 2019

Lunatii - Eternal Return

#PER CHI AMA: Symph Black
Mi domando come mai le one-man band siano sempre cosi ispirate, a tal punto da riuscire a rilasciare anche un paio di release l'anno? Non è immune nemmeno il musicista russo Ilya Kuftyrev (nome di battaglia Blakie White) che con questi Lunatii, in poco meno di cinque anni, ha fatto uscire quattro Lp, altrettanti EP, un paio di split album e tre demo. Insomma idee ne deve aver da vendere questo musicista e allora anzichè tenersele in testa, meglio metterle immediatamente in musica. Ecco da dove nasce quindi 'Eternal Return', un EP di due pezzi, dediti ad un black atmosferico che a quanto pare funge da apripista ad una nuova release sulla lunga distanza. L'opener del dischetto è un discreto esempio di black sinfonico che si muove tra chitarre ronzanti, screaming caotici ed una buona dose di tastiere che fungono da driver per l'intera impalcatura del brano. La song vanta anche una certa variabilità musicale che sembra tuttavia nuocere all'economia del brano visto che genera non poca confusione. La seconda song, "The Great Sea of Quiet", sembra inizialmente una ninnananna, cantata dalla dolce (si fa per dire) cantante rumena dei Psychalgia, Black Illness. Il pezzo, nonostante l'apporto della giovane cantante, si muove alla stregua del primo brano con chitarre in tremolo picking e comunque un bel quantitativo di melodie disegnate dalle keys del buon Blakie White, uno che si diverte anche con un altro paio di band, gli Aghory e i Salvation, per il sottoscritto realtà totalmente sconosciute. 'Eternal Return' rimane un discreto antipasto, che mi mette sicuramente addosso una certa curiosità per quel che concerne il rilascio dell'imminente 'Diskonformism: Anhedonia in Utopia', di cui presto dovremmo avere notizie. (Francesco Scarci)

Evalir - The Awakening

#PER CHI AMA: Instrumental Epic Black, Summoning
È la prima volta che mi trovo a recensire una band proveniente dalla Repubblica Dominicana. Oltre a farmi specie l'origine esotica di questa solo project guidato da Enrique Ortiz, trovo ancor più peculiare la proposta musicale del nostro eroe di quest'oggi che in 'The Awakening' esprime tutto il proprio amore per il black metal epico. Dopo una lunga intro, "The Awakening I - Cold", all'insegna di un dungeon sound, il mastermind di Santo Domingo si lancia alla conquista del mondo col black ispirato di "The Awakening II - Aborning", una traccia che pesca a piene mani dalla tradizione fantasy di J.R.R Tolkien e la unisce sapientemente al proprio amore per le epiche avventure di Dungeons and Dragons. Tutto questo si traduce nel sound strumentale di "The Awakening II - Aborning" e della successiva "The Awakening III - Journey", due pezzi che offrono senza ombra di dubbio ottime melodie ma che al contempo palesano anche le debolezze legate alla forma embrionale di questo progetto. Questa musica non può essere lasciata infatti senza un cantato, le gesta epiche vanno narrate e non abbandonate alla, per quanto brillante possa essere, pura forma strumentale. Ottimo strumentista, Enrique mette in mostra già una certa maturità a livello compositivo, ora manca la stesura delle liriche, provando a divenire anche il menestrello di se stesso alla voce. Forza e coraggio Enrique, siamo con te. (Francesco Scarci)