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domenica 16 luglio 2017

New Disorder - Deception

#PER CHI AMA: Alternative Rock
La fuorviante taitoltrac "Disorder" in apertura, vi collocherà mentalmente dalle parti di un certo melodic nu-metal old-school feat. clean vs. scream più orsacchiottosi interludi growl appiccicati con l'uhu, ma mentre ve la svignate a gambe levate, percepirete la piacevole sensazione tipo di essere inseguiti da un pitbull, mentre ascoltate in cuffia un pezzo degli Hardline (uh, anche la conclusiva "A Senseless Tragedy", in un certo senso). Subito dopo, rutilanti riff death-alley-rainbow con tanto di innesti tukutuku-power ("Love Kills Anyway", eh già) e barra o repentini no-funk-gnagnagna (con tanto di "Tarjanata" conclusiva in "Straight to the Pain", già apparsa insieme ad altre sette tracce, nell'album precedente). Nel prosieguo, i suoni rimangono scolasticamente compressi, come si conviene sì, ma sottocutaneamente Frontiers-oriented, classici, rassicuranti, metallosi e trasparenti, come la custodia di un cd dei Talisman. Ci si diverte, l'avreste detto? Ci si diverte sul serio, soprattutto quando si system-of-a-gigioneggia (in "Never Too Late to Die"). Datemi retta: ascoltate questo disco, e poi riascoltatelo ancora. Perché a voi quel metal nu-riverente anniduemila incessantemente trainato dal zigzagante ma perentorio T' (ti-apostrofo) di grancassa, non lo ammettereste mai, ma vi piace un casino. Mi sbaglio forse? (Alberto Calorosi)

(Agoge Records - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/newdisorderband/

Quick & Dirty - Falling Down

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Nel saltellante esordio à-la-Madness 'Falling Down', sospinto da un terribile videoclip fluo-finto-live scimmiottante "Numb" degli U2, sono riassunti, se non i suoni, perlomeno gli intenti fart-glam contenuti nel primo EP della band francese il cui nome allude all'approccio squisitamente parigino al concetto di doccia. Venendo ai suoni, invece, il testavuota-glam finisce per prevalere nella Ki(a)ss-sosa "Would You Like to Dance?" in chiusura, dotata invero di un chitarrismo piùccherobusto. Scorribande extraurbane social-distorte nella gradevole "I Was Born"; in "East West", invece, un riff rock-blues di matrice stoniana introduce ad un cantato collocabile all'incrocio tra Iggy Pop Alley e Jon Spencer Avenue, però opportunamente condito da gradevoli guitar-crudité zeppeliniane. Alchimie consolidate, produzione adeguata e, ovunque, una energia genuina e irriverente, senz'altro ampiamente replicata in quella dimensione live di cui il booklet dell'album intende evidentemente farsi testimonianza. Ascoltatelo a tutto volume durante una doccia clandestina con la vostra baby-sitter. (Alberto Calorosi)

venerdì 14 luglio 2017

Wastes - Into The Void Of Human Vacuity

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Skepticism
Il caldo estivo non fa proprio rima con il funeral doom, genere tipicamente novembrino. Tuttavia, i franco-belgi Wastes se ne fregano delle stagioni, rilasciando lo scorso giugno il loro debut album, 'Into The Void Of Human Vacuity', un disco che ci fa piombare da una torrida giornata di calura estiva direttamente nella più brumosa delle giornate autunnali. Non lasciamoci ingannare dal fatto che questo sia un album d'esordio, tra le fila dei Wastes si nascondono membri di Ataraxie, Mourning Dawn, Funeralium e Pantheism, gente insomma che calca la scena già da una quindicina d'anni almeno, in territori più o meno dooooom, di quello con parecchie "o" per capirci. E tutto ciò si traduce in un claustrofobico lavoro, fottutamente funereo e claustrofobico e in questi sette pezzi rilasciati dalla Code666. Solitamente parto dai punti di forza di un album, quest'oggi invece darei una bella tirata di orecchie a quelli che hanno registrato un disco mettendo due secondi di pausa tra un brano e il successivo, rompendo cosi il flusso cataclismatico che s'instaura all'ascolto di ogni song. Detto questo, che penalizzerà la mia valutazione di fondo, e sorvolando sull'intro del cd, mi concentro sulla seconda "Pt. 2" che sottolinea come ritmiche a rallentatore, raggelanti voci cavernose ed atmosfere orrorifiche, caratterizzino il sound della compagine d'oltralpe, seguendo pedissequamente i dettami voluti da un genere costantemente sulla cresta dell'onda. La terza parte prosegue il flusso apocalittico eretto dai nostri che continuano a tessere melodie deviate, condite da ambientazioni glaciali nel classico incedere magmatico e soffocante, di quello in grado di attanagliare la gola e raggelare il sangue nelle vene, inducendo un pericoloso senso di oppressione e paranoia. Echi di Esoteric e Skepticism emergono forti dalle note di un album sicuramente di difficile ascolto, non lo nego, ma che certo avrà modo di entusiasmare i più incalliti fan della scena funeral doom. Vorrei segnalare infine "Pt. 6", song mostruosa per intensità sonora che (ir)rompe con il routinario sound rallentato delle precedenti tracce, mostrando il lato più death oriented della band, con una scarica detonante di batteria e chitarre ronzanti, quasi un mostro a cavallo tra il post black e la ferocia dei primi Entombed. Il tutto è poi affidato a suoni idiosincratici che introducono all'ultima spaventosa marcia funebre che chiude un album capace di intorpidire non poco i sensi. C'è poco altro da evidenziare in un disco che fa della lentezza estrema, della pesantezza del proprio rifferama, e di una certa ridondanza e riverbero nei giri di chitarra, i suoi capisaldi. Mi preme tuttavia sottolineare un'ultima cosa, ossia la capacità, in un po' tutti i brani, di deliziarci con psicotici assoli, peccato siano un po' troppo relegati in secondo piano, se solo avessero avuto un po' più "volume", avrebbero di certo dato un'ulteriore spinta ad un album comunque buono. (Francesco Scarci)

giovedì 13 luglio 2017

Necandi Homines - Da'at

#PER CHI AMA: Esoteric Black Doom
Una lunghissima intro in stile Myrkur ("Memento" dura infatti oltre otto minuti) apre il disco dei Necandi Homines, oscuro quartetto marchigiano, formatosi addirittura nel 2007, dedito ad una forma introspettiva di black doom. 'Da'at' è il disco d'esordio per i quattro ragazzi di Jesi, nelle cui fila si nascondono anche membri dei ben più affermati Infernal Angels. Il disco, dopo il noise cibernetico iniziale che mostra il classico dualismo vocale, etereo e malvagio, non sembra decollare neppure con la seconda "The Faceless Sculpture", traccia ancor più pacata e sinistra della opening track, con pochi arpeggi relegati in sottofondo ad un'atmosfera angosciante che prelude a qualcosa di brutto, pronto da li a poco ad accadere. E finalmente l'elettricità e la rabbia divampano in un sound caliginoso, compassato e decadente, fatto di un lento ed ipnotico riffing, contrappuntato dalle classiche arcigne screaming vocals. Sono ancora disturbanti e lugubri ambientazioni poi a prendersi la scena, in uno scorcio apocalittico che prosegue anche nella successiva "The Fifth Dimension", una sorta di colonna sonora per un film come Blade Runner. È infatti un'altra atmosfera tremendamente cupa e minacciosa a contraddistinguere quella che pare piuttosto essere un interludio strumentale per la quarta "Desolation of the Ocean After the Storm" ed i suoi riverberi iniziali di chitarra, spezzati da un marcescente cantato che dona una fisionomia più tangibile al brano, ed in generale, ad un album che a più riprese sembra essere in grado di generare stati di ansia e delirio. Si arriva all'ultimo infinito baluardo da superare, gli oltre 17 minuti di "Through Deep Waters", una canzone che parte se possibile, ancor più minacciosa e desolante delle precedenti, con l'utilizzo di chitarra e basso che mi hanno ricordato un inimmaginabile ibrido tra i Laetitia in Holocaust e i Massive Attack. La musica esplode finalmente in un'onda black che fino a questo momento è parsa confinata in seno ai quattro demoni italici. Ma le sorprese non sono affatto finite, perché quel black lascerà il campo ad un suono elegiaco, liturgico, tribale, esoterico, fate voi, a seconda di quello che esso sia in grado di trasmettervi, con tanto di voci corali capaci di confondere ulteriormente i sensi. La comparsa di un'inedita voce femminile amplifica poi il mio status umorale alterato, il suo contrapporsi allo screaming ferale di Discissus, ripristina lo status quo, in un agghiacciante finale strumentale che esalta la prima notevole fatica dei Necandi Homines, una straordinaria sorpresa con cui passare una torrida estate di paura. (Francesco Scarci)

(Vacula Productions - 2017)
Voto: 75

https://vaculaproductions.bandcamp.com/album/daat

mercoledì 12 luglio 2017

Disharmony - Goddamn the Sun

#PER CHI AMA: Hellenic Death Black Metal, Rotting Christ
Ricordo perfettamente quei primissimi anni '90 e il fermento musicale che c'era in Grecia: sul mercato europeo si affacciavano i Rotting Christ e i Zemial con i loro rispettivi EP di debutto, 'Passage to Arcturo' e 'Sleeping Under Tartarus'. Varathron, Thou Art Lord, Septic Flesh e Necromantia muovevano i primi passi attraverso demo e split album, mentre il sottoscritto cercava tapes di band underground quali Dion Fortune e Disharmony. Non sembra essere cambiato nulla da quegli anni, nemmeno musicalmente, il sound ellenico non ha mutato la propria pelle, mantenendosi fedele al proprio stile. A distanza di 27 anni dalla loro fondazione, arriva anche il debut fin troppo agognato dei Disharmony, 'Goddamn the Sun', che mantiene intatto quel magico sound nato quasi tre decadi fa. Sebbene l'intro "Invocation - Troops of Angels" soffra di qualche reminiscenza gotica dei Cradle of Filth di 'The Principle of Evil Made Flesh', risulteranno poi palesi i punti di contatto di "The Gates of Elthon" con i primi Rotting Christ, in un death black ammantato di un mistico alone e che vede punti di contatto con la band di Sakis e compagni, anche nel modo di cantare di Damien King III, l'unico superstite della formazione originale, e nelle ritmiche incentrate su un riffing scarno e su di una tribalità di fondo. "Elochim" è un gran bel pezzo che si muove su di una ritmica a cavallo tra thrash e black, e che a livello solistico, strizza l'occhio al classico heavy metal degli anni '80, questo per ricordare ai fan dove risiedano le origini dei nostri, dimostrato peraltro anche da un sound non propriamente pulito, ma che serve a ristabilire quel mood primordiale che si ritrovava nei loro demotapes. E in "Summon the Legions" sono palesi non solo i riferimenti musicali ad un death black thrash che richiama anche i primissimi Bathory, ma anche lirici, con l'invocazione a tutti gli angeli caduti, Azazel, Samael e Satana. Il disco prosegue piacevolmente in questa direzione con pezzi che mostrano il classico sound ellenico, fortunatamente riservando anche qualche sorpresa ad un tema che rischierebbe di risultare poi davvero scontato: in "War in Heaven" ecco apparire una strana e flebile voce femminile a fare da contraltare al growling del frontman greco. "Rape the Sun" ha un andamento decisamente più lento, quasi doom; però la song, per quanto goda di buoni arrangiamenti a livelli di keys, non è decisamente una delle migliori cose uscite dalla discografia dei Disharmony, che tornano a convincere maggiormente con "Whore of Babylon", un pezzo più breve, decisamente melodico e carico di pathos, cosi come la tradizione ellenica pretende e tra l'altro sciorinando un bell'assolo conclusivo. Ci avviamo verso la conclusione del disco e rimangono da ascoltare "The Voice Divine" e "Third Resurrection": il primo è un normalissimo pezzo black thrash, che non aggiunge granché a quanto detto sinora, anzi rimane sottotono rispetto agli altri brani del disco. Il secondo invece, mostra il lato più epico e magico dei Disharmony che ci riconduce per l'ultima volta a quei primissimi anni '90, quando sarebbe stato più giusto che 'Goddamn the Sun' uscisse, per meritare l'attenzione che realmente meriterebbe oggi. Ora, mi sa che è fuori tempo massimo e farà la gioia probabilmente solo dei vecchi nostalgici di quel mistico e mitico hellenic sound che per molti anni ha rappresentato la culla di un genere unico ed inimitabile. (Francesco Scarci)

(Iron Bonehead Productions - 2017)
Voto: 70

https://disharmony108.bandcamp.com/album/goddamn-the-sun-2

martedì 11 luglio 2017

Tenax - S/t

#PER CHI AMA: Rock'n Roll
This is rock'n roll... il riffing iniziale di "Gogna" potrebbe essere l'emblema dell'hard rock italico. Tuttavia, quando i nostri cominciano a cantare sulle graffianti linee di chitarra, ecco che nella mia mente si rincorrono diversi paragoni che mi portano ad affermare pericolosamente che il frontman mi ricorda un ipotetico ibrido tra Ligabue e Piero Pelù. Chiaro, non proprio il mio genere penseranno alcuni di voi, però non male ogni tanto abbandonarsi ad un sound più leggero, ove capire i testi (rigorosamente in italiano) e ritrovarsi a cantare il chorus del brano "No, io non ci sto nel gioco perverso della gogna mediatica", rivolto polemicamente (e con tutto il mio appoggio) ai talent show musicali. Gli ingredienti dell'hard rock ci sono tutti, quindi inutile stare qui a raccontarvi come suoni il genere dopo quasi 50 anni di storia. Meglio soffermarsi su altri particolari: al blues rock della seconda "Club 27" ad esempio, una song che ha richiami nascosti ai Doors di "Break on Through (to the other side)" e narra ovviamente di quegli artisti maledetti che in un modo o nell'altro, hanno perso le loro preziose vite a 27 anni. "Virtual Love" si affida ad un giro di chitarra molto classico, a delle vocals e a dei testi suadenti. Il brano però sembra non decollare e francamente preferisco skippare avanti sperando in un qualcosa di più movimentato. Vengo prontamente accontentato da "Vivo Libero", ultima traccia di questo breve EP, un'altra song di sicuro divertente da apprezzare dal vivo, energica e appassionata, che sancisce lo sconfinato amore dei nostri nei confronti del rock immortale. (Francesco Scarci)

((R)esisto - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/tenaxband

Infinitas - Civitas Interitus

#PER CHI AMA: Epic/Folk/Power
Dal cuore della Svizzera, ecco arrivare il folk-metal degli Infinitas, band nata otto anni fa, ma che solo in questo 2017, riesce ad esordire sulla lunga distanza con questo 'Civitas Interitus', dopo aver rilasciato un EP nel 2015. Ebbene, inizierei col dire che i suoni del quintetto proveniente da Muotathal, possono sembrare abbastanza fuorvianti all'inizio, almeno fino a quando i nostri non mostrano una certa coerenza musicale. Tralasciando l'intro in svizzero tedesco, non posso che rimanere ammaliato da quello che sembra il canto di una sirena collocato sopra una chitarra acustica. Da li a un minuto, rimango invece impietrito di fronte ad un micidiale attacco death/thrash, quello della tonante "Alastor", che ci presenta immediatamente le qualità dietro al microfono della procace Andrea, che si presenta con una voce che varia tra l'urlato, un rarissimo growl e una voce più pulita che si accompagna con un rifferama ora decisamente più orientato all'heavy metal, anche nel pseudo assolo conclusivo. Strano constatare come la song, ma è applicabile comunque per l'intero disco, mostri più facce della stessa medaglia all'interno di uno stesso brano, con la convivenza di più umori e generi. Con "Samael" fa la sua comparsa anche un violino, una voce maschile si accompagna a quella della frontwoman, cosi come cori ben più carichi di groove e melodia, e un riffing che persiste nel ringhiare in territori thrash metal viene smorzato dal folk dei nostri che si fa sempre più arroventato. "Labartu" è un pezzo che parte assai compassato instillando inizialmente un'atmosfera quasi bucolica che ci porta lontano con la mente, in terre incantate su montagne verdi, forse proprio quelle del Cantone Svitto, da cui la band proviene. Nella seconda parte, decisamente più ritmata, possiamo apprezzare nuovamente la performance vocale della brava vocalist, il rullare di una tempestosa batteria e una specie di assolo di basso, tutti elementi che rendono la song parecchio interessante, seppur pecchi un po' in prolissità. "Aku Aku" è un oscuro pezzo strumentale che spezza il ritmo incessante instaurato fin qui dal combo elvetico e che ci introduce alla seconda parte del disco, quella che inizia con la accattivante "Skylla", pezzo meno tirato rispetto ai precedenti, quello che potrebbe anche scalare le classifiche per una vena pop insita nelle sue note, che vedono una versione più equilibrata di Andrea alle vocals. Con "Rudra" si torna a viaggiare sulle velocità heavy fin qui prodotte, con qualche backing vocals che fa capolino qua e là, opera del drummer. La song mantiene intatto il suo spirito folklorico in un incedere che continua a preservare qualche traccia di thrash metal, che si conserverà anche nella successiva "Morrigan", in cui la cantante, per qualche istante, si lancerà addirittura in un cantato lirico. Ancora il violino ad aprire "Amon", un'altra song dal rifferama compatto e veloce che per alcuni versi mi ha evocato anche un che dei Running Wild, e che propone un bel break centrale. Arriviamo al lungo finale affidato a "A New Hope", oltre tredici minuti aperti da uno spoken word in lingua germanica, poi eteree melodie e angeliche vocals che, insieme al suono del mare, dischiuderanno l'ultima sorpresa, un'arrembante ghost track che chiude un disco solido, piacevole e indirizzato soprattutto agli amanti di heavy/power/epic/folk, ma anche ai fan più aperti di thrash e death metal. (Francesco Scarci)

lunedì 10 luglio 2017

Abigail’s Mercy - Salvation

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic Rock, primi Lacuna Coil
Uscita non certo brillante quella dei britannici Abigail’s Mercy, esponenti di un certo gothic rock “vecchia scuola” non proprio fenomenale, sebbene le qualità tecniche e compositive del quartetto di Birmingham non si discutano. Innanzitutto, i nostri dovrebbero far chiarezza su cosa suonare: proporre un sound più robusto affinché non suoni troppo scialbo e molle, con quei suoi passaggi che rasentano il pop rock, e allo stesso tempo, utilizzare la voce di Steve che in alcuni gorgheggi ricorda quella di L.G. Petrov degli Entombed. In taluni momenti, il combo inglese ricorda i Paragon of Beauty o i nostrani Lacuna Coil, mentre in altri, chiari sono i riferimenti al punk rock anni ’80 (Billy Idol in primis, basti ascoltare “Keep Me Coming”). Appurato questo, andrebbero fatte alcune correzioni all’interno della line-up: per prima cosa si dovrebbe scegliere una cantante femminile adeguata per sostituire la penosa Lindsay oppure forse meglio lasciar cantare esclusivamente Steve, a cui manca comunque una certa dose di personalità. Alla fine, probabilmente, riuscirei anche ad apprezzare il cd, senza farlo arrivare necessariamente sul patibolo; e dire che alcuni brani di 'Salvation' non sarebbero neppure da buttare nella pattumiera, anche se non stroncare il debut del quintetto albionico mi viene assai difficile. Gli Abigail’s Mercy hanno concepito un album sottotono, che sicuramente avrà diviso la critica in detrattori e ammiratori. E io mi son schierato decisamente con i primi, in attesa che la band faccia maggior chiarezza sul come suonare... (Francesco Scarci)

(Casket Music - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/AbigailsMercy