Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Casket Music. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Casket Music. Mostra tutti i post

venerdì 30 luglio 2021

MaB - Decay

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ultracorposa invasione di palco da parte delle MaB al grido di "Su cunnu e Maomettu" e la cybermutazione di "Voglio vederti danzare" da tormentone-sta-finendo-il-concerto-di-Battiato in megatonica bordata hardcore da sangue nei padiglioni sarebbe stato, per chi c'era, il miglior imprinting nei confronti di questo schizofrenico album d'esordio, in cui però le quattro esangui fanciulle sarde giocherellano coi noise-clichet anninovanta inzuppando Hole, L7, muri di suono in un sulfureo magma alcalin-goth a base di Siouxie ("Astrophel"), Tarja ("Last Tango in London"), Amy Lee ("Black") e forse Alice Cooper. Immanenti i suoni, eteree le composizioni. Intriga e al contempo intenerisce lo sguaiato operettismo di Psycho Jeremy. "Adrenalina" è una cover dell'omonimo pezzo di Giuni Russo e Rettore. Trovatemi un qualunque metallaro, borchioso e no, che ne fosse informato. (Alberto Calorosi)

(Casket Music - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/mabofficial/

lunedì 10 luglio 2017

Abigail’s Mercy - Salvation

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic Rock, primi Lacuna Coil
Uscita non certo brillante quella dei britannici Abigail’s Mercy, esponenti di un certo gothic rock “vecchia scuola” non proprio fenomenale, sebbene le qualità tecniche e compositive del quartetto di Birmingham non si discutano. Innanzitutto, i nostri dovrebbero far chiarezza su cosa suonare: proporre un sound più robusto affinché non suoni troppo scialbo e molle, con quei suoi passaggi che rasentano il pop rock, e allo stesso tempo, utilizzare la voce di Steve che in alcuni gorgheggi ricorda quella di L.G. Petrov degli Entombed. In taluni momenti, il combo inglese ricorda i Paragon of Beauty o i nostrani Lacuna Coil, mentre in altri, chiari sono i riferimenti al punk rock anni ’80 (Billy Idol in primis, basti ascoltare “Keep Me Coming”). Appurato questo, andrebbero fatte alcune correzioni all’interno della line-up: per prima cosa si dovrebbe scegliere una cantante femminile adeguata per sostituire la penosa Lindsay oppure forse meglio lasciar cantare esclusivamente Steve, a cui manca comunque una certa dose di personalità. Alla fine, probabilmente, riuscirei anche ad apprezzare il cd, senza farlo arrivare necessariamente sul patibolo; e dire che alcuni brani di 'Salvation' non sarebbero neppure da buttare nella pattumiera, anche se non stroncare il debut del quintetto albionico mi viene assai difficile. Gli Abigail’s Mercy hanno concepito un album sottotono, che sicuramente avrà diviso la critica in detrattori e ammiratori. E io mi son schierato decisamente con i primi, in attesa che la band faccia maggior chiarezza sul come suonare... (Francesco Scarci)

(Casket Music - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/AbigailsMercy

martedì 30 maggio 2017

Demonbreed - Closer to God

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrashcore
Per lo spazio Back in Time ho deciso di recensire un disco inutile, per fare in modo che nessuno di voi si sbagli e acquisti simil porcheria. Quindi non starò a perdere tempo più del dovuto. 'Closer to God' è stato il mediocrissimo debutto (e anche unica fatica) dei Demonbreed, band proveniente dal Regno Unito, che ha avuto ben poco da dire in ambito musicale. A partire da una terribile copertina, la musica si rivela anche peggio, presentandosi come un’accozzaglia di death/thrash e hardcore senza compromessi. Ritmiche furiose inutili si combinano con harsh vocals banali a generare un album senza un preciso scopo. Almeno, fosse stato ruffiano, l’avrei bollato come uno dei tanti dischi che propongono catchy death/thrash, ma neppure in questo è riuscito a soddisfare le mie aspettative, data la sua scarsa incisività, che ben presto mi ha portato al collasso, durante l’ascolto. L’inizio di “Blood Will Fall”, ha tentato di ridestarmi dalla noia imperante, con quel suo inizio darkeggiante che mi ha illuso si trattasse di una svolta musicale, quasi epocale, così differente dai precedenti pezzi, ma alla fine si è rivelata solo una speranza delusa, per tornare a picchiare in quel modo grossolano e irritante che proprio non tollero. “Whisky and Weed Edge”, sesta traccia, si rivela l’unico momento piacevole dell’album: 90 secondi strumentali di suoni psichedelici e malinconici. Per il resto, 'Closer to God' non è altro che un album da dimenticare. (Francesco Scarci)

(Casket Music - 2005)
Voto: 40

martedì 30 agosto 2016

Vert - Accepting Denial

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Emocore, Lost Prophets, Incubus
Dall’area di Wolverhampton (UK), nel 2007 saltò fuori quella che sembrava la new sensation del momento, i Vert. Francamente mi trovo di fronte ad una delle tante band che popolavano il mercato discografico in quel periodo, con il conseguente rischio di saturarlo, a causa della loro proposta musicale non del tutto originale. Il quartetto inglese, accostato più volte dai magazine ad Incubus e Lost Prophets, propina un sound energico e robusto fatto di chitarre non troppo pesanti, ma abbastanza veloci, cariche di una certa attitudine punk, che fanno il bello e il cattivo tempo, lungo le 10 tracce di questo 'Accepting Denial', primo e unico full length per la band britannica (nel 2009 lo scioglimento inevitabile). La voce di Steve Braund oscilla tra momenti malinconici ad urla cariche di rabbia. La musica dei nostri, mai troppo cattiva, anzi piuttosto ruffiana, paga dazio, in diversi pezzi, alle band succitate, come pure in alcuni frangenti sono udibili reminiscenze metalcore. Qui trovate dell’easy music che avrà fatto sicuramente la gioia degli amanti di sonorità nu metal/rock. Egregiamente prodotti ai MCC Studios da Andy Giblin (Slipknot, I-Def-I, Kill 2 This), i Vert non fanno altro che svolgere il loro compitino raggiungendo una stringatissima sufficienza, mixando sonorità catchy a vocals da MTV. Il disco non mi ha mai convinto appieno, però non è neppure da stroncare; mi è rimasta solo la curiosità di sapere dove i nostri potevano andare a parare in una successiva produzione. (Francesco Scarci)

mercoledì 6 luglio 2016

The Drowning - Senescent Signs

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Anathema, My Dying Bride
Cardiff non è solo la capitale di quel Galles che tanto bene sta facendo in questo incredibile Euro 2016, ma anche la città che ha dato i natali ai The Drowning. Con un moniker del genere poi (la parola sta per annegamento) e una cover cd in bianco e nero, che genere mai potevamo aspettarci? Death doom ovviamente e arrivando i nostri dal Regno Unito, quali vi aspettate possano essere le loro influenze? Io direi primi My Dying Bride, Paradise Lost e Anathema, ho forse vinto qualche cosa? Se anche voi, tramite deduzioni logiche in stile Sherlock Holmes e il fido Watson, siete giunti a queste conclusioni, beh allora potrete proseguire nella lettura della recensione e sapere che 'Senescent Signs' è addirittura il quarto disco per il quintetto gallese, uscito a inizio giugno di quest'anno per la Casket Music. I brani inclusi in questo lunghissimo cd (66 minuti) sono otto più una breve intro, che nel loro pattern musicale ripercorrono quei sentieri tracciati in passato dal trittico di band menzionato poco sopra, tra le realtà musicali più famose della terra d'Albione. Aspettatevi pertanto oscure atmosfere e riffoni pesanti ("Broken Before the Throne"), talvolta anche veloci ("Betrayed by God"), corredati da vocals prettamente growl (anche se qualche urletto in scream ci scappa al nuovo vocalist Matt Small), ma ciò che non vi deluderà saranno piuttosto quelle aperture di desolata malinconia che corredano un po' tutte le song, squarci di raffinata melodia che rievocano lo spirito straziato e decadente di 'The Silent Enigma', 'Shades of Gods' o 'As the Flower Withers', veri capisaldi di un genere per me immortale. Se i The Drowning fossero usciti vent'anni orsono, probabilmente potrebbero sedere accanto o poco sotto i mostri sacri, autori di quei tre immensi album. Invece, uscire nel 2016 con 'Senescent Signs', potrebbe risultare ai più obsoleto, sebbene il disco riesca a mettere in fila dei pezzi interessanti: gli undici minuti di "Never Rest" sono riusciti a richiamare nella mia memoria le ariose orchestrazioni di 'Clouds' dei Tiamat, con le sue parti atmosferiche davvero niente male e gli arpeggi che popolano questo brano che si muovono tra death, doom e dark, e dove i gorgheggi di Matt, sfiorano un'inattesa delicatezza. Non mancano poi parti più dritte e death old school oriented ("Dawn of Sorrow", che si lascia ricordare almeno per un'ottima parte solistica), che francamente mi fanno un po' storcere il naso, così come pezzi un po' più carichi di groove ("At One With the Dead") che scomodano un altro ensemble inglese, i The Blood Divine. I toni si fanno ancora più cupi nella tormentata e lenta "House of the Tragic Poet", in cui compaiono anche lontane voci angeliche, che ritorneranno anche nel corso della conclusiva "The Lament of Faustus". 'Senescent Signs' è in ultima analisi un discreto album di death doom malinconico che certamente accontenterà i nostalgici fan di quelle sonorità di metà anni '90. Se potessi dare un personale suggerimento alla band, ridurrei le parti più death oriented del disco, andando ad esplorare piuttosto territori molto più vicini ai Tiamat del già citato 'Clouds' o ancor meglio dello splendido ma sottovalutato 'Wildhoney'. Osare per credere. (Francesco Scarci)

domenica 18 settembre 2011

AV Project - This Century

#PER CHI AMA: Hard Rock, Heavy Metal easy listening
Non fatevi fregare dalla copertina: non avete a che fare con un prodotto da discoteca, né con un album progressive/elettronico. Avrete, invece, tra le orecchie dieci brani prettamente melodici, orecchiabili, con pochissime influenze metal. Questa è la prima volta che sento gli AV Project: un quintetto di Parma capitanato dal singer Alberto Venturini, dalle cui iniziali origina il nome della band. Cerco informazioni su di loro solo dopo un primo ascolto di questo “This Century”, loro prima fatica. Venturini è un insegnante di canto all’accademia di Modena, il chitarrista Jonathan è anch’egli insegnante. In effetti, da un punto di vista puramente esecutivo, il CD è veramente ben fatto. Mi lascia invece abbastanza freddo riguardo all’originalità. I riferimenti musicali del quintetto sono diversi, direi che gran parte delle track sia influenzata dell’hard rock e da quel metal anni 90 easy listening con il quale ho un rapporto molto conflittuale di odio/amore. Poco, qualche sprazzo deriva dal metal più classico.Cercate un disco pieno di ballad di una volta, tranquille, bene eseguite, con qualche accordo maggiormente deciso, per qualche momento un po’ romantico? “This Century” farà sicuramente al caso vostro.Purtroppo non va molto oltre. Avete mai vissuto certi piacevoli pomeriggi invernali, passati con i vecchi amici a giocare a carte? A me rilassavano, ma poi si perdevano subito nella memoria, tanto erano simili tra di loro e un po’ avari di emozioni forti. Ecco, la stessa sensazione l’ho provata alla fine del platter. Minuti piacevoli eppure volati via senza lasciare segni. La parte migliore del lavoro risiede nella voce del cantante. Mi prende per la sua malleabilità, intonazione, estensione e timbro. Tutte le tracce appaiono semplici e dirette, con alcune intro piacevoli e aperture melodiche apprezzabili. La sensazione di “già sentito” appare però fin troppo presto. Il disco manca di quella capacità di rimanermi in testa, le songs non s’incastrano tra i miei ricordi come avrebbero dovuto. Credo ci manchi quel pizzico creativo che sgancia un disco dalla zona “occhéi, bello ma quanti ne ho già sentiti?”. Alla fine il risultato è positivo: un buon omaggio ai generi indicati sopra. La prossima fatica però dovrebbe avere maggiore carattere, magari con qualche slancio più aggressivo e deciso. Migliorabili sono anche il prevedibile songwriting e la registrazione non proprio perfetta. Non dovrebbero esserci problemi vista la buona base tecnica dei nostri, uno stimolo ulteriore per una produzione più personale. (Alberto Merlotti)

(Casket Music)
Voto: 65 
 

martedì 30 agosto 2011

Terminal Sick - Diagnosis

#PER CHI AMA: Death/Thrash Metal, Sepultura, Soulfly
Inizio a pagaiare tranquillo sul mio kayak inconsapevole di un’invisibile ma inequivocabile, carontica presenza. Mi lascio traghettare in un petrarchico fiume dalle chiare, fresche e diaboliche acque. Odo rullare i primi bonghi tribali. Vedo scoccare, tra le fronde, le prime frecce intinte nelle avvelenate ghiandole della Dendrobates azureus. Sono fottuto. Sono infatti stato colpito: solo di striscio, certo, ma pur sempre colpito. Avverto già, nelle mie vene, l'onirico effetto della batracotossina. Sono ormai entrato in coma: "Deep Coma". E' con questa dicotomica nomenclatura che è stato per l'appunto battezzato il primo "sintomo" di questa diagnosi. I Terminal Sick sono una cinquina tutta italiana, emiliana per la precisione. I nostri cinque incazzati mietitori fan schizzar sangue qui, a casa nostra, e non hanno inzozzato a casaccio una qualunque scena del crimine come troppo spesso, ormai, si vede fare in televisione. Hanno pennellato ad arte, questo mistico, rosso, fiume di sangue. “Deep Coma”, di cui vi ho appena scattato una mia personale fotografia, è appunto la track di apertura di "Diagnosis". Un'esecuzione incazzata si, ma senza eccessi: regola d’oro questa, nel metal, come l’ora et labora per i Benedettini. Provo sempre un certo gusto nel mescolare il sacro al profano… ma non lasciamoci andare: delle percussioni tribali vi ho già accennato, alla "Roots" dei brasiliani Sepultura mi pare azzeccato dire. Molto buone le soluzioni adottate da Alessio alla batteria; che le sue pelli siano state tratte dal Necronomicon? Velocità si, ma priva di ripetitività e scontatezza. Pause e begli accenti vanno ad impreziosire la parure di chitarra, basso e campionamenti. Il tutto è sapientemente accompagnato da un buon scream, pieno, corposo, urlato ma a tratti anche melodico. "Living Injection", secondo sintomo, costruito sul dialogo tra voce pulita e scream, è meno aggressivo del primo. Belli i passaggi di tom ma il pezzo, a mio parere, non è all'altezza del primo. "Android" e "Blind War!, pur sapendo piacevolmente accarezzare il mio lato oscuro, non riescono più di tanto a domare la mia sete di vittime innocenti. Mi affaccio invece più curioso che mai sul panorama di "Psychical Analysis" bella quasi come il pezzo forte, "Deep Coma", alla quale segue, con un sound completamente diverso, "Useless Hope": netto stacco da quanto ho finora ascoltato. Di sicuro più docile delle precedenti track, rivela preziose sonorità che finora la nostra cinquina ci aveva tenuto nascoste. Con la omonima "Terminal Sick" si ritorna al sound incazzato iniziale. I bei riff di chitarra plasmati all'incalzante batteria e alla voce di Roberto mi accompagnano per più di sei minuti senza stancarmi mai. Sulla stessa lunghezza d'onda, per me forse anche più bella della precedente, mi faccio inebriare da "Unnatural". Il sound cambia ancora con la camaleontica "My Pain": la vedo come un quadro, un quadro che si autodisegna nella mia mente con l'incedere delle note. Vi si alternano spennellate tranquille a spatolate incazzate con intercalati campionamenti, che mi diverto a pensare come ai tagli nelle tele di Lucio Fontana. Ci vedo una sorta di criptico erotismo in tutto questo, ma forse sono solo io ad essere deviato. Nel penultimo sintomo, "Forever Alone", assistiamo ad un ennesimo cambio di sound: acustico, solo chitarra e voce. Breve si, ma bello. Il disco si chiude con l'ultimo sintomo, piacevole remix elettronico di "Deep Coma", una sorta di ...e vissero felici e contenti... tra le bare ed infiniti tormenti. nemA! (Rudi Remelli)

(Copro Records/Casket Music)
Voto:75

domenica 3 luglio 2011

Winter of Life - Mother Madness - English

#FOR FANS OF Death Progressive, Novembre, Oceans of Sadness, Opeth
I must admit I have had great difficulty in reviewing this "Mother Madness" because it is very difficult to find the right words to let you know what it is contained in this little gem produced by the combo originated from Naples. The album opens with the whispers of "Mattutino" song with a strong progressive flavor, which has the quality of immediately putting in evidence the tremendous potential of Elia Daniele on vocals, and generally manages to put on display from the start the excellent quality of the band coming from Campania, the song quickly slips away to make room for "Noumena", which highlights the influence of the sextet and an incredible mix of influences: signs of November in the guitar lines merge into their sound, perhaps because the recording was done at "The Outer Sound Studios "of Giuseppe Orlando; as regards the use of vocals however, I was reminded of the recently broken up Oceans of Sadness. The title track enters in an explosive way into the coffers of my stereo, and then give way to delicate touches of piano and a soothing and melodic rhythm, but very clearly never pander, and then the wonderful voice of Elia, able to use his extensive vocal range, to be in his own way, the best instrument of the Winter of Life: poignant, reflective, aggressive when needed, in short, comprehensive and excellent. And the music? A progressive metal marked by some extreme outburst, but also capable of digressions into jazz territory like on the title track (experiment already done, however, by the aforementioned Belgian Oceans of Sadness). But not only because "witHer" opens with a slap bass, taken on loan from almost any band with the funky vocalist that for a moment seems to make the rapper; but the music does not take long to take off again in a crescendo of emotions, this time thanks to the chasing scintillating guitars, immersed in the warmth of soft environments and also by the guest vocals of Tiziana Palmieri. This album won me over and every time I listen to it (maybe I'll be at the 50th time and I am still not tired), I find intriguing new details that lead me to listen once again. The quality of the Winter of Life lays in suggesting music that in the course of the tracks (all of them of considerable length), is constantly changing tune, alternating trips to neighboring death territories with beautiful riding rhyths, and in times when maybe the resurfaces the strong influence of the Novembre or other act of the progressive scene like Pain of Salvation. The result is a succession of great songs that will soon to creep into your head and make you wince, make you fully enjoy the great ideas that populate the mind of these six boys. What a pleasure listening to this "Mother Madness," what a pity I did only recently. Go on like this, I am waiting now for another confirmation; highly recommended! (Francesco Scarci - Translation by Sofia Lazani)

(Casket Music)
Rate: 85

lunedì 21 marzo 2011

Winter of Life - Mother Madness


Devo ammettere di avere avuto grosse difficoltà a recensire questo “Mother Madness” poiché è assai difficile trovare le parole giuste per farvi capire cosa è racchiuso in questo piccolo gioiellino prodotto dal combo proveniente da Napoli. L’album si apre con i sussurri di "Mattutino", song dal forte sapore progressive, che ha il pregio di mettere subito in grande evidenza le enormi potenzialità di Elia Daniele alla voce, e in genere riesce a mettere in mostra fin da subito la qualità eccelsa della band campana; la song scivola via veloce per lasciare spazio a “Noumena”, che evidenzia le influenze del sestetto e quali influenze: cenni di Novembre nelle linee di chitarra confluiscono nel sound dei nostri, complice forse la registrazione presso i “The Outer Sound Studios” di Giuseppe Orlando; per quanto riguarda l’uso delle vocals invece, mi sono venuti in mente i da poco sciolti Oceans of Sadness. La title track entra in modo esplosivo nelle casse del mio stereo, per poi far posto a delicati tocchi di pianoforte e una ritmica suadente e melodica, mai ruffiana sia ben chiaro, e poi quella voce meravigliosa del buon Elia, capace di sfruttare la sua estesa gamma canora, per essere a suo modo, il migliore strumento dei Winter of Life: struggente, riflessiva, aggressiva quando richiesto, insomma completa ed eccellente. E la musica? Un progressive metal contraddistinto da qualche sfuriata estrema, ma anche capace di divagazioni in territori jazz come proprio nella title track (esperimento già fatto però dai già citati belgi Oceans of Sadness). Ma non solo, perché “witHer” si apre con un basso slappato, preso quasi in prestito da qualche band funky con il vocalist che per un attimo sembra fare il verso ai rapper; ma la musica non tarda ancora una volta a decollare in un crescendo d’emozioni, questa volta grazie al rincorrersi scintillante delle chitarre, immerse nel tepore di soffici ambientazioni e anche dalle guest vocals di Tiziana Palmieri. Quest’album mi ha conquistato e ad ogni suo ascolto (forse sarò già a quota 50 volte e non mi sono ancora stancato), scopro nuovi intriganti particolari che mi inducono ad ascoltarlo nuovamente. Il pregio dei Winter of Life risiede proprio nel proporre musica che nel corso dei pezzi (tutti di una notevole durata), cambia costantemente registro, alternando escursioni in territori vicini al death con ritmiche belle tirate, ad altri momenti in cui magari riemerge l’influenza forte dei Novembre o di altri act della scena progressive tipo Pain of Salvation. Il risultato è un susseguirsi di ottime songs che non tarderanno ad insinuarsi anche nelle vostre teste e farvi sussultare, farvi godere appieno delle idee eccezionali che popolano la mente di questi sei ragazzi. Che piacere avere ascoltato questo “Mother Madness”, che peccato averlo fatto soltanto da poco. Avanti cosi, ora aspetto la riconferma; consigliatissimi! (Francesco Scarci)

(Casket Music)
Voto: 85

mercoledì 29 dicembre 2010

Drivhell - A Journey as a Life


"A Journey as a life" è il terzo album dei lecchesi Drivhell, formazione progressive metal dallo spessore artistico e tecnico degno di nota. Il sestetto nasce nel 1998 e ha affinato un sound di tutto rispetto negli anni e devo dire che questo album racchiude il duro lavoro fatto da musicisti per passione che oramai non sono più ragazzini. E la maturita c'è tutta, dal primo pezzo "Pictures on a Score", classico prog metal, passando per "A Journey as a Life", impreziosito da un ottimo sitar introduttivo che accarezza e lascia subito il posto a potenti chitarre e tastiere. Proprio quest'ultime (plurale perchè i tastieristi sono due/Ndr) generano dei veri e propri "tappeti" musicali che aumentano l'atmosfera dell concept album e regalano melodie mai banali. Concept album perchè i stessi autori lo dichiarano apertamente ispirato a " Le Città Invisibili" di Italo Calvino. Tutto è ben bilanciato, batteria da manuale e un vocalist con il giusto appeal per il sound dei Drivhell. Unica pecca forse la timbrica tipicamente dei gruppi vecchi di quarant'anni, ma ovviamente è un opinione puramente personale. Probabilmente a tanti piace così com'è. Quindi ottimo cd dei Drivhell a cui auguro di continuare a suonare e cercare quel qualcosa di personale che potrebbe renderli eccellenti. (Michele Montanari)

(Casket Music)
Voto: 80