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sabato 19 novembre 2011

Heavy Lord - Balls to All

#PER CHI AMA: Doom, Sludge, Stoner
Verrebbe da dire: “Dall’Olanda con furore…”. Gli Heavy Lord, dopo il (troppo) tradizionalista “Chained to the World” del 2007, propongono sonorità rivisitate e molto più complesse. Ad un primo ascolto “Balls to All” non risulta un album di facile assimilazione. Sembrano troppe le devianze dalla direttrice heavy doom imboccata dalla band sin dal primo esordio, si rischia di abbandonare l’ascolto dopo le prime tre canzoni proprio per una mancanza di coesione e di stile. Stavo per fare anch’io questo errore, ma credetemi quando vi dico che l’energia di questa band è qualcosa di molto potente e comprensibile solo dopo una profonda immersione in questo sound sperimentale. Stilisticamente parlando, gli Heavy Lord si inseriscono nel filone del buon vecchio doom ‘andante’, quello a tonalità rock più veloci tanto per capirci, senza rifiutare qualche uscita in generi limitrofi come sludge e stoner. Più stoner che sludge. Vi sono numerose novità rispetto all’opera precedente. Dunque: la voce in growl si limita a qualche sporadica apparizione qua e là, mentre viene premiata una voce pulita indirizzata alle tonalità sudiste e missisipiane sulla scia (credo imitazione voluta) degli svedesi Devil’s Whorehouse di “Blood & Ashes”. Accenni ai riff maledettamente evocativi del buon vecchio Danzig e una pesantezza delle chitarre che non ha nulla da invidiare a quelle del progetto Down di Phil Anselmo. Nel corso delle otto tracce i pezzi lenti e quelli veloci si amalgamano in un insieme bene equilibrato di potenza e ricercatezza del suono. Onnipresenti sono i piatti della batteria; è un piacere tenere il ritmo. Purtroppo, l’unica nenia che non sono riuscito a sopportare in tutto l’album è proprio la title track, “Balls to All”: l’unica asfissiante melodia continua imperterrita e senza variazioni per tre interminabili minuti e mezzo. Poi però si apre l’eccellenza. “Fear the Beard” e “Drown” sono le preziose gemme verso cui gli Heavy Lord tendono per il futuro. Niente da dire. Sono davvero bravi questi ragazzi. Di sicuro sanno quello che fanno, e lo fanno con serietà. (Damiano Benato)

(Solitude Productions)
Voto: 75

lunedì 14 novembre 2011

Riul Doamnei - Fatima

#PER CHI AMA: Black Sinfonico, Dimmu Borgir, Cradle of Filth
Se i Cradle of Filth avessero avuto la crescita miracolosa occorsa ai Riul Doamnei nel corso di questi ultimi anni, probabilmente ad oggi avrebbero venduto centinaia di milioni di dischi, forse quanto Michael Jackson addirittura; invece la progressione della band inglese è stata assai graduale, con la fortuna dell’act britannico da sempre strettamente legata a quello del caratteristico screaming di Dani Filth, che ha sin qui condizionato anche la performance vocale di “Cardinal” Federico D.B., vocalist della qui presente band italica che oggi mi appresto a recensire. Tutto questo intricato preambolo per dirvi che nel frattempo, il bravo cantante dell’ensemble veronese è migliorato spaventosamente rispetto ai tempi di “Apocryphal”, prendendo largamente le distanze dal vecchio Dani, e con lui anche la performance globale degli altri membri della band; sicuramente complice è l’esperienza maturata in tour con mostri del calibro di Rotting Christ, Krisiun, Decapitated, Vader e altre straordinarie realtà del metal estremo, ma i Riul Doamnei, con questo nuovo lavoro possono dire la loro in ambito black sinfonico, a fianco della già menzionata band di Suffolk e dei norvegesi Dimmu Borgir, forse la realtà alla quale protende maggiormente il five-pieces di Fede e soci. Lavoro decisamente ambizioso quello dei Riul che ci presenta il nuovo controverso concept album basato sulla figura della Vergine Maria: dodici brani per una durata complessiva che sfiora l’ora, un’ora decisamente densa di emozioni, legate alle feroci scorribande in territori black, alle harsh vocals di Fede, alle maestose orchestrazioni di “Bishop” Giorgio M. e ai chorus sinfonici a la Therion. Partendo dall’enigmatica opening track, “13th Oct. 1917, Miracle and Apocalypse”, che rievoca il Miracolo del Sole presso Fatima, in cui un numero notevole di persone sostenne di aver visto il disco solare cambiare colore, dimensione e posizione per circa dieci minuti, veniamo immediatamente travolti dalla musica estrema dei nostri. La release, che ruota attorno agli accadimenti legati alle apparizioni mariane sforna, una dopo l’altra, delle eccellenti track, in cui emerge la classe dei cinque “ministri del male”. Riprendendo quanto già fatto nel precedente lavoro, i Riul continuano a sviluppare il proprio sound arricchendolo di fenomenali arrangiamenti di esplicita derivazione Dimmu Borgir (periodo “Death Cult Armageddon”), e per tal motivo un grande plauso va al bravissimo Giorgio cosi come pure menzione speciale al defezionario batterista “Friar” Enrico P., che al termine delle registrazioni ha lasciato la band dopo ben undici anni di militanza; sarà dura rimpiazzarlo con un altro drummer di altrettanto valore. Ma torniamo alla musica, che trabocca di eccelse melodie, epiche cavalcate black, screaming di assoluto valore ed eccezionali chorus (splendide “Bestiary of Christ” e “Sodoma Convent”). Un breve intermezzo e arriviamo a “Stigmatized Under Marian Grace”, song che palesa ancora una volta la “pericolosità” distruttiva dei nostri e che evidenzia la bontà del songwriting (assai migliorato rispetto il primo capitolo) e anche una nuova vena in fase solistica (finalmente) del bravo “Deacon” Maurizio S., anche se questo non è l’episodio in cui è maggiormente apprezzabile. L’inizio militaresco di “Of Misery and the Final Hope” (song in cui appare anche il buon Sakis dei Rotting Christ in veste di guest vocalist) mostra quanto i Riul siano migliorati anche quando le velocità non sono cosi sostenute e ci sia lo spazio anche per grandi quantitativi di melodia e inquietanti vocals femminili, con le chitarre in questo caso che sembrano più rifarsi allo swedish death dei Dark Tranquillity. Si, lo sento, la voglia di progredire e non stagnare c’è, è forte e i Riul sono alla costante ricerca della verità come i famosi “Guerrieri della Luce” di Coelho. La ricerca dei Riul prosegue fino alla conclusiva “The Fourth Daughter”, che parla della quarta figlia di Maometto, appunto Fatima, finendo per intrecciare quindi l’iconografia cristiana con quella della religione islamica, in quello che è probabilmente il quarto segreto, in una song dai chiari risvolti arabeggianti, che chiude in modo intrigante, affascinante e che non presagisce a nulla di positivo, quello che potrebbe essere lo scontro tra cristianesimo e islam. Ottimo ritorno! (Francesco Scarci)

(Axiis Music)
Voto: 85

domenica 13 novembre 2011

Sanctus Daemoneon - Nothingless Nothingness

#PER CHI AMA: Black Dark Ambient, Fields of the Nefilim
Un inizio inquietante (un colloquio fra un uomo e una bambina) in pieno stile Deviated Daemen apre questo EP di 5 pezzi dei danesi Sanctus Daemoneon, band dedita ad un black doom funereo. “Coma Tossing Elegance” è un vero incubo ad occhi aperti: sonorità cupe, tortuose, sofferenti, inesorabilmente lente e con una voce, palesemente influenzata da Attila Csihar, capace di rubare la nostra serenità. Il cammino prosegue con “Carnival of Pretend” e sinceramente non riesco a focalizzare ancora la proposta dei nostri: mi sembra di ascoltare una nenia per addormentarmi, interrotta solamente da harsh vocals e da un giro nebuloso di chitarre (e sega elettrica??) che penetra nel mio cervello insieme ad altri suoni di derivazione cibernetico-industriale, continuando ad obbligarmi a vivere questo incubo. “The Great Escape” è un altro esempio di dark rock funeral industrial doom, in cui la parte black è relegata esclusivamente alla componente vocale: una cortina fumosa di chitarre che sembrano riecheggiare i The Cure di primi anni ’80, con un’atmosfera sinistra alla Fields of the Nefilim con la vocals dei Mayhem, tutto chiaro no? Intriganti al massimo: sono completamente assuefatto a questi suoni che rimbombano come una catena di montaggio attivata dai neuroni all’interno delle pareti sinuose del mio cervello. Tocchi di pianoforte, una chitarra arpeggiata, mortifere vocals, parti ambient e synth di una malvagità spaventosa, costituiscono il tema portante di “Zero” prima della conclusiva “Destination Isolation” che sancisce la fine dell’inquietudine della mia anima. Paura è l’unica emozione che rimane nel mio corpo, ma poiché sono affascinato da questa emozione, sapete che faccio? Premo nuovamente il tasto play e rivivo queste terribili ma ammalianti emozioni. (Francesco Scarci)

(Dunkelkunst)
Voto: 75

sabato 12 novembre 2011

Blut Aus Nord - 777 Sect(s)

#PER CHI AMA: Black Avantgarde, Deathspell Omega
I francesi Blut Aus Nord (che in tedesco significa “Sangue dal Nord”) rappresentano i più grandi alleati dei miei incubi peggiori. Questo perché la musica del combo transalpino è quanto di più malsano, malvagio e spaventosamente malato, possa il black metal partorire in questo momento. Non sto parlando di velocità supersoniche o schegge di furia devastante, ma di sonorità cosi maledettamente paurose da popolare (o forse meglio, infestare) appunto i miei sogni notturni. Sei tracce, in cui la dissonanza totale a livello di riffing la fa da padrone e proprio questi suoni accompagnati da ambientazioni notturne, apprensive (ascoltare l’epilogo di “Epitome I” per capire il patema d’animo che può indurre un album di questo tipo) e a tratti lisergiche, ci regalano uno dei prodotti più sperimentali in ambito estremo, mai concepiti fino ad ora. I Blut Aus Nord sono dei maestri in questo e lo testimoniano le passate maestose e avanguardistiche release, “Memoria Vetusta 2” o “MoRT”, i cui suoni si incuneano nelle note di questo famigerato “777 Sect(s)” che precede di pochi mesi l’uscita del nuovo “777 The Desanctification”, atteso per metà novembre (e sinceramente non vedo l’ora di saggiare lo stato di forma del trio di Mondeville). “Epitome II” è il lasciapassare strumentale e sognante, che come il demonio Caronte ci traghetta oltre l’Acheronte, fino a giungere ad “Epitome III”, la cui brutalità esplode già dal suo riffing iniziale, che non può non ricordare lo stile dei conterranei Deathspell Omega e dominerà la song per quasi tutta la sua durata, se non per lasciare posto alla claustrofobia disarmonica del suo finale. La sensazione di gelo che pervade l’intero lavoro è tangibile, soprattutto quando il riffing (e le vocals) di Vindsval partono per caliginosi e angoscianti viaggi verso le tenebre come nella seconda parte di “Epitome IV”, dove echi di musica drone, industrial, psichedelica, si fondono tutti insieme in un finale che odora di morte. La furia distruttiva e cacofonica del combo della Normandia, ritorna più disturbante che mai nella quinta traccia, prima della conclusiva ossianica “Epitome VI” che sancisce la grandezza, genialità, cosmicità ma soprattutto osticità di una band che potrebbe tranquillamente produrre la colonna sonora dell’apocalisse. Terrificanti! (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Prod.)
Voto: 85

Serj Tankian - Elect the Dead Symphony

#FOR FANS OF: Symphonic Progressive Rock
In the silence of a rainy morning, dim light coming out from the window, a stream of music came to envelop me. And slowly I realized that my heart beat was following the pulse of the music. That was the first time I heard the “Elect the Dead Symphony” by Serj Tankian. I mean, we all know him from System of a Down and I have always appreciated Serj for his uniqueness. But hearing this CD of 14 songs, re-orchestrated in order to be performed with the Auckland Philarmonia Orchestra, I was speechless. And that my friends, does not happen often to me! Starting with “Feed us”, Serj takes us into his magical universe. He has a voice that awakes the conscience and moves forward to the collective subconscious, disturbing the dormant hearts. You do not even perceive that there is a life audience, clapping and shouting. The magic continues throughout the whole CD. Constantly changing styles, without obviously being afraid of experimenting, Serj goes from oriental fairytales with “Blue” to war marches in “The Sky is Over”, to burlesque atmosphere with “Lie, Lie, Lie”. Serj really unravels his voice in this release, defending his title as one of the best vocalists of today and in the same time, he does not lack of condensed messages in every song. Politics, war, economy, environment and of course, love. You will find here the first played “Gate 21”, which for me is the top track of this CD, together with the lyric “Empty Walls”. In the end of the hearing, you will be left feeling like you are one of the crowd in Patrick Suskind’s novel “The Perfume”. You just want to tear him apart, to consume him, in the hope that you will make even a tiny piece of this musical genius, a part of you. Let him take you to that beautiful, heartbreaking, arousing journey of his. Listen to it without second thoughts and spread the word of Serj. You will thank me later, as I thank the one who first played this CD for me. Respect… (Sofia Lazani)

(Warner Bros. Rec)
Rate: 85

Irisblind - Archaeopteryx

#PER CHI AMA: Brutal Death, Avantgarde, Ved Buense Ende, Akercocke
Questo tiepido autunno, mi sta regalando delle interessantissime uscite discografiche: cosi dopo Deafheaven e Stielas Storhett, mi ritrovo a recensire l’elegante release della one man band inglese Irisblind, anche se si tratta in realtà di un lavoro uscito nel dicembre del 2010 e che solo ora giunge sulla mia scrivania. La direzione stilistica del combo inglese? Non è cosi facile da definire, in quanto dopo un intro alquanto inutile, si mette a viaggiare sui binari di un death avantgarde, che può rifarsi ai mostri sacri Ved Buens Ende, sporcato dalla malvagità del black metal e dalla brutalità del death made in UK. L’ideatore di tutto ciò? Tale Jonathan Mizzi, di chiare origini italiane, che fin dall’iniziale “The Beating of a Billion Locust Wings”, ne combina di tutti i colori per disorientare l’ignaro ascoltatore, con un sound che fa della disarmonia e delle trovare estemporanee, il suo vero punto di forza. E cosi mentre ritmiche brutal techno death (in stile Akercocke/Mithras) aprono “Spark The Nebula”, ci ritroviamo dopo pochi istanti ubriacati da un riffing nervoso, schizofrenico e dissonante, disorientati ancora una volta da una breve apertura ambient, dove un eco angelico corre in sottofondo, e la voce di Jonathan mischia un growling non troppo convincente a delle clean vocals altrettanto poco riuscite. Ma poco importa, perché quello che davvero sorprende è comunque il sound altalenante e frastornante di una band che probabilmente non ha ancora messo a fuoco il proprio obiettivo, una band dotata di enormi potenzialità, ma non ancora in grado di convogliarle nella giusta direzione. “Vacuum Decay” pesca il proprio disturbante suono da un death doom primitivo, aprendo poi con un favoloso e fluttuante intermezzo acustico, che si rifà inevitabilmente al sound degli Opeth di “Damnation”. Probabilmente in ambito estremo è rimasto ben poco da inventare, ma se utilizzare l’influenza dei vecchi maestri e riadattarlo in chiave moderna, può essere una strada, ben venga percorrerla. E cosi gli Irisblind giustamente fanno, muovendosi su coordinate di sicuro non cosi facilmente assimilabili, ma che comunque hanno il grande pregio di inoculare in chi ascolta un certo interesse. E se in alcuni frangenti si ha la sensazione di ascoltare un inusuale mix tra Morbid Angel e Opeth, in altri si fa largo lo spettro della tradizione British death doom che si unisce con l’avantgarde norvegese, un vero e proprio casino insomma! Peccato solo che la batteria sia frutto del cibernetico programming di Jonathan e che la produzione non sia proprio all’altezza, altrimenti il voto sarebbe stato senza ombra di dubbio, maggiore. Da sottolineare infine che il cd esiste in edizione limitatissima (240 copie), un digibox in tre differenti colori. Da seguire con attenzione l’evoluzione della band! (Francesco Scarci)


(Self)
Voto: 75

Root - Heritage of Satan

#PER CHI AMA: Black'n' Roll
Continua la politica infernale della polacca Agonia Records, dopo le release di Svarttjern e Acherontas ed in attesa di ascoltare il nuovo apocalittico cd degli Aborym, ecco tornare sulle scene i cechi Root, band storica del panorama metal europeo (la fondazione risale addirittura agli anni ’80), da sempre snobbati e sottovalutati dalla stampa. Ed ecco arrivare questo “Heritage of Satan”, che si apre con una voce narrante in un contesto da film horror, estremamente atmosferico ma da incubo. A ruota segue “In Nomine Sathanas”, song di 2 minuti che ha un che degli ultimi Samael e nel suo tribale finale, palesi riferimenti alla ritmica dei Rotting Christ. Dopo questo inno a Satana, rimango ancor di più spiazzato con la seguente “Legacy of Ancestors”, pezzo retrò che puzza clamorosamente da birrerie tedesche e di sonorità black’n’roll (avete presente i Phazm?), con una chitarrismo solista ispirato, ma tipico degli anni ’80; non mi piace l’atmosfera da bar che si respira, ma il lavoro delle chitarre mi fa impazzire, cosi come pure in “Revenge of Hell”, dove quello che ascoltiamo sembra più un heavy/glam piuttosto che black metal, se non fosse per quei vocioni gutturali accompagnati da un ridicolo chorus baldanzoso. Un finale acustico ci introduce a “Darksome Prophet”, finalmente una song con i controcoglioni, capace di spaccare le ossa per il suo incedere al limite tra thrash e black: peccato solo che il problema della band sia a mio avviso a livello del cantato, non che non mi piaccia la voce di Big Boss, ma non tollero il suo modo di cantare, cosi obsoleto, cosi teutonico, cosi retrò. Va beh, proseguo e mi imbatto in “Fiery Message”, la song che stravolge il voto al ribasso che volevo dare all’album: aura magnetica, atmosfere ipnotiche, chitarre soliste da urlo e finalmente delle vocals che mi catturano e non mi infastidiscono, si decisamente il mio pezzo preferito che rivaluta enormemente questo “Heritage of Satan”. Dopo l’esaltazione, il livello qualitativo del disco si assesta su dei livelli medio alti, anche se in “Son of Satan”, non capisco che cosa ci stia a fare la voce baritonale; ma si sono bevuti il cervello? Nonostante le ritmiche viaggino ai mille allora, la band ha pensato bene di piazzarci delle vocals che centrano ben poco nel contesto musicale. Si va verso la fine di questo controverso lavoro ed è lecito attendersi ulteriori sorprese, non lo nascondo e cosi è in effetti perché “His Coming” ci mostra il lato più doomish della band della Repubblica Ceca, con un risultato davvero notevole, mentre “Greetings from the Abyss” pur aprendosi come un uragano grind, sembra più un pezzo punk che altro, che casino. Giungo alla fine di questo cd, che sono frastornato dalla quantità di materiale messo in piazza dai Root, segno che la band dopo decenni di gavetta, ormai fa quel diavolo che vuole, fregandosene di tutto e tutti e “The Apocalypse”, l’ultima track del disco, riassume esattamente lo spirito di questa nuova release, infarcendo la song con tutto quanto di pazzo e sconsiderato abbiamo ascoltato fin qui. Arrivo alla fine dell’ascolto del cd e non so neppure come giudicarlo questo lavoro, tale e tanto incasinati sono i suoi contenuti; se anche voi siete dei ribelli come i Root, questo potrebbe essere il disco che fa al caso vostro. Chi ha coraggio di rischiare si faccia avanti, gli altri vigliacchi girino i tacchi perché come si chiude il cd “Ladies and Gentlemen: Here come His Dark Majesty, Satan”, ci troviamo al cospetto di su maestà, Satana. Pericolosi! (Francesco Scarci)

(Agonia Records)
Voto: 75

*Shels - Plains of the Purple Buffalo - English

#FOR FANS OF: Post Rock, Progressive, Tool, Isis, Mogway
I was waiting for them, I do not hide it. The *Shels are certainly one of the most interesting truths within the worldwide post rock and with this "Plains of the Purple Buffalo," they come brilliantly to finish their second album, after the excellent results of "Sea Of The Dying Dhow" and the fantastic EP "Laurentian's Atoll", not to mention the almost impossible to find "Wings for Their Smiles". Yes, in short, I start not being very impartial, I realize that, but when I hear certain sounds echoing from my stereo, I cannot wait and I feel the obligation to tell to the world that they are missing something beautiful, yes beautiful, very banal word, but here with a certain impact. The new CD of these crazy (Anglo)Californians contains pure poetry in its notes and in the 76 minutes contained in this release, they will catapult you into another planet, a world hidden even in the wonderful cover of the CD, where a herd of purple buffalos, run on a stylized background. Brilliant, I can not find other words to describe the proposal of this U.S.’s band. And the music, you'll wonder, as I continue to write about everything and more, leaving out the most important part of this product, how is it? Vibrant since the initial notes of "Journey to the Plains," which opens the journey in dreams dyed purple, of these kids. And then, a crescendo of emotions, a progression of sounds that, starting from the tradition of post-rock sacred monsters such as Godspeed You! Black Emperor, stretches its proposal through 13 succulent chapters, consecrating the * Shels, between the musical entities of the most remarkable personality and originality. The music, as in other works, has the lion's share, with long, sometimes very long cavalcades, where the psychedelic merges with post-rock ('70s-derived), rarely exploding in a more metal outburst, where even the wildest voice manages to find space. But soon, an ambient interlude or an acoustic piece will enable you to catch your breath, to lay back on your chair and to relax again, with sounds typical of the genre, here constantly of considerable thickness, enough to push me so high with the voting. If your minds are gifted with a musical flexibility, you have to grab this rare pearl, which might otherwise be confused in the chaos of useless record releases that are destroying the planet. Give up buying a disc of thrash or death for one month and for once, put yourselves at stake, put your musical tastes at stake, your beliefs and surrender to the overpowering collective creativity of this remarkable artists, you will not be disappointed those of you who listen to black metal, progressive, thrash, or gothic. The content of «Plains of the Purple Buffalo» is something that goes beyond the normal conception of music, and only the great artists are able to conceive. Wanting to make a comparison with the previous proposal of the combo, their sound, retains its fundamental strength, however, abandoning the unnecessary escapes in metalcore. Here you will only find crystalline class, an industrial quantity of instrumental parts, where the voice is left in the single instruments (and for someone like me who do not particularly like the lack of voice, I guarantee you that it was a big surprise), splendid vocal performances. Difficult to describe a song rather than another, I would like to tell you that I like them all, from the mad title track (part 2) to the melancholic "Vision Quest", the work presents super attention to detail, in the arrangements, in the technical expertise, in taste for the melodies, in the dreamy parts and in the more dark and angry parts. *Shels, the breath of fresh air that I was waiting, a shock to the metal world trapped in quicksand, a push to all the useless trends of the moment, an incredible journey into unexplored yet territory in rock music. Unique and inimitable! (Francesco Scarci - Translation by Sofia Lazani)

(Shels Music)
Rate: 90

domenica 6 novembre 2011

On a Bridge of Dust - Facing The Opposite - English

#FOR FANS OF: Alternative, Post Rock, Rock, Progressive
Reviewing an Italian band always puts me in a good mood and if the work is also well made, the day can only be positive. Our quartet from Verona comes up with this "Facing the Opposite" going to write an interesting chapter with regard to the alternative rock / progressive metal of our home. Of course, along the nine tracks you can hear the strong "Tooliane", influences but the well chosen melodic passages and a manual technique, makes you to appreciate this excellent album. The recording quality pre-and post-production are on a professional level, the same applies to the arrangements that will never be unpredictable and genius, but give continuity to the composition. The CD opens with the "Recurring Fault" which after a short guitar riff as an intro, immediately follows a combining powerful bass line and strong drums that sound good together in unison. "Reckoning" has an epic beginning, focused on the drums and guitars more open and stretched, but the riffs that distinguish the Bridge arrive at once, weaving a tight mesh that captures the mind and brings you to swing your head to the rhythm. Really beautiful, and personally I consider this the main title of the album. I had already appreciated "Barren Moor" in the previous EP, but even more in this new recording the melancholy of the track is alive until the end. Perhaps this is the most instrumental piece of the entire album. The album closes with "Outcast", which has one of the few main clean riffs in this release, which creates a psychedelic post-rock atmosphere, like Explosions in the Sky. But the trademark of the following closely riffs arrive as usual and bass / drums as a worthy accompaniment to the whole, even if they could easily steal the stage for how well they are designed. As mentioned, the recording quality is excellent, but particularly on the guitars a meticulous work was made. I can imagine the hours spent in finding the right settings but it was worth it, hearing the distortion so realistic and warm is a pleasure to my ears, clogged by so many cold and sterile sounds these days. Of course, bass, drums and vocals were not neglected; remain in the middle (high). If I may make a note to the Bridge, is about the voice. Certainly the singer is not that gifted to make you tear your hair out, but perhaps by knowing his limits, makes a careful use of his voice, without exaggerating, and blends perfectly with the idea of ​​all the pieces. If the choice to play guitar and sing at the same time was made in order not to introduce another element to the formation, I totally agree (and understand) the choise of Bridge. It is difficult to create a harmony so perfect and to be able to maintain it. Well done, congratulations On the Bridge of Dust who are well appreciated in live also, while maintaining always a humble and friendly attitude. I would need more bands like this… (Michele Montanari - Translation by Sofia Lazani)

(Self)
Rate: 80

sabato 5 novembre 2011

Blank - Artificial Breathing

#PER CHI AMA: Electro, EBM
In una parola? Spacca! Il debutto dei Blank spacca davvero e lo dico con grande soddisfazione, dal momento che, tra le varie uscite discografiche electro del 2004, "Artificial Breathing" era per me una delle più attese. Già in occasione della pubblicazione del singolo "Overhead" mi espressi in termini entusiastici sul talento di questi due ragazzi e ora non posso fare altro che confermare quelle parole e, se possibile, rimarcare con maggior convinzione le formidabili doti del duo parmense. Non c'è dubbio, con "Artificial Breathing", i Blank superano di gran lunga le aspettative createsi nei loro confronti dopo l'ascolto del singolo apripista e si affermano a pieno titolo come la realtà più valida del panorama electro/EBM italiano, affiancandosi (e senza sfigurare affatto) ai nomi più illustri della scena alternativa internazionale. Con la pubblicazione del loro primo album, theMaze e derMate riescono in un intento non facile: dare alle stampe un "prodotto" esportabile, un album che finalmente non abbia nulla da invidiare alle produzioni straniere e che dunque possa stabilire un valido precedente per la vivace scena elettronica della nostra penisola. Grande gusto nelle linee melodiche e capacità straordinaria nel legare ritmi danzabili ad un flusso di beat dinamico e trascinante: così potrebbe essere riassunta in poche righe la musica contenuta nell'album. Peccato che questa descrizione non dia la minima idea di quanta energia i Blank riescano a trasmettere attraverso i dieci brani di "Artificial Breathing"! Difficile rimanere indifferenti alla carica di "Visual Overflow", impossibile non farsi coinvolgere dal suo ritmo incalzante e non lanciarsi in una danza sfrenata. Sì, perché quest'album possiede un enorme potenziale se inteso come collezione di hit per il dancefloor e vi assicuro che persino nell'intimità del vostro ascolto in cuffia non resisterete alla "voce" del vostro corpo, che vi chiederà di scatenarvi e lasciarvi andare! Attenzione, non solo un disco da ballare, ma da ascoltare dieci, venti, cento volte tra le propria mura, per sorvolare idealmente gli spazi luminosi tracciati dai synth e immaginarsi in un'eccitante fuga verso un futuro ignoto. Anche le tonalità afone di theMaze diventano ben presto il tratto più intrigante e distintivo dei Blank, tant'è che ancor prima di aver terminato l'ascolto dell'album ci si scopre già innamorati di quel particolarissimo modo di cantare. Non finisce qui! L'attacco di "Untouched" e la stupenda "Mutant Engine" lasciano con la voglia irresistibile di assorbire dal vivo l'energia di questi pezzi, perciò si tratta solo di sperare che in futuro non manchino le occasioni per vedere il duo in azione. Fan e promoter avvisati! (Roberto Alba)

(Artoffact)
Voto: 80

Acherontas - Vamachara

#PER CHI AMA: Black ritual, occulto, ellenico
L’incipit di questo cd mi ha fatto respirare quei vapori tipici di zolfo di primi anni ’90 che contraddistinguevano quasi tutte le release provenienti dalla Grecia (Varathron, Rotting Christ, Thou Art Lord, Zemial, Rex Infernus, Septic Flesh) e quell’odore acre di zolfo, emerge preponderante anche nell’intro infernale di questo “Vamachara”, album neanche a dirlo, ad opera di un’altra band greca, gli Acherontas. Certo siamo lontani anni luce dai tempi di quelle mistiche, quasi ritualistiche release assai peculiari della scena ellenica, tuttavia qualcosa è rimasto anche nel sound di questo quintetto ateniese che con questo “Vamachara” arriva al terzo album, dopo una serie interminabile di Split cd. Quello che balza all’occhio guardando la biografia è che l’act greco non è formato certo da degli sprovveduti, ma da gente che ha alle spalle anni e anni di militanza con altre formazioni e l’esperienza fin qui maturata, si esplica nelle note di questo lavoro. Occultismo, misticismo e spiritualità continuano ad essere i temi portanti delle liriche della band, mentre, per ciò che concerne la musica, ci si muove in territori palesemente black fin dalla prima vera traccia “Blood Current Illumination”: una sfuriata di sette minuti che sembra provenire direttamente dall’inferno, e suonata da Satana in persona, anche se negli ultimi tre minuti della song mi sembra di percepire qualcosa di nuovo (o meglio preso in prestito dai francesi Glorior Belli), ossia quella sorta di southern black and roll che ritornerà anche nelle successive songs. È forse questa la novità degli Acherontas targati 2011? Non so, quel che è certo è che anche “Abraxas” (che non può che ricordarmi Dylan Dog) viaggia sulle stesse coordinate stilistiche, questo black occulto, sporcato da sonorità più legate alla musica southern blues che al black. Non so se sia l’effetto di grandi quantitativi di whiskey assunti, ma la band greca, con questa nuova fatica, prende un po’ le distanze dalle precedenti release e si lancia verso nuovi stilistici. Ovvio, non ci sono stravolgimenti totali nel sound della band, la furia iconoclasta che da sempre contraddistingue la band, continua a rimanere, anzi, man mano che si avanza nell’ascolto del cd, sembra ritornare più forte che mai. Mi lascia alquanto perplessa la produzione del cd, che penalizza il suono della batteria che risulta assai ovattato, mentre le chitarre mantengono il loro riffing tagliente, di chiara derivazione scandinava, anche se attenzione perché il solo della title track sembra più di matrice heavy metal che di musica estrema, neppure ci fosse Adrian Smith alle sei corde. Sono disorientato dall’inizio (anzi dall’interezza) di “Ohm Krim Kali”, song che si rifà sicuramente alla tradizione ritualistica indiana: sembra quasi di fronte alla celebrazione di una morte sulle rive del fiume Gange (o forse siamo sulle sponde dell’Acheronte e non ce ne siamo ancora accorti). Si prosegue e la ferocia del combo greco torna a prevalere con una song mortifera, prima della lunga (11 minuti) e conclusiva “Drakonian Womb”, che ci conduce lentamente verso le viscere più profonde della terra, là dove le anime bruciano per i loro peccati, là dove siede il signore delle tenebre, là dove la colonna sonora non può essere che quella degli Acherontas… Mefistofelici! (Francesco Scarci)

(Agonia Records)
Voto: 75

Svarttjern - Towards the Ultimate

#PER CHI AMA: Black Death Moderno
Devo essere sincero, di primo acchito questo album non mi diceva nulla di che: le solite schitarrate brutali e finita li. L’ho ripreso in mano per dargli una seconda chance; insomma mi sembra strano che dalla Norvegia esca qualcosa di assai anonimo, e ho provato ad aprire maggiormente il mio cuore, oltre alle mie orecchie; cosi dopo i lamenti dell’intro iniziale, ecco che mi lascio investire dal glaciale vento del nord (che in questi giorni sta flagellando anche la nostra penisola) di “Hellig Jord” e un po’ mi sono dovuto ricredere. Scrivo un po’, perché in effetti la band di Oslo, a parte mostrare una costante brutalità di fondo fine a se stessa, basa il proprio sound su sfuriate iperveloci di death/black, in cui il quintetto si diletta a torturarci con pesantissimi ritmiche e costanti blast beat; tuttavia, ogni tanto la furia ancestrale viene placata e lascia il posto ad un sound mid-tempo di spessore granitico, ma non illudetevi troppo, perché si tratta solo di rari sprazzi di quiete prima della classica tempesta tonante pronta a deflagrare all’interno delle casse del vostro stereo. E cosi, i singoli episodi di questo “Towards the Ultimate” scorrono via via, l’uno dopo l’altro, senza che si memorizzino nella nostra testa, ma fungendo semplicemente come pura valvola di sfogo adrenalinica, dopo una dura giornata di lavoro. Forti di una eccellente produzione, che rende assai corposo il loro sound, altrettanto preparati da un punto di vista tecnico, ma ancora abbastanza statici e poco propositivi da un punto di vista di sperimentazione, gli Svarttjern, finiscono in quel calderone di band senza parte né arte, bravi si a far del male, ma che ben presto finiranno nel dimenticatoio per non aver certo concepito un album memorabile, ed è proprio un peccato, perché a mio avviso le potenzialità per fare bene ci sono eccome, perché in una song come “Aroused Self-extinction” si intravede anche un briciolo di sperimentazione a livello vocale dove lo screaming eccellente di HansFyrste, si tramuta in una cantato cibernetico, ma è solo un altro frammento di quello che poteva essere questo album, il classico ago nel pagliaio. Anche in “I AM the Path part II”, oltre alla cruda e pura violenza, completamente scevra di melodie (se non in taluni rari frangenti), c’è un tentativo di personalizzare il proprio sound con un qualcosa che sembra esulare dal black primordiale dell’act scandinavo, ma purtroppo l’esperimento viene immediatamente naufragato. Insomma, tante possibilità di scrollarsi di dosso il fatto di essere una band come mille altre, che propone sì un moderno black metal, ma ahimè tutte sciupate o abortite sul nascere. Da risentire con un prossimo album, dopo attenta riflessione (da parte della band però)! (Francesco Scarci)

(Agonia Records)
Voto: 65

Abstract Spirit - Horror Vacui

#PER CHI AMA: Funeral Doom
In fatto di gusti musicali mi ritengo una persona fortunata. Ho maturato, con il tempo, un’attenzione quasi maniacale verso gli aspetti più prettamente spirituali della musica, in ogni loro incarnazione. Dico questo perché sono giunto alla conclusione che quasi esclusivamente il genere doom, nelle sue molte derivazioni, è riuscito a imprimere il suo stigma universale nel profondo dei cuori di molte creature, affascinate da un suono che punta quasi ad un’illuminazione mistica. “Horror Vacui” ne è l’esempio: squarcia di netto il confine tra reale e irreale, distrugge il senso di comprensione, isola dai nostri simili. Le sette tracce di questa formazione russa rappresentano a tutti gli effetti ciò che un ascoltatore degno di questo nome si può aspettare da un full-length totalmente funeral doom. Compaiono certamente le tastiere, magistralmente non invasive, che non si arrogano nessun diritto di prima linea e attenuano un pressante senso di panico che pare incombere all’orizzonte. L’epico suono delle trombe dirige una marcia funebre cosmica accompagnato da litanie da cattedrale sconsacrata (ricordo “Until death overtakes me”). Le voci si alternano, a seconda dell’andamento, in growl (lento), sospiri (sottofondo), urla maniacali (stacco di tempo e cambiamento di riff). Sebbene la registrazione pesante accentui la compressione delle chitarre, la direzione verso cui punta la band è decisamente legata ad interessi atmosferici. Non lo considero come un equilibrio di causa-effetto, ma di sicuro un motivo ci sarà se sei tracce su sette superano i dieci minuti. Eh si, devo ripeterlo ancora una volta, perché è fondamentale: “Horror Vacui” è un viaggio nelle regioni più remote dello spirito nella comune tradizione ‘funeral’, un viaggio da affrontare da soli e tutto d’un fiato. L’ascolto ripetuto può avere conseguenze fisiche, quindi fate attenzione. Un momento topico di questo incubo nero lo troverete nella seconda traccia, “Post Mortem”, sintesi di quello che dovrebbe essere un caposaldo del genere. Solitude Productions… La mia etichetta perfetta… (Damiano Benato)

(Solitude Productions)
Voto: 75
 

Consummatum Est - Hypnagogia

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Shape of Despair, Pantheist
Ancora Silent Time Noise Records, ancora funeral doom e il binomio continua a funzionare alla perfezione. Fa un po’ specie però che sotto l’etichetta russa ci sia questa volta una band italiana, ancora a dimostrare che nel nostro paese ci sia una grande paura ad investire nelle band underground e che alla fine il nostro prodotto debba essere sempre e comunque sdoganato. A parte le mie solite lamentele nei confronti delle scelte delle label italiane, mi abbandono immediatamente alla disperazione che questa release ha la capacità di infondere sin dalle sue note iniziali. Dicevamo all’inizio del funeral doom e qui, devo ammettere, c’è n’è in quantitativi esagerati, a partire già dalle durate non indifferenti dei quattro brani, che si assestano costantemente sui 12 minuti. Lunghe suite fatte di minacciose e opprimenti melodie, un macigno che grava pesantemente sul mio sterno. “Dolls and Ravens” apre sinistra, con grevi e lentissime ritmiche, un growling profondo (quello di Haemon), controbilanciato dal brillante lavoro ai synth di Vastitas e dalle vocals del soprano Tori. L’incedere è tetro, fangoso, una vera marcia funebre, che prosegue anche con la successiva “Hypnagogic Prospectus”: qui non c’è spazio a dinamiche cavalcate, non c’è un filo di luce nella musica dei Consummatum Est, non c’è alcuna soluzione sorprendente, ma solo tanta e profonda tristezza, enfatizzata mortalmente dalla musicalità solenne dell’organo a celebrare la fine, cosi come ad annunciare la fine arriva la campana a risuonare nel bel mezzo della seconda traccia. Mi ritrovo al terzo brano, l’omonima “Consummatum Est”, e scopro che compare come guest vocal, Greg Chandler degli Esoteric, e che la musica dei nostri, non si discosta poi più di tanto dai dettami dei grandi maestri del genere. Ovviamente, ascoltando “Hypnagogia”, i nomi che vengono alla mente sono sempre gli stessi, con Pantheist ed Shape of Despair in testa, senza dimenticare Evoken o Skepticism, tuttavia il sestetto laziale lascia intravedere anche una propria definita personalità, che si esplica soprattutto nell’utilizzo delle keys e delle voci femminili, alquanto rare in altre band funeral recensite sino ad oggi. La terza traccia è forse quella che preferisco in assoluto, quella che, sebbene più lunga, mi si imprime nel cervello per varietà (da non sottovalutare anche l’inserto folk della conclusiva “Vertebra”), per l’oscuro terrore che è in grado di inocularci, per le sue tenui atmosfere, e quel delicato utilizzo del pianoforte sempre accompagnato dall’angelica voce di Tori che va ad addolcire il growling di Haemon e lo screaming sgraziato di Moerke, tutti elementi che alla fine riescono a coesistere in un’innata armonia di fondo. E tutto ciò rivela il lavoro apprezzabile fatto dalla band, in quanto non è cosi semplice sostenere tempi ultra slow per una quindicina di minuti, senza correre il rischio di sfiancare fino ad annichilire l’ascoltatore e perdere pertanto di interesse. Gli intelligenti arrangiamenti, l’ardua ma azzeccata convivenza tra classicismi e funeral doom, tra momenti di inesplicabile pathos e drammaturgia, insomma i nostri sono riusciti nell’intento di far coesistere tutto questo e se non si è padroni dei propri strumenti o non si ha una certa personalità, vi garantisco che tutto questo non sarebbe possibile. Un plauso va dunque alla proposta degli italianissimi Consummatum Est, rara creatura di musica funebre presente anche nella nostra penisola. (Francesco Scarci)

(Silent Time Noise Records)
Voto: 75