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Visualizzazione post con etichetta Debemur Morti Productions. Mostra tutti i post
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sabato 12 ottobre 2024

Light of the Morning Star - Wings in the Night Sky

#PER CHI AMA: Dark/Gothic
Partiti nel 2016 dalla Iron Bonehead Productions e approdati nel 2021 alla Debemur Morti Productions, con l'album 'Charnel Noir', fanno ritorno sulle scene gli inglesi Light of the Morning Star con un 12" di quattro brani nuovo di zecca intitolato 'Wings in the Night Sky'. Le danze si aprono con il classico sound dark/goth che aveva contraddistinto la band sin dagli esordi. "Night Falls" irrompe con un buon refrain di chitarra e dei rallentamenti che fanno posto ad atmosfere (e liriche) vampiresche, con la voce necromantica del frontman a suggellare la prova. Niente che non abbiamo già sentito, sia chiaro, soprattutto se pensiamo che da UK arrivano proprio i paladini del genere, i Fields of the Nephilim, però, per chi dovesse sentire la mancanza di Carl McCoy e soci, potrebbe rivolgere il proprio sguardo, ma soprattutto il proprio orecchio al duo londinese, capitanato da O-A e JSM. E anche la ancor più apocalittica "Burial Chamber Cold", non fa che confermare questa mia sensazione. Ben più dinamica invece la terza "Phantomlights", almeno fino a quando il vocalist inizia a sussurrare e lasciare che la sola batteria ne accompagni gli spettrali vocalizzi. La traccia comunque inizia a ingranare con le sue melodie e un incedere che sembra evocare le cose più veloci dei My Dying Bride. Breve ma ficcante. In chiusura, "Aura" è la traccia più lunga del lotto, e fedele anche al suo titolo, sembra voler incarnare un'aura più sinistra, grazie a un'apertura ancor più sofferente, drammatica, e dotata di una teatralità eloquente che catalizza su di sé tutta l'attenzione di chi ascolta, lasciando ai minimalistici suoni e tocchi di synth in sottofondo, solo le briciole. Ma anche qui il brano va crescendo in una musicalità obliqua e sospensiva, atta a creare una certa inquietudine e apprensione di fondo. Insomma, un buon pezzo per un lavoro che non fa altro che accrescere il desiderio di ascoltare il duo britannico su lunghezze ben più rilevanti. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2024)
Voto: 70
 

martedì 14 marzo 2023

The Lovecraft Sextet - Black†White

#PER CHI AMA: Jazz/Black
Pronti alla follia? Lo siete davvero? Ad accompagnarci in un turbinio sonoro ci pensa il polistrumentista olandese Jason Köhnen, supportato nuovamente dalla Debemur Morti Productions dopo lo straripante lavoro dello scorso anno, intitolato 'Miserere'. Per chi non conoscesse l'artista tulipano, si tratta di un ex membro dei The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, e come si evince dal moniker della band, il musicista non cela di certo il proprio amore per il jazz. In questi The Lovecraft Sextet, Jason non si tira certo indietro continuando ad esplorare i meandri del jazz, qui abilmente miscelato a black e avantgarde. Quello che vi dò in pasto oggi è solo un assaggio delle potenzialità dei nostri, trattandosi di un 7" di un paio di pezzi, "Black" e "White" appunto. Si inizia con il classico sax in sottofondo, quello di Colin Webster, che ci mette a proprio agio su un drappeggio tipicamente jazzy, per poi scaricarci addosso una brevissima colata di liberatorio black metal, prima di nascondersi nuovamente in deliranti sperimentazioni dark avanguardistiche. Peccato solo che manchi qualche voce oscura, in sottofondo avrebbe reso tutto ancora più interessante e contrastato. Giriamo lato al dischetto ed ecco "White": le atmosfere ipnotiche e surreali del duo dei Paesi Bassi proseguono nei primi 120 secondi del pezzo per poi dar nuovamente sfogo ad una cacofonica forma musicale che potrebbe rievocare i Naked City del buon John Zorn, per un buon giro d'orologio a dir poco sconvolgente che vi lascerà inermi e senza parole fino alla fine. Potenzialmente i The Lovecraft Sextet sono assai pericolosi, un peccato solo che il 7" duri cosi poco. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2023)
Voto: 75

https://thelovecraftsextet.bandcamp.com/album/black-white

giovedì 9 settembre 2021

Aara - Anthropozän

#PER CHI AMA: Black melodico
'Anthropozän' è uscito originariamente nel 2019 come release esclusivamente digitale. Forti di un accresciuto interesse nei confronti del combo elvetico dopo lo strepitoso 'En Ergô Einai' dello scorso anno e l'altrettanto buono 'Triade I: Eos' di quest'anno, la Debemur Morti ha pensato di rilasciare questa release in un elegante 7". Un brano per lato: la corrosiva ed introspettiva "Anthropozän 1" sul side-A che si muove tra scorribande black e frangenti più atmosferici, dove a mettersi in mostra sono quelle riverberanti e melodiche linee di chitarra che sferrano attacchi all'arma bianca. Più compassata, almeno nei primi secondi, "Anthropozän 2", visto che si lancerà da li a breve in un vorticoso ed intrigante giro di chitarre, sopra il quale si palesa la caustica voce urlata di Fluss. Poi un break, il suono di un temporale, a stemperare le sferzanti ritmiche infuocate imbastite dal duo svizzero, prima di ripartire impetuosi più che mai e senza pietà. Splendida la melodia palesemente derivante dalla musica classica che va a chiudere il brano e sancire che gli Aara sono una di quelle realtà della new generation, da tenere assolutamente in considerazione. (Francesco Scarci)

White Ward - Debemur Morti

#PER CHI AMA: Post Black Sperimentale
La Debemur Morti ha affidato l'arduo compito agli ucraini White Ward di celebrare con una loro uscita discografica, la duecentesima uscita dell'etichetta francese. Autori di due eccellenti album negli ultimi quattro anni, i sei ucraini rilasciano questo 'Debemur Morti', che affida alla title track in testa all'EP la missione di aprire le danze del qui presente. E la compagine conferma sin dai primi secondi le proprie qualità con quelle trame di piano e sax che avevo amato alla follia in due brani di 'Futility Report', ossia "Deviant Shapes" e "Stillborn Knowledge". Proprio da quelle sonorità nascono e crescono le melodie dell'act di Odessa che nei nove minuti dell'opener, ha modo di abbracciare black metal, sonorità progressive di scuola Ne Obliviscaris (anche a livello vocale) e suggestivi mondi sperimentali di scuola Ulver, per una song che potrebbe affiancarsi per bellezza e intensità, alle due canzoni sopra citate. E poi attenzione alla guest star dietro al microfono, ossia Lars Nedland (Borknagar, Solefald) che sfodera una prova strepitosa che innalza ulteriormente il livello qualitativo di un pezzo che ha ancora modo di lanciarsi in una portentosa ed epica cavalcata conclusiva che peraltro carica ancor di più di aspettative la successiva "Embers". Da applausi comunque. Ancora pianoforte e sax a braccetto per i primi quattro minuti della seconda traccia, con forti richiami che mi conducono a 'Blood Inside' degli Ulver, prima che sciabolate di post-black nudo e crudo vengano propagate in modo più o meno intermittente nei restanti quattro giri di orologio di una release che ha il solo difetto di durare troppo poco. (Francesco Scarci)

giovedì 2 settembre 2021

Kryptan - S/t

#PER CHI AMA: Black/Death
Chissà per quanto tempo ce li porteremo avanti gli effetti dettati dal Covid-19, non solo in termini clinici ma anche musicali. Non poteva rimanere immune a tale situazione un personaggio sensibile come Mattias Norman, ex bassista dei Katatonia, che da quell'evento ha maturato l'idea di fondare i Kryptan, oscuri portatori di black metal della vecchia scuola scandinava. Solo quattro i pezzi a disposizione per il mastermind svedese, sufficienti però a sviscerare in una ventina di minuti, il desiderio di Mattias di riproporre quelle sonorità maestose e taglienti che hanno reso grandi gente del calibro di Dissection, Lord Belial o Naglfar, questi almeno i primi nomi che mi sono venuti in mente. Si parte dalle vorticose ritmiche di "A Giant Leap For Whoredom" e si percepisce forte quell'assonanza musicale con i maestri svedesi, complici urticanti melodie corredate dallo screaming efferato di Alexander Högbom. Interessanti, ma francamente nessuna ragguardevole idea da aggiungere ad una scena un po' stantia. Ci si riprova con la martellante "Bedårande Bran" dove questa volta ci sento un che di Unanimated e Sarcasm nell'icnipit, mentre in quelle feroci e veloci, emerge un che dei Marduk e in quelle più atmosferiche, cenni dei primissimi Dimmu Borgir quasi a rendere omaggio a tutti i mostri sacri degli anni '90. "Blessed Be The Glue" evoca il black norvegese degli Immortal, in particolare di un brano come "Blashyrkh", tra epiche galoppate black e assalti thrash metal. Tutto molto bello ma sentito milioni di volte. In chiusura l'inequivocabile "Burn the Priest", un brano che avrebbe potuto tranquillamente stare su uno degli ultimi lavori degli Anaal Nathrakh, per un attacco finale all'arma bianca. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2021)
Voto: 70 
 

domenica 2 febbraio 2014

Monolithe – Monolithe III

#PER CHI AMA: Funeral doom, Ea, Shape Of Despair
Guardate, su in cielo! E' un uccello! E' un aereo! NO, è funeral doom metal!!! … in realtà no, o meglio, non solo, o non più. Insomma, chi di voi vede nel ramo funereo del metal la propria via, sicuramente conoscerà le gesta dei quattro ragazzi francesi noti come Monolithe, mostri lenti e cavernosi che ci hanno abituati a sberle colossali di musica lugubre, interminabili suite della durata di poco inferiore all’ora. Ebbene, in questo terzo lavoro inteso come full-lenght la formula si ripete, con ben 52 minuti di canzone. Ecco, i paragoni e le affinità con gli album precedenti, a mio parere (e per quel che può valere), si esauriscono qui. Voglio essere onesto: non ho mai ben sopportato i dischi marcati Monolithe, i quali peccavano di prolissità ed eccessivo carattere monocorde nelle composizioni e nel mood, togliendo il fiato più che altro per sfinimento che per vera bellezza degli arrangiamenti. Certo, il funeral in parte si caratterizza proprio da questa tendenza a mantenersi e ripetersi nel suo incedere, appunto come una marcia funebre, un carrozzone che procede a passo d’uomo stanco e azzoppato, e guai se non fosse così… ma questo può rappresentare anche un rischio, la solita lama a doppio filo. Tenendo presente il fatto che questo disco, targato 2012, in realtà doveva uscire già nel 2008, a soli 3 anni di distanza dal precedente 'Monolithe II' (tralascio per semplicità i vari “Interlude”), viene da pensare che sia stato rimaneggiato parecchio, ed in meglio! Se la matrice doom permane (per grazia di Dio), il carattere dei Nostri è sicuramente mutato e maturato, incorporando molti elementi diversi, ribilanciando la pesantissima componente funeral e stemperandola con inserti al limite della psichedelia e, per certi versi, orientati verso il nuovo modo di intendere il black nelle sue aperture più melodiche e rallentate. Poco spazio è lasciato alla voce in growl, ma senza che rimanga nessun vuoto, in quanto è intesa al pari degli altri strumenti ed usata come tale. Pregevolissimo il lavoro delle tastiere e del programming, indispensabile per ottenere l’effetto “sguardo al futuro” ricercato dalla band; le chitarre mantengono il loro stile ben noto nello sviluppo dei vari riff, sporcandosi maggiormente rispetto al passato e assumento quindi sfumature più corpose, ma d’altro canto rappresentando forse l’ultimo vero legame con il precedente periodo; bene la sezione ritmica. Siamo onesti, recensire questo disco a più di un anno dalla sua pubblicazione comporta scrivere di un lavoro già analizzato e sviscerato in altre sedi, e risulta più difficile in quanto si può incorrere nel rischio di ripetere concetti già detti e noti. In questo caso, tuttavia, mi sento assolutamente in buona fede nel (ri-)affermare che il vero tallone d’Achille di 'Monolithe III' è rappresentato dal rimasuglio di cordone ombelicale che lega i ragazzi francesi al loro passato: non si può parlare ancora di capolavoro, ma la strada è giusta e paga, basta solo un po’ di coraggio in più. Per concludere, un mio piccolo consiglio: riascoltate (e se non conoscete, recuperate) i due precedenti full-lenght, quindi passate a questo terzo capitolo, in modo da assaporare il notevole salto di qualità. Per completezza ed onestà si fa presente che lo scorso anno la band ha pubblicato il quarto album, non considerato in sede di questa recensione… a tal proposito, si spera di rivedersi a breve su queste pagine! (Filippo Zanotti)

(Debemur Morti - 2012)
Voto: 75

https://www.facebook.com/monolithedoom

mercoledì 19 dicembre 2012

Blut Aus Nord - 777 Cosmosophy

#PER CHI AMA: Black Psichedelico
E il triangolo si chiude, si il triangolo magico che si era aperto un anno e mezzo fa con “777 - Sect(s)”, era proseguito con “777 - The Desanctification” ed ora trova la sua degna conclusione con “777 - Cosmosophy”, a chiudere la trilogia mortifera di una delle mie band black preferite in assoluto (se ancora possiamo definirli in tal senso). La band transalpina torna con un altro eccellente lavoro, in cui Vindsval e soci, giocano a portarci al culmine della follia, non tanto per l’utilizzo di ritmiche funamboliche o incontrollabili, da cui anzi siamo lontani anni luce, ma grazie ad una personalissima visione musicale. Il “Sangue dal Nord” ancora una volta ci prende per mano, trascinandoci nel proprio personalissimo incubo, fatto di melodie stranianti, disarmoniche e che non fanno parte affatto, di questo mondo. Spiritualità, esoterismo ed ascetismo, rappresentano ancora le chiavi di lettura per il nuovo lavoro dei Blut Aus Nord ed “Epitome XIV” ne è la prima esaltante testimonianza: una musica aliena, sensuale, sognante ed infine disturbante, il cui finale, è affidato ad un sorprendente climax ascendente fatto di alchimie misteriose, che mi regala uno degli attimi, musicalmente parlando, più intensi e vibranti della mia vita. Estasiato da questa visione, e corrotto dalla successiva “Epitome XV” e del suo cyber noise, mi lancio all’ascolto della maligna ed oscura “Epitome XVI”, che sembra voler ricalcare la produzione più tenebrosa del trio francese. Ci pensa poi la splendida ed eterea “Epitome XVII” a riconsegnarmi quella pace che pensavo perduta per sempre. In questo caso, i nostri sembrano orientare il loro sound alle ultime performance dei norvegesi Manes, con suoni cristallini, vocals pulite ed atmosfere rilassate affidate ad uno splendido lavoro di synth e chitarre, che mi fanno pensare alle precedenti produzioni della band della Normandia, come ad un lontano ricordo. Ma era inevitabile accadesse, perché è scritto nel DNA di questa formidabile band, che ogni qualvolta esce con un disco, ha un messaggio da consegnarmi ed io inevitabilmente, sento l’impellente necessità di condividerlo con tutti voi. “Epitome XVIII” chiude questo splendido capitolo della discografia dell’ensemble francese, tornando a minacciarmi con il suo incedere marziale, in una sorta di diabolica e potente reiterata formula sonora spirituale che ha la capacità di penetrare nella mia anima per portarmi ad un grado di spiritualità superiore. Metafisici. (Francesco Scarci)

martedì 6 novembre 2012

Blut Aus Nord - What Once Was... Liber II

#PER CHI AMA: Black/Dark/Avantgarde, Deathspell Omega
È risaputo ormai, non mi nascondo più, sono un grande fan dei Blut Aus Nord, ed ogni qualvolta c’è una qualche release della band francese, sento un impulso partire dal mio corrotto animo oscuro, che spinge le mie dita a scrivere qualcosa. Non mi sottraggo pertanto neppure questa volta che vedo apparire un vinile dei miei eroi, il secondo capitolo di “What Once Was…” dopo il “Liber I”, uscito nel 2010. I due pezzi, uno per lato, della ugual durata di minuti 14:24, propongono tutto il meglio (o il peggio) che la band transalpina ha da proporre, trascinandoci per i capelli e con somma furia, nell’ultimo dei gironi infernali, con il suo sound decisamente malato, mortifero, fatto di gelide, sovrannaturali e ripetitive chitarre, accompagnato dall’alieno quanto mai furioso blast beat, da vocals disumane, melodie funeste e dal riverbero di spettrali voci, che arrivano direttamente dall’oltretomba. I Blut Aus Nord non si smentiscono neppure questa volta, offrendo un sound da incubo, terrificante, da farmi raggelare il sangue nelle vene, che imperterrito, continua a mietere vittime, senza curarsi di mode o influenze, se non proseguendo un discorso di espletazione della malvagità insita nell’animo di questi musicisti, un discorso iniziato qualche manciata di lustri orsono, in compagnia di un’altra creatura diabolica, i Deathspell Omega. E io li adoro, non so darvi una spiegazione razionale del perché di tutto questo, so che tutta questa primordiale cattiveria nasce nell’antro del mio marmoreo cuore, cresce, esplodendo in un conato di rabbia e odio, che si espia attraverso l’ascolto dei maledetti lavori di questi satanassi. Inutile entrare nel dettaglio di queste due tracce, i “Sangue dal Nord” si amano o si odiano, l’ho sempre detto. E io li amo… (Francesco Scarci)

(Debemur Morti) 
Voto: 70

sabato 17 dicembre 2011

Blut Aus Nord - 777 The Desanctification

#PER CHI AMA: Ritualistic Black Avantgarde, Ambient
Devo recensirlo, sento il suo richiamo, è come una droga che si insinua nel cervello, spazzando via ogni brandello di materia cerebrale che popola quanto contenuto all’interno della scatola cranica. I Blut Aus Nord sono dei maestri del male, dei prestigiatori, degli illusionisti, dei pazzi furiosi, abili nell’arte dell’ipnosi con quel loro sound malato, oscuro e magnetico. E “The Desanctification”, come il suo predecessore, in questa psicotica trilogia non è da meno. È un album cervellotico, cerebrale, se volete anche glaciale, che manderà in confusione i vostri centri nervosi, i vostri sensi e tutta un tratto vi troverete catapultati nel peggiore degli incubi. Si perché proprio partendo dalla iniziale “Epitome VII”, che riprende là dove “777 Sect(s)” aveva terminato in modo incompleto, appunto come se lasciasse presagire che qualcosa d’altro sarebbe arrivato, a distanza di sette mesi ecco giungere a sconquassarmi la vita un altro imprevedibile lavoro di black metal d’avanguardia, atmosferico, straniante, tormentato, controverso, alchemico, sperimentale, schizofrenico, onirico, stralunato, dissonante, melodico, e ancora tutto e il contrario di tutto. Un lavoro che ancora una volta mostra tutto il valore di una band che da quasi vent’anni ci stupisce di release in release con lavori disorientanti, bizzarri, strampalati, privi di una logica ben precisa, che spinge anche il sottoscritto ad esprimersi in modo decisamente caotico nella recensione dei loro dischi, il cui unico obbligo alla fine è semplicemente quello di farlo vostro e custodirlo gelosamente nella vostra collezione di cd. Se amate i Blut Aus Nord fidatevi ciecamente delle mie parole, anche se rispetto al passato “The Desanctification” si rivela meno selvaggio e ancora più votato alle sperimentazioni cyber industriali. Chi non li conoscesse, beh vi suggerisco di partire da questo lavoro e andare lentamente in modo retrogrado a scoprire le precedenti uscite di una delle band più entusiasmanti dell’ultimo decennio. Ora attendo il terzo capitolo di questa sorprendente trilogia. Caldamente glaciali! (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Prod.)
Voto: 90

sabato 12 novembre 2011

Blut Aus Nord - 777 Sect(s)

#PER CHI AMA: Black Avantgarde, Deathspell Omega
I francesi Blut Aus Nord (che in tedesco significa “Sangue dal Nord”) rappresentano i più grandi alleati dei miei incubi peggiori. Questo perché la musica del combo transalpino è quanto di più malsano, malvagio e spaventosamente malato, possa il black metal partorire in questo momento. Non sto parlando di velocità supersoniche o schegge di furia devastante, ma di sonorità cosi maledettamente paurose da popolare (o forse meglio, infestare) appunto i miei sogni notturni. Sei tracce, in cui la dissonanza totale a livello di riffing la fa da padrone e proprio questi suoni accompagnati da ambientazioni notturne, apprensive (ascoltare l’epilogo di “Epitome I” per capire il patema d’animo che può indurre un album di questo tipo) e a tratti lisergiche, ci regalano uno dei prodotti più sperimentali in ambito estremo, mai concepiti fino ad ora. I Blut Aus Nord sono dei maestri in questo e lo testimoniano le passate maestose e avanguardistiche release, “Memoria Vetusta 2” o “MoRT”, i cui suoni si incuneano nelle note di questo famigerato “777 Sect(s)” che precede di pochi mesi l’uscita del nuovo “777 The Desanctification”, atteso per metà novembre (e sinceramente non vedo l’ora di saggiare lo stato di forma del trio di Mondeville). “Epitome II” è il lasciapassare strumentale e sognante, che come il demonio Caronte ci traghetta oltre l’Acheronte, fino a giungere ad “Epitome III”, la cui brutalità esplode già dal suo riffing iniziale, che non può non ricordare lo stile dei conterranei Deathspell Omega e dominerà la song per quasi tutta la sua durata, se non per lasciare posto alla claustrofobia disarmonica del suo finale. La sensazione di gelo che pervade l’intero lavoro è tangibile, soprattutto quando il riffing (e le vocals) di Vindsval partono per caliginosi e angoscianti viaggi verso le tenebre come nella seconda parte di “Epitome IV”, dove echi di musica drone, industrial, psichedelica, si fondono tutti insieme in un finale che odora di morte. La furia distruttiva e cacofonica del combo della Normandia, ritorna più disturbante che mai nella quinta traccia, prima della conclusiva ossianica “Epitome VI” che sancisce la grandezza, genialità, cosmicità ma soprattutto osticità di una band che potrebbe tranquillamente produrre la colonna sonora dell’apocalisse. Terrificanti! (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Prod.)
Voto: 85