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venerdì 11 marzo 2016

HellLight - Journey Through Endless Storms

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Gli HellLight fanno parte di quella limitata schiera di band che qui nel Pozzo dei Dannati abbiamo visto nascere, crescere e divenire punto di riferimento per altre band dedite al funeral doom. Fa sempre un certo effetto sapere che l'oscuro quartetto (oggi rimasto in realtà un trio) arrivi dalla terra delle splendide spiagge e dei fenomeni del calcio, il Brasile, considerato il mortifero genere proposto. 'Journey Through Endless Storms' riprende là dove aveva lasciato 'No God Above, No Devil Below', ossia con i suoi ritmi lenti e ossessivi, carichi di cupa disperazione. Otto le tracce a disposizione per rievocare, attaverso ben ottanta estenuanti minuti, tetri presagi di oscura e lacerante decadenza. Già dall'iniziale titletrack, il terzetto di São Paulo ci delizia con marziali funebri melodie celebranti il rito della morte, sulle cui note si incrociano il growling e le clean vocals di Fabio de Paula, nonchè la delicata voce di una gentile ospite, Claudia o Ghisi (presente anche nella finale "End of Pain"). Le influenze per i nostri rimangono le stesse di sempre, con in testa i soliti Skepticism, Evoken e Thergothon, che presto verranno spodestati nel loro ruolo di punto di riferimento, proprio dagli HellLight. La musica si muove lenta e disperata come era lecito attendersi, rievocando nei momenti più incredibilmente malinconici, anche lo spettro dei Saturnus, come nel caso del lungo assolo conclusivo di "Dive in the Dark", song che peraltro vede la presenza di un altro ospite al violoncello. La pioggia continua a cadere tra un pezzo e l'altro, a testimoniare quel senso di pessimismo cosmico e profonda tristezza che intride l'album in toto. Tutti i pezzi sono ben bilanciati tra affannose chitarre profonde, e suadenti note di pianoforte. "Distant Light That Fades", nel suo nostalgico flusso sonico, mi ha richiamato addirittura la splendida e deprimente "Sear Me MCMXCIII" dei My Dying Bride dell'impareggiabile 'Turn Loose the Swans': seppur privo del violino, le emozioni strazianti che ho percepito erano molto simili a quelle della "Sposa Morente". Gli HellLight ci consegnano un nuovo capitolo della loro storia, confermandosi ancora una volta una band di eccellenza priva di macchie o passi falsi nella propria discografia, un ensemble che merita tutta la nostra stima. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 80

giovedì 10 marzo 2016

Dust To Dearth / Lysergene - The Death Of The Sun

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Drone/Ambient/Funeral
Uno split con due band, una inglese e l'altra australiana, con sonorità ai confini della realtà, tanto ricercato l'album quanto anonimo nella confezione (l'artwork è poco curato e questa collaborazione meritava decisamente di più), tanto inquietante quanto gratificante nell'ascolto, elitario, impegnativo, sognante, oscuro, un viaggio sonoro verso un'altra dimensione, un trapasso inebriante ma non indolore. Si parte con i Dust to Dearth, progetto solista e parallelo di Mandy Andressen della nota band australiana Murkrat, il cui approccio alla musica drone, industrial, minimal doom si rivelerà apocalittico, con atmosfere rarefatte e silenzi infiniti, solcati da rintocchi orchestrali, come nel gioiello intitolato "Winter", dove un flauto di Pan fa il suo ingresso ancestrale e mistico tra suggestioni drone, elettronica e leggerissime percussioni post atomiche. In questa atmosfera troviamo la chiave di tutta l'opera, la sua voce angelica/sepolcrale, dal tono solenne e alchemico, una sorta di Loreena McKennitt dal tocco plumbeo e marziale atto a sottolineare il rigore ferreo delle malinconiche composizioni surreali della band. Da qui si snoda e parte l'intero lavoro della band, con la parte vocale usata perennemente in maniera sciamanica a guidarci in una foresta sconosciuta di sperimentazioni elettroniche e ipnotiche. L'impatto è psichedelico, melodico, decadente, gotico, etereo, introspettivo, un funeral doom la cui lenta cadenza deprivata di una chitarra, mostra un carico di emotività e magia comparabile a quello emanato da 'Spleen and Ideal' e 'The Serpent's Eggs' dei Dead Can Dance o da 'To Drive the Cold Winter Away' di Loreena Mckennitt molto tempo fa. "It is Dark" con i suoi accordi strascicati di piano, mi ricorda certe ottime cose di Gitane Demone e Dark Sanctuary, mentre "Dearth" ritorna sulle orme della divinità Lisa Gerrard per chiudere alla grande con gli oltre undici minuti di coltre nebbiosa, maestosa e misteriosa di "The Last". I Lysergene di Gordon Bricknell (chitarrista degli Esoteric) si allacciano perfettamente ai compagni di scuderia con un primo brano strumentale, lisergico quanto marziale con un finale contaminato da folle psichedelia aliena, con i suoni che ricordano gli Ulver più eterei e certe oscurità di casa Die Verbannten Kinder Evas con quel sano tocco di geniale perversione elettronica alla Maurizio Bianchi di "New Heavens New Earth", sonorità concepite sempre con un tocco malato, che sfiorano l'ambient di Somnium nel ricordo di un Robert Rich in salsa lo–fi con l'intento di creare un suono atto a disturbare l'ascoltatore con incubi astrali e siderali. La mezz'ora circa di musica strettamente strumentale in odor di Lustmord o simili, offerta dalla band di Birmingham è votata all'assenza di percussioni e ci costa un viaggio di sola andata verso la psiche più oscura della nostra personalità, la colonna sonora perfetta per il nostro inspiegabile B side, srotolata in tre lunghi brani psicologicamente contorti e cerebrali, enigmatici e sperimentali, persino romantici se visti sotto una certa ottica. La Aesthetic Death ci offre l'opportunità di scoprire questi due side project formati da componenti di Esoteric e Murkrat in una forma smagliante, con musica al di sopra delle righe, sicuramente per ascolti di nicchia ma con un valore inestimabile e di alta qualità. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2010)
Voto: 75

mercoledì 9 marzo 2016

Veratrum - Mondi Sospesi

#PER CHI AMA: Black/Death, Fleshgod Apocalypse, Behemoth 
I bergamaschi Veratrum sono ormai amici di vecchia data: li abbiamo ospitati su queste pagine (ma anche in sede di intervista radiofonica) in occasione del demo cd 'Sangue' e successivamente per il debut album 'Sentieri Dimenticati'. Dopo una chiacchierata face to face prenatalizia e l'ascolto di alcune tracce del nuovo disco, eccomi qui a parlare più dettagliatamente di 'Mondi Sospesi', il secondo lavoro sulla lunga distanza, per il terzetto guidato da Haiwas. Ancora una volta vorrei partire elogiando l'artwork estremamente curato e suggestivo, un artwork che cela misteri, simboli e profezie qui espressi palesemente dalla torre di Babele che cappeggia nella parte destra della cover. Passando alla musica, qualche novità rispetto al passato è riscontrabile nei contenuti di 'Mondi Sospesi', ma andiamo con ordine e partiamo da quelle che sono le certezze dei nostri. Si parte con l'assalto sonoro di "Un Canto", che ricorda, qualora ce ne fosse bisogno, di che pasta sono fatti i nostri: ritmiche assassine di stampo black death, alla stregua di Behemoth e Belphegor, che confermano la solidità dell'ensemble lombardo. I nostri poi, continuano sulla strada del cantato in italiano e questo è assai apprezzabile; infine, la tecnica del trio, supportato nel disco da una serie di guest star, a confermarsi sempre eccellente. Detto questo, andiamo ad analizzare quelle che sono le novità che risiedono in questo lavoro. "Il Culto della Pietra" mostra una buona dose di melodia frammista a sfuriate ipertrofiche e alla presenza in sede vocale, di una gentil donzella, Aeon (vocalist degli Holy Shire), che presta la sua delicata voce su un tappeto ritmico che ondeggia tra una batteria simil contraerea e atmosfere ben più ariose alla Fleshgod Apocalypse. Ecco proprio i Fleshgod Apocalypse potrebbero essere la band a cui potremmo accostare il nuovo sound dei Veratrum, con il gruppo perugino in realtà più orientato verso lidi sinfonico-orchestrali. Nel sound dei Veratrum non troverete nulla di tutto questo, però la band ha imparato a pestare con stile offrendo parti più atmosferiche, sorrette da buoni arrangiamenti e aperture ricche di groove. Ma quando c'è da picchiare come fabbri (e penso a "Etemenanki"), i nostri non si tirano certo indietro e anzi spaccano culi che è un vero piacere. Ma la crescita dei Veratrum sta anche nell'alternare song prettamente feroci ad altre in cui la melodia ha la meglio su tutto il resto ("Il Tempo del Cerchio"), pur mantenendo una dose di violenza sopra la media, con le lyrics, sebbene in growl profondo, che diventano più chiare e addirittura canticchiabili (perdonami Haiwas), e dove splendidi assoli disegnano iperboli incantevoli nell'etere. Le ritmiche schizofreniche iper tecniche, in stile Nile sono ancora presenti nella matrice sonora dei nostri, non temete e "Quando in Alto" lo conferma chiaramente con velocità sostenute, cambi di tempo e ritmiche vertiginose che poco hanno da regalare in termini melodici, fatto salvo per un altro lavoro di cesello alle chitarre nella seconda metà del brano. L'alternanza violenza/melodia porta a confezionare poi "Davanti alla Verità", un pezzo più controllato che potrebbe evocare un ipotetico ibrido tra Dissection e Ecnephias, e in cui compaiono anche dei cori a cura di Alessandro Carella e Francesco Carbone degli Haddah, compagni di etichetta dei Veratrum e dove alla chitarra c'è in prestito Riccardo Lanza dei Death the Bride. Giungo velocemente all'ultima rasoiata black/death, "H Nea Babylon", che senza accorgermene, mi dice che sono passati 40 minuti di piacevole musica infernale. (Francesco Scarci)

(Beyond Productions - 2015)
Voto: 75

martedì 8 marzo 2016

Ambientium – Digiseeds

#PER CHI AMA: Experimental Ambient/Elettronica/Downtempo
'Digiseeds' è l'ultima produzione firmata Ultimae Records, uscita lo scorso dicembre e nel cui interno vi troviamo riuniti alcuni artisti che gravitano attorno all'etichetta francese in una compilation raffinata e di classe. L'opera è del musicista/DJ/compositore/eco–attivista ceco, Lubos Cvrk che qui esprime tutta la sua volontà di estendere questo genere musicale ad un pubblico più ampio, mettendo insieme una sequenza di brani davvero ispirata e omogenea, per un viaggio all'insegna della psichedelia digitale, il downtempo e l'ambient più ricco e ricercato. Tra tanti suoni dilatati, carillon fanciulleschi, elettronica minimale, peculiarità hi -fi, suoni d'ambiente naturale, paesaggi astratti e riflessivi e una ricerca maniacale dell'effetto ipnotico, i brani si susseguono con una scorrevolezza impressionante, con una forza rigeneratrice che coinvolge tutti i sensi, che gioca con la malinconia più sottile, che induce alla riflessione e alla fuga da ogni cosa, all'isolamento per ricaricare la nostra volontà di esistenza. Undici brani carichi di suggestive alchimie sonore, curatissime e ad altissima fedeltà, undici brani più uno che non è altro che il remix del brano "The Circadian Clock" di Sonml451 per un totale di sessantasei minuti avvolti (e che avvolgono) in un'atmosfera surreale, ancestrale che trova a mio avviso in "Seven Years of Summer" dell'artista One Arc Degree, il suo massimo splendore, con un'evoluzione del brano incredibile, fatta di composti ritmici tratti da continui rumori e interferenze, piccole imperfezioni che compongono una tela perfetta di micro sonorità rarefatte, allucinate, giocate al confine tra la new age e la psichedelia da colonna sonora per film d'avanguardia, tra William Basinski e la follia più estrema di Alva Noto. Una compilation ad alta densità tecnologica e dal taglio ricercato, intimista, surreale, con composizioni di altissima qualità e bellezza, da ascoltare tutta d'un fiato sospesi nel vuoto a fluttuare e perdersi in paradisi alternativi. Un ottimo lavoro per Ambientium, un'ottima released per la Ultimae Records che conferma la sua fama di produttrice di opere di qualità, sempre sofisticate e assai ricercate. Un album perfetto per i viaggiatori psichedelici moderni, per i ricercatori di libertà a 360°. Consigliato anche il suo ascolto ripetuto e approfondito ad alto volume e in cuffia, per una resa a dir poco spettacolare... divertimento e riflessione assicurati, buon ascolto! (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2015)
Voto: 80

Broken Down - The Other Shore

#PER CHI AMA: Industrial Rock
Oggi ci spostiamo in Francia, precisamente a Bordeaux, città natale dei Broken Down (BD), progetto della one-man band Jeff Maurer, che sta sotto l'egida della Altsphere, etichetta nata nel 2003 per promuovere principalmente l'estro creativo di quest'anima tormentata. Un lavoro interessante e soprattutto molto sfidante, dove l'industrial, il metal e la sperimentazione elettronica si fondono per dare alla luce nove tracce che passano dalla pura genialità all'irrazionalità più spinta. Il packaging è il classico jewel case con grafica che richiama la musica ambient, cioè un panorama lacustre di tonalità verde forzata in post produzione. Le radici musicali di Jeff affondano nei vecchi dischi dei NIN, Ministry e Killing Joke e questo si riflette pienamente nel suo progetto BD. Sonorità artificiali e meccaniche, come in "Mr Sun", dove la batteria elettronica sembra un metronomo militare che scandisce il conteggio dei caduti in guerra. Le chitarre sono in linea con il genere, forse un po' troppo zanzarose se vogliamo essere pignoli, ma se il risultato che si cercava era l'artificialità del suono, allora ritiro quando detto. La batteria è sovrapposta a percussioni metalliche ed insieme alla voce che decanta proclami di protesta, aumenta il rigore del brano che sarebbe un perfetto inno di rivolta. "Scribble Your World" cambia appeal, troviamo meno rigore e più sperimentazione musicale dove la contorta fusione di suoni di pianoforte, sono sostenuti dalla compatta trama di batteria e chitarra distorta. Anche qui il cantato ha un ruolo importante, nel senso che cambia vorticosamente da una leggera filastrocca ad uno screamo rabbioso e psicotico. Anche le evoluzioni ritmiche contribuiscono a dare dinamicità al brano, pur rimanendo sempre molto minimalista. Jeff riesce a tradurre i suoi stati mentali ed emotivi in maniera chiara e d'impatto, nonostante sia spesso difficile seguire la melodia principale della canzone. "Speculator" trasuda maggiormente le influenze metal dell'autore, qui addirittura si sconfina nel sinfonico con aggiunta di cori eterei ed archi che gonfiano la composizione. La programmazione della batteria elettronica limita notevolmente il groove del brano, infatti viene persa tutta l'umanità che un batterista in carne ed ossa riuscirebbe a trasmettere tramite l'uso di bacchette e pedali. I cambi di tempo sono sempre netti, perfettamente in stile industrial, ma una ricerca più approfondita di stile e ritmica avrebbe giovato maggiormente alla traccia. In generale l'autore dimostra di aver fatto un buon lavoro, giostrarsi tra strumenti e computer non è semplice e il rischio di perdere il filo è sempre alla porta. Il risultato è complesso e strutturato, una musica che difficilmente ascolterete come sottofondo per le vostre faccende quotidiane, ma che merita un'attenzione particolare per essere apprezzata a pieno. (Michele Montanari)

(Altsphere - 2015)
Voto: 75

domenica 6 marzo 2016

Show Me A Dinosaur – Dust

#PER CHI AMA: Post Metal/Post Rock strumentale 
Oscuro, pesante e nero, nerissimo. A tratti melodico, intendiamoci, ma di una melodia dissonante e carica di malinconia, suonata con grandissima sensibilità. E poi feedback, lunghissimi delay, fuzz e riverberi a tonnellate. Le distorsioni, cupe e potentissime, trasformano ogni esplosione in un soffocante muro di suono, che travolge e lascia sbalorditi (“Bhopal”). Il quartetto russo non lascia frequenze libere: là, sotto terra, il basso – sentite che registrazione perfetta! – è potente e preciso come una pulsazione primordiale (adorerete i 9/8 del gran finale della opening “Man Made God”). Le chitarre si dividono lo spettro sonoro: una, sulle corde più basse, costruisce architetture monumentali e oscure; l’altra, un paio di ottave sopra, traccia linee melodiche vibranti su singole, lunghissime note che si avvolgono in spirali di oppressione. La batteria, minimale nella sua insistenza sui crash e su cassa-rullante, dà all’intero disco la costante e inesorabile velocità di un enorme mostro marino, che emerge dai flutti per annunciare il giorno del giudizio. Gli Show Me A Dinosaur attingono a piene mani dalla tradizione post-rock (la scelta strumentale, i cambi di dinamica, gli arpeggi distanti, la predilezione per gli accordi pieni rispetto ai riff mononota, i lunghi break melodici), ma condiscono il risultato con tantissima personalità: nei suoni, negli arrangiamenti, nell’effettistica, nelle influenze – prog, doom, persino death (sentite l’inserto vocale in scream nella velocissima e violentissima “Rain”). Il disco si perde un po’ nel finale, preferendo tonalità maggiori e un aumento di velocità che, personalmente, mi ha lasciato un po’ stupito. Ciononostante, 'Dust' – pur avendo un paio di anni e con e con il nuovo lavoro “Vjuga” in uscita – è un disco ben fatto, equilibrato, ricco di momenti memorabili. Da ascoltare a volume esagerato. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2014)
Voto: 75

sabato 5 marzo 2016

Wreck Of The Hesperus - Light Rotting Out

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Doom
'Light Rotting Out' è un album non nuovissimo ma di ottima fattura che la Aestethic Death Records ha riesumato dalle lande desolate del black/doom più intransigente, dimostrando ancora una volta di far centro nelle sue uscite con musiche di confine, violente, funeree, sperimentali ed estreme. Il cd, ormai datato 2011, si snoda in tre lunghissimi brani aprendo le danze con "Kill Monument" che lascia esterrefatti per le urla lancinanti d'estrazione molto black e gli infiniti lassi di totale silenzio usati come pause tra una colata di doom nero come la pece, sinistro, primordiale e cavernicolo e le successive trame più articolate e rumorose. Violentissimo l'impatto sonoro, con atmosfere da black metal viscerale, tanto difficili da trovare in un classico album funeral; la velocità del disco è ridotta, rallentata e soffocante, l'ambientazione tra il sacro e il profano, sempre e comunque meravigliosamente doom. Il sound è buio, crudo, malato sempre tirato all'estremo per una forma espressiva portata avanti da un'aurea drammatica dal marcato istinto animalesco, tetro e orrorifico. Sarà la splendida e disumana performance vocale di AC Rottt che ci macera il cuore e le carni con i suoi vocalizzi, a rendere il tutto così folle e disincantato, una forma di tortura che non brilla certo per suoni ad alta fedeltà ma che ci offre piuttosto un collage underground selvaggio, rarefatto, scarno, visionario e istintivo. Gli oltre dieci minuti di "Cess Pit People" spostano il tiro verso un corridoio d'avanguardia, incrociando il suono della nuova creazione di Lee Dorian, i With the Dead, con quello che fu il mito dei primi Napalm Death ed i Naked City per un'orgia di suoni dal secco odore industriale, un sound pronto a confrontarsi con gli ultimi Twilight e l'oscurità dei Vallenfyre vista al rallentatore. "The Holy Rheum" nella sua maestosa durata di ben oltre 20 minuti, è divisa in due atti, "Night of Negative Stars" e "Hologram Law", con il vuoto ancestrale che le divide e la cui evoluzione potrebbe creare molti problemi ad ascoltatori deboli di cuore. La sua veste sperimentale ed il sax ululante e folle, alla maniera del signor Zorn, esalta la potenzialità psicotica e la voglia di varcare il limite introducendo una splendida seconda voce in stile Death in June, marziale e pulita nel finale, a combattere con lo screaming forsennato e una batteria che regna incontrastata e paranoica, che mi ha ricordato l'estraniante capolavoro dei PIL, 'Flowers of Romance', ovviamente da immaginare in chiave rigorosamente black/doom/sperimentale. Rinchiuso in un digipack geniale formato A5, prevalentemente nero e dal gusto vintage, senza titolo né nome in copertina e quattro inserti tipo cartolina artistica a spiegare l'opera attraverso i testi dei brani, 'Light Rotting Out' si presenta come un diamante grezzo, pregiato, da essere ascoltato con le dovute maniere e meritare un posto d'onore nei vostri cuori. Questa band irlandese (in attività dal 2004 con una costellazione di release), sebbene cerchi con ogni mezzo di rimanere nell'anonimato più assoluto, deve essere scoperta ed apprezzata, anche se non tutti riusciranno a capirla, ma è innegabile che gli intenditori l'ameranno alla follia. Devastante per la psiche! (Bob Stoner)

(Aestethic Death Records - 2011)
Voto: 85

https://www.facebook.com/Wreck-of-the-Hesperus

Grey Heaven Fall - Black Wisdom

#PER CHI AMA: Black/Psichedelia, Deathspell Omega, Oranssi Pazuzu
I Deathspell Omega ormai fanno scuola a livello planetario e quest'oggi la loro ombra si è allungata fino a Podolsk, nella regione di Mosca, incarnandosi nelle note di questo 'Black Wisdom', secondo capitolo dei Grey Heaven Fall. La band russa mette a disposizione sei tracce per dar sfoggio del proprio black death acido e visionario. Proprio la opener, "The Lord Is Blissful in Grief", dà dimostrazione di come il terzetto abbia fatto propri gli insegnamenti dell'act francese (ma anche di un qualcosa degli Oranssi Pazuzu) e li abbia espletati in una forma assai efficace di sonorità estreme che deliziano le mie orecchie con scorribande di ferocia inaudita, inframmezzate da sprazzi di cupa e delirante psichedelia. Il risultato che ne vien fuori dalla prima traccia è senza dubbio vincente (oltre che di valore) e con gli oltre undici minuti di "Spirit of Oppression", la band sembra addirittura far meglio, sprigionando una ritmica serrata, che di sovente muta, divenendo instabile e psicotica, coadiuvata anche dall'eccellente voce di Arsagor, dotato di una timbrica feroce ma le cui parole sono facilmente comprensibili. Il brano viaggia su ritmiche abbastanza infuocate, non disdegnando tuttavia in taluni frangenti, rallentamenti da brivido, proprio come mostrato nel bel mezzo della seconda traccia, glaciale e mortifera al tempo stesso. I ragazzi nella loro furia primordiale non si fanno neppure mancare deliziose aperture melodiche o assoli malinconici, mantenendo comunque un costante flusso tensivo per l'intero brano e in generale in tutto il disco, prediligendo peraltro un più dilatato approccio strumentale. Le ombre dei Deathspell Omega, pur serpeggiando lungo gli oltre 50 minuti di 'Black Wisdom', vengono dissolte dalla spiccata personalità dei nostri, anche nel lisergico intermezzo strumentale di "Sanctuary Of Cut Tongues". "Tranquillity of the Possessed" inizia lentamente con ritmiche sghembe che mostrano ancora una volta la disinvoltura dei Grey Heaven Fall nell'incanalarsi in territori non cosi semplici da affrontare. E proprio qui risiede la forza di questo ensemble, non suonare scontati, ma affrontare senza timore le proprie paure, guardando la bestia infernale direttamente negli occhi. La cavalcata non si placa neppure nella inizialmente corrosiva "That Nail In A Heart", ultimo schizoide atto di questo imprevedibile 'Black Wisdom', che rappresenta a mio avviso il top di quanto ascoltato sinora, soprattutto quando a parlare è un meraviglioso assolo che da solo vale il prezzo del disco e per cui i nostri meriterebbero tutta la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

(Aesthetics of Devastation - 2015)
Voto: 75

https://greyheavenfall.bandcamp.com/