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domenica 2 febbraio 2014

Monolithe – Monolithe III

#PER CHI AMA: Funeral doom, Ea, Shape Of Despair
Guardate, su in cielo! E' un uccello! E' un aereo! NO, è funeral doom metal!!! … in realtà no, o meglio, non solo, o non più. Insomma, chi di voi vede nel ramo funereo del metal la propria via, sicuramente conoscerà le gesta dei quattro ragazzi francesi noti come Monolithe, mostri lenti e cavernosi che ci hanno abituati a sberle colossali di musica lugubre, interminabili suite della durata di poco inferiore all’ora. Ebbene, in questo terzo lavoro inteso come full-lenght la formula si ripete, con ben 52 minuti di canzone. Ecco, i paragoni e le affinità con gli album precedenti, a mio parere (e per quel che può valere), si esauriscono qui. Voglio essere onesto: non ho mai ben sopportato i dischi marcati Monolithe, i quali peccavano di prolissità ed eccessivo carattere monocorde nelle composizioni e nel mood, togliendo il fiato più che altro per sfinimento che per vera bellezza degli arrangiamenti. Certo, il funeral in parte si caratterizza proprio da questa tendenza a mantenersi e ripetersi nel suo incedere, appunto come una marcia funebre, un carrozzone che procede a passo d’uomo stanco e azzoppato, e guai se non fosse così… ma questo può rappresentare anche un rischio, la solita lama a doppio filo. Tenendo presente il fatto che questo disco, targato 2012, in realtà doveva uscire già nel 2008, a soli 3 anni di distanza dal precedente 'Monolithe II' (tralascio per semplicità i vari “Interlude”), viene da pensare che sia stato rimaneggiato parecchio, ed in meglio! Se la matrice doom permane (per grazia di Dio), il carattere dei Nostri è sicuramente mutato e maturato, incorporando molti elementi diversi, ribilanciando la pesantissima componente funeral e stemperandola con inserti al limite della psichedelia e, per certi versi, orientati verso il nuovo modo di intendere il black nelle sue aperture più melodiche e rallentate. Poco spazio è lasciato alla voce in growl, ma senza che rimanga nessun vuoto, in quanto è intesa al pari degli altri strumenti ed usata come tale. Pregevolissimo il lavoro delle tastiere e del programming, indispensabile per ottenere l’effetto “sguardo al futuro” ricercato dalla band; le chitarre mantengono il loro stile ben noto nello sviluppo dei vari riff, sporcandosi maggiormente rispetto al passato e assumento quindi sfumature più corpose, ma d’altro canto rappresentando forse l’ultimo vero legame con il precedente periodo; bene la sezione ritmica. Siamo onesti, recensire questo disco a più di un anno dalla sua pubblicazione comporta scrivere di un lavoro già analizzato e sviscerato in altre sedi, e risulta più difficile in quanto si può incorrere nel rischio di ripetere concetti già detti e noti. In questo caso, tuttavia, mi sento assolutamente in buona fede nel (ri-)affermare che il vero tallone d’Achille di 'Monolithe III' è rappresentato dal rimasuglio di cordone ombelicale che lega i ragazzi francesi al loro passato: non si può parlare ancora di capolavoro, ma la strada è giusta e paga, basta solo un po’ di coraggio in più. Per concludere, un mio piccolo consiglio: riascoltate (e se non conoscete, recuperate) i due precedenti full-lenght, quindi passate a questo terzo capitolo, in modo da assaporare il notevole salto di qualità. Per completezza ed onestà si fa presente che lo scorso anno la band ha pubblicato il quarto album, non considerato in sede di questa recensione… a tal proposito, si spera di rivedersi a breve su queste pagine! (Filippo Zanotti)

(Debemur Morti - 2012)
Voto: 75

https://www.facebook.com/monolithedoom

Kultika - The Strange Innerdweller

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis
La pila di cd sopra la mia scrivania aumenta inesorabilmente giorno dopo giorno, tuttavia come perdere l'entusiasmo di recensire nuove band se tra le mani poi mi capita di avere dischi come 'The Strange Innerdweller', che non fanno altro che aumentare la mia linfa vitale e spingermi a scrivere e scrivere ancora. Avrete capito da questo mio cappello introduttivo che apprezzo e non poco questi neo arrivati Kultika. La band di Timisoara si fa promotrice di un sound dedito al post metal che strizza l'occhiolino inevitabilmente ai soliti act, Isis e Cult of Luna, su tutti, ma lo fa con una personalità ed un gusto del tutto fuori dal comune. Poco importa se i nostri ci annichiliscono con le loro sette tracce per un concentrato che sfiora di poco i sessanta minuti. I contenuti di questo lavoro si riveleranno elevatissimi. “Rising from the Sea” mette immediatamente in luce i punti di forza di questo disco: produzione maestosa, suoni vibranti pieni di pathos, con le vocals di Jack e Bruno che si alternano tra un profondo growling e vocalizzi puliti e le atmosfere che alternano tempeste elettriche a frangenti acustici dai riverberi notturni. Ecco la pelle d'oca alzarsi sulle mie braccia, indice che 'The Strange Innerdweller' mi piace davvero molto e segno inconfutabile che la mia valutazione si assesterà su un ottimo 8,5. Vivaci, brillanti, energici, i Kultika a mio avviso hanno già una maturità da veterani. Aggiungete poi che l'accattivante veste grafica del cd, dona quel tocco di classe che mi obbliga a imporvi di dare una grande possibilità a questo disco. Scorrendo velocemente i titoli, posso dirvi che “Insects” è una song dalla duplice anima, in cui emerge anche una certa influenza di “tooliana” memoria, in cui non posso che mettere in luce l'eccellente bagaglio tecnico dell'act rumeno, e apprenzando enormemente il loro inusuale gusto melodico. Una canzone da quasi 10 in pagella. “Water” ha un ipnotico rifferama rock venato di sfumature doom; la title track è contraddistinta da ondeggi arabeschi contornati da suoni di ispirazione space rock che confermano la notevole ispirazione dei nostri. Echi psichedelici fuoriescono in “Cries of Eiram”, dove ancora si incontrano e scontrano le anime del post rock, doom e sludge in un vortice catartico di suoni meravigliosi che danzano sinuosi davanti ai miei occhi. Con le ultime due tracce preparatevi ad affrontare altri 21 minuti di musica, che forse hanno il solo difetto di risultare talvolta ridondante. Evocazioni notturne, vocals graffianti e una costante percezione malinconica chiudono un lavoro che farà la gioia di tutti gli amanti di sonorità post, che piangono ancora la dipartita dei monster Isis. Saranno forse i Kultika a raccoglierne lo scettro? Ebbene, io lo auspicherei... (Francesco Scarci)

(Self – 2013)
Voto: 85

http://www.officialkultika.com/

The Pit Tips

Claudio Catena

Testament- The Dark Roots of Thrash
Orbit Culture - Odissey
Pantera - Far Beyond Driven
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Don Anelli

Deicide - In the Minds of Evil
Kampfar - Djelemakt
Necrophobic - Womb of Lilitu
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Mauro Catena

Oiseax-Tempête - s/t
Fire! - Without Noticing
Rodriguez - Searching for Sugar Man (original sountrack)
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Bob Stoner

Obscure Sphinx - Anaestetic Inhalation Ritual
Fields Of The Nephilim - Ceromonies
Alela Diane - About Farewell
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Kent

Baroness - First
Morbid Angel - Immortal Rites
Altar Of Plagues - Mammal
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Francesco Scarci

Hail Spirit Noir - Oi Magoi
Loss of Self - Twelve Minutes
Alcest - Shelter
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Skogen Algiz

Vintersemestre - Kirkkokyrpa
Morgain - Sad Memories of Faires
Katatonia - Viva emptiness (new remix/remastered 2013)
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Michele "Mik" Montanari

Truckfighters - Universe
Alter Bridge - Fortress
Stone Sour - House of Gold & Bones Vol. 2

mercoledì 29 gennaio 2014

Malevic - S/T

#PER CHI AMA: Post Rock, Post Grunge
È sempre bello avere tra le mani il cd di debutto di una band. Sembra di toccare un pezzo della loro anima, forgiato a dovere dopo mesi di lavoro, tra sangue e saliva, insulti e risate in faccia. Ma anche amici che si trovano e poi si perdono, ore di viaggio per rincorrere un sogno e poi finalmente ci sei. Tutto questo scorre tra le dita in pochi attimi, mentre sfioro il digipack dei Malevic. Bellissimo artwork che anticipa atmosfere cupe, ma che guardano al cielo per trovare la luce. Otto brani che raccontano un rock che si dipana tra il prog, l'alternative e un'evoluzione del grunge, dai suoni affascinanti che riportano alla mente i Tool (che tanto stiamo aspettando) e gli Isis, ma le somiglianze si fermano qua. I Malevic sono caratterizzati da una buona cura dei suoni, non lasciano nulla al caso, come gli arrangiamenti. Sempre azzeccati ed equilibrati per creare dinamicità, anche se i brani iniziano speso sommessi e poi esplodono. "Relic" è un esempio, bei riff di chitarra, un gran break di basso e batteria messo al punto giusto e il cantato che ammalia ad ogni singola parola (in inglese). Una sorta di preghiera moderna che non chiede perdono a nessuno e grida al mondo la sua presenza. Anche "Pipers of Vanity" colpisce per la sua complessità (nonchè durata), confermando la maturità dei Malevic e la loro propensione a scrivere pezzi con il massimo della cura possibile. I diversi cambi ritmici e melodici non stancano e soprattutto mostrano la flessibilità artistica di una band che non vuole fermarsi e invece produce ciò che un ascoltatore non sempre si aspetta. Probabilmente chi non ha un orecchio allenato può rimanere un po' spaesato, ma è ora di abituarsi ad altro e accogliere a braccia aperte nuove sonorità. L'album chiude con un brano tirato e aggressivo, sempre addolcito dalla linea vocale che non si lascia tentare dallo screamo o dal growl e continua per la sua strada melodica, dando maggiore spessore agli arrangiamenti. Concludendo, anche se a volte alcuni passaggi sono meno convincenti di altri, questo debut omonimo merita e lo consiglio caldamente a chi apprezza come me questo genere di sonorità. (Michele Montanari)

Cradle of Filth - Midian

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Gothic 
Una suggestiva intro di tastiere apre le porte di 'Midian', quarta release, datata 2000, della celebre band britannica. Il mondo mutante creato dalla fantasia dello scrittore Clive Barker ha ispirato non solo il titolo del cd ma anche le immagini che illustrano il booklet. Chi di voi ha letto "Cabal" o ha visto l'omonimo (e controverso) film, non potrà fare a meno di ripensare ai mostruosi Notturni nascosti nella sotterranea città di Midian... Venendo al contenuto prettamente musicale, l'unico difetto dell'album è la durata eccessiva di alcune canzoni, superiore in certi casi ai 6 minuti. Ciò non toglie che "Midian" sia, a mio avviso, un piccolo capolavoro. La produzione è impeccabile, i suoni curatissimi e nitidi, e gli strumenti sono sfruttati appieno. Da segnalare i brani "Chtulhu Dawn", "Death Magick for Adepts" e "Lord Abortion". 

(Sony - 2000)
Voto: 85 

martedì 28 gennaio 2014

Mord’A’Stigmata - Ansia

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
La Polonia nel tempo ci ha regalato gemme preziose in ambito estremo ed è la Pagan Records, stavolta, a beneficiarne. Nativi di Bochnia e formati nel 2004, i Mord’A’Stigmata riescono a fondere assieme il black più moderno con un numero considerevole di influenze tra le più disparate, tra cui spiccano psichedelia ed elettronica, elementi più dark e una spolverata di shoegaze, ma il mio invito è di lanciarvi voi stessi nella caccia al riconoscerle tutte. Il loro terzo lavoro, 'Ansia', può essere grossomodo così riassunto: sublime e proteiforme. Ottimo il connubio tra harsh vocals rauco-catarrose e parte musicale più black-oriented, una sezione ritmica precisa e mai esasperata (senza strafare, e non è poco), a supporto di un guitar working secco, essenziale, sempre ribassato, cupo ed arioso allo stesso tempo. Non paghi di tutto questo pregevolissimo lavoro, ecco che arriva il colpo di scena, laddove entra in campo l’emozionante vena più elettronica e sperimentale dei Nostri, inframezzata qua e la nelle varie canzoni. I primi tre lunghi pezzi coprono più dei tre quarti dell’intero disco, costruendo un unico movimento altalenante di luce (fioca, molto fioca) e tenebra. "Inkaust", "Shattered Vertebrae of the Zodiac" e "Pregressed" sembrano un mosaico, dove ogni tassello risulta perfettamente incastrato tra i circostanti, a formare un crudo, gelido e affascinante disegno a tinte fuligginose. La conclusione è affidata a "Praefactio pro Defunctis" (probabilmente il pezzo meno ispirato dell’intero album, ma comunque più che gradevole) e la title track, un’asfissiante rampa di lancio verso il nero, il cui unico difetto è, ahimè, la brevità. È ascoltando album come 'Ansia' che mi convinco sempre più di quanto meravigliosa sia la nostra musica preferita e dischi di tale fattura ne rappresentano solo un’ulteriore conferma. Ottima prova. (Filippo Zanotti)

(Pagan Records - 2013)
Voto: 80

https://www.facebook.com/mordastigmata

lunedì 27 gennaio 2014

The Soulscape Project - The Lifeless

#PER CHI AMA: Black, ultimi Satyricon
I The Soulscape Project sono una black metal band tedesca che emerge dalle viscere con questo EP intitolato 'The Lifeless Ep'; sembra fatto apposta ma il titolo descrive a pieno la situazione. In alcune parti troppo simile ai Satyricon di “Volcano”, con qualche incursione “Opethiana”, alle volte oscuro e in altri frangenti insensato, brevissimo nei suoi 16 minuti, questo EP sembra morto. Facendo un’autopsia del cadavere, scomponendo i vari strumenti, si nota come i riff siano in molte parti troppo scontati, così come per alcune soluzioni di batteria che a mio parere poteva anche esser registrata meglio; alla fine tutto suona oltremodo già sentito, sterile e senza vita propria. Questa è una forma di black metal urbano, ispirato al periodo postumo di un black che non riesce più a trascendere nemmeno se stesso e che rimane imprigionato in regole e stilemi che lo rendono meccanico e standardizzato, l’esatto opposto di ciò che era ai suoi albori. Molti musicisti, non capiscono che oggi i capostipiti del genere sono “obbligati” a produrre schifezze da un milione di dollari, hanno contratti grossi, devono sfornare album entro un tempo prestabilito, c’è molta pressione su queste persone e irrimediabilmente hanno perso gran parte dell’ispirazione. Per quale assurdo motivo una band appena nata dovrebbe attingere dalla morte stessa del black metal? Dovrebbero invece ringraziare di essere liberi da contratti e fama invece che emulare gli ultimi dissacranti Satyricon! Se proprio ci si dovesse ispirare a qualcosa, non sarebbe meglio ispirarsi al periodo florido del black metal e dotato di una buona dose di “anima propria”? In questo caso si riuscirebbe a produrre ancora un grande album come i capolavori del passato. Per concludere, se è da anni che seguite il genere e vi siete emozionati con 'Dark Medieval Times' vi consiglio di riascoltarvelo, eviterete cosi di perder tempo. (Alessio Skogen Algiz)

Revelations of Rain - Deceptive Virtue

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus
Tornano i Откровения Дождя o per chi non masticasse il cirillico come il sottoscritto, stiamo parlando dei Revelations of Rain, che giungono al traguardo del quarto lp sotto l'egida costante della Solitude Productions, che ne accompagna i passi sin dal loro debutto. Li aspettavo al varco, dopo averne saggiato la prova, con esiti sicuramente positivi, nel precedente “Hemanation of Hatred”. In poco più di tre anni volevo capire se il quartetto moscovita, da sempre sostenitore di un death doom dalle tinte cupe e malinconiche, avesse qualche novità in serbo per i fan di un genere che sta vivendo, a mio avviso, una fase un po' calante del suo ciclo, complice una certa mancanza di idee, indispensabili ad un suo rinnovamento. C'è chi afferma che questa sia una forma musicale stantia che non potrà mai evolvere; io non sono d'accordo e rimango fiducioso di capire se almeno con il combo russo ci sono margini di miglioramento. Ebbene, non raggiungiamo le vette del passato, ma devo ammettere che 'Deceptive Virtue' ha da offrire qualcosa in più rispetto ai lavori dei propri compagni di scuderia. Ammiccando al sound di Saturnus (il top in questo campo) e ai più ruffiani Swallow the Sun, non tralasciando ovviamente gli insegnamenti dei maestri di sempre, My Dying Bride, i Revelations of Rain ci offrono sette song, una delle quali strumentali, che si dimenano tra il death doom più tradizionalista (“Chernye Teni“), a quello più straziante (“Dekabr II”) e incazzato (“Mezhdu Bezzhiznennymi Beregami” e “V Bezumii Velichie Tvojo”). Il quartetto di Podolsk sfodera un'altra notevole prova strumentale, in cui ad emergere sono i profondi vocalizzi growl dell'ospite Arsagor (Grey Heaven Fall), l'eccellente guitar work del bravo Yuriy Ryzhov e la rutilante cupezza delle sue ritmiche. Non aspettatevi tuttavia nulla di (ex)straordinario, i cinquanta minuti di 'Deceptive Virtue' rappresentano ad oggi quanto di più interessante sia lecito attendersi da questa scena funerea. Decadenti. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions – 2013)
Voto: 70

http://revelationsofrain.bandcamp.com/