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lunedì 2 settembre 2024

Mekigah - To Hold Onto A Heartless Heart

#PER CHI AMA: Drone/Ambient/Experimental
Ho recensito tutti gli album degli australiani Mekigah, seguendo da vicino l'evoluzione sonora di Vis Ortis, partendo dagli esordi dark gothic di 'The Serpent's Kiss', attraversando la fase death doom, fino ad arrivare alle ultime derive dronico-avanguardistiche dell'ultimo uscito 'Autexousious'. Un percorso assai complesso quello del mastermind di Melbourne, che con questo 'To Hold Onto a Heartless Heart', taglia il traguardo del quinto album. Una miscela sonora quella contenuta nelle sei tracce di questa release, come sempre parecchio ostica da digerire, che si dipana dalle atmosfere sinistre della lunghissima song posta in apertura. "Collapsing Under" dura infatti oltre 14 minuti, costituiti da suoni complessi, infausti e disomogenei, che spaziano con una certa disinvoltura dal drone all'ambient, passando per suoni tribali, noise, funeral e quant'altro di sperimentale possiate immaginare, il tutto accompagnato da un cantato in screaming in sottofondo, che evoca riti sciamanici o litaniche possessioni. Come immaginavo, nulla di quanto ascolterete qui è di facile ascolto, nemmeno la seconda "Broken Rhythm Pressure", che sembra debuttare più teneramente rispetto all'opener, ma presto si immerge in sonorità orrorifiche, affidandosi a suoni stralunati, vocals ingarbugliate, atmosfere tra il rarefatto e il rumoristico, e consegnandoci di fatto, un altro brano assai malato e angosciante, che richiede una grande fermezza d'animo per essere affrontato e non rischiare la pazzia. Se poi siete degli audaci, beh, allora potrete continuare a vivere il delirio musicale servito dal factotum australiano, passando attraverso la sghemba e alienante "Away Drifting From", più easy-listening delle precedenti, ma non per questo, di meno complicato ascolto. Le atmosfere continuano a mantenere contorni agghiaccianti, complice lo stridolio vocale del frontman e un incedere apocalittico che permea il disco nella sua interezza. Un cantico sirenesco sembrerà ammaliarvi nella più breve "An Infinitesimal Difference", ma fate attenzione a lasciarvi sedurre da quei suoi quasi gentili suoni, che lasceranno ben presto il posto alla marziale glacialità della sua coda noisy che sfocerà nelle derive infernali di "It Hisses So", un brano che potrebbe mischiare l'approccio danzereccio degli Hocico con la depravazione sonora degli Aevangelist, ma rallentato e amplificato rispetto alla violenta furia della band finlandese. Chi avrà la forza di arrivare sino in fondo, troverà "Eyes Glazed Over", l'ultima strenua prova di sopravvivenza offerta da quest'album; già vi avverto che non sarà affatto semplice, data la natura ipnotica, stridente e dissonante del brano che potrebbe condurre definitivamente alla follia. Pensavo che l'effetto sorpresa si fosse esaurito, ma mi sbagliavo, il buon Vis Ortis ha ancora molto da offrire. (Francesco Scarci)

domenica 17 settembre 2017

Mekigah - Autexousious

#PER CHI AMA: Avantgarde/Drone/Black/Noise, Ulver
Mekigah atto quarto: tanti sono infatti gli album che il sottoscritto ha recensito per la band australiana qui nel Pozzo dei Dannati, band che seguo sin dal loro debutto del 2010, 'The Serpent's Kiss'. L'act di Melbourne, capitanato come sempre dal solo Vis Ortis, coadiuvato poi da tutta una serie di amici che da queste parti conosciamo bene (penso ad esempio a T.K. Bollinger) rilascia un nuovo lavoro, 'Autexousious', che prosegue nella sua evoluzione sonora verso lidi sconfinati. Li avevamo conosciuti come promotori di un sound dark gothic, li abbiamo apprezzati nella loro veste death doom, li abbiamo lasciati in territori drone con 'Litost' e da li ripartiamo per immergerci nelle nere tenebre di 'Autoexousious' e del suo suono apocalittico, putrescente e melmoso che per certi versi riprende proprio il penultimo album, affidandosi completamente a landscapes sonici disturbati, votati ad un dronico approccio angosciante, come quello che si respira ad esempio nella lunga ed inquietante title track, una marcia funebre aspra ed allucinata, contraddistinta dai vocalizzi insani del mastermind australiano. Si prosegue e si finisce catturati dai suoni deliranti di "Fooled Blood", non so se una vera song o piuttosto un interludio per la successiva "Zmatek". Una traccia sperimentale di scuola "ulveriana", complice una voce che evoca in un certo qual modo, quella di Garm, in un incedere epico e finalmente digeribile e coinvolgente (soprattutto a livello percussivo), in grado di rendere la proposta dei Mekigah un po' più abbordabile, almeno nella sua prima parte, prima che rigurgiti psicotici emergano dalla maledetta ed oscura musicalità di questo brano. Un altro intermezzo noise ed ecco "The Infinite Never", una non-canzone all'insegna di voci robotiche e dilatatissimi suoni ambient-ritual-cibernetici. Ci avete capito qualcosa? Io non molto, ma forse è il bello di questa band che ha ancora tempo di sparare le ultime cartucce con il trittico finale affidato alle litaniche e soffocanti melodie di "A Vast Abyss", un brano che incarna forse l'intera produzione dei Mekigah in un malinconico e caustico pezzo all'insegna di ambient black doom drone d'avanguardia. Con "Backpfeifengesicht" ci immergiamo in dieci minuti di minimalistici vaneggiamenti sonori che tra drone, black noise, oscuri anfratti ambient, avantgarde e musica elettronica, non fanno altro che proiettarci in uno spazio intergalattico assai distante. A chiudere il disco, il cui mastering è stato affidato a Greg Chandler degli Esoteric, ci pensa "Rejection Nostalgia", l'ultimo atto che mal cela la follia dilagante di Vis Ortis e dei suoi Mekigah. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 75

https://mekigah.bandcamp.com/album/autexousious

domenica 1 marzo 2015

Mekigah - Litost

#PER CHI AMA: Drone/Noise/Doom/Experimental, Terra Tenebrosa
I Mekigah sono una band australiana che ho avuto il piacere di ospitare un paio di volte all'interno del Pozzo, prima con il debutto 'The Serpent's Kiss', disco che strizzava l'occhiolino a sonorità gothic dark new wave e poi con 'The Necessary Evil', lavoro più pesante e orientato al versante death doom. Il compositore Vis Ortis, orfano di Kryptus, mischia nuovamente le carte e, coadiuvato da altri amici, tra cui quel TK Bollinger da poco recensito su queste stesse pagine, si lancia in un lavoro dalla forte aura sinistra, il cui legame con il passato è riscontrabile solo nel nome dell'interprete principale, Vis Ortis appunto. 'Litost' è un album controverso, dannatamente oscuro che si muove tra le rarefatte atmosfere della opening track, "Total Cessation of One", song al limite del drone, alla successiva e malatissima "The Sole Dwelling", traccia asfissiante, demoniaca e che alla lunga potrebbe condurre alla pazzia. L'incedere è lento e ossessivo, con suoni e rumori di sottofondo che sembrano provenire direttamente dall'inferno. "Arangutia", la terza traccia, non accenna minimamente a cambiare il tiro, cosi come è accaduto in passato per cui il sound dei nostri andava evolvendosi verso lidi sempre più improbabili. Qui si continua a scavare per scivolare sempre più verso il fondo, raggiungere le viscere della terra, entrare i cancelli dell'oltretomba e magari incontrare di persona Belzebù, Lucifero o quel diavolo che vi pare. A livello di sonorità, trovo qualche punto di contatto con i Terra Tenebrosa, ma i Mekigah hanno superato quei limiti dell'act svedese che pensavo invalicabili. Il violoncello di Ken Clinger si palesa minaccioso nella quarta "By Force of Breath", bellissimo esempio di dark ambient cinematico. Con il noise/drone della breve "Sa Fii al Dracului", si chiude la prima parte del disco che ricomincia da "Wurrmbu", un altro pezzo disorientante che continua a non consentirmi di mettere a fuoco la proposta del mastermind di Melbourne. Che diavolo è successo in questi ultimi tre anni, perchè la dipartita di Kryptos, come mai Vis Ortis si è infilato nel tunnel della disperazione sonora? Con "Circuitous Revenge" ho quasi la sensazione di rivedere la luce, quella luce che è stata spenta all'atto di premere il tasto play su 'Litost'. È solo una vana speranza però. La notte, il buio, le tenebre, l'assenza di luce, l'oscurità sono solo alcuni sinonimi di quello che è oggi la musica dei Mekigah. La litania sonora dei nostri fa quasi paura, i vocalizzi qui inclusi sono solo quelli delle anime dannate sommerse nella pece bollente e uncinate dai diavoli, mentre i suoni desolanti della successiva "Mokuy" sferzano l'aria come le raffiche del Blizzard polare, sebbene la melodia sia lenta e raggelante le vene. È il verso dell'ennesimo demone quello che si sente nell'incipit della conclusiva "Bir'yun", song che chiude un disco di assoluto valore ma anche di difficilissimo approccio. Un disco per poveri diavoli, anime dannate, grandi peccatori, condannati, tormentati e straziati. Se anche voi pensate di rientrare in una di queste categorie, 'Litost' è il disco che fa per voi, altrimenti sappiate che "qui si va nell'eterno dolore, si va tra la perduta gente, lasciate ogni speranza voi ch'entrate". (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2014)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Mekigah

mercoledì 2 luglio 2014

Mekigah - The Serpent's Kiss

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark/Gothic, New Wave, Dead Can Dance, Mercyful Fate
Li abbiamo conosciuti lo scorso anno in occasione del loro secondo Lp, 'The Necessary Evil'; ora vi racconto invece del loro esordio. Sto parlando degli australiani Mekigah e del loro strampalato sound decadente, dove riesce a trovare posto addirittura un sax. Sax che fa la sua comparsa nell'intro iniziale che apre 'The Serpent's Kiss', album del duo australiano formato da Kryptus e Vis Ortis, aiutati da un innumerevole numero di amici. Sono le ambientazioni a la Dead Can Dance a trovare maggiormente spazio in questo concept, con suoni e voci eteree (a cura di Sam Star, nel ruolo di Eva) che si alternano su un tappeto sonoro, che pesca talvolta dal doom d'oltremanica. Diciamo che il risultato che ne viene fuori è qualcosa di inusuale, che mette in risalto (e che verrà confermato successivamente) l'originalità e la stravaganza di questo ensemble. Ovvio che non c'era da stupirsi: pensando all'Australia infatti, mi viene da dire che il 90% delle uscite di quel paese siano originali. Il cd nel frattempo continua ad andare nel mio lettore e, detto dei vocalizzi eterei di "Eve Awoke" e "Campfire", si passa ad una song dove finalmente fa la sua comparsa anche la voce pulita del frontman Dave O'Brien (Lucifero), mentre le chitarre si rincorrono veloci e melodiche. Il suono di una spinetta introduce "Death's Embrace", song melliflua che mi ha ricordato gli olandesi Gandillion e che permette per la prima volta un duetto tra le voci maschili e femminili, mentre la proposta musicale inizia a godere di una spinta maggiore. Meno ambientazioni dark dunque e qualche accelerazione in più all'insegna di suoni più spettrali che possono anche richiamare i Mercyful Fate. Le tracce scivolano via veloci, data anche la loro esigua durata (tra i due e i cinque minuti, con punte di sette) e per il fatto che molte delle 18 song qui incluse fungono semplicemente da interludio acustico o da ponte narrativo tra un pezzo e l'altro. Quando guardo il lettore alla fine della lunga e goticheggiante "Trial by Air" (scuola primi Tristania e mia song preferita), mi ritrovo già a metà del disco che di interessante ha ancora da offrire "Trial by Fire" dove compare finalmente anche il growling del vocalist in una song che sembra più un richiamo di una sirena, a cui è stato affiancato un demone malvagio e la successiva "Trial by Water" song dall'incedere malefico e sinistro, seppur possa suonare come una traccia progressive. Si prosegue con "Trial by Earth" e ahimè inizio a soffrire dei primi segni di insofferenza nei confronti della dolce fanciulla alla voce, un po' troppo piatta alla lunga. Poco importa, perché il ritmo qui è a tratti ben più vivace e guidato dalle vocals maschili. Ancora un paio di intermezzi che coniugano la musica classica con un feeling orrorifico e poi "Return to the Garden", song che vorrei ricordare più per la sua teatrale cavalcata che altro. Mi sa tanto che alla fine 18 brani siano un bel mattone da digerire (quasi 70 minuti di musica) e complice una minor fluidità nella proposta del combo oceanico, inizio ad auspicare fortemente la conclusione del lavoro che giunge con "Exeunt" che mette la parola fine a questo primo concept album degli australiani Mekigah, ma sancisce le ottime qualità di questi ragazzi, dei loro angeli e demoni. (Francesco Scarci)

(Self - 2010)
Voto: 70

lunedì 23 settembre 2013

Mekigah - The Necessary Evil

#PER CHI AMA: Death Doom Atmosferico
È ancora l'enigmatico sottobosco australiano a regalarmi splendide gemme di metallo emozionale. Fucina di straordinari talenti (Ne Obliviscaris, Aquilus, Circle, tanto per citarne solo alcuni), il lontano paese oceanico mi regala la gioia dell'ascolto di questo “The Necessary Evil” degli eterei Mekigah. Splendido l'approccio darkeggiante del duo di Melbourne che con le melodie soffuse di “Burning My Wings on Your Radiance” mi conquista in una manciata di secondi. Atmosfere sinistre (vero trademark della band) mi seducono immediatamente per il loro languido avanzare, con la calda voce gotica dei due vocalist, Vis Ortis e Kryptus, nonché per il climax ascendente che fin da subito i due mastermind vanno a creare, con le vorticose chitarre che si dipanano in un affascinante crescendo di melodie e tensione. Un lungo assolo, un brivido che percorre la mia schiena, trepidanti sensazioni mi schiacciano sulla poltrona. Non so se si tratti di un intro o se realmente questa sia la musica proposta dai nostri. Chiudo gli occhi e mi immergo nell'ascolto della title track. Un urlo lontano, apparentemente malvagio, aleggia sul tappeto di tastiere, vera struttura portante del brano. I ritmi sono assopiti in un riverbero dilatato di suoni sognanti, una nenia ideale a cullarmi e farmi cadere tra le braccia di Morfeo. Ma fate attenzione perché il rischio è quello di ritrovarsi invece tra le braccia del diavolo. Ecco infatti sopraggiungere malefiche vocals che per un solo minuto mi ridestano dal sogno. Con “Bloodlust”, l'ensemble inizia a pestare sull'acceleratore spingendo la propria proposta verso lidi più black oriented anche se basta poco per ritornare sui binari, costruite però su tetre ambientazioni horror: addio alle visioni eteree dei miei sogni e spazio all'incubo, quello che attanaglia la gola, crea tensione e angoscia. Il sound dei Mekigah si rivela una macchina infernale: nebuloso (si ascolti “The Scythian Revolution”), litanico e teatrale nella sua esecuzione vocale (poco spazio viene lasciato anche allo screaming). “Galkadjama” è una lenta discesa agli inferi, mentre “Touching a Ghost” un pezzo di etereo gothic doom, un ibrido tra atmosfere alla Dead Can Dance miscelato alla disperazione dei My Dying Bride. Eccellente, non c'è che dire e i successivi pezzi ne sono la riprova: “Crossing Over...” è un pezzo black doom dall'aura mefitica, “In the City of the Blind” un intermezzo noise che ci porta all'ascolto de “Le Roi Est Mort” una vera e propria marcia funebre che richiama gli ultimi Ulver. A chiudere questo maestoso album, il cui feeling arriva a scomodare addirittura i Type'o Negative, ci pensa la strumentale “From the Grave to the Cradle”, le cui sinuose chitarre citano come influenza, i Paradise Lost. Insomma “The Necessary Evil” è un gran bel lavoro a cui siete pregati caldamente di dare una chance, una grossa chance. (Francesco Scarci)

(Self - 2012)
Voto: 80

https://www.facebook.com/Mekigah