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martedì 25 aprile 2023

Wintarnaht - Anþjaz

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Formatisi originariamente col moniker Winternight e come one man band capitanata dal bardo Grimwald (che sta dietro anche a band quali Dauþuz e Isgalder, oltre ad essere un ex di molte altre), il buon mastermind ha poi tradotto il proprio nome nella forma germanica più arcaica, ossia Wintarnaht, proponendo una commistione di suoni epic black pagani in questo lavoro intitolato ‘Anþjaz’. La classica intro atmosferica e poi via alle epiche battaglie già dalla title track di questo quinto album della band della Turingia. Se la copertina del cd lasciava presagire un prodotto scarno e forse mal registrato, in realtà ho trovato i contenuti di ‘Anþjaz’ al pari dei primi brillanti lavori dei Menhir (fatalità anche loro della Turingia, quasi ci fosse un magico sottobosco in quella zona di foreste della Germania) in grado di quindi di sciorinare un pomposo concentrato di black ispiratissimo che si muove tra arcaiche melodie, cori folklorici e galoppate di black furente, che trova però spesso e volentieri rallentamenti atmosferici che rendono il tutto decisamente più gustoso e appetibile (ascoltatevi “Wint Zuo Storm” per meglio comprendere il flusso musicale del factotum teutonico). “Regangrâo” è un bell’intermezzo acustico che ci conduce alla devastante “Haimaerþa”, una scheggia impazzita di black grondante odio nelle sue ritmiche infuocate e nel growling/screaming efferato del frontman. Grimwald picchia sicuramente come un fabbro, ma stempera l’irruenza del black con i suoi intermezzi folk con tanto di cori, che per certi versi mi hanno evocato gli Isengard. Nella lunga e tenebrosa “Untar þe Germinâri Mâno”, il black si sporca di sonorità doom che vedono in splendide aperture chitarristiche, tiepidi squarci di luce, cosi come pure il cantato pulito rende tutto evocativo, al pari di un basso che macina lugubri suoni in sottofondo. Ancora un break strumentale e poi arrivano le ultime due tracce, di cui vorrei sottolineare la vivacità di “Staingrab in þe Morganbrâdam”, ove ho la sensazione di captare tracce di Absu nelle sue linee di chitarra che nel finale, si sbizzarriscono in una ritmica impetuosa e devastante, diluita solo dal lavoro delle tastiere e dai molteplici cambi di tempo e coro. In chiusura, “Ûzfaran” sembra nascere dalla chitarra di un impavido menestrello, per poi evolvere in una sorta di rituale sciamanico che chiude alla grande un lavoro a cui francamente non avrei dato un euro e che invece ha saputo conquistarmi per i suoi interessanti contenuti. Ben fatto. (Francesco Scarci)

Zagara - Duat

#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ascolto di questo album mi lascia più di un punto di domanda. La band torinese, alla sua seconda uscita discografica, parte molto bene, e fino al quarto brano, "Apophis", strumentale e sperimentale in senso electro ambient rumorista, si comporta in modo degno di lode, curando testi e artwork in maniera ottimale. Le idee su cui imbastiscono il loro scopo sonoro sono attraenti, tra cantato e sfumature melodiche che raccolgono frammenti di prog rock italico dei mitici anni '70 miscelato a un alternative sound capitanato da una distorsione zanzarosa, esplosiva e accattivante, che espande l'idea di trovarsi di fronte ad una band assai originale, con richiami alla new wave degli '80 di Faust'o e Denovo, cosi come pure trapela una dose di passione per l'electro rock e l'elettronica nazionale moderna. Il tutto lascia sperare in un piccolo miracolo dei giorni nostri, visto come ce la passiamo per via di musica cantata in lingua madre in Italia. "Maat", "Quello che ha un Peso", "Se ha Fame" e appunto "Apophis", hanno questo sentore, se poi ci si aggiunge quel giusto pizzico di alternative rock emotivo, di vecchia scuola Afterhours o Verdena, senza difficoltà, ci si rende subito conto che i primi quattro brani diventano molto piacevoli. Questa sensazione purtroppo, viene a decadere nei successivi brani, dove l'ispirazione sembra attenuarsi per aprirsi a strade, per così dire più consone allo standard commerciale italico. Intendiamoci, l'album è ben fatto e ben prodotto, la band suona bene e quello che fa, lo fa bene, ma quando cade la tensione e si opta per aperture pop rock, dalla dubbia intuizione compositiva, sulla falsariga dei Coldplay di recente ascolto ("Pezzi di Ossa"), oppure, si crolla crudelmente in uno stile sanremese ("lluminami"), che crea una voragine tra i primi quattro brani e i successivi tre, bisogna prendere atto di un certo sconforto musicale. E se "Illuminami" dicevo potrebbe partecipare e vincere tranquillamente la kermesse ligure, "Amnesia", finalmente, risolleva la verve dei Zagara e si riappropria un po' di quel coraggio sperimentale presente all'inizio del disco. "Sole e Limo" parte un po' in sordina, ma ha un bellissimo finale, estremamente distorto, che compensa un'evoluzione abbastanza piatta. La chiusura è affidata a quello che probabilmente è il brano più intenso del disco, "Lago", che con coraggio, unisce ritmica post rock ad un cantato/recitato ad effetto, in un'atmosfera surreale e drammatica, con delle sospensioni temporali di scuola floydiana, miste ad aperture ed evoluzioni teatrali veramente intriganti. Un brano, a mio avviso, che può, e deve dare, la direzione artistica futura di questa band, che sembra non aver ancora trovato la sua vera identità, ma che ha tutte le carte in regola per divenire un qualcosa di veramente originale nel panorama italiano. Rimaniamo in paziente attesa. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2022)
Voto: 69

https://zagara.bandcamp.com/album/duat

Drakon - П​р​о​б​у​ж​д​е​н​и​е (Awakening)

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Mi fa piacere poter constatare che nonostante gli strascichi della guerra, arrivino nella mia cassetta della posta, ancora cd dalla Russia. Sapete come la penso, per me la musica non ha confini, non ha colori, nè bandiere. Quindi il mio giudizio sui Drakon e sul loro lavoro ‘П​р​о​б​у​ж​д​е​н​и​е’ (‘Awakening’ in inglese) è libero da ogni forma di pregiudizio. Concentriamoci quindi su quello che è a tutti gli effetti il disco di debutto del duo di Chelyabinsk (che conta anche tre EP all’attivo) e su sonorità che sin dall’iniziale “Closedness of Forest Darkness” mi hanno evocato i fasti degli Emperor. Ecco, avrete già inquadrato la musica dei nostri che peraltro includono in formazione anche il vocalist Demether Grail, un vagabondo del metal che abbiamo già incontrato nei Lunae Ortus, negli Shallow Rivers, negli Skylord e negli Arcanorum Astrum, giusto per citare le esperienze più significative. Tornando alla musica, il disco include sette song che sono fondamentalmente un inno al black metal old fashion di metà anni ’90, “sporcato” di una leggera vena melodica che rende sicuramente di più facile approccio l’ascolto di questo disco. Infatti anche la seconda “In the Gloomy Feuding” (userò i titoli in inglese forniti dalla band per facilitarne la memorizzazione) parte sparata alla velocità della luce, con ritmiche vertiginose, chitarre in tremolo picking e le classiche screaming vocals, come andava di moda negli anni d’oro del black norvegese, per poi trovare un delizioso break centrale che ne attutisce toni e velocità. L’incipit di “Lunar Path” è cupo e successivamente frastornante a livello ritmico, con una batteria che sferra colpi alla stregua di una mitragliatrice M60 e con la voce del frontman, che esce come proiettili da quello strumento infernale. Fortunatamente, un break atmosferico rende l’aria appena più respirabile, ma ben presto la band ripartirà da ritmi infuocati e acidi vocalizzi. Ecco, diciamo niente di nuovo dal fronte orientale. La proposta dei Drakon va ad appiattire una scena sempre più povera di proposte originali, anche se vorrei sottolineare che quella dei due musicisti russi non è assolutamente una prova da bocciare. Anzi, qualcosa di buono si sente, soprattutto nella più compassata e melodica “In the Murk of Night”, ma il messaggio che deve passare chiaro qui, è che non c’è una sola nota in questo disco che possa dirsi dotato di una certa personalità. Per quanto mi riguarda, i Drakon hanno preso il testimone da alcune realtà norvegesi di 30 anni fa e stanno provando semplicemente a portarne avanti il verbo con risultati accettabili. Un paio di menzioni prima di chiudere vanno all’acuminatissimo riffing di “Above All” e all’epica robustezza di “Ode to North”, quest’ultimo forse l’episodio meglio riuscito di ‘Awakening’, che vanta peraltro un notevole assolo a cura di tal Pavel Sochev, personaggio esterno alla band, cosi come il bassista Vadim Basov e il batterista Vyacheslav Popov. Per concludere, ‘Awakening’ è un lavoro indicato a chi ha amato il black norvegese e ancor oggi insegue i fasti di un genere che sembra non essere più in grado di uscire dalle sabbie mobili della propria storia. (Francesco Scarci)

(Soundage Productions – 2022)
Voto: 64

https://drakonblackmetal.bandcamp.com/album/-

venerdì 21 aprile 2023

Carnival in Coal - Fear Not

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Avantgarde Death/Grind
Skizzati! È la prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando il terzo album di questi due francesi attivi dal 1995. La Season of Mist li descriveva come se i Morbid Angel avessero una overdose di Mr Bungle. Beh, anche se dei Morbid Angel non se ne sente granchè e i Mr Bungle non li conosco (ma so cosa posso apettarmi dal leader dei Faith No More), mai messaggio promozionale fu più azzeccato. Per farvi capire la stravaganza dei Carnival in Coal mi vengono in mente solo i Solefald di 'Neonism', anche se dei Solefald solo in pochi momenti si riscontrano le sonorità e la genialità. Le composizioni dei due francesi sono meno fluide e un po’ troppo eterogenee; d'altronde come coniugare violentissimi stacchi grind con musichette da gameboy come in "Daaahhh!!", o brani brutal death con basi Disco Music anni '70 come in "1308.JP.08*"? Gli episodi migliori sono quelli in cui uniscono la furia del brutal con ritornelli funky rock come in "Yes, We Have no Bananas" e "Don’t be Happy, Worry!". Già dai titoli potete capire lo stato d’animo del disco ma non pensiate che i C.I.C. non facciano sul serio, nulla è lasciato al caso, sono precisi e la registrazione è ottima. Certo è un album molto difficile o, meglio, è difficile digerire un tale miscuglio di generi e sonorità ma a me è piaciuto molto.

(Season of Mist - 2001)
Voto: 75

https://www.facebook.com/CinCofficial

Deicide - In Torment In Hell

#PER CHI AMA: Death Metal
Upon first hearing this, I think it's one of Deicide's worst albums with the Hoffman brothers. I thought 'Insineratehymn' was pretty generic despite my high score upon a few listens to. The newer generation of Deicide is pretty bad, 'The Stench of Redemption' I marked pretty poorly but in retrospect that was a decent album with Ralph Santolla (RIP) and Jack Owen. But 'In Torment In Hell' I still like, I just think it's really sloppy and uncreative. They kind of pulled a 'Serpents of the Light' intro with the title-track but it's just turned into their own riff. They're pretty careless on here and left their creative juices behind.

I like the intro, but overall the music just sucks. They didn't offer much in airing 31 minutes of shit metal. I'm not sure if they had their contract up with Roadrunner or what. A totally thoughtless release which had many fans (including me) disappointed. How can they take a break and make up for this. With 'Scars of the Crucifix'? I don't know, maybe. But the Hoffman brothers legacy is over onto the next generation (which it has been) of Deicide. I'll always appreciate the first 4 releases from this band. But talk about getting lazy! That's exactly what they did here and their previous (as I noted).

Nothing on here is worth getting excited over. You would think a band would progress over the years and not the reverse of that. But they just show you that they just suck on this album. It doesn't matter what track you pick, they're all equally worthless. I actually went ahead and ordered this on eBay hoping that some day I'll appreciate this album. Listening to it on headphones has me keyed into all the flaws with it that I don't want to do. They used to be an inspiring death metal band with riffs that were supercharged and creative. I guess that they just didn't want to continue their career making quality material.

I heard this on Spotify with disbelief. What happened!! This average score was 45% and hell my score is right about there too! I wouldn't say to buy this even if you are a Deicide fan. I did, but with much reluctance. Putrid as hell, what a major dud! There's nothing on here worth mentioned maybe check out the title-track, "Vengeance is Mine" and "Christ Don't Care." Then you'll get an idea of what to expect. They're still death metal, just at their worst. I don't want to turn you off from being a fan of the band it's just that when music sucks, something has to be said why or what happened that made it that way. Beware! (Death8699)


(Roadrunner - 2001)
Score: 45

https://www.facebook.com/OfficialDeicide/

At the Altar of the Horned God - Heart of Silence

#FOR FANS OF: Experimental Ritualistic Black
Founded only three years ago, the Spanish solo project At the Altar of the Horned God, whose leader Heolstor is a quite active musician in the Spanish underground scene, has managed to release two rather interesting efforts. Heolstor has been involved in excellent projects like Nazgul or Cyhriaeth, whose only full lengths are strongly recommendable. I guess that this background alongside the inherent quality of his first album was more than enough for a well-stablished label like I, Voidhanger Records to sign a contract with him. The first effort, entitled 'Through Doors of Moonlight' was a good starting point, so it was interesting to see what this project could offer with the always crucial sophomore album.

At the Altar of the Horned God’s music is a quite personal approach to a combination of black metal and ritual music. This later influence is a remarkably defining one of how this project sounds, and the new effort 'Heart of Silence' is well-achieved example of this mixture. The rawness and atmosphere are very nicely combined and Heolstor’s vocal approach also adapts itself to the difference influences, intensities and how each composition works. The album contains eight songs, and the listener will be able to appreciate the different nuances and touches that enrich this project’s music. The album opener "Listen" differs from the typically opening for a black metal album, with these whispering vocals and ritualistic drums. The vocals remind me for sure some goth and dark metal bands, which I think it is a quite appropriate inspirational source. The song gains in intensity with the guitars and some more aggressive vocals, but always accompanied with certain atmospheric arrangements that enhance the mysterious atmosphere that every ritual-influenced band should have. The introduction of "Closing Circle" follows similar patters with this captivating atmosphere and the use of clean vocals, that differ from the classic black metal bands. This project is for sure none of them, and I personally consider that this sort of voices is very necessary to create the aforementioned occult ambience. In any case, aggressiveness has its room in tracks like "Heart of Silence" or "Anointed With Fire", among others, where the guitar riffing is more powerful and some faster sections are included. Typically, black metal screams are also used, but never left completely behind the cleaner vocals which are always introduced at the appropriate time and with a good taste. The ups and downs in the intensity are well distributed throughout the album, as you usually find a more aggressive song like the mentioned "Anointed With Fire", followed by a more atmospheric track like "God is in the Rain", which is a nice contract to make the album sound diverse and interesting.

In conclusion, 'Heart of Silence' is a very enjoyable and personal album. The combination of black metal with a strong occult essence is very well accomplished. The songs sound diverse, but coherent, and the contrast between the expected aggression and much more atmospheric parts is really good. It indeed requires some mind openness to enjoy the generous use of clean vocals, but I am quite confident that the way they sound will convince the reluctant listener. (Alain González Artola)

(I, Voidhanger Records - 2023)
Score: 80

giovedì 20 aprile 2023

Astimi - TrinaCapronuM

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Dopo due demo ('Opus I' e 'Opus II') di black metal piuttosto vario, atmosferico, suggestivo e caratterizzato anche da linee melodiche dell’ormai tipico "Mediterranean Scene Sound", gli Astimi arrivano al debut album con una rinnovata line-up (Agghiastru alla voce, alla chitarra e alla programmazione delle parti di batteria, 3 alla chitarra e al synth, Fantasma al basso) ed un differente stile musicale. Gli Astimi del 2001 propongono del brutal death di classica matrice americana in cui vengono ben amalgamate tra loro parti sparatissime ed altre più cadenzate ma mai troppo lente. È quindi un classico disco del genere in questione che comunque sa farsi apprezzare per la rabbia e la foga con cui è stato concepito e che efficacemente trasmette, anche grazie a dei testi che, con parole dure e sprezzanti, attaccano l’ipocrisia e la falsità del cristianesimo. La produzione è sino ad ora la migliore delle Inch Productions: le chitarre suonano abbastanza spesse ma la batteria poteva rendere maggiormente con dei suoni migliori; la voce, per cadenza e timbro, ricorda un po’ quella di Glen Benton. L’artwork (come per ogni produzione Inch Prod.) è assai curato, ad effetto e stravagante… Cristu Crastu!!!

Mogwli - Gueule De Boa

#PER CHI AMA: Jazz/Rock
Jazz, elettro jazz, acid jazz, classic jazz, improvvisazione, c'è proprio di tutto nel nuovo album del trio francese Mogwli, un exploit di colori e musica per un disco strumentale, sofisticato e dinamico, pieno di virtuosismi e congetture ritmiche singolari, alla maniera intricata dei Battles. Supportati da batteria, fiati e tastiere (le chitarre non sono ammesse in questo gioco di suoni), i Mogwli si sbizzarriscono nel ripercorrere e deformare teorie e strade di tanti generi e stili musicali diversi tra loro. Il sound è moderno, carico, con quel tocco cool alla The Smile, ed anche se qui, il jazz la fa sempre da padrone, sebbene possiamo parlare tranquillamente di trame ed intermezzi che guardano al progressive rock più eclettico ed istrionico, senza però perdere quel sound alternativo, che per tutto il disco ti rimanda, a volte nel mondo elettronico, sintetico e cosmico delle produzioni della Ultimae Records, a volte tra le follie compositive degli Art Zoyd, in altre occasioni si crede di aver a che fare con un presunto nipote di Edgar Varese, schizofrenico, volgarmente innamorato delle bizzarrie dei sopracitati Battles, con il gusto compositivo che distingueva i Medeski, Martin e Wood negli anni '90/2000. Quindi, momenti frenetici s'intrecciano a forme più contratte e sperimentali, oppure melodiche e armoniche, a volte il lato percussivo prende il sopravvento, per poi lasciar spazio ad un classicismo che è lontanissimo dal sound precedente, che improvvisamente cambia direzione verso una techno elettronica imitata perfettamente dai tre, senza campionatori o aggeggi simili. Insomma, stiamo cercando il bandolo della matassa, ma non lo troveremo, e i cambi di tempo spettacolari di "Lèviathan" non ci aiuteranno proprio ad identificare questa creatura sonora. In realtà il disco ha un sound veramente originale ed è ben costruito e ben prodotto, non ha una singola direzione sicura, tutto può accadere, nota dopo nota, canzone dopo canzone, un continuo esternare teorie sonore e ritmiche, messe in atto da tre superbi musicisti (basti guardare il video live - Mowgli, Murkiness. Festival JAZZ360 2019 - che trovate in rete per capire di che pasta sono fatti). Potremmo cercare di definirlo etichettandolo fusion/jazz/rock, ma ancora ci sarebbe da obiettare, perchè, in effetti, 'Gueule De Boa', letteralmente testa di serpente, che nasconde un po' anche il significato di postumo di una sbornia, ha l'onore di essere una vera e propria jungla sonora, che farà molto piacere agli amanti dell'avanguardia e del jazz meno ortodosso. Brani come "Dario", "Bicouic Orbidède" e "Sauge d'une Nuit d'ètè", dettano legge, ma tutto il disco risulta imprevedibile e godibilissimo, da ascoltare e riascoltare in continuazione, per coglierne l'enorme lavoro compositivo ed esecutivo che si nasconde dietro le geniali composizioni di questo trio transalpino. Ascolto doveroso per tutti gli amanti del prog e dell'avantgarde jazz contemporaneo. (Bob Stoner)

(Budapest Music Center Records - 2023)
Voto: 83

https://soundcloud.com/mowgli-official

giovedì 13 aprile 2023

Kvist - For Kunsten Maa Vi Evig Vike

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black
Vorrei, con questa recensione, rendere omaggio ad un gruppo norvegese ormai sciolto (anche se Metal Archives darebbe la band ancora attiva nonostante non rilasci nulla dal 1996/ndr), che però con questo album di black potente e fiero si era distinto tra gli altri esponenti della scena per una buona tecnica e per una buona costruzione delle atmosfere, tristi ma evocative, vicine a sonorità che resero celebri i Satyricon di 'Nemesis Divina'. Certo, i Kvist avevano dalla loro una regisrazione più modesta ma sempre di buon livello, però erano riusciti comunque a convogliare in un'unica direzione il black primordiale senza tanti fronzoli, al black più ricercato e sinfonico. Da sottolineare l’ottimo intreccio fra armonie di tastiere e di chitarre. Se 'For Kunsten Maa Vi Evig Vike' non fosse in vostro possessso, beh datevi da fare e trovatelo.

(Avantgarde Music/Peaceville Records - 1996/2020)
Voto: 72

https://peaceville.bandcamp.com/album/for-kunsten-maa-vi-evig-vike