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mercoledì 16 novembre 2022

The Universe by Ear - III

#PER CHI AMA: Stoner/Psych/Prog Rock
Dopo aver recensito i primi due album degli svizzeri The Universe by Ear, mi sembrava doveroso approcciarci qui nel Pozzo anche al loro terzo lavoro, intitolato semplicemente 'III', per un concept album focalizzato sul tema dell'acqua. Il combo originario di Basilea torna in sella quindi con cinque nuovi pezzi che pescano un po' qua e là tra psichedelia, post-rock, stoner e addirittura jazz. La lunghissima traccia d'apertura, "Sail Around The Sun", ci delizia con i suoi quasi 12 minuti di sonorità ricercate, melodiche e lisergiche, che passano con estrema disinvoltura dalle atmosfere pinkfloydiane dei primi minuti a scorribande chitarristiche tipiche dello stoner, per poi lanciarsi in una lunga fuga solistica e cambiare repentinamente verso un blues rock, in un'alternanza di generi quasi da lasciarmi di stucco. Sebbene non sia questo il mio genere preferito, posso tranquillamente sottolineare la solidità compositiva dei nostri e l'altrettanto accattivante finezza musicale che si cela nei minuti conclusivi dell'opening track, quando i nostri sfiorano territori math rock. Le stesse derive soniche complesse ed insolite, si palesano anche nella seconda "Something in the Water", una sperimentazione sonora che sembra miscelare ammiccamenti noise, roboanti riff dissonanti, voci che vanno verso una direzione più garage surf rock anni '60, a dimostrazione della robustezza e della creatività del trio elvetico. Ma anche lungo gli oltre nove minuti di questa traccia, la band sarà in grado di esplorare oscuri anfratti atmosferici soprattutto quando è il basso di Pascal Grünenfelder a fare da main driver del brano. Assai interessanti, lo devo ammettere. Un po' meno invece nella traccia successiva, "Two-Hour Drive/Are We There Yet?", un pezzo linearmente troppo rock che stona con quanto ascoltato sin qui, un tuffo in un passato settantiano che mi lascia piuttosto tiepidino, almeno fino a quando la chitarra di Stef Strittmatter decide di salire in cattedra e, a braccetto col basso di Pascal, regalano un lungo e suggestivo break strumentale che ribalta totalmente il mio giudizio sul brano. A questo punto, dopo aver superato la metà del mio percorso in questo lavoro, mi sento di dire che il power trio svizzero dà il meglio di sè nelle parti più ricercate, psichedeliche e sperimentali, il rock classico meglio metterlo in soffitta e continuare a dedicarsi alla ricerca dei versanti più originali della musica. I nostri non deludono e proseguono anzi con le loro stravaganti idee anche nella quarta "Lie Alone", un pezzo dall'aura oscura, in cui anche la voce del frontman ne esce rafforzata e in cui ritroveremo un'altra fuga strumentale che sembra pescare a piene mani dalle visioni caleidoscopiche del prog rock. E in chiusura ecco arrivare "Salty River (including Monoliths)", un pezzo che per certi versi mi ha evocato i Zeal & Ardor più votati a sonorità soul/gospel (anche se qui non sono cosi palesi) miscelati con lo psych kraut math rock stralunato (soprattutto nei giri di basso) dei nostri, per una chiusura davvero degna di nota, che sancisce quanto i The Universe by Ear siano musicisti preparati, con idee avanguardistiche e meritevoli della vostra attenzione. (Francesco Scarci)

(On Stage Records - 2022)
Voto: 75

https://www.theuniversebyear.com/

lunedì 14 novembre 2022

Hyndaco - Starship Tubbies

#PER CHI AMA: Psych Rock
Psych rock che ci catapulta indietro nel tempo di mezzo secolo quello proposto dagli italiani Hyndaco in questo debut EP intitolato 'Starship Tubbies'. Cinque pezzi che delineano, sin dall'iniziale "Rosalipstick", un genere che evidenzia immediatamente come le radici musicali dei nostri affondino negli anni '60/70 grazie ad un garage rock visionario, guidato da una grande prova al basso di Lorenzo Ricci e un lavoro ai synth, tanto retrò quanto lisergico a metà brano, a cura di Andrea Ugolini. Questi a mio avviso i due pezzi forte del quintetto nella prima song, anche perchè il vocalist, in tutta franchezza, non mi fa proprio impazzire, complice un cantato all'inizio troppo impersonale. Nella successiva "Atlantika" infatti, il buon Lorenzo Vitali prova a modulare in miglior modo la sua ugola che nella song d'apertura sembrava più difficile da gestire. Allo stesso tempo, anche la musica sembra decisamente più compassata ed elegante, l'unico problema è l'eccessiva velocità con cui i nostri decidono di chiudere un brano che stava mostrando un discreto lavoro alla chitarra solista da parte di Francesco Lucchi. Con "Lubber" le atmosfere si fanno più delicate e suadenti grazie ad un gioco di armonizzazioni che rendono il tutto davvero piacevole da ascoltare, con una mistura che combina un caleidoscopico mix tra blues rock, kraut e psichedelia di settantiana memoria, con una prova vocale qui davvero convincente. La macchina Hyndaco qui sembra davvero oliata e il risultato è sorprendente anche quando il frontman ci regala uno strabiliante urlaccio a fine brano. Mi iniziano quasi a conquistare questi ragazzi, complice una consapevolezza nei propri mezzi ed una certa creatività che va via via migliorando con l'avanzare dei brani. Ho ancora problemi a digerire la voce nella title track ma un altro bel giro di basso, accompagnato da un bel lavoro di chitarra e tastiere che dipingono landscape che mi spingono a immaginare tramonti infuocati, mi fanno soprassedere sulla performance "ballerina" del frontman italico. Non chiedetemi il razionale di queste sensazioni, non ve lo saprei spiegare. Cosi come non riuscirei a spiegarvi per quale motivo l'inizio di "Foxtrot" mi abbia evocato i Depeche Mode nelle sue note di synth o i The Cure nel suo incedere darkeggiante mah, reminiscenze di tempi splendidi che furono. Per ora gustatevi questo primo episodio degli Hyndaco, potreste rimanerne sorprendentemente ammaliati. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2022)
Voto: 72

https://www.facebook.com/hyndacoband

Eradicate - Demise Towards the Dasein

#PER CHI AMA: Death Old School
La Godz Ov War Productions prosegue nella sua opera di perlustrazione della scena underground, portandoci quest'oggi in Turchia, a Istanbul per l'esattezza. Gli Eradicate arrivano infatti dalla vecchia Costantinopoli con quello che è il loro debut EP, visto che la loro formazione risale allo scorso anno. 'Demise Towards the Dasein' è un lavoro di tre pezzi più una breve intro, che ci mostrano l'impasto primordiale in cui affondano le mani i nostri, in un ibrido tra Autopsy e Disembowelment, per una proposta mortifera che vede il giovanissimo terzetto spararci in faccia un death brutale interrotto da qualche break doomish. Ecco quanto ci consegna la band già con "Whispering Paranoia", una scheggia impazzita di death suonato alla vecchia maniera con un lavoro alla batteria che mi ricorda appunto quello dei maestri australiani. La voce del nemmeno maggiorenne vocalist Inhuman (peraltro anche chitarrista) si muove tra uno screaming efferato ed un profondissimo growl, affrontando temi vicini all'esistenzialismo e all'abuso di sostanze stupefacenti. Dopo le bordate di questa song arrivano le note più rallentate di "Involution Within the Void", almeno fino a quando la voce del frontman inizia a blaterare testi ferali e la musica ne segue contestualmente l'andamento schizzato fino a quando una bella campana a morto rallenta il parossismo esplosivo, scalando tre marce e finendo nei paraggi di un doom malato che lascia che un bel giro di basso metta in mostra le doti di Sarzu. "Pseuodic Liberty of the Mind" suona più come il classico thrashettone di fine anni '80 anche se emergono echi dei primi Carcass, cosi come di altri fenomeni finlandesi tipo i Demilich in un salsone di putrido death metal che farà la gioia di tutti i vecchi fan di vecchia data del genere. Niente di nuovo sotto il sole se non una bella dose di violenza d'altri tempi. (Francesco Scarci)

I Barbari – Supernove che Fanno Bang!

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Il nuovo album dei mantovani I Barbari, è strabiliante. Sfodera sonorità stoner che ricalcano in tutto e per tutto i grandi maestri, non sposta di una virgola le coordinate dei pionieri del genere, e in questo modo riesce a far apparire 'Supernove che Fanno Bang!', un lavoro impeccabile. Il suono è polveroso e trasforma il combo lombardo in una realtà credibile e perfetta, un salto di qualità notevole rispetto al precedente album, che comunque mostrava già una certa verve, ma risultava più scarno musicalmente. Detto questo, mi devo soffermare su di un paio di cose che, al cospetto di un'ottima produzione, mi lasciano un po' perplesso. Inanzitutto, il barcollante spessore dei testi che si collocano tra visioni space/sci-fi e temi di attualità, trattati un po' alla leggera, un brano che porta il titolo "Generazione Kebab", per quanto possa essere illuminante per la massa, lo ritengo un po' sterile. Se poi valutiamo il cantato in lingua madre, grazie alla potente ed egregia capacità vocale del vocalist Andrea Colcera, il quale riesce ad ingabbiare l'emotività, tutta italiana, del miglior Manuel Agnelli ai tempi d'oro degli Aftehours, rivisitato con i canoni stilistici vicini a certe divinità stoner, come i Sixty Watt Shaman, mi aspetterei tematiche molto più interessanti e sofisticate, che vanno oltre alle visioni da film di serie B, alla birra calda o alle luci assassine. I Barbari hanno un potenziale enorme, ma devono ancora trovare una loro dimensione in fatto di personalità artistica, che in alcuni particolari risulta assai derivativa, anche per l'artwork di copertina, di ottima fattura ma che ricalca pesantemente le idee grafiche dei Solarized di 'Driven' di una ventina di anni fa, rivisto in salsa tricolore. Questo disco uscito tramite la OverDub Recordings, è un buon primo passo, che può portare il quartetto verso un nuovo universo sonoro, se lo sapranno gestire diversamente dalle omologate band del belpaese, dove la scena sembra sempre più appiattita di questi tempi. Molte idee sono tratte da varie fonti che devono trovare una più salda e propria identità, perchè non basta saper suonare bene, come sanno fare I Barbari, se poi ci si ferma a riproporre un remake di cose già sentite, dove un ottimo suono non è il più delle volte sufficiente a creare una personalità di un certo rilievo (e qui potrebbe entrare in gioco la storia di gruppi nazionali di culto dimenticati, come ad esempio i Karma o i Santo Niente, che potrebbero dare qualche indicazione). Quindi, a parte i nei che ho volutamente trovare in questo disco, 'Supernove che Fanno Bang!' è un lavoro di qualità superiore, prodotto divinamente e sicuramente rappresenta un balzo in avanti notevole per la band. Un album che farà felici gli amanti dello stoner tricolore, una band che coraggiosamente canta in italiano, in un genere dove la lingua inglese ha l'egemonia stilistica, una band che ha tutte le carte in regola per crescere e trovare una dimensione sonora tutta sua, ritagliandosi uno spazio di culto nella scena nazionale. (Bob Stoner)

Ashes You Leave - Fire

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Gothic/Doom
Nonostante il mercato sia abbastanza saturo per quanto riguarda i gruppi gothic, gli Ashes You Leave, band croata, è riuscita a produrre un’ottima opera che poteva sicuramente a farsi largo ed imporsi all’attenzione del pubblico scalzando tanta spazzatura che immeritatamente affolla da sempre la scena. Una buona miscela di gothic e doom metal; un giusto incrocio tra Tristania e My Dying Bride. Atmosfere alquanto struggenti, create da ottime orchestrazioni di tastiera e violino e da un pianoforte che, grazie ad un suono veramente interessante ed originale (provate ad ascoltare la traccia numero due, "In Vein"), fa da ottimo accompagnamento alla voce assai bella e melodica di Marina. Non manca tuttavia la potenza in queste canzoni, anche se trovano più spazio le sperimentazioni darkeggianti: a buona ragione in questo caso. Visto il genere proposto ed il buon uso del violino, il risultato non può che essere originale. Buona la produzione, che fa risaltare tutte le componenti necessarie per gustarsi 'Fire'. Purtroppo non ho i testi ma, da quanto intuisco, sembrano indispensabili per seguire il concept: musica e parole per una triste poesia.

(Morbid Records - 2002)
Voto: 70

https://www.facebook.com/ashesyouleave

sabato 12 novembre 2022

Exhumed - To The Dead

#FOR FANS OF: Death Metal
This is one helluv an album! In my opinion, better than their previous 'Death Revenge' that I have. I have yet to hear 'Horror' or their previous earlier material which was in the goregrind genre. This one is fierce and ferocious! Two vocal trade-offs, guitars with sick riffing and a dominating production be it that they're on Relapse nowadays! This album has balls-out intensity. The riffs are full of endless atrocity to your eardrums! Totally their aim on here it wasn't just mind-boggling it was crushing! I enjoyed this the first time I got it then I had to get the physical CD sort of my way to support the band!

The leads were pretty good on here, too! All together this was or is my favorite Exhumed release. I only have heard bits and pieces of their early work which I didn't care much for. But 'To The Dead' is my absolute favorite Exhumed album to date. There are no flaws here on this album, it's got so many highlights I'm just glad that I heard about it. Just buy coincidence through a mutual friend I thought I'd check it out. BOOM! I was in I was totally in! These guys know what they're doing in terms of the concept of this release. Never into the lyrics, there are some songs with strange names to them.

I'm just going by what I've heard on here not so much their writing concepts. The tempos are all changing but not that drastically. Fresh riffs for every song! I like the vocal trade offs it made it more brutal and gave more variety. There are blast beats on here but they still fall under the death metal genre. No more goregrind. That is a thing of the past with them. They're diversifying in terms of sounds they're killing it with their death metal riffs and burly vocals. Totally underground mania! I'd have to applaud the band for such an outstanding performance all almost 40 minutes of this release.

Their album 'Death Revenger' I thought was OK. I never really got into them until I heard this. It blew my eardrums upon first listening to. The production quality was sick everything seemed to fit in perfectly. I'm not taking any points off from this one because I believe it's one death metal album that's tops for 2022. I hope this reaches plenty of fans of the band or death metal in general. It is available for streaming but I went further and made a purchase (like I said earlier). This one goes down as one of my favorite death metal releases for Exhumed in the death metal genre. Check it! (Death8699)


(Relapse Records - 2022)
Score: 84

https://exhumed.bandcamp.com/album/to-the-dead

giovedì 10 novembre 2022

Acédia - Fracture

#PER CHI AMA: Experimental Black
Dopo un silenzio perdurato sette anni dovuto a quanto pare a qualche assestamento di line-up, ecco ritornare i canadesi Acédia sotto l'egida della sempre più attenta Les Acteurs de l'Ombre Productions. La band originaria di Quebec City torna con il terzo album ed un sound totalmente dissonante sin dalle note introduttive della folle "La Fosse". Servirà tutta la vostra apertura mentale infatti per approcciarvi ad una proposta di per sè parecchio scorbutica, ma che verosimilmente potrebbe regalare grandi soddisfazioni. Perchè dico questo? Perchè dietro a quei giri di chitarra completamente disarmonici si nasconde un mondo estremamente ricercato e complicato da proporre. Certo bisogna entrare in sintonia con le modalità davvero astruse dei nostri che si esplicano attraverso un tremolo picking che mi ha immediatamente evocato i Windir di 'Arntor' in una schizofrenica ed epica galoppata black miscelata ad una più subdola musica classica, il tutto incorniciato dallo screaming efferato di Pascal Landry. Tutto chiaro quindi? Non proprio perchè come dicevo, la proposta degli Acédia non è proprio una passeggiata in riva al mare, direi piuttosto un trekking ad alta quota e con un dislivello di 1000 m, ma coraggio, so che ce la potete fare. In aiuto arriva infatti la seconda " Mont Obscur" che, per quanto mostri un incedere più compassato, regala comunque una proposta ostica e poco accessibile che assomiglia più ad un trapano atto a forare la vostra teca cranica con suoni tanto tecnici quanto insani e cervellotici. Di sicuro la band non si risparmia in fatto di ricerca di originalità, ma a volte la sensazione è quella di voler strafare, e ci sta anche, se solo poi si riesce a non deragliare del tutto dal seminato. Questo per dire che nel corso dell'ascolto delle altre tracce, tutte peraltro che si assestano tra i sei e gli otto minuti fatto salvo per la breve title track, i nostri giocano a rincorrersi con chitarre sghembe e al contempo virtuose (che mi hanno evocato peraltro i nostrani Laetitia in Holocaust), vocalizzi animaleschi tra il growl e lo scream, suoni glaciali dove la tecnica viene messa a servizio di una musicalità che fa del contorsionismo sonoro il proprio motto. E cosi una dopo l'altra - facile a dirsi ma non ad ascoltare - il trio canadese mette in fila la schizofrenica "L'Art de Pourrir", l'altrettanto spericolata "L'Inconnu" e la conclusiva e più controllata "Brûlure du Temps", che chiude un'opera ardimentosa, funambolica e complicata, che sottolinea quanto la band sia vogliosa di sorprendere i fan, prendendosi tutti i rischi del caso, di risultare alla fine ostici per la maggior parte degli ascoltatori. Detto questo, complimenti per il grande coraggio, non è da tutti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/fracture

RÝR - Transient

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
La lingua islandese ormai è di grande ispirazione per un fottio di band: dai titoli delle canzoni ai moniker, non ultimi questi berlinesi Rýr (il cui significato sarebbe sterile, scarso o debole). Quello di oggi è un quartetto che giunge con questo 'Transient', al traguardo del secondo album, offrendo un concentrato di post metal strumentale. Quando penso a questo genere poi, mi viene in automatico pensare ai Russian Circle, leader indiscussi di queste sonorità. Diciamo subito che i quattro teutonici se la cavano piuttosto bene, attraverso un'alternanza di chiaroscuri e partiture più tirate, ove inciampare e fermarsi per prendere fiato. Questa è bene o male la chiave di lettura che ci regala sin da subito l'iniziale "Trajectory", quasi nove ostici minuti di suoni ondivaghi, ove criptiche atmosfere seguono le roboanti ritmiche del duo di asce formato da Marius Jung e Lukas, o dove ancora la progressione musicale rende più dinamico un brano, "Derisive", che probabilmente soffrirebbe un po' della mancanza di un vocalist. Tuttavia, i nostri si muovono con una certa disinvoltura in un marasma musicale, dove il rischio di mettere il piede sull'uovo sbagliato porterebbe solo ad una gran frittata. Ma invece i Rýr continuano a giocare su un'altalena ritmica che vi terrà quanto meno incollati fino alla conclusiva "Shattered", passando dalla più corrosiva "Alienated", dove le chitarre tremolanti potrebbero ben collocarsi anche in un album post-black, o la sinistra title track con le due asce a divertirsi nel creare accanto al classico wall of sound, dei giochini più spettrali in tremolo picking e dove a palesarsi più forte che mai, sarà il basso di Kay. Si arriva quindi in coda al disco con la fosca e più doomish "Shattered" che per oltre nove minuti, avrà modo di esibire suoni graffianti, ritmati e oltremodo pesanti, alternati a parti più sognanti di grande eleganza. Insomma un ritorno con i fiocchi quello dei tedeschi Rýr, che potrebbero avere tutte le carte in regola per dare filo da torcere ai maestri di sempre. (Francesco Scarci)

(Golden Antenna - 2022)
Voto: 75

https://ryrpostmetal.bandcamp.com/album/transient