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lunedì 25 aprile 2022

Tankard - Kings of Beer

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Thrash Metal
Mai mi sarei aspettato, che i Tankard dopo 'Disco Destroyer' riuscissero a superarsi ed invece, 'Kings of beer' è quasi un capolavoro. Un album thrash demenziale portato al massimo come solo loro sanno fare. Stavolta mancano quasi del tutto gli elementi punk che erano soliti usare per rendere ancora più divertenti i loro lavori. Su tutto l'album domina comunque quella potenza che conosciamo bene del thrash metal tedesco, quello senza troppi fronzoli per intenderci. Le intenzioni dei quattro ubriaconi teutonici si concentrano su canzoni dirette che colpiscono subito al primo ascolto e con l'opener "Flirtin' with Disaster" sarete immediatamente investiti dalla rabbia contenuta del disco. Ogni canzone è significativa, ma legata comunque alla title-track che troneggia su tutte. 'Kings of Beer' poi non vuole solo rendere omaggio alla birra ma, se ci fate caso, è simile a 'Kings of Metal' dei Manowar e non è un caso, perché il testo vuole ironicamente prendere in giro le famose parole dei quattro newyorkesi, leggetelo e capirete.

(Century Media - 2000)
Voto: 78

https://www.tankard.info/

Tanidual - Alignement

#PER CHI AMA: Elettronica Sperimentale
William Laudinat è un artista francese, produttore e trombettista nei Walter Sextant, Les Fanflures, Compagnie Merversible, EPS. Oggi ci presenta invece una nuova release del progetto che porta il suo nome d'arte, ovvero, Tanidual. Si tratta di un progetto sperimentale che da sempre intende esplorare vie misteriose che attraversano la world music, l'elettronica, il jazz e l'hip hop, riuscendo a far passare le sue complesse architetture sonore, in maniera molto accessibile a chi le ascolta, mostrando una grande sensibilità compositiva. Partendo da una base costante di matrice jazz grazie ad un uso della tromba etereo ed ipnotico ("Alignement"), il musicista transalpino crea le sue ambientazioni a metà strada tra le composizioni più morbide di Paolo Fresu, (ricordo l'album 'Summerwind'), sporcate da un'elettronica ricca di venature sofisticate e imprevedibili, figlia di ascolti del tipo Mira Calix ('For the Selector') o Banco de Gaia ('Maya'), con cui interagire con aspetti lievi della world music, che aiutano a creare una sorta di musica ambient dal sapore multietnico, indefinita e fluttuante ("Suling"), che s'identifica in orchestrazioni futuriste e di pura fantasia musicale. Il minimalismo dell'elettronica e le ritmiche IDM si fondono poi in una matrice progressiva, inventando dei manifesti sonori che inneggiano alla musica lounge, acid jazz e hip hop ("Auf le Jour" con il featuring di L'erreür alla voce), quanto alla sperimentazione in stile soundscape, per un'immaginaria scena da film a rallentatore. Provate a chiudere gli occhi ed immergervi in brani come "La Bènef – part A" (con al trombone Guillaume Pique) e nella conclusiva ripresa di part B, dove il tempo si ferma allo scandire della presenza vocale prestata dall'ospite Arthur Langlois, sospeso nelle note di quel synth dal retrogusto puramente seventies. "La Limite" è una canzone dove la chitarra suonata da Antoine Paulin, si connette in perfetta sinfonia con la tromba ed una ritmica dai bassi profondi, per creare uno dei brani più belli da ascoltare del lotto, alla pari di "Reno au Pays des Synthètiseurs", con un'altro ospite, Reno Silva Couto al sax, che sembra un'Alice nel Paese delle Meraviglie avvolta in un mantra di sintetizzatori, con una performance solista di gran classe. La bella e cupa "In the Sky" vanta ancora Guillaume Pique al trombone mentre l'ultima segnalazione va alla sperimentale e suggestiva musicalità di "Check". 'Alignement' è alla fine un disco che travisa una calma apparente ma che in realtà attraversa diametralmente, e allinea, come cita il titolo del disco, un sacco di mondi e correnti sonore sparse tra modernismo, sperimentazione e tradizione. Certamente un album impegnativo ma per i ricercatori di novità e melting pot sonori, sarà come avere tra le mani un vero e proprio vaso di pandora dal contenuto contrario, ovvero, un sacco di benefici per le vostre orecchie. (Bob Stoner)

(Atypeek Diffusion - 2022)
Voto: 75

https://tanidual.bandcamp.com/

Carphatian Forest - Strange Old Brew

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Raw Black
I norvegesi Carpathian Forest ci avevano sorpreso positivamente con l’uscita di 'Black Shining Leather' perché ricomparsi dopo molto silenzio. Dopo circa un anno dal precedente e succitato full-length, i nostri si ripresenteranno in grande forma, pieni di sofferenza da infondere ad ogni ascoltatore. L’album è una perfetta via di mezzo tra 'Black…' e il materiale passato della band, quindi con parti di black funeereo impreziosito da sonorità thrash, con in evidenza il basso lancinante di Tchort, la chitarra a creare riff marci e secchi, e la voce di Nattefrost graffiante ed incisiva. Altre parti invece sono più atmosferiche e lente dove le tastiere si snodano in trame lugubri e depressive. All’interno del cd troviamo "Return of the Freezing Winds”, brano già edito in precedenza ed ora rifatto. Vi è anche un pezzo tratto dall'immortale film di Buttgereit 'Nekromantic', riproposto in modo egregio e con l’introduzione di piano mortifera e decadente.

(Avantgarde Music - 2000)
Voto: 75

https://www.facebook.com/carpathianforest

Graveyard - Innocence & Decadence

#PER CHI AMA: Hard Rock
Portentosamente legati al peston-rock di matrice doors/zeppeliniana, coadiuvati da qualche piccola astuzia (l'utilizzo john-bonz-esco dell'hi-hat e la saturazione lo-fi del segnale vocale, efficace ma a tratti fin troppo vintage), gli svedesi Graveyard pubblicano l'album finora più stondato e distante dal nostalgic-only alla Witchcraft o alla Rival Sons, giusto per dirne due a caso. Il suono galoppa ovunque, persino nei momenti gentilmente alley-soul di "Too Much is Not Enough" - ma i Vintage Trouble ad esempio percorrono gli stessi vicoli sonori con tutt'altra disinvoltura - nello psych-oyster-cult di "Can't Walk Out" con tanto di sospiri horror cari ai primi Pink Floyd, o nel motorsurf alla Lemmy Kilmister in braghette da bagno di "From a Hole in the Wall", persino nella autodissolvente "Stay for a Song", se avete fantasia. Tra il solido e il monolitico il lavoro della sezione ritmica, irresistibilmente soniche le chitarre, calda e graffiante la voce di un Joakim Nilsson che buttava giù blåbärshot fin dai tempi dell'asilo. Ma l'emozione? (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/graveyardofficial

Arabs in Aspic - Victim of Your Father's Agony

#PER CHI AMA: Prog Rock
Profusione di lingue di allodola in salamoia e orde di elettroni in transito sulla cinghia di Van der Graaf ("God Requires Insanity" vs. "Killers"; l'incipit di "You Can Prove Them Wrong" e parecchio altro), come del resto era opportuno aspettarsi, il tutto rimpolpato da immancabili uriah-tastieroni (una straordinaria "One" con tanto di divagazioni psych + coretti senz'altro mutuati dagli ingombranti concittadini Motorpsycho). Altrove riferimenti più obliqui: embrioni dei Ruphus annidati in "Tv 3" e sensazioni prossime a certo space teutonico (gli Eloy borboglianti nella title track "Victim of Your Father's Agony" e quelli funkettoni di "The Turk and the Italian Restaurant"). Nel complesso, il quarto album degli Arabs in Aspic (in realtà il terzo degli Arabs in Aspic II), differisce dal precedente 'Pictures in a Dream' non nelle sonorità e nei riferimenti, entrambi ben consolidati dal giorno in cui fu deciso il nome della band, ma piuttosto per via di un songwriting forse più misurato e consapevole. Una caratteristica non sempre positiva all'interno dell'ipercromatico universo del progressive rock. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 70

https://www.arabsinaspic.org/

Remote - The Gift

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Sentivo la mancanza di un po' di doom, quello claustrofobico, un po' psichedelico e un po' acido, quasi quanto tutto quel regno vegetale dipinto nell'artwork del cd dei russi Remote. I tre musicisti, orignari della semisconosciuta città di Kaluga, ci accompagnano in 'The Gift' proponendoci un concentrato di doom, sludge, psych e death (quest'ultimo più che altro solo per il growling). Sei lunghe tracce di pura distorsione chitarristica, che dall'iniziale "Ouroboros" arrivano fino alla conclusiva, lunghissima (16 minuti) e sfiancante "Tseni", attraverso un viaggio complicato che vede i nostri muoversi tra ondivaghe ritmiche e quel carattere fuzz delle chitarre, mentre la voce tignosa di Eugene racconta di uso di droghe e alcol. Il lavoro si muove senza grossi tentennamenti lungo la title track, ma anche senza troppe trovate stilistiche che possano far gridare al miracolo. "Veisalgia" prosegue sullo stesso pattern evocando in modo randomico, i primi Electric Wizard e i primi Cathedral, gli Eyehategod e via dicendo. La traccia comunque mostra un interessante break atmosferico centrale che probabilmente la differenzia dalle altre canzoni, cosi come quel timido assolo conclusivo. "Prototrip", pur avendo un titolo cosi evocativo, non riflette quello che mi sarei aspettato di ascoltare, ossia un sound decisamente lisergico ma è forse il pezzo più stoner doom del lotto, e quello che vanta anche il miglior assolo del disco. Si prosegue con "Viy", un brano un po' più ostico in fatto di melodie cosi discordanti, però forse è quello che alla fine risulta anche il più riuscito e mi ha suscitato meno perplessità. (Francesco Scarci)

domenica 24 aprile 2022

The Pit Tips

Francesco Scarci

The Nest - Her True Nature
Cult of Luna - The Long Road North
White Ward - Futility Report

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Death8699

Cannibal Corpse - A Skeletal Domain
Cannibal Corpse - Torture
Metallica - Hardwired…To Self Destruct

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Alain González Artola

Eard - De Rerum Natura
Alda - A Distant Fire
Hate - Rugia

Darkthrone - Too Old Too Cold

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Raw Black
A.D. 2006: la fiamma nera di Fenriz e Nocturno Culto continua a brillare nel firmamento del black metal, pur proponendo, come sempre, un nulla di nuovo. Se si deve fare un complimento alla band norvegese, è proprio quello di aver mantenuto da sempre una coerenza di fondo nel loro bagaglio musicale, senza aver mai tradito i propri intransigenti fans. Sta però proprio qui, per quanto mi riguarda, nella staticità artistica del duo scandinavo, il loro limite maggiore per cui non ne ho mai particolarmente apprezzato le gesta. Andiamo comunque a dare un ascolto a questo breve capitolo della saga “darkthroniana”: 'Too Old Too Cold' è un Ep di 4 pezzi, per una durata di circa 13 minuti, dove i 2 classici minimalisti riff di Nocturno Culto, s’intrecciano con i suoni grezzi e sporchi della batteria di Fenriz e con le solite vocals strazianti che s’instaurano sul tappeto old style creato dai due loschi figuri. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole: il sound gretto e primitivo dell’act norvegese è sempre una gioia per i fans della band. Interessante la presenza della cover dei Siouxie And The Banshees "Love In A Void", terza traccia di questo piccolo blasfemo lavoro, in cui Nocturno canta in modo epico ricordando non poco la performance ai tempi degli Isengard di 'Vinterskugge'. Da segnalare inoltre la partecipazione di Grutle degli Enslaved, come ospite in "High on Cold War", concentrato di furioso black punk rock’n roll oriented, song che tra l’altro contiene addirittura un assolo!!! Segno che i tempi stavano cambiando anche in casa Darkthrone. (Francesco Scarci)