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lunedì 6 luglio 2020

Fragments of Unbecoming - Sterling Black Icon

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity, At the Gates
Mi sono sempre domandato che bisogno avesse la Metal Blade di assoldare questa band nella propria scuderia? I Fragments of Unbecoming rappresentavo infatti l’ennesima mediocre band tedesca di death metal melodico che s’ispira da sempre ai fondatori del genere: i Dark Tranquillity. Il sound che scaturisce dai solchi di questo 'Sterling Black Icon' (terzo capitolo della trilogia della band) suona anacronistico già nel 2006 con quei suoi continui richiami a 'Skydancer' e 'The Gallery', i primi due album di Michael Stanne e soci, risalenti a metà anni '90. Quindi, con un paio di lustri di ritardo, ecco arrivare il lavoro del quintetto teutonico, che ispirandosi fortemente anche ai primi dischi degli Edge of Sanity (quelli più brutali per intenderci, il che non fa altro che avvalorare la mia tesi) si candidò ad essere l'album ciofeca dell'anno. Sorvolando sul penoso suono della batteria, ovattato e molto simile in alcuni frangenti ad uno scatolone vuoto, la formazione tedesca propina un death metal canonico e scontato: brani aggressivi con sfuriate in pieno stile At the Gates, melodie che ricalcano totalmente quelle dei Dark Tranquillity, accelerazioni con improvvisi cambi di tempo e una buona la prova del cantante (unica nota positiva). Potrebbe anche sembrarvi un lavoro interessante ma alla fine è la noia a trionfare, grazie anche a quella sensazione di “già sentito” migliaia di volte, che tanto procura un forte senso di nausea. Per quanto mi riguarda i Fragments of Unbecoming non meritano molte chance a meno che non siate così nostalgici del passato, ma a quel punto è sempre meglio andarsi ad ascoltare gli originali. (Francesco Scarci)

mercoledì 1 luglio 2020

Psycroptic - Symbols of Failure

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Techno Death, Cryptopsy, Neuraxis
Li avevamo già incontrati diversi anni fa in occaione della recensione di 'Ob(Servant)', ripeschiamo dalla discografia di questa band della Tasmania gli Psycroptic e il loro 'Symbols of Failure', e un techno brutal death sulla scia di act ben più illustri quali Cephalic Carnage o Nile, solo per citarne alcuni. Questo è il terzo disco della band di Hobarth, e come per i precedenti (ma anche per i successivi quattro) la proposta dei diavoli è una sonora mazzata negli stinchi di noi poveri umani. Velocità prossime a quelle della luce, cambi di tempo repentini, schizoidi e talvolta fin troppo articolati, blast beat a tutto spiano, grida malate contrapposte a gorgheggi da orco cattivo, contraddistinguono infatti un lavoro certo non cosi facile da digerire. Scarsa digeribilità certamente dovuta all’eccessivo incaponirsi da parte della band nel mostrare il loro lato più tecnico, con dei giri al limite dell’umano che alla fine rasentano la noia. Il disco rischia cosi di sembrare troppo freddo e poco incisivo, un esercizio di pura tecnica strumentale (mostruosa comunque la prova di ogni singolo musicista) fine a se stessa. A differenza delle band sopraccitate mancano infatti, quegli spunti d’insana follia che possono rendere il lavoro meno monolitico. Eccellente la produzione con un sound pulito e potente a corredare 40 minuti di musica spasmodica, efferata, brutale e convulsa, che nuocerà di certo le vostre orecchie e per cui vi invito a fare molta attenzione. (Francesco Scarci)

(Neurotic Records - 2006)
Voto: 64

http://www.psycroptic.com/

Mulla - EP 2020

#PER CHI AMA: Black Old School, Burzum
Devo ammettere che mi solleticava l'idea di recensire una band irachena, cosi come deve essere stata solleticata pure l'etichetta russa Narcoleptica Productions tanto da metterla sotto la popria ala protettrice e produrne un lavoro che era uscito digitale solo a fine aprile. Due pezzi di puro raw black contenuti in questo 'هل تحتاج إلى', il primo della durata di sette minuti e mezzo, il secondo, una maratona di oltre 19. Interessante quindi trovarsi di fronte a questi Mulla, di cui non è stato possibile raccogliere praticamente nessuna informazione in rete, complice un'origine culturale/religiosa verosimilmente un po' troppo pericolosa da propagandare. Eppure, nonostante ciò, l'ensemble mediorientale in questo 2020, oltre al cui presente EP, ha già rilasciato il full length d'esordio e un nuovo singolo. Tornando alla musica e più in dettaglio alla prima "الطريق إلى السعادة", quella dei Mulla è una ripresa del canonico sound burzumiano fatto di riff zanzarosi ripetuti in loop fino alla noia, su cui va ad installarsi il tipico screaming ferale del black metal. "خلال الشفق"non è da meno, soprattutto perchè sono 19 minuti di chitarre sul cui sfondo sembrano materializzarsi delle tastiere a creare una specie di brezza atmosferica, mentre gli urlacci del frontman dovrebbero trattare tematiche legate all'Islam, il che rende ancor più particolare e rischiosa questa release. La produzione non certo cristallina va ad enfatizzare all'ennesima potenza lo status underground per questi Mulla, che fondamentalmente non hanno nulla di nuovo da raccontare in termini musicali ad una scena satura già di per sè di simili sonorità, ma che forse potrebbe avere invece risvolti più interessanti a livello lirico. Per ora, accontentiamoci di queste primordiali forme musicali, in un futuro chissà cosa ci riserveranno. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions/Scorched Earth Records/Kryrart Records/Cianeto Discos - 2020)
Voto: 60

https://narcolepticaprod.bandcamp.com/album/ep

martedì 30 giugno 2020

Lyzanxia - Unsu

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Death, Soilwork
Mettiamo a ferro e fuoco il mondo, da sempre questo è il motto della storica band francese dei Lyzanxia, che dopo il feroce 'Mindcrimes' del 2002, che ottenne riscontri di critica positivi in tutto il pianeta, tornò a far male con questo lavoro dal titolo insolito ed enigmatico, 'Unsu'. Era il 2006 e avvalendosi sempre del bravissimo Fredrik Nordstrom alla consolle (In Flames, The Haunted) presso i Fredman Studios, i francesini tornavano a minacciare il genere umano con le loro dodici energiche tracce. Le songs qui incluse hanno infatti un unico comune denominatore: dei fantastici (anche se talvolta un po’ ripetitivi e statici) riffs di chitarra, che da soli valgono l’acquisto di 'Unsu', ad opera di David e Franck Potvin, i fratelli che oltre a dividersi la scena chitarristica, rappresentano anche gli eccellenti vocalist della band, l’uno in formato clean/scream, l’altro in growl. Questo quarto album spacca veramente i culi, unendo a quello swedish death che contraddistingue la band transalpina fin dagli esordi, un groove thrash in grado di bilanciare potenza e melodia. Ritmiche furibonde, stillati tastieristici, assoli taglienti e bellissime vocals caratterizzano uno dei lavori più sorprendenti della discografia della band di Angers, creando, a detta della band, un mondo ossessivo in cui bellezza e terrore convivono, uniti da un’incomparabile tecnica e da un approccio sì brutale, ma melodico. E la testimonianza di ciò, è la bellissima quinta traccia “Strenght Core”, summa di tutto ciò che erano i Lyzanxia a quel tempo: una band capace di stupirci per la loro aggressività ma anche per la bravura nel trasmetterci forti emozioni a suggellare l’enorme capacità tecnico-compositiva del quartetto francese. In 'Unsu' non ho sentito nulla fuori posto, è un album curato nei minimi dettagli, che non può prendere di più, in termini valutativi, semplicemente perché non inventa nulla di nuovo, ma che di sicuro potrà conquistarvi per il sempice fatto che è davvero piacevole da ascoltare (stupenda anche l’etnica title track), ideale per un pogo infuocato, ed eccellente da tenere in auto al massimo volume. 'Unsu', la colonna sonora ideale per mettere a ferro e fuoco il mondo. Notevoli, peccato solo che se ne siano perse le tracce dal 2010. (Francesco Scarci)

(Listenable Records - 2006)
Voto: 80

http://www.lyzanxia.com/

lunedì 29 giugno 2020

Kruelty - Immortal Nightmare

#PER CHI AMA: Death Metal Old School, Grave, Dismember
Nostalgia per il death metal anni '90, quello di Entombed, Dismember, Unleashed e Grave? Niente paura perchè a distanza di quasi 30 anni, si aggirano nel mondo ancora degli emulatori di quel sound. Stiamo parlando dei Kruelty, band originaria di Tokyo, formatasi nel 2017, con un album all'attivo, 'A Dying Truth' e una serie di EP all'attivo, tra cui quest'ultimo 'Immortal Nightmare', uscito in cassetta un paio di mesi dopo il full length. Tre pezzi a disposizione, di cui uno, è la cover "Into the Grave" dei Grave stessi e gli altri due sono vecchi brani ri-registrati. Si parte infatti con l'angusto sound di "Narcolepsy" che dichiara apertamente l'amore dei giapponesi verso la proposta oscura ed asfissiante delle band svedesi citate, sciorinando i classici chitarroni ultra profondi e corposi, mai sparati a velocità disumane, il tutto corredato dalle growling vocals del frontman, e poco altro. Mi aspettavo almeno un apporto solistico convincente ma niente da fare, neppure quella sorprendente vena melodica che contraddistingueva i big four all'epoca. La seconda "Desire" sembra fare addirittura peggio, cosi piatta e scontata, con addirittura un break centrale all'insegna del... nulla. L'ultima è appunto la cover di quel mitico album uscito nel 1991 che nessun amante del death metal scandinavo potrà mai dimenticare, soprattutto per quel suo giro di chitarra che sembra preso in prestito dai Black Sabbath e poi sparato in orbita alla velocità della luce con quella tipiche venature punk hardcore che ne hanno contraddistinto gli esordi di tutte quelle band svedese. I nostri giapponesi fanno il loro compitino e nulla di più, sfruttando peraltro Brendan Coughlin (Mourned) per il famigerato e splendido assolo conclusivo del brano. Detto che mi aspettavo qualcosina in più, ora mi vado ad ascoltare anche l'album d'esordio per valutare al meglio i giapponesi Kruelty. (Francesco Scarci)

domenica 28 giugno 2020

Tourettes Syndrome - Sicksense

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover/Nu Metal, Korn
Dalla terra dei canguri arrivano da sempre mirabolanti creature in grado di sconquassare il mondo musicale con misture imprevedibili di musica. Per quanto concerne i Tourettes Syndrome, stiamo parlando più in specifico di hardcore, nu-metal e altri elementi (groove death in primis) a creare un sound apoplettico e bizzarro. Il quartetto di Sydney all'epoca del loro secondo disco, 'Sicksense' che è seguito cinque anni dopo il debutto omonimo del 2001, ci attacca con undici sciabordanti tracce (sono inoltre incluse tre bonus video tracks), in cui su una ruvida ritmica hardcore si staglia l’incredibile voce di tale Michele Madden (oltre che brava anche molto bella). Ho scritto incredibile, perché non avevo intuito, neppure lontanamente, che i profondi grugniti growl fossero i suoi, tanto meno le “grungeriane” clean vocals. L'album è un concentrato di chitarre possenti e aggressive in pieno stile Korn, su cui s’inseriscono elementi elettro-noise, punk e industriali; ciò che continua a stupire per l’intera durata dell’album è comunque l’eclettismo vocale di Michele, vera figura carismatica della band australiana, capace di passare in modo disinvolto dal growling a voci isteriche, da suadenti clean vocals al cantato grunge. Rabbia, frustrazione e depressione, sono contenuti in questo secondo capitolo di questa compagine originaria di Sydney. Anche se non totalmente originalissimi, i nostri sono carichi di energia e hanno creato un ottimo disco che potrà interessare chi non è troppo vincolato a generi o sottogeneri, al metallaro dalle visioni allargate a 360°. Sebbene io non rientri in questa classe, a me i Tourettes Syndrome sono piaciuti, peccato solo che dopo il successivo album del 2007 se ne siano completamente perse le tracce. (Francesco Scarci)

Comity - ...As Everything is a Tragedy

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Hardcore, Dillinger Escape Plan
Li abbiamo recensiti in occasione del loro ultimo lavoro, 'A Long, Eternal Fall', li ripeschiamo oggi con il vecchio '…As Everything is a Tragedy', quando ho potuto apprezzarli per la prima volta nella loro ossessiva e asfissiante veste musicale. I parigini Comity sono essere un interessante ibrido tra The Dillinger Escare Plan, Neurosis e Meshuggah, i primi per la loro follia di fondo, i secondi per la loro genialità, i terzi per la capacità di costruire ritmiche monolitiche ammorbanti, atmosfere rarefatte e oppressive. La struttura dei brani di questo lavoro si rivela infatti veramente delirante a causa della sua elevata complessità: i nostri sono dei maestri nel portarci al limite del baratro con dei momenti di frustrante ultra doom, per poi scaraventarci giù dalla rupe con la violenza profusa dalle schizoidi ritmiche. La musica dei Comity non è del tutto ortodossa e difficilmente potrà piacere ad un vasto pubblico, tuttavia chi ama questo genere di sonorità non potrà fare a meno di dare un ascolto alla spirale emozionale messa in atto da questi pazzi scalmanati autori di un’astratta musica brutale. Non posso segnalarvi un brano piuttosto di un altro perché il disco fra le mani consta di 99 schegge impazzite (suddivise in quattro suite), frapposte a momenti di inusuale calma e melodia che preludono al caos primordiale. Qui c’è da farsi male! (Francesco Scarci)

sabato 27 giugno 2020

Words of Farewell - Inner Universe

#PER CHI AMA: Melo Death, Scar Symmetry
Da Marl, cittadina della Renania settentrionale-Vestfalia, ecco arrivare questi Words of Farewell, che i più attenti di voi se li ricorderanno in giro da almeno tre lustri e con tre album già in cascina. Il sestetto teutonico, in pausa dal 2016 quando uscì l'ultimo 'A Quiet World', ha pensato bene di dare un segno di vita ai propri fan, rilasciando questo 'Inner Universe', EP di quattro pezzi. Il lavoro si apre con la grandinata melodica di "Chronotopos" che mi permette di comparare immediatamente il sound dei nostri con quello degli svedesi Scar of Symmetry: chitarre fresche e frizzanti, tastierine stile Bontempi, growling vocals alternati a clean vocals, lampi progressive, begli assoli e signori, il gioco è servito per mostrarci lo stato di forma dei Words of Farewell. La band è tornata in sella e pian piano si rimetterà in sesto per offrire anche un nuovo full length, ma nel frattempo godiamoci questo lavoretto. "Whispering Deeps" è leggermente più cupa dell'opener, pur mantenendo intatti gli ingredienti sopra menzionati e con le melodie delle sei corde a giocare un ruolo fondamentale come guida per i fan nell'ascolto del disco. Ottima quindi la linea di chitarra che si concretizza ancora meglio nel confezionare un assolo davvero lungo e coinvolgente che da solo varebbe il cosiddetto prezzo del biglietto. Il trend melodico si conserva anche nelle successive "Offworld" e "Alter Memory": la prima dapprima caratterizzata da una forte componente malinconica, con le tastiere che costruiscono splendide atmosfere e in seconda battuta, la song sembra prima assumere toni orientaleggianti e poi di un melo death in formato Insomnium, il tutto in poco più di quattro minuti. L'ultima traccia invece è la più diretta, ruvida e veloce ma dotata di un bel break atmosferico ove compare una parte parlata, da quanto ho capito, estratta dal discorso conclusivo di Charlie Chaplin ne 'Il Grande Dittatore', che sancisce un comeback discografico davvero interessante. (Francesco Scarci)

Dark Divinity - Messianic

#PER CHI AMA: Death/Black
Mentre sulle piattaforme musicali in patria i Dark Divinity sono già seguitissimi, nel resto del mondo nessuno sembra essersi accorto della release di debutto della band di Wellington. Ci troviamo in Nuova Zelanda ovviamente e 'Messianic' è l'EP d'esordio dei nostri dopo una sfilza di singoli usciti dal 2017 in poi. Il dischetto consta infatti di alcuni di quegli stessi singoli più un paio di novità. Ah, dimenticavo, il genere proposto è un death black dalle tinte melodiche, ma questo è chiaro sin dalle oscure note iniziali di "Set in Stone", che ci dice come la band sia ispirata dai grandi classici svedesi, At the Gates e Dissection, in primis. Quello che sorprende a parte la tagliente ritmica, sono le vocals possenti della tatuatissima Jolene Tempest, il cui stile è un mix tra un growl e uno screaming comunque intellegìbile. Se la prima song mi ha conquistato subito per forza, melodia e brutalità, la seconda "Vertigo" (una delle due nuove) mi ha lasciato un po' più con l'amaro in bocca, senza trasmettermi nulla di che, se non investirmi con quel muro di chitarre che alla fine lasciano il tempo che trovano. "Cambion" sarebbe la seconda news ma dura solo 80 secondi e funge più da collegamento, nella sua interezza strumentale peraltro dotata di un'ottima melodia, con "Night of the Witches". La terza canzone continua a picchiare con quel suo piglio scandinavo, forse un po' troppo freddo e poco coinvolgente che palesa sicuramente un'ottima preparazione tecnica e poco altro. Il quintetto chiude la sua prima fatica con "Seasons of Dark" che in fatto di violenza death/black, probabilmente non è seconda a nessuno in questo loro lavoro d'esordio. Ora, bisogna guardarsi negli occhi e decidere che fare, continuare su questa scia ed essere i signori nessuno, oppure dotare i pezzi di un bel po' di personalità. Ai Dark Divinity l'ardua scelta... (Francesco Scarci)